Una riserva mentale

È un vero peccato che alle assemblee del Partito popolare non possano presenziare altro che quelli che hanno la tessera.

Ci manderemmo i giovani rampolli del liberalismo che ancora devono farsi una coscienza politica, ci manderemmo i cittadini onesti che vanno in cerca di un partito che abbia una coscienza morale. Per ammaestramento, per edificazione e anche, perché no?, per propaganda. Per ora vi possono prendere parte soltanto i tesserati, vi posson parlare soltanto gli avvocati cui il Partito popolare ha dato, finalmente!, una coscienza politica, i pubblicisti che aspettano ch’esso dia loro qualcosa di piú, e i preti che vi celebrano i rinnovati fasti della teologica dottrina della riserva mentale. A dir vero, si dice che, presenziando all’ultima assemblea che il Partito popolare tenne in Torino, si sarebbe potuto prendere lezione del modo come sette questori non siano sufficienti per mantenere calme e concordi alcune centinaia di persone, ma sono voci che raccogliamo per la cronaca, riconoscendo d’altra parte che il tema in discussione era tale da suscitare e giustificare ben altre e piú ardenti contese.

Sono prossime, sono annunciate le elezioni amministrative. Che faranno i popolari? L’argomento è piú che appassionante. Una volta era presto fatto: si trattava nelle sacrestie, si premeva la mano sui parroci e si accarezzavano le beghine e tutto era fatto. Un piccolo contratto: do ut des. Tu mi dài il posto tale e io ti do quell’altro; io avrò quel beneficio e tu quella prebenda; tu signoreggerai dalla tua sacrestia e io andrò in comune a fare gli interessi dei pescicani, pardon!, a fare gli interessi della cittadinanza. E si procedeva d’amore e d’accordo. Ogni tanto un grande giornale cittadino faceva una strepitosa campagna contro l’amministrazione la quale ecc., ecc., tanto per poter, quindici giorni prima delle elezioni, fare un nuovo accordo, stringere un patto nuovo, avere qualche cosa di piú. E i preti benedivano gli elettori in sacrestia, le beghine li accarezzavano nei salotti, i giornali imbonivano il pubblico, Teofilo Rossi prosperava e si leccava i baffi. Quelli erano tempi!

Oggi c’è il partito, c’è la disciplina, c’è l’intransigenza. Chi le ha inventate, chi le ha messe di moda queste diavolerie da bolscevichi? Vi immaginate l’«onesto» esercente che per capirne qualcosa deve leggere gli articoli di alta politica e le considerazioni quasi serie del «Commercio»? Vi immaginate il sacrestano che non può piú contrattare i voti come il prete le messe, vi immaginate la beghina che cessa di essere grande elettrice? Che non ci sia un mezzo per uscirne? Possibile che gli avvocati, che i pubblicisti, che i teologi del partito non sappiano pensarne nessuna? Per questo le assemblee del Partito popolare sono tanto interessanti.

Naturalmente le assemblee di partito prendono tutto sul serio. È il loro dovere. La disciplina, il programma massimo, i principî, l’intransigenza. Il sacrestano e la beghina non ne capiscono nulla, ma per i soci del partito, questa è la sola, questa è la diritta via. Si dice che le parole di alcuno degli oratori spirassero tanta austera intransigenza da scapitarne Robespierre.

Periscano l’universo e l’amministrazione dei borghesi, ma vivano i principî. L’assemblea applaude. Ma l’oratore non si ferma, la sua logica è spietata. Intransigenza è poca cosa, ci vuole l’astensione.

A questo punto l’assemblea giunse al colmo dell’entusiasmo. Ma il sacrestano e la beghina che stavano in un angolo e finora non avevano capito nulla, si rischiararono anch’essi, levarono il viso e scambiarono uno sguardo di furbesca intelligenza. Sí, l’astensione anche essi l’avevano capita. È cosí semplice! Il partito si astiene, e i popolari votano per chi vogliono. Si ritorna al contratto, al do ut des; la sacrestia sarà riportata agli onori della pastetta elettorale: il prete tornerà a benedire gli elettori, le beghine ad accarezzarli, i giornali ad imbonirli e Teofilo Rossi a prosperare. Evviva l’intransigenza!

Non è dunque una fortuna che alla testa del partito vi siano dei teologi, esperti applicatori della teoria della riserva mentale? Anche il sacrestano e la beghina oggi ne sono convinti.

(25 agosto 1919).