Un’incognita

Molti giornali si domandano, per rispondere a una domanda che prevedono sarà fatta dai loro lettori, chi sia Francesco Ruffini. E le risposte sono generiche, vaghe. Si citano i titoli dei suoi libri, i suoi precedenti accademici, la sua attività giornalistica limitata ad articoli di esumazione storica o di varietà culturale. È un’incognita per tutti, perché manca di una sagoma politica ben stagliata negli avvenimenti degli ultimi anni. Si dice che sia antigiolittiano, e che perciò Salandra gli abbia dato il laticlavio, che sia parente del direttore del «Corriere della Sera», e che perciò Boselli gli abbia affidato il portafoglio della pubblica istruzione. Certo nessuna attività speciale lo designava a questo dicastero, a meno che non si supponga che l’essere insegnante sia titolo sufficente per diventare arbitro dell’attività statale che amministra e regola le scuole.

Ma forse è appunto questa incertezza, questa assenza di colore e di sapore, il miglior titolo del Ruffini. Significa, la sua assunzione, probabilmente solo uno svalutamento del Piemonte come crogiolo di personalità politiche da imporre alla vita italiana, abbellito dalla lusinga che in realtà la tradizione cavourriana, cui i vecchi piemontesi tengono tanto, sia rimessa in onore nella persona dello studioso piú serio, dell’uomo di Stato per eccellenza. L’istruzione pubblica è caduta cosí in basso in questi ultimi due anni che anche uno qualsiasi ci starà magnificamente a posto.

Ed è contro questa tendenza che bisogna reagire. Il Ruffini è stato rettore della nostra università. Cinque anni di re travicello, cinque anni di pieno dominio degli impiegati, di acquiescenza a tutti gli ukase dell’on. Luigi Credaro, il quale, da buon pedagogista che si rispetti, fece di tutto per rovinare tanto gli studi superiori quanto quelli medi. Ruffini non ha lasciato memoria di un atteggiamento energico, di una protesta vibrata contro certi regolamenti ministeriali che turbavano, senza migliorarla, la tradizione, che irritavano professori e studenti, che creavano inciampi alle carriere professionali, senza che fossero giustificati da un programma direttivo, da un piú acuto senso dei bisogni della scuola e della cultura nazionale. Lasciar fare, lasciar passare era la parola d’ordine, liberale quanto si vuole, ma altrettanto disgregatrice e confusionaria. Eppure non mancano gli esempi di rettori che presero posizione contro ministri incompetenti e per lo meno contribuirono a screditarli e a mantenere cosí delle possibilità di riprese piú consone ai bisogni della scuola. Credaro e Grippo sono i due poli della politica scolastica italiana, che ha avuto un solo grande ministro dell’istruzione, Francesco De Sanctis. Grippo l’analfabeta, l’incompetente per antonomasia, ha solo pochi giorni fa dato la prova del suo interesse per la serietà e la disciplina, concedendo agli studenti delle scuole private (che per il 75 per cento sono rette da clericali) di poter andare a dare gli esami dove meglio loro piacesse, e quindi dove il passaggio era piú facile, e la dipendenza di clientela piú sicura. Il grande ministero nazionale, che avrebbe dovuto essere piú che esponente di settarismo, il ministero per la miglior risoluzione degli angosciosi problemi dell’ora attuale, lo sostituisce col Ruffini. Un’incognita. Cosa ne scoppierà fuori? Un Credaro o un nuovo Grippo. Non certamente un Francesco De Sanctis.

(19 giugno 1916).