Vinaj-Einaudi

La polemichetta Vinaj-Einaudi ha avuto l’ultimo sbocco che il malcostume della vita politica italiana lasciava facilmente prevedere.

I giornali annunziano che il deputato di Mondoví ha interrogato il presidente del Consiglio e il ministro della pubblica istruzione, e per il loro tramite, la regia questura di Torino, per sapere quanti anni di galera intendevano assegnare al loro subalterno professore d’università che ha osato dire che i deputati come l’on. Vittorio Vinaj hanno la stessa levatura e la stessa importanza nazionale dei bidelli scolastici, e meno ancora, perché i bidelli sono utili ed hanno una dignità e i Vinaj sono nocivi ed ignobili. L’on. Vinaj deve essere soddisfatto di questa sua energia nel far rispettare il parlamento in tutti i suoi rappresentanti, tanto piú soddisfatto in quanto non sospetta neppure che il prof. Einaudi gli ritorca la domanda, rivolgendola a un certo presidente di un certo tribunale per sapere quali provvedimenti intenda prendere contro un certo pubblico ministero, che veste certi abiti, il quale si lascia chiamare «sguaiato bugiardo» e inghiotte tranquillamente l’epiteto, come se esso fosse stato rivolto al bidello dell’università e non a lui, proprio a Vittorio Vinaj come Vittorio Vinaj. Ma non c’era bisogno delle nuove prove portate dal prof. Einaudi per sapere chi sia sempre stato l’on. Vinaj, e come abbia sempre interpretato il mandato parlamentare: il voto favorevole al ministero come ricatto per ottenere particolari favoritismi ai suoi grandi elettori. È lo stesso prof. Einaudi che è in causa. L’Einaudi che pubblica a Torino, che cita dinanzi all’opinione pubblica l’Einaudi che pubblica a Milano. L’Einaudi della «Riforma sociale» che polemizza con l’Einaudi del «Corriere della Sera». E il primo Einaudi domanda al secondo se si creda poi cosí lontano dall’on. Vinaj come vorrebbe apparire, e come i bidelli dell’università ardentemente desiderano che sia. Perché nella sua lettera alla «Stampa» Einaudi sostiene che il senatore Albertini rispetta le sue convinzioni, e che pertanto egli è libero di sostenere tutte queste sue convinzioni nel « Corriere della Sera». Eppure, osservano i bidelli, il «Corriere» non è la «Riforma», sebbene medesimo vi sia l’economista che dà il tono. L’Einaudi, liberista completo nella «Riforma sociale», diventa nel «Corriere» liberista solo contro le organizzazioni operaie e le cooperative emiliane, non preoccupandosi di ricercare se queste forme di protezionismo non siano esasperazioni di un malessere diffuso dall’altro e ben piú dannoso protezionismo, e se non sia suo dovere di coerenza esplicare nel diffuso «Corriere» le sue qualità di educatore completo, e non confinarle nella rivista che il grosso pubblico da educare non legge. Un po’ di vinajsmo si è incollato anche all’abito del professore educatore. I bidelli, per esempio, sono preoccupati dei contatti che l’Einaudi non evita nel «Corriere» con il Vinaj Luigi Luzzatti, che nella «Riforma sociale» non è molto rispettato, e riceve anzi, molto spesso, stangate poco corrieristiche.

Perché il professore d’università e membro dell’Accademia delle scienze non si preoccupa di decidersi anch’egli tra la toga professorale e la vestarella da bidello? Questa lo avvicina ancora troppo all’on. Vittorio Vinaj, e dà una qualche parvenza di verità alle voci ingiuriose delle ambizioni parlamentari. Tanta parvenza di verità, che da un superiore piano morale non si saprebbe davvero distinguere tra il Vinaj bidello e l’Einaudi in vestarella.

(16 maggio 1917).