Gli uomini sono cambiati (tutti i giornali bene informati lo affermano); il passato è superato e il piú umile pizzicarolo, pur senza averne esatta coscienza, brucia l’insincerità, la pigrizia, la rozzezza spirituale del passato alla fiamma di una universale palingenesi. Un nuovo ordine si inizia, un nuovo ciclo di secoli, nel quale la storia seguirà il ritmo della consapevolezza.
Cosí, è vero — secondo Rudyard Kipling — le scimmie Bandar Log della giungla cantano ogni minuto di ogni ora, di ogni settimana, di ogni mese, di ogni anno. Cantano e non fanno, parlano e il verbo non diventa mai carne (le scimmie sono erbivore e gli alti prezzi non stimolano in loro le iniziative individuali). La democrazia italiana non è invece tribú di scimmie: alle parole fa seguire i fatti, educa le velleità e le fa diventare volontà consapevoli dei mezzi e dei fini.
Il giorno dell’America ne ha dato una prova. Il giorno dell’America è stato un momento di vita democratica: il «popolo» italiano vagamente sentiva il bisogno di entrare in comunione spirituale col «popolo» degli Stati Uniti. Abbandonato a se stesso questo bisogno vago e indistinto si sarebbe esaurito tutto in vane esteriorità, in manifestazioni di spolvero: cortei, fiaccolate, grida di abbasso ed evviva; non si sarebbe la commemorazione in nulla distinta da una sagra cattolica.
Ma il «popolo» italiano ha la rara fortuna di possedere nel suo seno la democrazia, cioè l’organizzazione politica che trasforma il pensiero in volontà, in consapevolezza le indistinte tendenze dell’«anima» popolare. Cosí fu che il giorno degli Stati Uniti non si esaurí in fiaccolate, cortei, grida di evviva e abbasso; cosí fu che gli anglosassoni circolanti fra la folla poterono affermare: Rudyard Kipling dovrebbe fare un autodafé dei suoi libri della giungla, poiché i latini non sono piú come i Bandar Log, che cantano e non fanno, che dicono di essere i piú saggi, i piú geniali, i piú chiaroveggenti, ma rimandano sempre a domani la traduzione in pratica degli inni e dei discorsi.
Il partito democratico, anzi i partiti democratici vollero che il giorno dell’America rappresentasse un momento di vita democratica. Nei teatri (rappresentazione diurna e serale) furono messi in iscena lavori drammatici di autori americani; un oratore ricordò quale contributo gli americani abbiano dato al teatro, che non è piccola ed inutile attività dello spirito umano. Nelle sale da cinematografo furono tenute conferenze per iniziativa dell’Università popolare, organo di cultura della democrazia: vari oratori ricordarono al pubblico, o gli fecero conoscere per la prima volta, come si sia svolta la storia degli Stati Uniti, come negli Stati Uniti si sia costituito lo Stato, quale arte, filosofia, scienza abbiano prodotto i cittadini americani.
Non fu davvero una giornata perduta. Il popolo italiano apprese a conoscere meglio un altro popolo: furono suscitate simpatie solide, condizione necessaria per la pacifica convivenza internazionale, garanzia preziosa che se domani un gruppetto di scalmanati (tutto è possibile!) predicasse la necessità della guerra agli Stati Uniti, spontaneamente il popolo rigetti le invenzioni interessate e abbia gli elementi per giudicare le manovre interessate.
La democrazia ha svolto opera nobilissima, altamente encomiabile. Ha svolto? Ohibò, ha svolto o svolgerà; il futuro è uguale al presente: se non lo ha fatto quest’anno lo farà l’anno venturo o in un altr’anno. Si farà, si farà… noi siamo i piú saggi, i piú geniali, i piú chiaroveggenti uomini della terra, vedrete cosa saremo capaci di fare… domani, perché la vita nuova incomincerà domani, come per i Bandar Log della giungla di Rudyard Kipling.
(8 luglio 1918).