La lotta agraria in Italia

La politica che gli agrari vanno esercitando in Italia acquista per gli operai sempre maggior valore, a mano a mano che essa si precisa. Gli agrari non sono soltanto gli arbitri della situazione nelle campagne; che anzi ciò serve ad essi per altre mire, meno note, ma di gran lunga assai piú importanti dal punto di vista dei loro interessi di classe. È un fatto che gli agrari sono oggi i padroni delle banche. Essere i padroni delle banche vuol dire, in breve, avere nelle mani anche le sorti delle industrie. Ecco in qual modo la classe operaia si ricollega immediatamente alla classe dei contadini, ed ecco perché il proletariato di città deve seguire con attenzione tutto quanto si svolge in mezzo ai lavoratori delle campagne. Gli agrari, schiacciando la classe dei contadini, mirano ad ottenere anche l’assoggettamento degli operai di città. In questo senso, parlando del fascismo rurale, che ha la sua centrale nel Bolognese, noi abbiamo sempre sostenuto che gli operai non possono disinteressarsi del modo come si risolve la crisi del fascismo. Se i contadini continuano ad essere terrorizzati nelle campagne, gli operai a loro volta risentiranno gli effetti di questo stato di cose. D’altra parte non è soltanto la violenza nelle campagne che determina la crisi nella città. Le industrie non potranno prendere il loro normale sviluppo, se non quando si libereranno dall’influenza di questi avventurieri di campagna, divenuti capitani d’industria, senza merito proprio specifico. È possibile che questo avvenga per un processo evolutivo della politica interna dello Stato, senza cioè determinare urti e contrasti violenti? Il tentativo del partito popolare di modificare i rapporti tra contadini e proprietari, cercando di associare il lavoro al capitale non può essere destinato che al fallimento. Anche nella quistione delle disdette dei patti agricoli si rivela la impotenza del partito popolare e di qualunque altro partito che ne segua le orme.

Rispetto ai popolari, i deputati agrari non rappresentano che una piccola minoranza. Ma la forza effettiva dei deputati agrari nelle stesse sfere governative supera la forza dei popolari. Non è il caso di parlare di nuovo della debolezza delle istituzioni parlamentari. Basta però dimostrare che ciò che conta oggi non è il numero dei deputati, ma la forza organizzata che si possiede nel paese. Gli agrari per questo sono assai piú forti dei popolari. L’episodio di Treviso non dice forse che i popolari sono prigionieri degli agrari o, se non prigionieri, impotenti di fronte alla loro azione? A Treviso un giornale popolare viene distrutto; le stesse sedi delle organizzazioni popolari vengono prese d’assalto e devastate.

Ma i popolari, che pur hanno parecchi ministri nel presunto gabinetto, e per colmo il ministro della giustizia, non hanno potuto osare neppure di prendere i soliti provvedimenti che si adottano per i delitti piú comuni. I popolari dunque possono solo fino a un certo punto sostenere gli interessi dei contadini. Essi lo possono solo temporaneamente, fino a quando cioè non urtano contro gli interessi degli agrari. Tale è appunto il caso delle disdette.

Il ministro Micheli ha accordato la proroga. Questa proroga è anche appoggiata dai socialisti. L’atteggiamento degli agrari può spingere i due partiti — popolare e socialista — a scegliere una piú netta posizione nell’ambito della collaborazione parlamentare; ma non per questo gli agrari cessano di avere una forza preponderante nel determinare l’indirizzo della politica interna. Gli agrari hanno mezzi diretti a propria disposizione per organizzare la loro difesa contro la classe lavoratrice. La dimostrazione di questo essi l’hanno con l’organizzazione del fascismo nelle campagne. Essi possono quindi, quando vogliono, imporre ancora la loro volontà ai contadini, opponendosi anche alle decisioni del governo. Socialisti e popolari a scopo elettorale fan vedere di avere molto a cuore il bene dei contadini, ma essi non sanno che non possono indicare alcuna via concreta per impedire ai proprietari d’attuare i loro piani.

Il problema della terra torna oggi all’ordine del giorno della politica italiana. Dappertutto le classi contadine sono in fermento. Solo un partito rivoluzionario — e in Italia non vi è che il partito comunista — solo un partito rivoluzionario può oggi comprendere questo problema e propugnarne la soluzione.

Il problema della terra è il problema della rivoluzione, la quale in Italia è possibile solo se coincide con gli interessi dei contadini ed operai. Questa coincidenza si verifica oggi. Come nell’aprile 1920, oggi pure operai e contadini sono uniti dal medesimo interesse nella lotta contro lo sfruttamento padronale. Il problema della rivoluzione italiana è dunque il problema dell’unità degli operai e contadini. Occorre che ai comunisti non sfugga questo lato importante della rivoluzione in Italia.

L’Ordine Nuovo, 31 agosto 1921. Non firmato.