Capitolo III

Le pene secondo la scuola antropologica e secondo il sesso, l'età ecc. del delinquente e il delitto.

Ora che abbiamo veduto gli stromenti adatti per la repressione secondo la nuova Scuola vediamone l’applicazione diretta secondo il sesso, l’età e i principali reati.

Posciachè la pena deve variare secondo che si tratta di un delinquente giovane o di un vecchio, di un maschio o di una femmina, d’un campagnuolo o di un cittadino, di un giovanotto o di un uomo, di un delinquente per passione o di occasione e di un reo-nato o di un pazzo.

Sesso.—Da quel poco che abbiamo veduto (Vol. III, Cap. XIV) e da quanto a lungo esposi nella Donna delinquente e prostituta apprendiamo che la vera criminale-nata non esiste quasi che sotto forma di prostituta la quale trova così nella sua triste professione il sostitutivo penale, non abbisognando ormai più che di una diga che renda sempre più utile coi debiti freni quella corrente che lasciata a sè stessa sarebbe di danno e scandalo sociale.

Presentasi qui il caso di cui parleremo più giù nella simbiosi, in cui il delitto o il suo equivalente pur essendo antisociali possono tollerarsi non solo ma riescir di vantaggio alla società.

Il maggior numero delle donne ree, infatti, non è di ree nate, ma di ree d’occasione o per passione, con un passaggio molto frequente di queste due ultime fasi fra loro. Esse hanno scarsissimo il tipo e anche poco spiccata la tendenza criminale, e dànno materialmente nei delitti una quota minima, che può andar fino all’11%, al più al 20% sul totale delle condanne dei maschi, non superando questi che nell’avvelenamento e nell’aborto ed infanticidio, mentre non raggiungono che il 6 all’8 nei furti e incendi, e il 2% nelle grassazioni.

S’aggiunga che i reati più essenzialmente femminili, come l’aborto, l’infanticidio, l’esposizione d’infanti, sono quei che giustamente devono essere meno puniti (v. s.).

Nelle donne perciò il carcere e le pene afflittive sono tanto meno necessarie, che il loro reato, quasi sempre effetto di suggestione, le rende meno temibili, quando si allontanino dal suggestionatore, amante, o marito.[1]

Per la maggior parte basterà la riprensione con libertà condizionale preventiva, salvo per quei pochissimi casi di avvelenatrici, truffatrici, omicide, cui basterà un piccolissimo carcere, o meglio un convento; perchè vista la grande suggestionabilità della donna è facile che sotto l’influenza della monaca la religiosità si sostituisca all’amore, la più frequente causa del crimine, e così l’onestà e il [559]fanatismo religioso si sostituiscano alla tendenza criminale. Io ho potuto vederne le prove nello stesso carcere cellulare di….. dove eranvi suore tutt’altro che adatte.

Quanto alle recidive di due o tre volte in reati contro i costumi, esse devono arruolarsi nella prostituzione ufficiale, prevenendo così quella clandestina che è ben più dannosa.

Vista poi la grande vanità femminile, l’importanza che essa dà al vestito, ai gingilli e ai mobili della sua casa, si potrebbero sostituire molte volte nei reati di piccoli furti, di risse, le pene carcerarie con delle pene afflittive della loro vanità, come il taglio dei capelli, il sequestro degli ornamenti, dei mobili: sopratutto si deve nei ricoveri imporre il lavoro alle oziose collo spauracchio della fame.

Addottando speciali pene per le donne noi ritorniamo a quanto facevano i nostri antichi, e gli indiani, gli ebrei (Deuteron, XXI), i Germani; anche in Russia nel medioevo la donna che aveva colpito il marito doveva cavalcare un asino al rovescio: in Inghilterra le donne che avevano rissato fra loro dovevano percorrere le vie del villaggio sollevando un peso a cui eran legate con catena: e le calunniatrici e ciarlone dovevano camminare con una musoliera (Revue des Revues, 1895).

Corrado Celtes nel suo De origine, situ, moribus et institutionibus Germaniae, scrive: «mulieres vel quae fascinatione aut superstitione infamatae sint, vel quae partum necaverint, aut immutarum exurirent, diversis suppliciis afficiunt, aut culeo insutas submergunt, aut igne etiam adimunt, aut vivas humo defodiunt; nec his tormentis et cruciatibus arceri potest quin semper scelus sceleri accumulent».[2]

Aborto.—Quanto ai reati di aborto essi non dovranno punirsi che colla riprensione quando non siano a scopo di lucro professionale.

È uno dei bei vanti di un nostro vigoroso giurista, il Balestrini, d’aver dimostrato come l’aborto procurato non possa essere colpito come un reato, poichè il legislatore[3] colla sua incriminazione non può avere di mira la tutela dell’ordine delle famiglie, essendo i più provocati dalle fanciulle-madri allo scopo appunto di non costituire una famiglia illegale; l’obbiettivo dell’integrità personale scompare pel fatto che l’aborto sarà incriminabile nel caso che venga procurato nolente la madre e quindi in questo caso entrerà a far parte de’ reati contro le persone; l’obbiettivo giuridico della società scompare nel fatto che la società non ha alcun vantaggio dalla nascita degli illegittimi, e che fin l’esistenza giuridica della vita fetale come ente sociale è contestabile; nè la finzione del diritto civile che estende la personalità ai nascituri si può portare nel diritto penale; e d’altronde un embrione non rappresenta propriamente un vero essere umano, ma un uomo negli stadii ancora d’animalità, o piuttosto un animale inferiore che nei primi mesi solo un dotto in embriologia potrebbe distinguere come umano.

Nessun diritto vien leso, di regola, nell’aborto provocato dalla donna sovra sè stessa, inclusovi il pericolo proprio, poichè nessuno impedisce ad un uomo di farsi del male, di sifilizzarsi, per es. (Puglia, L’evoluzione del delitto, pag. 197).

E quando la lesione avvenga per parte d’altri, la legge sugli omicidi e avvelenamenti vi basta senz’altro.

D’altronde gli aborti provocati regolarmente non sono quasi mai pericolosi, e Bentham scriveva:

«Lasciate agli individui la più grande larghezza possibile in tutti i casi nei quali non possono nuocere che a loro stessi, poichè essi sono i migliori giudici dei proprii interessi. Se essi si ingannano, da che sentiranno il loro errore, è da presumersi che non vi persisteranno».

S’aggiunga la rarità delle condanne, anzi delle accuse, il pericolo di condanne ingiuste per l’incertezza della prova, che salvo rarissime eccezioni, non è possibile avere piena ed intera sulla efficacia dei mezzi impiegati.[4]

In Italia se n’ebbero, nel 1863, 6 accuse con 9 imputati, di cui 4 furono assolti; nel 1869, 5 accuse con 8 accusati; nel 1870, 6 accuse con 8 imputati, dei quali 4 vennero prosciolti; nel 1881 finalmente si ebbe un leggero aumento: 13 accuse, di cui 4 respinte (Statistiche giudiziarie penali); ciò s’accorda con la scarsezza delle sentenze supreme, che furono 6 in 15 anni (Lucchini, Digesto Italiano, v. Aborto).

In Inghilterra si procedette per aborto negli anni 1847-48-49 soltanto contro 3 persone; nel 1850 contro 5, nel 1851 contro 4; nel 1852 contro 9 e nel 1853 contro 17, e di queste ultime 12 furono mandate assolte dai giurati.

Nel 1853 in Iscozia non vi fu alcun processo per aborto; così nel Würtemberg durante il periodo 1853-54; nel Belgio, secondo i registri, non furono che cinque le persone tradotte innanzi al tribunale accusate di questo delitto.

La rarità poi delle condanne (il 28%) ha, oltre l’effetto, avvertito da molti scrittori, di gettare il ridicolo sulla legge stessa, anche quest’altro di far parere ingiusta la condanna inflitta soltanto in qualche rara circostanza.

«In ogni delitto che per sua natura dev’essere il più delle volte impunito, la pena diviene un incentivo» (Beccaria, Dei delitti e delle pene, § XXXVI).

Infanticidi.—Tutto ciò, salvo una gradazione diversa, è applicabile all’infanticidio. La nascita, lo sviluppo ulteriore di questo embrione non portano un vantaggio alla società, ma un’infamia ingiusta per la povera donna, un danno per la società che deve mantenerlo, nel brefotrofio, dove quest’ultima infine con un vero assassinio legale lo uccide, tanto enorme essendo la mortalità dei brefotrofi da potersi dire un’epidemia in permanenza; così a Siracusa la mortalità media sui trovatelli oscilla sul 73%, e a Modica sul 99%—da noi almeno al 50%.

Nè si dica che non si deve impedire l’incremento della popolazione, perchè allora si dovrebbe impedire, per legge, l’onanismo, e fin lì non ci si è giunti; e poi noi di popolazione ne abbiamo troppa.

Tutti i pensatori antichi e moderni concordano nel dire che il diritto è una proportio hominis ad hominem, che ha per iscopo di render possibile l’esistenza dell’uomo nella società; lo si consideri soggettivamente od oggettivamente, è indiscutibile che due sono i suoi termini: l’uomo e la società, e però soggetto di diritto, non può essere che l’uomo in quanto fa parte della società (Balestrini, op. cit.).

Nel caso del feto, come del neonato, non si riscontra alcuno dei due termini nella sua pienezza: anzi l’elemento sociale manca affatto; «è certo in fatto che essi sono piuttosto sotto la tutela della madre, che è il loro ambiente esteriore, che sotto quella della società, di cui non fanno ancora direttamente parte» (Tissot, Introd. philosoph. à l’étude du droit pénal, ecc., lib. 1, chap. III).

Il sentimento di allarme della società di fronte alla vita di un bambino, di cui essa ignora perfino l’esistenza (giacchè l’infanticidio honoris causa deve necessariamente avvenire prima che la nascita del bambino sia conosciuta) deve essere assai minore di quello per la perdita di un adulto nel fiore degli anni.[5]

E però dal male giuridico derivante dalla uccisione di un infante deve detrarsi, per così dire, la quantità di mali, in parte certi, in parte probabili, che deriverebbero dalla conservazione di una vita, che espone la madre alla perdita irreparabile dell’onore e spesso al pericolo di sevizie e di morte, che compromette la tranquillità di una famiglia e, per avventura, di parecchie, o che almeno, in caso di esposizione dell’infante, mette la società in un bivio terribile: «da una parte, l’irresistibile impulso del cuore, la voce autorevole della carità, le impone di raccogliere quell’innocente che trovasi abbandonato all’intemperie, di coprirlo, di allevarlo; dall’altra, la ragione e l’esperienza le insegna che, accettando troppo facilmente, come un obbligo legale e costante di mantenere ed allevare i bambini abbandonati alle di lei cure, corre i gravi pericoli di incoraggiare l’esposizione dei fanciulli, di rilassare i nodi della famiglia, di attutire il sentimento del dovere nei parenti e quello del pudore nelle donne, di far degenerare, insomma, la carità in un guiderdone offerto al disordine ed alla immoralità (Boccardo, Dizionario di economia politica, ecc.).

Quanto al danno immediato causato dall’infanticidio, esso consiste nella soppressione di una esistenza che è così minacciata per la frequenza dei nati-morti illegittimi e per la grande mortalità che colpisce più tardi il trovatello e così minacciosa per l’infamia che porta a questa da non potersi in nessun modo avvicinare al danno del comune omicidio.

Sarà poi appena necessario avvertire che la pena carceraria avrebbe l’immancabile effetto di depravar la donna totalmente e di toglierle colle abitudini del lavoro domestico il mezzo di riabilitarsi, una volta espiata la pena (Balestrini, op. cit.).—E d’altronde posta a base della pena la temibilità sociale essa manca nella infanticida che è per solito una rea d’occasione e di passione, di raro recidiva; quindi qui la riprensione giudiziaria con malleveria e cauzione basterebbe senz’altro.

Con questa mitezza nelle repressioni delle ree poi noi preveniamo quelle decisioni che paiono così ingiuste dei nostri giurati, se si confrontino alle condanne per uomini; ricordiamo che su 100 giudicati di ambo i sessi in Italia si ebbero 34 donne prosciolte per 31 uomini, alle Corti d’assise 31 donne prosciolte per 19 uomini, nel tribunale 8 donne per 6 uomini (v. s. Cap. XIV).

Età. Giovinezza.—Ancor meno è indicato il carcere per la prima giovinezza. Qui abbiam veduto come occorra il baliatico presso famiglia morale colla suggestione così potente in quell’età di persone autorevoli ed oneste, lo stimolo della vanità, dell’emulazione, dei trattamenti blandi e benevoli, ma che spingano a un’attività continua nel senso che più soddisfaccia il fanciullo, e lo sottragga alle tendenze criminose e sopratutto all’ozio. Le istituzioni caritatevoli, l’invio presso famiglie morali, le colonie agricole, i riformatori uso Elmira e Barnardo, resi più utili dalle nuove norme psicologiche, mediche (vedi pag. 398), dall’emigrazione, che trasportando in centri agricoli vi continua gli effetti utili del baliatico morale, [564]prevengono i reati occasionali, frequenti in quell’età, e forse riescono in alcuni casi se non a correggere, a trasformare utilmente i criminali-nati—e ad ogni modo ad impedire che essi contagino gli altri.

Vista intanto la precocità del delitto, necessita di tenerne conto nelle misure preventive.

Qui sopratutto bisogna evitare la prigione preventiva, la più grande fonte della corruzione giovanile. «Si parla (ben dice Joly) degli ospedali medioevali, ove spesso si trovava al mattino in un letto un morto fra due malati, ma peggio facciamo noi lasciando notti intere un giovane forse innocente, o almeno un reo d’occasione, fra rei consumati in attesa di giudizio» (Le combat ecc., 1895). «La Francia con tale promiscuità (Joly) trasforma in malfattori i fanciulli che non avevano tendenze al delitto.

E ciò senza nemmeno raggiungere lo scopo della selezione mediante la condanna perchè, come ben osserva Joly, i fanciulli assolti son spesso peggiori dei condannati. Ma se perciò ogni misura correzionale violenta deve tenersi come dannosa, devesi d’altra parte abbondare nelle cure redentrici (vol. III, pag. 395-439); quindi il limite d’età, in cui urge che queste comincino, deve essere portato assai indietro ai 9 anni e protrarsi in caso di infantilismo (vedi Vol. I, p. 305) assai più in là del limite fissato per l’età maggiore, che deve del resto variare, secondo il clima e la razza, lo stato, essendo, p. es., le semitiche e le meridionali assai più precoci nei reati di sangue e stupri e i campagnuoli e i poveri più tardivi dei rurali ecc.

Vecchiaia.—Anche pel vecchio, quando è ormai paralizzato ed impotente al male non occorre più il carcere; basteranno comuni Ricoveri, workhouse, con speciali precauzioni, per prevenire il contagio del male e l’evasione; dimore in cameroni speciali, salvo quando il delitto indichi tenaci perversità, per cui il carcere diventi necessario.

Rei per passione.—Ai veri rei per passione[6] il delitto, pel rimorso che provoca, è già la maggior delle pene: al più, però, la [565]multa, la riprensione giudiziaria, o l’esilio, l’allontanamento dalla città o dalle persone offese basteranno a difenderne la società per cui essi hanno il minimo di temibilità ed anzi sovente rappresentano il maggiore dei vantaggi grazie all’esagerato altruismo di cui son dotati e che li spinge così spesso a buone opere.

Rei politici.—Ed altrettanto dicasi pei rei politici. Se vi è delitto in cui la pena capitale non solo, ma anche le pene più gravi, e sopratutto le ignominiose, debbano essere risparmiate, mi par quello dei rei politici. E ciò, prima: perchè molti non sono che pazzi, e pei pazzi occorre il manicomio e non il patibolo e la galera; poi: perchè anche quando sono criminali il loro altruismo li rende degni dei massimi riguardi: potendo una volta incanalati in altra direzione essere utilissimi alla società a cui eran così pericolosi. Louise Michel era detta alla Nuova Caledonia l’Angelo rosso, tanto si rese benemerita dei malati e degli infelici.[7]

Ai rei politici che sono suicidi indiretti, noi coll’infliggere una morte spettacolosa non facciamo che rendere un servizio, far loro raggiungere una meta desideratissima.

E bisogna considerare che sono quasi tutti giovani; e che a questa età si ha il massimo dell’audacia e dell’eccessivo fanatismo, che si raffredda più tardi.

E poi, un’idea non si soffoca colla morte dei suoi autori: spesso essa vi guadagna, anzi, coll’aureola del martirio; mentre se è sterile cadrebbe egualmente; e Ravachol non era ancor morto che già s’era creato un semidio Ravachol, anzi un vero dio, e si eran formati parecchi inni alla Ravachol—e invece della Marsigliese si cantava la Ravachole[8]; d’altronde come non si può durante la vita dare di un uomo un giudizio definitivo, così una generazione non può nella sua effimera vita giudicare con certezza della falsità di una idea, e tanto meno quindi è in diritto di infliggere per questa una pena così radicale come la morte ai suoi fautori.

La soppressione loro d’altronde non può portar altro vantaggio oltre quello di impedire qualche recidiva: perchè il fanatismo e la nevropatia non svampano sotto la punizione, si esaltano anzi per questa.

La prova dell’inutilità delle leggi eccezionali ce la dà da tempo in grande scala la Russia, dove le repressioni non mancano e terribili (la morte lenta e muta nelle miniere e nei carnai della Siberia), eppure ogni repressione è seguita da nuovi e più violenti tentativi.

«Non c’è, scrive uno dei più acuti nostri pensatori, G. Ferrero (La Riforma sociale, 1894, pag. 986), per il fuoco delle tendenze rivoluzionarie, alimento più potente di questi martirologi leggendari, che eccitano la fantasia di una quantità di illusi, di fanatici, di suggestionabili, di cui la nostra società pullula e che sono sempre un elemento importante di tutti i movimenti rivoluzionari. C’è una quantità di gente in ogni società che ha bisogno di entusiasmarsi al martirio, qualche volta anche di subirlo; gode di essere perseguitata; di credersi vittima della prepotenza e malvagità umana; che sceglie il suo tra i partiti politici a seconda dei pericoli che esso presenta, come certi alpinisti scelgono per un’ascensione la montagna in cui i precipizi sono più profondi e le rette più inaccessibili. Per tutti costoro non c’è eccitamento migliore ad abbracciare le teorie rivoluzionarie che la persecuzione clamorosa di cui son fatte segno. Ora per tutti costoro nulla è più pericoloso che dare alle loro fantasie un cadavere di giustiziato».

La repressione violenta ha anche il torto di insuperbire troppo costoro, di far loro credere di pesare sui destini dei popoli, e di predisporre in loro favore le classi più elevate la cui ripugnanza è il migliore baluardo contro le loro mene.

La caratteristica principale di questi rei politici per passione ed occasione è un inadattamento—direi specifico—alla forma di governo sotto la quale vivono e contro la quale commettono la loro azione delittuosa. I delinquenti-nati invece mostransi inadatti non solo all’ambiente sociale della nazione in cui trovansi, ma all’ambiente sociale di tutte le nazioni che sono giunte all’identico grado di civiltà cui giunse la loro.

Mentre, quindi, i delinquenti-nati devono essere eliminati da tutto il mondo civile, i delinquenti politici basta che sieno tolti da quell’ambiente giuridico e sociale di quel dato popolo, al quale hanno dato prova di non sapersi adattare.

L’esilio, com’era del resto nelle leggi Romane[9], ed è ora nelle Abissine, e—in casi gravi—la deportazione sono dunque le pene più confacenti a questa specie di rei—ma ad ogni modo senza precisa determinazione di tempo.

Io credo, infatti, che[10] per questi rei politici puri (esclusi i pazzi ed i rei nati) le pene debbono essere temporanee e revocabili ogni 3 a 5 anni dietro una votazione parlamentare, potendosi dare che assai prima dello spirare delle pene inflitte siasi mutata l’opinione pubblica sulla portata degli atti incriminati, fino a spogliarli d’ogni indole criminosa; ed è appunto perciò anche che, mentre la nostra scuola è contrarissima al giurì pei reati comuni, non lo è punto pei reati politici, pei quali anzi il giurì è il solo mezzo di diagnosi, di riconoscere cioè se sono o non sono più delitti nell’opinione pubblica del momento attuale.

D’altra parte i Parlamenti che rappresentano la sovranità popolare e sono specchio più o meno fedele della volontà del paese, in molte Costituzioni son chiamati a giudicare almeno dei più gravi fra i reati politici; più ancora: possono, come in Francia, dove l’amnistia è d’iniziativa parlamentare, con un voto cancellarne ogni penalità: nella Costituzione anzi degli Stati Uniti spetta al Congresso il fissare le pene per i reati politici, e così era nella Bona repubblicana[11].

Basterà, dunque, che il Parlamento ed il Senato ogni 3 o 5 anni dichiarino, in sezioni riunite, che quel dato reato politico non sussiste più nell’opinione del pubblico da loro rappresentato perché cessi dall’essere tale: un esempio recente ne abbiamo nell’ateismo e nelle bestemmie, che un giorno si punivano come i reati più gravi e che ora non si potrebbe punire senza destare le risa. E così va intravvedendosi per la lesa Maestà, per gli scioperi e per i pretesi reati di pensiero socialista che solo un governo carico di delitti potè, non senza suo danno, incriminare.

Così procederemo a quei casi di ribellione che sono, come vedemmo (v. sopra), principio d’un’evoluzione; nè questa idea è poi rivoluzionaria, o nuova, chè, sotto forma di ammonizione a Firenze, di ostracismo in Grecia, di petalismo in Sicilia, applicata in paesi e tempi diversi e sotto Governi veramente liberi.

La temporaneità dovrebbe essere piena ed assoluta per i reati politici puri, cioè per quelli ispirati dalla sola passione politica e scevri di criminalità.

Nei reati politici misti, invece, dovrà distinguersi il reato meramente politico dal comune: se il primo ha colpito la forma politica attuale, o le persone che l’incarnano, in quanto rappresentano un sistema politico, il reato comune, che fu mezzo a raggiungere questo scopo, non è per questo meno punibile; ed esso allarma la società di cui ferisce il sentimento morale.

In questo caso la pena si proporrebbe in una forma mista; fissa, cioè, per un dato numero d’anni, tale da corrispondere alla legittima reazione sociale, contro gli attentati alla vita od alla libertà dei cittadini; indeterminata per altra serie d’anni, perché sia dato modo di troncarla, quando l’offesa all’organizzazione politica non sia considerata più tale; tanto più che vi è in quei rei una dose di altruismo che li rende meno temibili e certo più degni di considerazione.

Rei d’occasione.—Nei casi di azioni con danno lieve commesse da delinquenti occasionali oppure per negligenza o imprudenza da uomini normali, i casi da me chiamati di «pseudo-criminali», in cui il danno privato e sociale, sia per l’atto in sè sia per l’agente non temibile, è lieve, riesce iniqua ed inutile una pena carceraria, che desta nella pubblica coscienza la pietà per il condannato oppure infligge a questo una detenzione di qualche giorno, che a nulla rimedia. Questi atti dovrebbero esulare dal codice penale od almeno non ammettere [569]più la repressione carceraria, e divenire soltanto delitti o quasi delitti civili, cioè soggetti ad un efficace risarcimento del danno, che non avrà la poca serietà delle minime pene carcerarie, non ripugnerà alla pubblica coscienza, sarà più efficacemente sentito dagli autori del danno e darà luogo ad equa riparazione (Ferri, Soc. Crim., pag. 620).

Diffamazione.—Vedansi, p. es., quelle pene indette dal codice italiano per le diffamazioni a scopo politico o sociale, che per lo più non sono opera se non di uomini normali, anzi migliori dei normali, che hanno il coraggio di rivelare al pubblico fatti che passano solo per diffamazione, perchè gli accusati sono potenti, sicchè la legge con tali comminatorie impedisce di rivelarne il delitto, e protegge il delinquente, come ebbe a confessare il bravo Lucchini.

Questi pretesi diffamatori con fine nobile non sono temibili, non portano danno che non sia riparabile; nè disobbediscono a leggi che perchè queste sono imperfette. Sono dunque pseudocriminali[12] più encomiabili che punibili; basterebbe obbligare il preteso diffamatore a provare la propria buona fede e dare la prova dei fatti, e a smentirsi se errava: tanto più che il metter a nudo le nostre piaghe non le esacerba, ma anzi le medica (v. s.).

Aiuto al suicidio.—Fra gli altri pretesi reati, puniti dalla legge ma non dalla coscienza pubblica—quelli che Garofalo chiama non naturali, ma giuridici—convenzionali diremo noi e non punibili secondo la nostra scuola che colla reprensione vi ha l’aiuto al suicida.

«Se, lasciando le pure astrazioni, noi interroghiamo la scienza della vita, questa ci mostra, scrivono Calucci e Ferri, che l’interesse della società all’esistenza di ciascuno de’ suoi membri non è assoluto, ma scema anzi di molto, cessa anzi nei casi appunto della morte volontaria. Ora la biologia dimostra che nella lotta per l’esistenza soccombono i più deboli, i meno atti alla vita sociale; ed una appunto delle forme di questa sconfitta è il suicidio, che, al [570]dire di Haeckel, è una valvola di sicurezza per le generazioni future, cui risparmia un triste e fatale retaggio di nevrosi, cioè di dolore; ed è, al dire di Bagehot, uno degli strumenti del miglioramento umano per via di selezione» (Ferri, L’Omicidio-Suicidio, 2ª ediz., Fratelli Bocca, 1884). Altrettanto scrisse Morselli. Ed io e Ferri dimostrammo che il suicidio è in antagonismo coll’omicidio (vedi Vol. 1), ne è una vera valvola di sicurezza, sicchè dove l’uno predomina scema l’altro, quindi da questo lato il suicidio è anzi di un vero vantaggio alla sicurezza sociale.

Di più, «o voi, scrive il Ferri (o. c.), ritenete che l’uomo non possa disporre della propria vita, ed allora dovete punire, se non il suicidio consumato, che pure non si potrebbe senza essere disumani, certo il suicidio tentato: o voi ammettete che il suicidio non sia un delitto, ed allora come punire chi prende parte a questo suicidio, coll’aiuto o coll’uccisione, soltanto perchè vi prende parte?».

«Poichè, dopo tutto, se è innegabile che lo Stato esercita la funzione repressiva per difendere, nel caso dei reati contro i cittadini uti singuli, la sicurezza di questi stessi cittadini, procacciando ad essi almeno l’opinione della propria sicurezza, chi non vede che il consenso della vittima, vero, spontaneo, toglie ogni ragion d’essere alla difesa per parte dello Stato? In che sentiamo noi scossa la opinione della nostra sicurezza, se veniamo a sapere che un cittadino fu ucciso per sua richiesta? Non c’è che la chiesa, la quale, in coerenza logica coi suoi principii, possa pretendere di salvare il peccatore anche malgrado suo.

Duello.—E lo stesso dicasi delle penalità pel duello. Esiste o non esiste, ora, questa tirannia del costume che spinge altri al duello, in quei casi eccezionali e gravi, a cui riesce impotente il ministero della legge? Se sì, noi siamo di fronte ad individui non pericolosi, e sarebbe zelo eccessivo ed ingiusto il punirli, per riparare un pericolo che per lo più non esiste. E d’altra parte, è forse alla legge penale che spetta la correzione dei costumi? Certamente no: gli è che costumi e leggi seguono il corso naturale delle cose e sono ambidue determinati dall’ambiente. Basto ricordare che i duelli più infierivano quando più atrocemente si punivano e sono sconosciuti invece in altri paesi, e sono diminuiti dal medio evo a noi, mentre le leggi penali che li colpivano scemarono di severità. Ma chi ha pensato mai di vincere colle pene i pregiudizi? Non mietono già essi abbastanza vittime, perchè, con essi congiunte in funesta alleanza, non ne mietano di nuove le inutili pene?

«Il Codice penale deve mirare alla difesa sociale, alla epurazione della società dalla mala razza dei delinquenti. Ora è un delinquente il duellante? Chissà? Forse è una vittima, almeno nel più dei casi. Ma guardiamola bene addentro: può darsi che il delinquente ci sia. E se lo troviamo, mercè i mezzi che le scienze affratellate ci offrono, non dovrà egli dirsi un assassino? E se lo è, perchè offrirgli una onesta via di scampo? E se non lo è, perchè punire una vittima di quel pregiudizio, che volete sradicare?

«Ma il pregiudizio o morrà o sarà più forte della legge, e le pene, inapplicate per la loro inadeguata severità, renderanno più risibile il loro sforzo impotente».[13]

Adulterio.—E altrettanto si dica delle pene contro l’adulterio, che staranno benissimo in diritto canonico, ma in un Codice moderno potrebbero allogarsi al più nelle contravvenzioni.

Certo che gli è un fenomeno immorale: certo che se la legge punendolo potesse impedirlo, essa sarebbe certamente la ben venuta: ma come ciò non è entrato nella opinione dei più, e, siccome spesso in simili processi è più la vittima che ne riesce danneggiata che non il colpevole è inutile il ricorrere alla legge; s’aggiunga che questa comune e generale impunità rende più duro il caso ben raro in cui la condanna abbia luogo. E poi molto giustamente dice Berenini in quella sua stupenda monografia Offesa e difesa:

«Può la legge obbligare la moglie ad amare il marito e questo quella?[14] E se la legge non può comandarlo, non può proibirlo. [572]La legge non può tutelare che diritti materialmente e coattivamente esigibili. L’amore non può essere coattivamente richiesto dall’un coniuge all’altro, e quindi la legge non può proteggere un diritto che non esiste nella persona che se ne dice aggredita.

«L’adulterio, dissolvendo il matrimonio naturale, genera il divorzio morale; perchè non dissolvere eziandio il matrimonio civile col divorzio legale? Perchè mantenere coattivamente la causa del disordine, peggiorandone gli effetti coll’inutile scandalo di un processo e di una condanna?».

Criminaloidi.—Per i rei adulti criminaloidi, non recidivi, senza complici, basterà per la prima volta la sospensione della pena, con malleveria, e cauzione, con l’obbligo dei risarcimento, o il lavoro coatto (nei campi se il reo è rurale) in caso di incapacità pecuniaria, e il carcere cellulare nel caso di rifiuto del lavoro.

Rei abituali.—Quanto ai recidivi e ai criminaloidi divenuti abituali vanno trattati come i delinquenti nati, con questa differenza, che siccome sono in maggior parte autori di reati meno gravi (ladri, truffatori, falsari ecc.), così dovranno sottoporsi ad una disciplina men severa. E sopratutto poi, mentre per il delinquente nato può bastare il primo delitto, se molto grave, a decretarne la segregazione indefinita, nel carcere, o nella colonia agricola, per il delinquente abituale occorrerà un numero di recidive più o meno grande secondo la specie e le circostanze dei reati commessi, prima di decretarne l’incorreggibilità.

Grandi opifici d’industrie nuove pel paese pei rei cittadini, la colonia penale agricola, nelle plaghe da dissodare per gli adulti campagnuoli, dalle più malsane alle più salubri secondo le categorie dei delinquenti; nei terreni già coltivati pei minorenni: ecco l’ideale della segregazione di tali condannati; e non in terre straniere, ma nelle nostre che ne han tanto bisogno; la colonia di Castiadas che ha creato un’oasi in mezzo alle terre più malsane di Sardegna, ed i miracoli delle Tre Fontane son lì ad attestarci quanto sian attuabili questi propositi, scemando così le enormi spese che gli onesti devono sottostare anche per la punizione dei criminali e portando un utile alla società cui aveva danneggiato.

Complicità.—Siccome i delinquenti meno temibili, d’occasione e per passione, hanno per carattere psicologico costante di agire isolatamente, senza complici, e l’inverso invece si verifica tra i delinquenti più pericolosi (nati ed abituali), così la complicità, almeno nei reati di grassazione ed assassinii[15], fra adulti, deve costituire per sè sola una circostanza aggravante, come si direbbe colle classiche teorie; o ad ogni modo deve considerarsi non solo, come si fece finora, nel rapporto della parte più o meno efficace presa dai vari associati nell’impresa criminosa, ma sopratutto come carattere distintivo dei delinquenti appartenenti alle categorie più pericolose (Ferri, p. 577).

Rei pazzi.—Quanto ai pazzi criminali e ai non pochi delinquenti nati in cui l’epilessia e la pazzia morale manifestatisi chiaramente, con accessi psichici, violenti e feroci, sicchè davanti al pubblico esorbitano dalla cerchia dei delinquenti comuni e perciò sarebbero prosciolti, l’unico provvedimento possibile è il manicomio criminale.

Col manicomio criminale, come togliamo al reo, che volesse infingersi pazzo, ogni incentivo alle simulazioni, così priviamo d’ogni scappatoia i difensori, che per primi eviteranno, quando non esista davvero, di allegare la pazzia del cliente, a cui con ciò prolungherebbero la detenzione; e nello stesso tempo noi impediamo che un senso inopportuno di pietà dei giurati ridoni al popolo inerme i suoi offensori.

Colla prigionia perpetua, sotto forma di manicomio, impediamo l’eredità e l’associazione del delitto, che quasi sempre si organa entro le carceri, e quindi le formazioni delle bande: impediamo le recidività, scemiamo le spese pei processi, e le conseguenze di questi, che sono spesso nuovi delitti per imitazione.

Il Wiedemeister (Zeits. f. Psychiatrie, 1871), oppone che colla istituzione dei manicomî criminali si viene a ledere la giustizia, potendosi dare dei pazzi delinquenti che guariscano del tutto, cui [574]sarebbe ingiustizia tenere reclusi; se non che questi casi (salvo le forme acute) sono assai rari, la statistica di Broadmoor dandoci la povera cifra di 39 guariti su 700 ricoverati, in cinque anni; e ad ogni modo, a questo inconveniente si può rimediare, concedendo la libertà a quei pochi, cui una lunga osservazione dimostri completamente guariti. Che se nell’intervallo qualcuno di questi abbia a soffrirne, è men grave inconveniente in confronto ai molti che potrebbero patirne per sempre, e in confronto alle molte e spesso irreparabili ingiustizie che così si riuscirebbe a prevenire. Poli propose, per ovviare alle non rare condanne di alienati, la riforma del giurì; se non che anche elettissimi giudici, se non trovino una istituzione speciale che vi provveda, ed un articolo di codice che la raffermi, si troveranno paralizzati, e potranno al più assolverli, con pericolo grande della società e con loro non lieve e non ingiusta trepidanza.

«Si ricorre, scrive a questo proposito Ferri (Sociologie criminelle, 1894), in primo luogo all’arme infida del dilemma e si dice: Chi ha compiuto certi eccessi o è un pazzo o è un delinquente. Se è un pazzo, dicono Falret, Mendel ed altri, allora nulla importa che esso abbia avuto a che fare colla giustizia: il suo non è delitto, perchè egli non era compos sui ed allora lo si metta al manicomio comune, dove se è pazzo pericoloso lo si sottoponga a disciplina speciale, come si fa con altri pazzi pericolosi ma non delinquenti: O l’autore di quelli eccessi è un vero delinquente ed allora vada in carcere, senz’altro.

«Rispondiamo: anzitutto il dilemma è difettoso perchè non comprende quei casi intermedi (che i progressi scientifici forse elimineranno, ma che per ora esistono sempre) nei quali appunto anche alla sola logica astratta appare manifesta, come diceva il Carrara, la necessità di una «coercizione intermedia» tra il vero manicomio e la vera carcere. Ma sopratutto poi, la prima alternativa, che si tratti di un vero pazzo, non esclude per sè sola il manicomio criminale: ma se è un pazzo delinquente occorrono provvedimenti speciali di sicurezza di fronte all’attuale sistema che lascia alla diligenza, non eccessiva nè troppo illuminata, delle autorità amministrative di provvedere ai pazzi prosciolti da istruttoria o da giudizio, e mostra purtroppo, con dolorosi e frequenti esempi, quanti siano i nuovi delitti commessi da chi la prima volta fu lasciato, o subito dopo il processo o dopo breve ritiro in un asilo, alla balìa delle proprie infermità.

«Nè solo le ragioni pratiche vi si oppongono: ma pure una ragione di principio. Mentre, infatti, il Falret dice a questo proposito, che «un individuo cosidetto delinquente dacchè è riconosciuto pazzo, deve cessare di essere considerato come delinquente e rientrare puramente e semplicemente nel diritto comune», noi opponiamo queste due considerazioni.

«Anzitutto non può rientrare «puramente e semplicemente» per la ragione ch’egli, anche come pazzo, si distingue dagli altri: tant’è vero ch’egli ha ucciso, stuprato, rubato, mentre gli altri furono e sono pazzi inoffensivi.

«Ma poi quel ragionamento si attiene a tutto un ordine di idee che ormai la scienza va eliminando: che cioè la pazzia sia una sventura e il delitto invece una malvagità del libero arbitrio. No: come da un secolo ai ammise, contro le opinioni medievali, che la pazzia non dipende dalla nostra «libera volontà», così ora bisogna riconoscere che non ne dipende nemmeno il delitto. Delitto e pazzia sono due sventure: trattiamoli entrambi senza rancore, ma difendiamoci da entrambi.

«Coi principii adunque della scuola positiva non regge più l’obbiezione che il pazzo «cosidetto delinquente» appartiene al diritto comune: esso appartiene al diritto difensivo come il vero delinquente.

«Ed è per questa stessa ragione che non tiene, per noi, la seconda ed ultima sostanziale obiezione, che cioè un pazzo, solo perchè ha ucciso, non si può tenere rinchiuso a tempo indeterminato o perpetuo. Quando egli è guarito, anche se prima del tempo che avrebbe scontato in carcere in caso di condanna, ha diritto di uscire.

«Noi rispondiamo negativamente, col diritto che ne dà la psichiatria, attestante la proporzione alta delle ricadute in ogni forma di pazzia, ma specialmente in certe forme più pericolose: col diritto, che ne dà l’esperienza, attestante i nuovi eccessi compiuti non raramente da pazzi, che pure nel manicomio comune non si potevano giustamente tenere (anche per ragioni finanziarie) dal momento che apparivano completamente guariti. Ci sono delle sventure che non perdonano, purtroppo, e dànno soltanto qualche tregua: non potendone liberare del tutto l’individuo, facciamo almeno ch’egli non ne colpisca ancora la famiglia, la società.

«E rispondiamo, giuridicamente, col principio della difesa sociale proporzionata alla temibilità del delinquente, pazzo o no, finchè persiste il pericolo, persista la difesa. Questo, nei casi più gravi di omicidio, incendio, ecc.: quanto ai pazzerelli, piccoli delinquenti, ladruncoli, ingiuriatori, ecc. si possono realmente lasciar liberi, dopo opportuna cura e con manifesti segni di grande miglioramento, esclusi i casi in cui la loro forma possa divenire pericolosa (epilettici)».

Si è detto che questi istituti non son necessari, perchè al ricovero dei pazzi pericolosi[16] provvede il Governo; ma si è dimenticato che esso non provvede alla loro perpetua permanenza, e che spesso è impotente al loro ricovero.—Locatelli scrive: «Ho avuto io stesso, or non è molto, da trepidare assai, per l’improvvisa liberazione di un maniaco, il quale era stato dichiarato tale dai Tribunali per ben tre volte, dopo aver ammazzato due galantuomini e tentato di ammazzarne un terzo. Il peggio si è che questo essere pericolosissimo, benchè pazzo, capisce però assai bene che egli può ammazzare a sua voglia senza il pericolo di essere mandato in galera, e lo va dicendo in pubblico ed in privato, con quanto pericolo dell’autorità [577]pubblica lo giudichi il lettore» (op. c.). E altrettanto accade in Francia come dimostrarono Gallard e Demange.[17]

Noi vidimo (v. s.) come questi istituti fioriscano da quasi un secolo in Inghilterra: ma coloro, cui nulla sa di buono, se non porti il bollo francese o prussiano, potevano obbiettare: che nulla di simile sia mai stato fatto nel Belgio, in Francia od in Germania: ed infatti testè non si peritò di asserire, non essere tali istituti necessari «perchè non ve ne sono, ancora, nel continente». Noi potremmo ben rispondere che, ad ogni modo, il bene, quando sia evidente, si deve adottare anche se non fu accolto dagli altri; e che la non è codesta una questione di marina o di pesca, perchè si abbia a badare, se fiorisca in paesi insulari o continentali. Ma ci giova soggiugnere, che, del resto, costoro sono nell’errore; e questa riforma ha già avuto la desiderata sanzione del continente! In Danimarca il manicomio criminale già esiste e già s’introdusse nella Svezia (Sull’istituzione di manicomî criminali. Virgilio, 1877, Milano).

In Francia vi è, alla Prefettura di Polizia, una Commissione medica permanente (capo il Garnier), incaricata di sceverare, seduta stante, quelli fra gli arrestati per disordini pubblici, che appaiano a primo tratto alienati. A Bicêtre non vi era, anni sono, che un comparto (orrido di sole 40 celle e di un cortiletto), desinato agli alienati delinquenti. E quanti pericoli e quante sventure abbiano costoro cagionato alla Francia, la Comune ha chiaramente provato; fu solo nel 1870 che si incominciò, e nel 1874 si finiva, e nel 1876 si popolava, un vero manicomio criminale, annesso alla Casa centrale di Gaillon, capace di 120 a 200 malati; esso ne ricovera già 75, di cui 37 epilettici, 16 lipemaniaci, 19 dementi, di cui 11 condannati per stupro, 7 per incendî, 9 avean subìto da 4 a 13 condanne, 10 avevano presentati segni di alterazione mentale prima del reato, 6 eran ereditarî. Sui 37 epilettici, 12 erano simulatori ed uno avea subìto senza scomporsi la prova del ferro rovente. Gli altri eran vagabondi o feritori.

Il comparto è diretto colle norme del carcere, meno il lavoro non obbligatorio e le punizioni che non possono esser inflitte senza il permesso de’ medici; non possono esservi ammessi che i condannati a più d’un anno, nè sortirne senza un’autorizzazione del Ministero (Le quartier des condamnés aliénés annexé à la maison centrale de Gaillon, par M. le D.r Hurel. Paris, 1877).

Tutti gli altri popoli civili d’Europa continentale, se non hanno un vero manicomio criminale, hanno leggi e istituzioni che in parte vi suppliscono. A Berlino la perizia medico-legale non è, come da noi, messa in non cale: essa vi fa capo ad un vero tribunale medico, i cui responsi impediscono molte ingiustizie e molte condanne di alienati, e del resto ad Halle, ad Amburgo, a Bruchsal, ogni penitenziario è fornito di una infermeria apposita per gli alienati, con giardini, con celle di sicurezza, con discipline particolari, cosicchè le cure vi si possono iniziare e continuare come nei veri manicomî.

Nel Belgio una apposita legge (18 giugno del 1850) ordina che «gli incriminati a cui si sospese ogni procedura per alienazione mentale, sieno diretti in alcuni manicomî da designarsi dal Pubblico Ministero.

«I manicomî vi debbono avere comparti speciali pei maniaci prigionieri, accusati o condannati, i quali non possono essere confusi cogli altri ammalati, senza un’autorizzazione speciale del ministro della giustizia. Il medico direttore è responsabile delle evasioni degli alienati pericolosi e dei criminali; in caso di fuga, deve fare i passi necessarî per la loro reintegrazione».

Una nuova legge Lejeune (giugno 1891) crea tre alienisti ispettori speciali delle carceri per segnalarvi e curarvi e isolarne gli alienati.

Noi invece abbiamo, è vero, tre stabilimenti speciali, ma senza direzione medica e con pretto aspetto carcerario e d’altronde senza una chiara disposizione di legge in proposito; noi abbiamo alcuni articoli anche del nuovo Codice, che sembrano voler osteggiare le più moderne scoperte; in uno (46) si ammette non esservi reato quando l’individuo che lo ha commesso era in tale stato di infermità di mente da togliergli la coscienza o la libertà dei proprii atti; nell’altro (47) si ordina di scemare di qualche grado la pena, ma di punire [579]quando lo stato di mente sia tale da scemare grandemente la imputabilità senza escluderla! frase che, se non fosse assurda, almeno pei psichiatri, sarebbe, ad ogni modo, pericolosissima nelle applicazioni pratiche, come tutte le astrazioni, che, per la loro elasticità e imprecisione, sfuggono al criterio dei molti, e per unico troppo modesto correttivo, autorizza il giudice, ove stimi pericolosa la liberazione dell’imputato prosciolto ad ordinarne la consegna all’autorità competente per i provvedimenti di legge (art. 46), il che allude in modo così timido ed indiretto al manicomio che infatti tale disposizione non è quasi mai posta in pratica.

Or io credo si debba chiedere, in nome del progresso umano, che si modifichino questi imprecisi articoli 46 e 47 nel senso degli articoli 53 e 54 restati quasi sempre lettera morta, che comminano la custodia in un istituto di educazione e di correzione sino alla maggiore età ai criminali minori di 9 e di 14 anni e di poco discernimento, perchè appunto i pazzi delinquenti sono presso a poco altrettanto responsabili quanto costoro, e si ordini «la custodia fino a completa guarigione, in case apposite di salute, di coloro che commisero reati in istato di pazzia o di altra infermità, che possa anche in leggier grado impedire l’uso della ragione e della volontà, come pure di quei condannati che diventino pazzi durante la loro detenzione, e che non abbiano potuto guarire dopo tre mesi di cura prestata in apposite infermerie nelle case di pena»[18]; per sottrarre questi casi al giudizio [580]di uomini incompetenti o troppo impressionati dalla orribilità dei fatti commessi per non volerne cavare una specie di vendetta legale—proporrei «che insorto il dubbio di alienazione, il giurì debba esser misto di cittadini, giudici e medici alienisti».

Una volta riconosciuti legalmente e opportunamente ristaurati questi manicomî vi dovrebbero essere ricevuti:

1º Tutti i carcerati impazziti, con tendenze pericolose, incendiarie, omicide od oscene, dopo trascorso lo stadio acuto del male.

2º Tutti gli alienati che, per tendenze omicide, incendiarie, pederastiche, ecc., vennero sottoposti a inquisizione giudiziaria, restata sospesa per la riconosciuta alienazione.

3º Tutti quelli imputati di crimini strani, atroci, senza un movente chiaro[19], su cui sia insorto dubbio (confortato da perizie uniformi di almeno 3 medici alienisti), di pazzia o almeno di gravi affezioni cerebrali.

4º Vista la straordinaria importanza in proposito dell’epilessia quanti commisero i reati in istato d’epilessia psichica, o i rei che soffersero convulsioni epilettiche.

5º Quelli che già notoriamente onesti furono spinti al delitto da un’abituale, evidente, infermità, come: pellagra, alcoolismo cronico, isterismo, malattie puerperali, massime quando abbiano parentele con alienati o con epilettici, e presentino una numerosa serie di caratteri degenerativi.


E qui sorge l’idea di creare speciali forme di manicomî criminali, per alcoolisti, epilettici, pellagrosi ecc.

Gli alienati provenienti dalle carceri, che notoriamente passarono una parte della loro esistenza, nei delitti, dovranno essere segregati in appositi comparti od anche in infermerie addette al carcere, ma rette con norme speciali. Gli altri alienati non saranno riuniti che a piccoli gruppi, a seconda dei ceti e delle abitudini; dormiranno ciascuno in una cella; la disciplina dovrà esservi severa, la vigilanza maggiore che nei manicomî comuni, e analoga a quella delle case penali, ma il lavoro proporzionato alle forze, all’aria aperta, alternato da lunghi riposi, da divertimenti.

La direzione dovrebbe esser medica, il personale carcerario.

Gl’individui riconosciuti abitualmente pericolosi, e già sottoposti a varî processi, non potranno essere dimessi mai; gli alienati a follia transitoria, od intermittente, che offrano segni di perfetta guarigione, saranno segnalati per la dimissione dopo uno o due anni di osservazione; ma sottoposti, dopo la loro uscita, a visite mediche mensili per molti anni di seguito come nel Belgio.

Intanto dovunque mancano o difettano questi manicomî criminali, io chiederei almeno che si stabiliscano nelle grandi case di pena dei comparti pei condannati impazziti, in cui la sorveglianza esteriore pur restando eguale, mutasse la disciplina, il metodo del vitto, di convivenza, di lavoro; e che nei manicomî dei grossi centri, regionali almeno, si aprissero dei comparti speciali per le forme intermedie di pazzi criminali, sorvegliati da un apposito personale, in cui la dimissione non possa aver luogo se non con istraordinarie cautele.

Queste ultime proposte, d’assai facile attuazione, sarebbero utili ad ogni modo, anche dopo diffuso il manicomio criminale, onde evitarvi l’affluenza dei ricoverati, e ridurla alla pura necessità, onde impedire l’odiosa e pericolosa mescolanza degli onesti ed innocui coi viziosi: ma da sole non raggiungerebbero però quell’altissimo scopo a cui un giorno è destinato il manicomio criminale, quello di gettare la base d’una riforma, in cui la pena non sia più l’espressione di una vendetta, ma di una difesa.

Rei incorreggibili. Rei-nati.—Vidimo che il sistema carcerario, migliore, non impedisce, le recidive; e che perfino le cifre tanto lusinghiere del sistema graduatorio, in Inghilterra, sono in parte spiegate dall’emigrazione in America, dei delinquenti liberati che vanno ad accrescere di un’enorme cifra la quota dei rei di America.

Che più! Il sistema individualizzato in Danimarca, studiato, non con cifre complessive, ma con minute e sottili distinzioni, che riescono più sicure, ha dato tristi risultanze (v. s.).

E noi vidimo, d’altronde, come le carceri collettive sieno spesso cause di recidive replicate ed associate (Vol. I).

E cosa sperare da individui, come ce li dipingono Breton ed Aspirall (v. s.), che rientrano 50 o 60 volte in un anno nel carcere—che evidentemente vi si trovano meglio che fuori, per cui questo non è una punizione ma un premio e certo uno stimolo alla corruzione?

A questa serie di eterni recidivi, che ricompaiono sotto tutti i regimi penali, convien provvedere.

Quando nessun metodo più giova, quando il reo si ribella alle sue cure e recidiva le 10, le 20 volte, la società non dovrebbe più attendere che e’ si perfezionasse, ancora, a sue spese, con una nuova sosta nel carcere, ma sequestrarlo fin che abbia sicurezza della sua emenda, o meglio della sua impotenza a nuocere.

Io credo che si dovrebbero fondare appositi stabilimenti carcerari, in cui un giurì composto di direttori e medici carcerari, di giudici e di cittadini facesse ricoverare tutti coloro, i quali abbiano, fin da impuberi, mostrato tendenza al delitto, vi abbiano recidivato più volte, specialmente se senza famiglia o con famiglia immorale, e se presentino tutti quei caratteri psichici e fisici, che abbiamo veduto essere propri del delinquente abituale (Vedi Vol. I).

Più che del loro ben essere dovremo preoccuparci della loro utilizzazione, onde non gravino troppo sugli onesti—e del pericolo di evasioni; perciò dovrebbero tenersi possibilmente in isole o valli remote, ove attendere, se rurali, ai lavori di campagna che abbiamo veduti tanto fruttuosi alla loro salute ed allo Stato, se cittadini ad opifici, meglio, anche, se come s’usa in Svezia si raccogliessero in squadre disciplinate militarmente e destinate ai lavori stradali, o di risanamenti palustri. Essi potranno occuparsi a lor genio in alcune ore del giorno, ma non saranno dimessi, mai, se non dopo prove straordinarie di ravvedimento.

Il sistema cellulare, non verrebbe ripristinato fra essi, se non nei casi di nuove recidive. Con ciò rimarrebbe più facilmente disponibile un numero sufficiente di celle per i giudizi e le piccole condanne; che è l’unica condizione per attuare il sistema cellulare, finora quasi ipotetico; così renderemmo più sicura la società, col diradarvi i reati isolati e più gli associati, che spesseggiano fra i dimessi dal carcere collettivo; si purgherebbero le stesse prigioni da quei nuclei fatali, che glorificando il vizio rendonvi impossibile ogni tentativo di emenda; e si riescirebbe infine a togliere quella quota, non lieve, di crimini che si deve all’eredità, all’esempio ed incitamento dei parenti; si tornerebbe ad applicare alla società quel processo di selezione naturale, cui si deve non solo l’esistenza della razza nostra, ma anche, probabilmente, della stessa giustizia, che prevalse mano mano coll’eliminazione dei più violenti (v. s.); e la spesa, per grave che fosse, del loro mantenimento (chè molti si rifiuteranno al lavoro) sarà minore d’assai di quella che incontrerebbe la società pei nuovi delitti, e pei nuovi processi, i quali, sovente, costano somme favolose. Thompson fa il calcolo che per 458 recidivi scozzesi si consumarono 132.000 lire sterline di cui 86.000 per sole spese di giudizio.—È un appannaggio da principe!

Se anche non si volessero credere affetti d’infermità, sono dannosi per sè, dannosi pei posteri a cui possono dare la vita; il loro sequestro non è più ingiusto di quello di altri men pericolosi alienati e certo più utile, specie se adibendoli ai campi risparmiano, in parte, le spese pel loro mantenimento.

Così la società che ha patito pel loro reato, patito e speso per la loro condanna non dovrà anche patire per la loro liberazione, e tutto in ossequio ad un principio teorico, a cui quasi nessuno ormai presta fede, secondo cui la carcere sarebbe come una specie di lavacro che monderebbe ogni colpa.

Nè questa mia proposta è, punto, anch’essa, nuova: già fino dal 1864 la Camera dei Lordi (quando si tratta di applicazioni pratiche troveremo sempre l’Inghilterra alla testa) aveva proposto che i giudici dovessero condannare a servitù penale i rei dopo la seconda recidiva.—E fra noi, non è molto, egregi statisti e magistrati, il Doria, Barini, il Manfredi, p. es., proposero l’erezione di carcere per gli incorreggibili (V. Rivista di Discipl. Carc., 1875-76). E. Labatiste (Essai sur les institutions pénales des Romains, 1875) propone la deportazione perpetua dopo espiata la pena contro ogni individuo contro il quale il totale delle condanne ecceda i 5 anni e sia recidivo per la decima volta. E altrettanto fanno il Bonneville (De l’insuffisance actuelle de l’intimidation, 275) ed il Tissot (Introd. phil. à l’étude du Droit pénal, 1874, pag. 433), che paragona la reclusione perpetua degl’incorreggibili ad un congegno di ripiego per un meccanismo concepito, ma non atto a vincere date resistenze. Essa corrisponde negli effetti utili senza la tristezza dei mezzi, alle disposizioni antiche, crudeli, ma logiche, del Diritto longobardo, delle Landes-ordnungen del 1600, che colpivano di morte, come incurabile, il più volte recidivo, e i fures famosi qui quatrim vel ultra confessi sunt (Farinacius, De delictis, I, tit. III. Baumhauer, Crimes et délits, La Haye, 1870).

Questo istituto per gli incorreggibili e pei rei-nati è già in azione nella Colonia agricola di Mexplas, nel Belgio, che ricovera 4500 ex criminali, i quali stessi si sono fabbricate o si fabbricano le proprie case salvo l’aiuto di 30 o 40 capi mastri (Joly, o. c.}.

Tutto vi si costruisce a poco a poco a seconda dei bisogni e delle risorse: così che questo grande stabilimento che sarebbe costato moltissimo non costa quasi nulla al paese: il bestiame cresce sul posto perchè le fattorie hanno i loro stalloni. Gli operai fanno solo quei [585]lavori di cui possono trovar l’occasione di spaccio o di cui possedono gli strumenti.

La popolazione vi è divisa in quattro categorie:

1ª gli indisciplinati e i pericolosi, il cui contatto poteva esser nocivo agli altri;

2ª i recidivi, i sorvegliati dalla polizia, gli evasi, o quelli che avevano mostrato cattiva condotta negli stabilimenti;

3ª i malfamati ma che non avevano subito punizioni nella casa;

4ª i buoni, o meglio i men tristi, cioè quelli che non erano stati internati nella colonia più di 3 volte.

Così risparmiano la vergogna della prigione e della sorveglianza di polizia.

Sonvi mandati dai giudici, ma non pochi vi vanno come in una casa di lavoro, tanto che vi accorrono qualche volta degli operai disoccupati.

I comuni vi mettono alle volte i loro poveri pagando 0,45 per i validi e 0,85 per gli invalidi.

E se rifiutano di lavorare hanno 3 giorni di carcere a pane ed acqua. Pei lavori sono pagati con una moneta fittizia che non ha corso se non nello stabilimento, e che si cambia alla loro uscita onde non possano spender troppo nei vicini villaggi ed acquistare alcoolici.—E così con minima spesa essi hanno dissodati moltissimi terreni.

Pena di morte.—Ma quando, malgrado il carcere, la deportazione, il lavoro coatto, costoro ripetano delitti sanguinari e minaccino per la 3ª, la 4ª volta la vita di un onesto—non resta che la estrema selezione, dolorosa ma certa, della morte. La pena di morte è scritta, pur troppo, nel libro della natura ed anche in quello della storia, e come pena è di una giustizia relativa al pari di tutte le altre. E la morte di pochi colpevoli è un nulla a petto a quelle più dolorose ecatombi di giovani onesti e vigorosi che si chiamano battaglie. Come l’espressione più sicura della difesa sociale, essa dovrebbe, certamente ammettersi fra popoli barbari, a cui la carcere [586]non faccia sufficiente impressione.[20] Ma io convengo che fra i popoli civili il delicato sentimento che la vuol abolita è troppo rispettabile per potersi combattere; tanto più che il prestigio singolare destato da una morte, inflitta a sangue freddo dai giudici, e subìta, meno rari casi, con coraggio o con spavalderia, moltiplica spesso i reati per imitazione e crea alla triste vittima, presso i volghi, una specie di culto.

Pure ad una cosa non pensano gli avversari di quella pena; non pensano con che difesa resterebbero davanti a un assassino, recidivo, che ammazzi i guardiani o li minacci di nuove imprese e che sia già stato condannato alla cella? Oh! sarete più umani se lo legherete mani e piedi per tutta la vita, e vi parrà d’esser giusti? E cosa farete nel caso di un nuovo infuriare del brigantaggio: e nel caso in cui la camorra e la maffia e gli accoltellatori di Livorno rinnovino, sempre più, ed estendano le feroci lor gesta?

Nè si dica col mio carissimo Ferri che, per esser pratica la pena di morte dovrebbe essere una vera beccheria, che naturalmente ripugna allo spirito moderno; mantenerla non vuol dire volerla moltiplicare: a noi basta che essa resti sospesa come spada di Damocle sul capo dei più terribili malfattori, quando condannati a vita, abbiano attentato più volte alla vita degli onesti, e peggio se spentala: con che si toglie anche quell’ultima obbiezione tanto palleggiata, e in fondo giustissima, della irreparabilità di questa pena. Noi la vorremmo pure mantenuta, anche, quando, sotto forma di camorra, maffia, brigantaggio, la criminalità associata minacci la sicurezza e l’onore del nostro paese. Con che mi pare che si pareggino, nel civile, assolutamente le condizioni a quelle stesse per cui si mantiene tale pena in tempo di guerra.

Oh! che non ci sentiamo commossi quando col diritto di leva condanniamo anticipatamente a morire precocemente migliaia di onesti sui campi di battaglia, spesso per un capriccio dinastico o per preteso amor proprio nazionale; e dobbiamo davvero sentirci sdilinquere quando si tratta di sopprimere poche individualità disoneste, cento volte più pericolose e fatali di un nemico straniero, in cui una palla ignota può colpire un Darwin, un Gladstone?

A stretto diritto, certamente che noi, che più non ci crediamo vicarii di Dio in terra, non ne abbiamo alcuno assoluto contro l’esistenza di nostri simili; ma se il diritto non ci viene dalla necessità, della difesa, non ne abbiamo allora nemmeno contro il loro sequestro, nemmeno per bandire una contravvenzione. Dire che quella pena vada contro alle leggi della natura è fingere di ignorare che essa è scritta a caratteri troppo chiari nel suo libro, sapendosi anzi che nella lotta per l’esistenza, seguita da immani ecatombe, basasi tutto il progresso del mondo organico e quindi del nostro.

La rivelazione che vi sono esseri, come i delinquenti-nati, organizzati pel male, riproduzioni atavistiche non solo degli uomini più selvaggi, ma perfino degli animali più feroci, dei carnivori e dei rosicchianti, lungi, come si pretende, dal doverci rendere più compassionevoli verso loro, ci corazza contro ogni pietà; poichè essi non appaion più nostri simili, ma come bestie feroci; e la zoofilia non è giunta, salvo pei fachiri indiani, a lasciarci divorare dalle fiere ed a sacrificare noi stessi a lor beneficio.

E qui non posso non ricordare le robuste linee che Taine poco tempo prima di morire mi dirigeva: «Quando nella vita, nell’organizzazione intellettuale, morale, affettiva, del delinquente, l’impulso criminale è isolato, accidentale e passeggiero, si può, anzi, si deve perdonare; ma più questo impulso è legato alla trama intera delle idee e dei sentimenti, più l’uomo è colpevole e più dev’essere punito.

«Voi ci avete mostrato degli ourang-outang lubrici, feroci, a faccia umana; certo, come tali, non possono agire altrimenti di quello che fanno; se violano, se rubano, se uccidono, è in virtù della natura loro, del loro passato. Ragione di più per distruggerli appena si sia constatato che sono e resteranno sempre ourang-outang. A riguardo loro non ho obbiezione alcuna contro la pena di morte, se la società vi trovi profitto» (Vedi mio Archivio di Psichiatria, vol. VIII, 5).

Sinossi penale.—Ma per riassumere più sistematicamente questa distribuzione delle pene togliamo dalla Criminologia del Garofalo questo, com’egli lo chiama «sistema razionale di penalità» (2ª ed., 1891, p. 457 e segg.) modificandolo.

I. Rei sforniti del sentimento di pietà.

Assassini (insensibilità morale e crudeltà istintiva) rei di

  • Omicidio per lucro o altro piacere egoistico.
  • Omicidio senza provocazione della vittima.
  • Omicidio con esecuzione feroce.

Carcere; colonia; Manicomio criminale e Pena di morte (recidivi).

II. Violenti od Impulsivi. Criminaloidi. Rei per difetto di pietà, di pudore e di inibizione e per pregiudizii sull’onore.

Adulti, rei di

Sevizie, ferite per sfregio, mutilazioni, ratto o stupro con violenza, sequestro di persona a scopo di libidine.

Manicomio criminale per epilettici (se isterici o epilettici) o Relegazione indeterminata (che duri all’incirca quanto una delle età della vita, con prec. periodo di osservazione).

Giovanetti, rei di

  • Delitti di sangue non scusabili.
  • Attentati al pudore.

Manicomio criminale (per quelli a tendenza congenita), Colonia penale e nel caso di recidiva Deportazione.

Adulti, rei di

  • Omicidio improvvisamente provocato da atroce ingiuria.
  • Omicidio per legittima difesa.

Allontanamento dal luogo ove vive la famiglia dell’ucciso. ()Esilio locale).

Adulti, rei di

  • Omicidio per vendetta di onore (isolato o endemico).
  • Passionati.

Relegazione in un’isola, colonia, o villaggio remoto in libertà, ma sotto sorveglianza. (A tempo indeterminato con periodo di osservazione da 5 a 10 anni).

Adulti, rei di

Ferimenti in rissa, maltrattamenti non gravi nè continuati, percosse, minaccie, diffamazioni, ingiurie verbali.

Riparazione del danno e multa, riprensione e cauzione. Rigorosa pei solvibili.—Sostituibile con parte del salario o lavoro obbligatorio—e col carcere in caso di rifiuto.

Adulti, rei di

Ribellioni, rivolte o disobbedienze all’autorità.

Riprensione e cauzione. Carcere (a tempo determin.).

III. Delinquenti sforniti del senso di probità.

Adulti, rei abituali di

Furti, truffe, incendi, falsi, estorsioni.

  • Manicomio criminale (se pazzi o epilettici).
  • Deportazione nei non pazzi.

Adulti, rei occasionali di

Furto, truffa, falso, estorsione, incendio.

Compagnie di lavoro—a tempo indeterminato—sino ad attitudine acquistata al lavoro regolare. Interdizione dall’esercizio della professione fino a completa Riparazione del danno.

Adulti, rei di

Peculato, concussione, vendita di favori, abuso di potere.

  • Perdita del’ufficio.
  • Interdizione dai pubblici uffizi.
  • Multa.
  • Riparazione del danno.

Adulti, rei di

Incendio, devastamento, danneggiamento per vendetta (senza attentato alla persone).

  • Riparazione del danno sostuibile col carcere.
  • Manicomio criminale (per i pazzi).
  • Deportazione (per i recidivi).

Adulti, rei di

Bancarotta, insolvenza colpevole.

  • Riparazione del danno.
  • Esclusione dal commercio e pubblici uffizi.

Adulti, rei di

Falso in monete e cartelle di credito, falsi certificati, false dichiarazioni, usurpazione di titoli, falsa testimonianza a pro dell’imputato, ecc.

Carcere (a tempo determinato) e Multa (oltre la esclusione dall’ufficio e la riparazione del danno).

Adulti, rei di

Bigamia, sostituzione e soppressione d’infante.

Relegazione a tempo indeterminato.

Giovanetti, rei di

Furti, truffe, borseggi, ecc.

  • Riprensione e sorveglianza.
  • Colonia agricola (a tempo indeterminato).

V. Rei sforniti di attività.

Mendicità. Vagabondaggio.

Colonia agricola pei rurali. Opifici pei cittadini.

VI. Rei sforniti di misoneismo.

Ribelli politici, sociali e religiosi.

Esilio temporaneo, revocabile ogni tre anni.

Vale a dire che il sistema di repressione proposto dal Garofalo e da me si riassume in questo:

Eliminazione assoluta del delinquente.

Pena di morte.

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Eliminazione relativa.

  • Manicomio criminale.
  • Deportazione con abbandono.
  • Relegazione perpetua.
  • Relegazione a tempo indeterminato.
  • Colonie agricole ed esilio locale.

Riparazione del danno.

  • Multa allo Stato.
  • Indennità al danneggiato.
  • Pagamento di una somma.
  • Rilascio di parte del salario.
  • Lavoro coatto senza carcerazione.

Carcere (a tempo determinato).

In reati eccezionali (falsi e ribellioni) e in sostituzione della riparazione del danno e del lavoro obbligatorio.

Alcune di queste misure potranno parere contrarie a certe massime di ideologia penale, più sublimi che pratiche, che innanzi alla miope intolleranza passano per intangibili assiomi, potranno reputarsi di difficile attuazione da chi si spaventa alle spese prime e non pensi al largo margine che offrirebbesi in futuro, specialmente se si falcidiassero, almeno pei recidivi, i molti, costosi, e sì poco utili procedimenti giuridici, provocati da soli errori di forma[21]; ma non si potranno, ad ogni modo, tacciare di compromettere quella sicurezza sociale, cui dovrebbero convergere tutti i sistemi, nè di trovarsi, come molte altre, in opposizione colle premesse, di cui sono una naturale, diretta, conseguenza.

L’orbita del delitto è, troppo profondamente, scolpita nel libro del nostro destino, perchè noi possiamo lusingarci di sopprimerne il corso: ma se non fallano altre leggi inconcusse, come quelle della selezione delle specie, ci è dato sperare, con tali provvedimenti, di poterne moderare gli effetti ed impedirne un’ulteriore diffusione.


  1. Lombroso e Ferrero, La donna delinquente e la prostituta, 1891.
  2. Lombroso, V.e Congrès Pénitentiaire. Rapport sur le 2e quésite, 1895.—Moraglia, nell'Arch. di Psich., 1894-95.
  3. Raffaello Balestrini, Aborto, infanticidio ed esposizione d'infante. Studio giuridico-sociologico («Biblioteca antropologico-giuridica». Serie 2ª, vol. III). Torino, Bocca, 1888.
  4. Balestrini, op. cit
  5. Balestrini, op. cit.
  6. Vedi vol. II, pag. 204-265.
  7. Lombroso e Laschi, Delitto politico, Bocca, 1890.
  8. Vedi L'Anarchia di C. Lombroso, 2ª ediz., 1895.
  9. Fani, Della deportazione. Perugia, 1896.
  10. Delitto politico ecc., Parte IV.
  11. Op. cit, pag. 397.
  12. Florian, La teoria fisiologica della diffamazione, Torino, Bocca, 1893.
  13. Berenini, Appunti al nuovo codice penale, 1892.
  14. Altrettanto, partendo dalla pratica o dal buon senso, concludeva ora a Milano il Proc. del Re, Mazza, constatando l'enorme quantità di separazioni avveratesi in Milano.
  15. Sighele, La teoria positiva della complicità. Torino, Bocca, 1694.
  16. Tornata parlamentare 17 aprile 1877, Risposta Mancini al deputato Righi. Recentemente Cristiani (L'esito più frequente della psicosi nei pazzi criminali, 1896. Arch. di Psichiatria) dimostrò come l'inguaribilità, la demenza (82%), e la morte (17%) ne siano l'esito più frequente, e più rare le guarigioni (5 a 8%) come in quasi tutti si ha prevalenza delle tendenze antisociali (87%). Nicholson imitando, senza citarlo, Garofalo, trova che i rei delinquono nel 75% per avidità, 15% per odio, 10% per libidine, mentre nei rei pazzi la proporzione è rispettivamente di 10, 83 e 7% («Journal of Mental Science», 1895, Oct.), quindi più pericolosi e feroci.
  17. Ann. d'hyg., 1877. Rivista penale, aprile, 1878.
  18. Ecco come proposi di riformare l'art. 46 succitato sopprimendo l'art. 47: Se la causa che gli tolse (in tutto od in parte) la coscienza del delinquere, o in ogni modo ve lo spinse, derivasse da vizio o malattia avente i caratteri di permanenza (monomania, epilessia, lipemania, pellagra, alcoolismo, meningite, o pazzia morale, ecc.), l'imputato dovrà esser ritenuto e curato in apposita casa di custodia fino a constatata guarigione. Con ciò ovviai d'introdurre in apparenza un ente od istituto nuovo nel meccanismo penale, riescendo però a rendere specificata l'antica custodia e ad applicarla, anche, a quelle malattie che senza appartenere alle alienazioni mentali riescono ai medesimi effetti, come già saggiamente consigliava il Mancini. Credo poi utile la soppressione dell'articolo 47, perchè reputo assai problematica l'imputabilità di coloro che vi sono contemplati, ed i suoi gradi non misurabili con precisione neppure da psichiatri; e perchè anche per gl'individui suddetti vale la presunzione che quando sieno posti in libertà riescano di pericolo al pari e peggio di prima; e perchè parrebbe giusto che la società dovesse attendere alla cura di essi nell'istesso modo che attende all'emendamento dei colpevoli.—Si accostano a codesta mia opinione i prof. Bini, Tamburini, Tamassia, Berti, Raggi.
  19. A tutta prima questa proposta pare assurda e di questa apparente assurdità si giovò il Mancini per confutare i partigiani dei manicomî criminali; ma egli non notava che è appunto pei casi dubbi, pei casi intermedi fra la follia e la ragione, fra cui i più frequenti sono i delitti senta causa, che giovano i manicomî criminali a raggiungere quello che più si ha in mira, la sicurezza sociale. Ricordiamo che un delitto senza causa è già per sè un indizio di pazzia. Beccaria dice che l'uomo sano non è capace di sentimenti inutilmente crudeli, non mossi da odio, da timore o da interesse.—Nel catalogo ms. dei giustiziati di Venezia trovo «un Matteo Bergamasco che fu ucciso nel prenderlo e poi appiccato per aver ammazzato due guardie ch'eran con lui e senza causa; et dicesi avesse impazzito, 1664». Ora chi sente orrore a questi giudizi, ma ancor più ai fatti atroci che li provocarono, non ha altre via che di porne gli autori al sicuro in un manicomio.
  20. Vedi Appendice.
  21. In Francia, dove, come ben osservò De-Foresta, il condannato non può ricorrere in Cassazione per semplici errori di forma, e dove ogni nuovo dibattimento o giudizio può portare condanna superiore alla prima, i ricorsi sono assai più rari e fondati su gravi motivi. Sui risparmi ottenuti da una simile misura non ci sarebbe di che mantenere tre manicomî criminali ed un grande stabilimento d'incorreggibili?