Capitolo IX

Influenza economica—Ricchezza.

L’influenza della ricchezza è certo più controversa di quella della istruzione. Nè l’esame più spassionato dei fatti, riesce a darne una soluzione completa. E bisogna dire che sono i termini anche che spesso sfuggono al ricercatore. Lo stesso Bodio nella sua classica opera: Di alcuni indici numeratori del movimento economico in Italia, 1890, dimostra che la domanda—quale sia la ricchezza d’Italia—è una domanda la cui risposta è impossibile. Fare il computo di tutte le fonti di ricchezza agraria e mineraria è impossibile perchè non abbiamo statistiche chiare delle industrie estrattive; far la statistica di tutte le proprietà individuali è impossibile per la mancanza di un catasto simultaneo di tutte le ricchezze mobili e immobili; e bisogna ricorrere alle denuncie private sulle donazioni e testamenti. Il medio salario bisogna basarlo per via di ipotesi, sopra il minimo necessario alla vita, che è pure esso un dato congetturale. Basarsi per la ricchezza sulle tasse, soltanto, pare affatto erroneo, quando sappiamo come gli errori catastali soli bastano per scombuiare ogni calcolo, senza contare che molti affaristi e banchieri e molti professionisti vi sfuggono più o meno completamente. Ed ecco infatti come i risultati da questo lato comunque si prendano mostrano difficile il cogliere un rapporto esatto tra la ricchezza e i delitti più importanti.

1. Tasse e imposte riunite.—Confrontando la ricchezza in Italia, calcolata dalle cifre rappresentanti la somma delle quote individuali per abitante delle tasse di consumo (dazi interni di consumo, tabacchi, sali), delle imposte dirette (sui fondi rustici, sui fabbricati e di ricchezza mobile sopra ruoli) e delle tasse degli affari[1]—colle cifre dei reati principali[2] abbiamo:

Ricchezza massima, 1885-86
(Quota pagata da ogni abitante: da L. 33 a L. 74):
Reati contro
Ricchezza Provincia il Buon costume la Fede pubbl. Furti Omicidi
L. 74,9 Livorno 26,4 76 224 21,3
L. 71,3 Roma 22,1 65 329 27,8
L. 54,5 Milano 11,7 47 157 3,4
L. 45,6 Firenze 12,6 48 120 9,9
L. 42,5 Genova 17,2 59 147 7,8
L. 41,4 Venezia 14,3 138 246 6,5
L. 38,4 Torino 17,9 103 121 9,1
L. 33,3 Bologna 11,3 104 216 7,6
L. 33,0 Cremona 6,8 59 134 2,3
L. 31,7 Ferrara 7,2 33 367 6,1
L. 31,4 Mantova 15,6 88 254 7,8
15,6 70,6 206 11,3
Ricchezza media (da L. 20 a L. 26):
L. 26,9 Porto Maurizio 10,1 94 135 6,2
L. 25,4 Novara 8,1 34 100 6,3
L. 25,1 Grosseto 22,4 50 105 15,4
L. 24,6 Caserta 17,0 44 189 31,2
L. 24,4 Cuneo 6,9 52 87 8,8
L. 24,1 Ancona 11,7 128 100 19,0
L. 23,5 Palermo 21,8 35 150 42,5
L. 23,3 Lecce 16,7 52 126 10,3
L. 23,0 Bergamo 9,5 38 115 4,0
L. 22,5 Forlì 7,4 172 174 21,5
L. 20,4 Cagliari 17,2 68 296 21,8
L. 20,3 Perugia 12,7 32 140 15,9
13,4 66 143 17,0
Ricchezza minima (da L. 10 a L. 18):
Reati contro
Ricchezza Provincia il Buon costume la Fede pubbl. Furti Omicidi
L. 10,5 Belluno 6,3 25 108 5,1
L. 13,6 Sondrio 13,0 31 120 5,4
L. 14,0 Teramo 14,7 37 108 20,4
L. 14,7 Cosenza 34,8 30 125 38,2
L. 15,0 Campobasso 22,2 42 190 41,2
L. 15,4 Aquila 18,5 44 118 31,1
L. 15,8 Chieti 31,1 76 119 25,7
L. 16,3 Reggio Calab. 30,5 26 214 30,5
L. 16,4 Messina 17,9 29 148 19,2
L. 16,5 Ascoli 13,3 40 82 11,9
L. 16,6 Avellino 23,3 42 179 45,4
L. 18,3 Macerata 9,8 102 273 13,0
19,6 43 148 23,0

Che riassunte in gruppi ed aggiungendovi le cifre del periodo 1890-93 forniteci dal Bodio, nelle quali, oltre ai furti denunciati al P. M., si tien calcolo anche di quelli di competenza dei pretori, dànno:

Ricchezza 1890-93 (Bodio)
massima media minima massima media minima
Reati c. la fede pubblica 70,6 66,0 43,0 55,13 39,45 37,39
Reati c. il buon costume 15,6 13,4 19,6 16,15 15,28 21,49
Furti 206,0 143,0 148,0 361,28 329,51 419,05
Omicidi 11,3 17,0 23,0 8,34 13,39 15,40
Truffe, frodi, bancherotte 81,39 53,27 46,53

Da cui si vede che: le truffe e in genere i reati contro la fede pubblica vanno decisamente aumentando coll’aumentare della ricchezza; che i furti sono massimi dove questa è massima; ma se vi si aggiungano anche quelli di competenza dei pretori, di poca entità e per lo più campestri, se ne ha il massimo dove la ricchezza è minima, come del resto si ha sempre per gli omicidi.

Questa differenza dimostra ancor meglio la influenza assolutamente occasionale della pura miseria sui minimi reati per lo più boschivi: l’abbiamo veduto anche nel capitolo dell’Alimentazione, nel fatto che mentre i furti in genere crescono in Germania negli anni in cui il frumento costa meno—e calano quando questo cresce di prezzo—invece i furti boschivi hanno un comportamento affatto inverso. Ma questi furti, che ricordano ancora l’antica usanza della comunione delle terre e dei pascoli, si legano a vecchie tradizioni e non rappresentano che in piccolissima parte l’immoralità d’un paese.

Il comm. Bodio ci fa notare la necessità anche per ragioni psicologiche di studiare a parte le truffe (frodi e bancherotte) e i falsi in monete ed in atti: ma noi, coi dati che egli ci somministra, troviamo che, tanto nelle medie quanto nell’ordine sociale, questi reati si comportano come i reati contro la fede pubblica da noi studiati sugli anni 1878-83, andando cioè paralleli colla ricchezza.

Quanto ai reati contro il buon costume i risultati sono più inattesi; essi presenterebbero, cioè, il loro minimo dove la ricchezza è media, e il loro massimo dove la ricchezza è minima. Ciò è in evidente contraddizione con quanto si conosce sull’andamento solito dei reati contro il buon costume che sempre crescono col crescere della ricchezza.

Tuttavia queste conclusioni subiscono numerose eccezioni, anche le quali si mantengono pressochè tutte nel periodo 1890-93.

Così vediamo tre provincie che hanno una ricchezza minima e press’a poco eguale, Sondrio, Reggio Calabria ed Aquila, offrire una metà di furti e quasi il terzo di falsi di Macerata (102), senza che della differenza si possa trovare alcuna spiegazione.

Quanto qui il fattore di razza e di clima abbia su quell’economico il sopravvento appare dalle cifre maggiori dei reati contro il buon costume date da provincie meridionali ed insulari, Potenza (32), Cosenza (34), Chieti (31), Reggio Calabria (30), Campobasso (22) e Avellino (23), mentre Belluno, Sondrio e Udine, con ricchezza pari, ma nordiche e di razza celtica o slava, non ne hanno che 6, 13,2 e 7,93; e dalle variazioni quasi del quadruplo: Macerata con 9 in confronto a Cosenza e Reggio Calabria che pure hanno ricchezza quasi uguale.

Lo stesso rapporto si trova per gli omicidi, il cui numero è veramente maggiore nelle provincie che hanno minore ricchezza; se non che anche per essi emergono le grandi cifre di Girgenti (70), di Campobasso (41), di Cosenza (38) e di Avellino (45), meridionali, sopra quelle minime delle nordiche Sondrio (5,48), Belluno (5,17), ed Udine (7,17), di cui la ricchezza è pressochè uguale alle prime, ma diverse sono la posizione geografica, l’etnologia ecc.

E così si spiega anche perchè i massimi ed i minimi delle ricchezza non corrispondano sempre nelle singole provincie alle risultanze che emergono dalle medie.

Così Venezia e Torino, che non son tra le prime delle provincie ricche, hanno invece il massimo di reati contro la fede pubblica: certo un simile fatto avviene in Bologna, come abbiamo già accennato, per la speciale tendenza etnica (bolognare).

Livorno, Roma e Napoli, pur essendo le più ricche, dànno cifre massime di omicidi e di reati contro il buon costume, mentre questi, in Italia, scemano colla maggiore ricchezza: ma qui esercitano la loro influenza l’alcool per Roma e la condizione sua di capitale, per Napoli il clima e l’agglomero e per Livorno la razza (v. s.); e infatti, come controprova, vediamo due dei paesi più poveri, ma nordici, Belluno e Sondrio, dare il minimo di omicidii e stupri, mentre Campobasso, Reggio, Palermo, Cosenza, con ricchezza press’a poco uguale, ma semitiche, meridionali od insulari, dànno le cifre massime. Cosicchè le eccezioni sono così grandi da inforsare le conclusioni sintetiche certo anche perchè nemmeno la somma delle tasse e delle imposte rispecchia il decorso della ricchezza.

2. Lotto. Imposte dirette ecc.—Ma assai peggio vi si riuscirebbe studiando le singole tasse e i singoli proventi in rapporto alla criminalità.

Non conto nemmeno i proventi del lotto perchè non solo non crescono nel senso della ricchezza, ma segnalano, anzi, l’incremento della miseria e dell’imprevidenza. Ora sommare quelli coi contributi delle industrie era come sommare insieme i gradi di calore di un liquido al di sotto di 0° e d’un altro al di sopra dell’ebollizione; verrebbero fuori delle medie che non hanno nessun rapporto col vero, anzi che gli sono contrarie.

Prendendo dunque a considerare, nel 1885-86, la media della tassa di ricchezza mobile secondo il reddito privato di ogni abitante, troviamo fra le provincie che pagano di più (da L. 52 a 18), dopo Livorno, che è il primo come lo è nei delitti, tutte le provincie e delle città principali e insieme Porto Maurizio, Novara, Alessandria, Pavia, Piacenza, Cremona, che non sono le più criminose, e fra quelle che pagano meno da L. 5 a L. 9, oltre Macerata, Belluno, Arezzo, Perugia poco criminose—Cagliari, Sassari, Avellino, Chieti, Salerno, Campobasso, Messina, che lo sono moltissimo, certo perchè meridionali.

Altrettanto dicasi per le altre imposte dirette in cui ancora eccellono le provincie delle città principali e poi Livorno, e ultime sono Sondrio e a poca distanza Campobasso.

Nelle imposte sui fondi rustici emergono Cremona, così scevra di delitti gravi, e Mantova che ne è carica: ultime sono Sondrio pure scevra, e Livorno che ne è insozzata. È però da tener presente la enorme sperequazione che più ancora che nel resto esiste per tale tributo tra una provincia e l’altra.

3. Tasse di consumo.—Tenendo nota delle tasse di consumo (tasse di fabbricazione, dazi interni, tabacchi e sale), 1885-6, troviamo ancora Livorno in prima linea, e poi subito le città principali ed insieme, da 48 a 12 per abitante, Cremona, Grosseto, Pisa poco spiccate nel reato, e fra le minime, da 5 a 7, Belluno, Sondrio, Arezzo insieme con Reggio Calabria, Sassari, Cosenza, Trapani.

4. Tasse di successione.—De Foville ha creduto possa farsi un calcolo della ricchezza privata d’un popolo in base alle denuncie della trasmissione delle proprietà[3]. Ma se noi studiamo le statistiche molto apprezzate, ma che non sono se non regionali, usufruite per l’Italia dal Pantaleoni[4], difficilmente potremo farci un’idea chiara dei rapporti positivi o negativi dei reati colla ricchezza.

Infatti studiando questa sua tabella (v. pag. seg.) si conclude che le regioni più ricche, Piemonte-Liguria, Lombardia e Toscana hanno una quota di crimini, contro la proprietà, minore della media del Regno: e così le regioni che per ricchezza stanno presso la media del Regno, il Veneto e l’Emilia. Le regioni più povere, la Sardegna, la Sicilia e il Napoletano hanno una cifra elevata di criminalità; però una lievissima ne hanno le Marche-Umbria, che son povere; e poi i furti avvengono nelle proporzioni più piccole in Toscana, Lombardia, Emilia, Piemonte-Liguria, regioni più ricche e in una delle povere (Marche); ed avvengono in proporzioni medie nella Sicilia, un po’ più elevate nel Veneto, in relazione alla miseria intensissima degli agricoltori in quella regione, poi nel Napoletano. La regione più ricca (Lazio) e la più povera (Sardegna) presentano il massimo numero di furti, cosicchè non vi è nessun preciso parallelo. Per il Lazio, avverte giustamente Bodio, bisogna tener conto dell’influenza perturbatrice che vi esercita, così per la ricchezza, come per la delinquenza, l’esistenza della capitale. Le tasse di successione sono in questo caso un indice fallace della ricchezza, essendo qui concentrati dei capitali che appartengono ad altre regioni. Inoltre a Roma, per le condizioni speciali della proprietà rurale e del sistema di cultura in uso, vi è un numero ristretto di persone che hanno grandissime proprietà, e ciò ha molta importanza per le tasse di successione.

Per ciò che riguarda la delinquenza occorre aver presente l’influenza che per il compartimento del Lazio esercita la grande agglomerazione urbana della capitale.

Il minimo numero di truffe avviene nelle Marche-Umbria; vengono poi la Toscana, l’Emilia, il Veneto, il Piemonte-Liguria e la Lombardia, regioni ricche. Il Napoletano dà meno truffe di quello che dovrebbe dare in relazione alla sua ricchezza.

Reati denunciati al P. M. e ai Pretori
(media 1887-89 sopra 100.000 ab.)
Ricchezza media Furti Truffe Grassazioni Omicidi Ferite
Lazio 3.333 639 (IX) 116 (X) 18 (X) 25 (IX) 519 (IX)
Piemonte
Liguria
2.746 267 (V) 44 (V) 7 (VII) 7 (IV) 164 (IV)
Lombardia 2.400 227 (III) 44 (VI) 3 (III) 3 (I) 124 (II)
Toscana 2.164 211 (I) 34 (II) 6 (IV) 7 (V) 165 (V)
Veneto 1.935 389 (VII) 43 (IV) 3 (I) 4 (II) 98 (I)
Regno 1.870 320 (Vbis) 49 (VIIbis) 13 (VIbis) 13 (VIbis) 287 (VIIbis)
Emilia 1.762 260 (IV) 38 (III) 6 (V) 6 (III) 130 (III)
Sicilia 1.471 346 (VI) 65 (VIII) 16 (IX) 26 (X) 410 (VIII)
Napoletano 1.338 435 (VIII) 47 (VII) 6 (VI) 21 (VIII) 531 (X)
Marche
Umbria
1.227 222 (II) 33 (I) 3 (II) 10 (VI) 239 (VI)
Sardegna 670 (X) 113 (IX) 14 (VIII) 20 (VII) 277 (VII)

Il minimo di grassazioni è dato dal Veneto e Lombardia (ricche) e dalle Marche-Umbria (povere). Stanno presso la media la Toscana, l’Emilia, il Napoletano, il Piemonte-Liguria. Sardegna, Sicilia povere e Lazio ricca dànno le quote massime.

Solo gli omicidii presentano le minime quote in Lombardia, Veneto, Emilia, Piemonte-Liguria, Toscana, ossia nelle regioni più ricche. Le Marche-Umbria s’avvicinano alla media. Sardegna e Napoletano ne dànno una cifra elevata; mentre al massimo giungono il Lazio e la Sicilia.

Anche i ferimenti hanno un minimo nel Veneto, al quale seguono la Lombardia, l’Emilia, il Piemonte-Liguria e la Toscana. Le Marche-Umbria hanno una quota relativamente piccola; media la Sardegna; alta la Sicilia; massima il Lazio e il Napoletano.

Il Lazio, ricchissimo, presentando il massimo come le Marche povere il minimo di furti, omicidi, grassazioni e ferimenti, parlerebbero chiaro per l’azione corruttrice della ricchezza e della capitale. Se non che associandosi ora la razza, ora il clima alla miseria, aumentano i furti in Sardegna e i ferimenti in Sicilia ed in ambedue le grassazioni, offrendo una completa contraddizione coi primi.

Nè può tacersi che i calcoli di Pantaleoni sono insufficienti non bastando le successioni a darci un’idea della ricchezza nazionale; sapendosi che la più grande parte delle successioni si basa su un catasto antiquato, che l’aggiunta di 14 per le correzioni in più per le donazioni inter vivos è ipotetica per non dire aprioristica e che egli segue i calcoli di De Foville i quali nulla prova siano applicabili in Italia.

5. Crisi.—Prenderemo noi per punto di partenza le crisi? Il Fornasari (o. c.) l’ha fatto mirabilmente, ma il rapporto delle crisi economiche, commerciali e industriali colla criminalità non risulta chiaro, come già il Bodio aveva fatto temere, mostrandoci le difficoltà e la complessità dei rapporti[5], salvo che per i fallimenti, i delitti politici e i delitti contro il buon costume.

Riassumendo sintenticamente le sue numerose ricerche troviamo:

1º Mentre in corrispondenza al maggior sviluppo industriale si nota un miglioramento della criminalità più grave contro la proprietà, quando si cominciano a verificare delle crisi, la delinquenza contro la proprietà diventa in certo modo stazionaria aumentando nelle sue forme più lievi. Alla crisi, fattasi acuta specie nelle regioni minerarie nel 1885, segue un aumento di grassazioni, di furti qualificati e di quasi tutti gli altri reati contro la proprietà. I falsi però e i reati contro il commercio non risentono nulla delle crisi industriali.

Le crisi commerciali del pari che le prospere vicende non fanno sentire la propria influenza altro che su i reati contro il commercio, escluse le bancherotte fraudolente che sembrano indipendenti affatto dalle vicende economiche.

Infatti le vicende cattive del commercio delle annate 1875, 1877, 1878, 1879, 1880, 1884, 1885, 1886, 1888, 1889, non esercitano una influenza certa sul furto, sia semplice che qualificato, il quale ultimo si vede aumentare da 134 a 153, 184, 172, 196 nelle cattive annate dal 1876 al 1880, da 105 a 111, 122, nelle cattive annate dal 1887 al 1889; ma diminuire da 131 a 116, 115, 116, durante le crisi del 1884, 1885, 1886, senza dar poi mai una coincidenza di massimi e minimi.

Incerta anche è l’influenza sugli omicidi in cui vediamo corrispondere nel 1875, annata cattiva, un minimo di omicidi qualificati 4,00, e nel 1879 annata pure cattiva, un massimo di omicidi qualificati 6,54. Però in linea generale c’è costantemente una diminuzione di reati nell’anno susseguente alla crisi, cioè nella ripresa dei commerci. Così, nel 1880 gli omicidi qualificati scendono da 6,54 a 5,87 e nel 1887 da 4,52 a 4,11, e i semplici scendono da 13,79 a 12,48 nel 1880 e da 9,13 a 8,38 nel 1887; però sono oscillazioni di troppo poca entità.

Nulla affatto è l’influenza nei reati di ferite e di percosse che dànno a vicenda il massimo e il minimo, 167, 145, in due anni successivi di crisi, 1884, 1885.

Notevole invece è l’influenza nei reati contro il buon costume che aumentano da 3,66 a 4,12, 4,29, 4,56 nella crisi 1884, 1885, 1886, e da 4,41 a 5,25, 5,62 nel 1888, 1889, dando in quest’ultimo una coincidenza nei due massimi della crisi e della criminalità.

Notevole anche è l’influenza nei reati contro la sicurezza dello stato che diminuiscono regolarmente da 0,66 a 0,61, 0,45, 0,42 nel 1884, 1885, 1886 e da 0,49 a 0,26 nel 1888-89, dando anche qui nel 1889 una coincidenza inversa di massimo di crisi e minimo di delitti.

Quanto alla frequenza dei fallimenti non vi è alcuna corrispondenza tra essa ed i furti, le truffe, gli omicidi e i reati contro la sicurezza pubblica. Incerta è la sua influenza sui delitti contro il buon costume i quali hanno tendenza ad aumentare parallelamente sebbene non proporzionalmente.

Più decisiva è tale influenza sui reati di ferite e percosse che dànno il loro massimo nel 1888 (192) e il minimo nel 1880 (147) corrispondentemente al massimo dei fallimenti, 2200, e a uno dei minori, 749, col quale ha comune l’andamento ascendente.

Diretta è invece la sua influenza sui reati contro il commercio che seguono perfettamente la stessa curva in tutte le sue sinuosità.

Quanto alle crisi agricole, che si fecero acute nel 1885, 1888 e 1889, esse non esercitarono alcun’influenza sui furti: i furti qualificati che diminuirono da 116 a 115 nella crisi del 1885, aumentarono da 105 a 111, 122 nella crisi del 1888, 1889, non esercitarono alcuna influenza neppure sugli omicidi, sia semplici che qualificati, che diminuirono da 5,02 e 9,68 a 4,72 e 9,27 durante la crisi del 1885, e aumentarono da 4,11 e 8,38 a 4,26 e 9,11 durante le crisi del 1888-89; nè sulle percosse e ferimenti che diminuirono da 167 a 145 nel 1885 e aumentarono da 180 a 192 nel 1888.

Esercitarono invece una certa influenza sulle truffe che aumentarono da 39,61 a 40,19 durante la crisi del 1885; e da 40,56 a 42,31 e 45,37 nelle crisi del 1888, 1889, ma però senza coincidenza tra il massimo dei reati e l’acme della crisi; e sui reati contro la sicurezza dello stato che diminuirono da 0,61 a 0,45 nella crisi del 1885, e da 0,49 a 0,26 durante la crisi del 1888-89, anche qui però senza coincidenza del massimo e del minimo 0,14, il quale ultimo cade invece nel 1876.

Le crisi hanno una influenza più decisiva nei reati contro il buon costume che dànno il loro massimo, 5,62, durante la crisi del 1889, e una cifra, 4,29, forte relativamente alle anteriori, e anche per sè stessa, durante la crisi del 1885.

Riassumendo le crisi del credito e le conseguenti restrizioni degli affari vengono risentite oltre che dai reati contro il commercio, anche da quelli contro la proprietà e in ispecial modo dai furti qualificati.

2º I reati contro le persone, quando le industrie sono in crisi aumentano celeremente e gli omicidi scemano in ragione minore di quello che non facciano negli anni prosperi. Le crisi commerciali non sono risentite e quelle del credito neppure.

3º I reati contro il buon costume mentre crescono col progredire delle industrie non risentono affatto le crisi economiche.

4º Gli attentati alla sicurezza dello stato e i reati contro la pubblica amministrazione, in particolare le ribellioni e violenze a pubblici ufficiali, subiscono forse una certa influenza delle crisi delle industrie; ma sono affatto indipendenti dalle altre crisi economiche.

Quanto all’influenza delle crisi sulla criminalità del Regno Unito della Gran Bretagna e Irlanda dalle ricerche del Fornasari[6] risulterebbe:

1º I crimini contro la proprietà non risentono o ben poco delle crisi economiche; soltanto quelli contro la proprietà con distruzione dolosa dànno il loro minimo, 161 e 186 (Inghilterra e Galles), durante le crisi del 1873 e 1847, e diminuiscono sempre negli anni delle altre crisi; e così quelli senza violenza benchè meno parallelamente e con eccezione della crisi del 1847, in cui aumentano da 20.035 a 23.571.

Tendono invece ad aumentare durante la crisi i delitti contro la proprietà con violenza (dando il loro massimo, 2286, durante la crisi del 1857), con eccezione però della crisi del 1864-66, durante la quale i furti in Inghilterra rimasero quasi stazionari con tendenza a diminuire.

2º I crimini di falso e contro la circolazione monetaria e quelli contro le persone sono indifferenti alle crisi. Infatti i falsi in atto e moneta se aumentano in Inghilterra e Galles da 406 a 525 e da 911 a 959 durante le crisi del 1847 e 1857, diminuiscono poi da 717 a 587 e da 577 a 504 durante le crisi del 1864 e 1866.

3º Gli omicidi aumentano e diminuiscono affatto indipendentemente dalle crisi, diminuendo da 2249 a 2023 durante la crisi del 1847; e aumentando da 1903 a 2158 durante quella del 1857.

4º Gli altri crimini quasi sempre scemano negli anni di crisi.

5º Invece i delitti e le contravvenzioni crescono sempre in corrispondenza delle crisi.[7]

6. Disoccupati.—Parrebbe da questi dati che la disoccupazione dovrebbe influire notevolmente sulla criminalità, eppure l’influenza sua non è grande.

Nel South-Wales scarsissima apparve (Coghlan, o. c.) l’influenza della disoccupazione sulla criminalità degli operai.

Negli Stati Uniti degli omicidi, pei quali si potè aver questa notizia, 82% erano occupati quando commisero il delitto, e 18% soltanto erano senza impiego.

La proporzione degli omicidi disoccupati varia nelle diverse parti degli Stati Uniti, da 20% negli Stati del Nord, dove la popolazione è più densa, a 11% in quelli del Sud, dove prevale l’elemento agricolo, e tocca il massimo—41%—negli Stati occidentali, grazie alle crisi minerarie e alla emigrazione cinese; è meno intensa fra i neri, che pure prevalgono nella cifra degli omicidi (BOSCO, L’omicidio negli Stati Uniti d’America, 1895).

Sembra quindi che la disoccupazione non sia una causa prevalente dei reati di sangue[8]; ciò che non contraddice, però, al fatto che i più dei rei non hanno quasi mai un mestiere stabile: ma essi non l’hanno perchè non l’ebbero mai e non vogliono averlo—mentre i disoccupati l’ebbero e lo perdettero per circostanze da loro affatto indipendenti o quasi, se si eccettuano gli scioperi. Wright (nell’opuscolo The relations of economic conditions to the causes of crime, Philadelphia, 1891) pretende che nelle depressioni industriali tutti i delitti crescono, ma non ne dà la prova; quando dice che su 220 condannati del Massachusset 147 erano senza lavoro regolare e che il 68% dei rei non avevano occupazione, non fa che attestare, che i criminali non amano il lavoro assiduo e lo sfuggono, come meglio vedremo poi.

7. Giornate di salario.—Forse un criterio migliore è dato dalle giornate di salario equivalenti al costo annuale degli alimenti di un individuo, il che però rasenta di molto quello studio che abbiam già fatto nell’alimentazione (Vedi Tav. pag. 153).[9]

notaNota.—La colonna 1 è tratta da Mulhall’s, Dictionary of Statistics (riportato in Coghlan’s, The Wealth and Progress of New South Wales, Sidney 1893).—Le colonne 2-5 sono calcolate sui dati riportati a pag. xli-xlviii del Movimento della delinquenza secondo le statistiche degli anni 1873-83, Roma 1886 (pubbl. dalla Dir. Gen. della Stat.).

1º Vi si vede che l’aumento dei giorni di lavoro (cioè la maggiore denutrizione e il sopralavoro) ha una corrispondenza sicura coll’omicidio. Infatti la Scozia, Inghilterra e Irlanda che dànno il minimo dei giorni, 127, hanno il minimo di omicidi, 0,51, 0,56, 1,06. E la Spagna e l’Italia che dànno il massimo dei giorni di lavoro, 153, 154, dànno il massimo anche di omicidi, 8,25, 9,53.

2º Vi ha ancora una certa corrispondenza per le ferite e percosse: la Gran Bretagna, Irlanda e Scozia che hanno il minimo delle giornate di salario, 127, dànno anche il minimo delle percosse, 2,67, 6,24, 11,59; l’Austria e l’Italia hanno un massimo di giornate di salario, 152, 153, e dànno anche il massimo delle percosse, 155, 230. Ma si ha subito un’eccezione nella Spagna che presenta un minimo di reati, 43,17, rispetto a un massimo di giorni di lavoro, 154, e nel Belgio che ci dà un massimo di reati, 175,39, con un minimo di giornate di lavoro, 136, certo per influenza dell’uso dell’alcool.

3º Nei reati contro i costumi vi ha inversione di influenza, osservandosene più spesso il minimo ove è il massimo delle giornate di lavoro; così la Spagna che ha un massimo di giorni di lavoro, 154, ha un minimo di reati contro i costumi, 1,03; e il Belgio che ha un 2º minimo di giornate di lavoro, 130, ha un massimo di quei reati, 13,83. Però la Gran Bretagna presenta un 2º minimo di tali reati, 1,41, malgrado che abbia il minimo di giornate di lavoro, 127.

4º Nulla affatto è l’influenza sui furti pei quali vediamo alternarsi in gradazione di reato i paesi a massimo e minimo di giornate di lavoro, quali Spagna, Belgio, Francia, Italia, ecc.

8. Casse di risparmio.—Ho pensato che la cifra dei depositanti nelle Casse di risparmio potesse offrire dati più sicuri sulla vera ricchezza, perchè dà la misura di quello che ne è la fonte precipua, la previdenza e la parsimonia: di quanto, cioè, e come prevalgono in un popolo le forze inibitrici del vizio e del delitto.

Infatti abbiamo visto che essa va, in Francia, in rapporto diretto colla minore natalità, il che in fondo vuol dire con una maggior previdenza e forza di inibizione: ed in Europa (Coghlan, op. cit.) troviamo:

00000 00000
Svizzera 1 libretto ogni 4,5 persone, omicidi 16 furti 114
Danimarca 1 libretto ogni 5 persone, omicidi 13 furti 114
Svezia 1 libretto ogni 7 persone, omicidi 13 furti
Inghilterra 1 libretto ogni 10 persone, omicidi 5,6 furti 163
Prussia 1 libretto ogni 10 persone, omicidi 5,7 furti 246
Francia 1 libretto ogni 12 persone, omicidi 18 furti 103
Austria 1 libretto ogni 14 persone, omicidi 25 furti 103
Italia 1 libretto ogni 25 persone, omicidi 96 furti 150

cifre che mostrano come almeno gli omicidi vanno in linea inversa del numero dei libretti mentre il contrario accade pei furti.

Ora in Italia dai dati che noi possediamo, scarsi in vero sulle Casse di risparmio, vediamo che la maggior proporzione dei libretti corrisponde alla minor quota di omicidi e di furti.[10]

Calcolando, infatti, in Italia il numero dei libretti in proporzione al numero degli abitanti, il credito totale dei depositanti a risparmio o meglio, il credito medio di ogni libretto nelle singole provincie, cifre che ci paion più adatte a darci uno specchio per lo meno della previdenza di un paese, vediamo che:

LE PROVINCIE D’ITALIA

in ordine al Nº d’abitanti per ogni libretto in corso (al 31 dicembre 1891) presso le Casse di risparmio ordinarie, le Casse di risparmio di Società cooperative di credito, di Banche popolari e di Società ordinarie di credito e presso le Casse di risparmio postali.

PROVINCIE Abitanti per
1 libretto
PROVINCIE Abitanti per
1 libretto
Ancona 3 Alessandria 9
Bologna 3 Caserta 10
Como 3 Cuneo 10
Livorno 3 Piacenza 10
Milano 3 Reggio Emilia 10
Roma 3 Palermo 10
Firenze 4 Massa e Carrara 11
Genova 4 Vicenza 12
Lucca 4 Belluno(1) 13
Novara 4 Messina 13
Ravenna 4 Padova 13
Torino 4 Trapani(1) 13
Brescia 5 Girgenti(1) 14
Cremona 5 Catania 15
Macerata 5 Rovigo 15
Napoli(1) 5 Siracusa 15
Pesaro ed Urbino 5 Udine 15
Porto Maurizio(1) 5 Potenza 16
Siena 5 Treviso 16
Ascoli Piceno 6 Avellino 17
Modena 6 Caltanissetta(1) 17
Pavia 6 Campobasso 17
Perugia 6 Catanzaro(1) 17
Bergamo 7 Chieti 17
Ferrara 7 Bari 18
Forlì 7 Cagliari(3) 18
Mantova 7 Cosenza 18
Parma 7 Reggio Calabria(1) 18
Pisa 7 Sassari 18
Arezzo 8 Teramo 18
Grosseto(2) 8 Benevento(1) 19
Palermo 8 Foggia 19
Sondrio 8 Aquila 21
Venezia 8 Lecce(1) 24
Verona 8

(1) Questa provincia non ha Cassa di risparmio ordinaria.

(2) Questa provincia non ha Società cooperative di credito, Banche popolari o Società ordinarie di credito che raccolgano risparmii.

(3) La Cassa di risparmio ordinaria di questa provincia essendo fallita, non si è più tenuto conto dei libretti a risparmio presso di essa.

LE PROVINCIE D’ITALIA

in ordine al Credito dei depositanti a risparmio (al 31 dicembre 1891) presso le Casse di risparmio ordinario, le Casse di risparmio di società cooperative di credito, di Banche popolari e di Società ordinarie di credito, e presso le Casse di risparmio postali.

Nº d’ordine PROVINCIE Credito in Lire Nº d’ordine PROVINCIE Credito in Lire
1 Milano 304.199.621 36 Pisa 13.389.184
2 Roma 112.164.686 37 Ferrara 12.876.939
3 Como 92.410.904 38 Livorno 12.624.575
4 Firenze 91.502.775 39 Salerno 12.004.758
5 Torino 84.047.610 40 Cagliari(1) 11.701.424
6 Napoli 80.300.729 41 Caserta 10.779.640
7 Genova 75.085.002 42 Messina 9.854.643
8 Verona 58.610.973 43 Siena 9.850.583
9 Bologna 54.320.870 44 Cosenza 9.073.701
10 Pavia 52.607.231 45 Catania(1) 8.954.540
11 Brescia 47.771.887 46 Sondrio 8.290.759
12 Novara 47.736.771 47 Arezzo 7.725.527
13 Cremona 38.018.846 48 Aquila 7.318.834
14 Bergamo 36.144.823 49 Porto Maurizio 7.046.931
15 Alessandria 31.421.509 50 Foggia 7.000.710
16 Lucca 30.745.396 51 Potenza 6.914.112
17 Perugia 25.155.393 52 Treviso 6.863.585
18 Forlì 23.512.308 53 Lecce 6.010.886
19 Cuneo 22.501.270 54 Siracusa 5.466.883
20 Modena 22.316.276 55 Trapani 5.023.083
21 Palermo 22.016.582 56 Chieti 4.637.547
22 Ravenna 20.985.211 57 Rovigo 4.619.652
23 Piacenza 19.348.088 58 Girgenti 4.092.671
24 Mantova 18.662.890 59 Catanzaro 3.813.196
25 Ancona 18.592.964 60 Campobasso 3.769.273
26 Parma 17.577.277 61 Reggio Calabria 3.669.547
27 Macerata 16.997.384 62 Sassari 3.606.251
28 Venezia 15.687.243 63 Avellino 3.394.231
29 Padova 15.263.830 64 Massa e Carrara 2.896.371
30 Ascoli Piceno 14.772.395 65 Caltanissetta 2.741.545
31 Reggio Emilia 14.687.274 66 Belluno 2.312.221
32 Pesaro ed Urbino 14.456.258 67 Grosseto 2.269.706
33 Vicenza 14.432.020 68 Teramo 2.210.164
34 Bari 14.364.149 69 Benevento 1.316.378
35 Udine 13.827.709

(1) Il credito di Cagliari è in parte fittizio, perchè sono state calcolate L. 7.090.909, dovute ancora ai depositanti dalla fallita Cassa di risparmio, in liquidazione. Così dicasi di Catania per L 620.983.

Fonte: Annuario Statistico Italiano, 1892, pag 745-750.

Nota—Le provincie di Napoli, Porto Maurizio, Belluno, Benevento, Lecce, Catanzaro, Reggio Calabria, Caltanissetta, Girgenti, Trapani, non hanno Cassa di risparmio ordinaria.—La provincia di Grosseto non ha società cooperative di credito, o Banche popolari o Società ordinarie di credito che raccolgano depositi a risparmio.—La Cassa di risparmio di Catania ha (vedi nota a pag. preced.) ancora 295 libretti in corso, che qui sono stati messi in conto, i quali sono fittizii, essendo essa fallita.

La media dei vari reati nelle 20 provincie che hanno il maggior numero di libretti per abit. (1 libretto ogni 3-6 abitanti); e nelle 20 provincie che ne hanno il minor numero (1 libretto ogni 15-24 abitanti) e nelle 20 che hanno un numero intermedio (1 libretto ogni 8-13 abitanti) è la seguente:

Media di 20 provincie con ricchezza
massima media minima
secondo il Nº dei libretti
Reati contro la fede pubblica 57 45 45
Reati contro il buon costume 11 12,6 20
Furti 132 133 160
Omicidi 10 12,6 27,4

Distribuzione questa di reati solo in parte analoga a quella che offrono: le 20 provincie in cui il credito medio d’ogni libretto è massimo—di L. 1227 a L. 448: le 20 provincie in cui esso è minimo (da L. 126 a L. 234) e le 20 altre provincie in cui detto credito è intermedio a questi estremi (da L. 426 a L. 243).

Media di 20 provincie con ricchezza
massima media minima
secondo il credito medio d’ogni libretto
Reati contro la fede pubblica 54 60 42,5
Reati contro il buon costume 9,3 13,6 20
Furti 143 158 154
Omicidi 8,7 14,8 29,7

Il numero dei libretti (1ª tabellina) risponde meglio alla condizione della ricchezza che non le cifre del credito totale, sia perchè queste come vidimo per Cagliari sono in parte fittizie, in parte perchè Napoli, Reggio Calabria, Trapani, Porto Maurizio ecc. non hanno casse di risparmio ordinarie, e perchè infine una gran quota ne può provenire—quando non si tratta di casse postali—da uno o da due soli depositanti, con mancanza di una corrispondenza colla reale ricchezza del paese.

Dalla prima delle due tabelle, riescono meglio confermate le stesse leggi sul rapporto tra criminalità e ricchezza che furono già determinate prendendo ad indice della ricchezza le varie tasse ed imposte riunite: ossia: che in Italia, dove c’è una minima previdenza e minimo risparmio calcolato dal minor numero dei libretti per abitante, c’è una massima criminalità di delitti di sangue, di furti e di stupri e minima di truffe: e viceversa dove vi è la ricchezza media e la massima (che danno gli stessi risultati), vi è il massimo di truffe e il minimo d’omicidi, furti e stupri, il che non vuol dire in fondo se non che il paese selvaggio è più incline al delitto che non sia d’astuzia. Anche qui troviamo ripetersi, come già vidimo per le tasse, il fatto che gli stupri, all’inverso di quando accade dovunque, sono più frequenti nelle provincie nostre più povere.

Però dove la razza e il clima trascinano al male, la ricchezza, come ho già osservato prima (pag. 144), nulla vi può. Così troviamo, è vero, un numero elevato di omicidi nelle provincie più ricche come Palermo che ne ha 42: Roma con 27, Napoli con 26, Livorno 21: ma queste eccezioni sono spiegate dalla posizione geografica per Palermo e per Napoli, dalla razza per Livorno, dalla razza e dall’abuso dell’alcool e dalla condizione politica per Roma. Inversamente tra le provincie più povere (in cui la posizione geografica, il clima e la razza esagerano certamente l’influenza della minor ricchezza perchè le cifre maggiori le presentano le provincie meridionali ed insulari—Girgenti 70, Sassari 46, Caltanissetta 46, Avellino 45, Campobasso 41) accadono pure eccezioni perché vi sono provincie che malgrado la triste condizione economica hanno uno scarso numero di omicidi come Bari (14), Lecce (16), Treviso (11), Udine (7), Rovigo (5). Se la condizione etnica ed il clima bastano a spiegare l’eccezione delle tre ultime provincie—per le due prime, provincie meridionali, il fatto resta inesplicato, se pur non vi si voglia vedere l’influenza della razza greca che vi domina.

Anche per gli stupri si hanno eccezioni e spiegazioni analoghe: in quanto che tra le provincie ricche ne presentano un numero molto alto, Livorno 26 e Roma 22, e tra le provincie povere ne presentano un numero molto scarso, Reggio Emilia e Vicenza con 4, Belluno e Rovigo con 5, Udine con 7 ecc., evidentemente per la condizione etnica e geografica. Il che conferma indirettamente che le grandi cifre presentate da provincie, con ricchezza egualmente scarsa, ma poste tutte o nell’Italia meridionale o nella insulare son dovute oltre che alla condizione economica anche alla razza ed al clima ecc. E si spiega così l’andamento degli stupri che noi abbiamo già constatato scemare colla somma delle tasse e che contrasta colla legge sino ad ora accolta che essi crescono coll’aumentare della ricchezza.

Quant’ai furti fanno eccezione dalla regola generale presentandone un gran numero contemporaneamente alla loro notevole ricchezza Bologna (216) e Ferrara (367), in cui s’è già notato l’importanza per questo reato del fattore etnico, Roma (329) per l’abuso dell’alcool e l’agglomero politico. Non si spiegano invece nè colle nostre risultanze nè coll’intervento della razza, del clima o d’altro le eccezioni di Venezia e Macerata che ne hanno un gran numero (rispettivamente 207 e 273), pur essendo provincie ricche, e tra le provincie povere Cuneo che ne possiede una cifra assai più piccola (87) di tutte le sue compagne pur avendo una ricchezza press’a poco uguale ad esse.

Finalmente quant’ai reati contro la fede pubblica l’esposizione più fredda e la razza celto-lombarda spiegano il loro minor numero in provincie ricche come Como (21), Lucca (22), Siena (25), Sondrio (31). Vi è invece una contraddizione che non sappiamo spiegare nel numero maggiore di tali reati a Sassari (102), a Padova (100), a Chieti (76) ove pure è una ricchezza assai piccola.

Risparmio in Francia.—Quanto alla Francia, in cui però non abbiam potuto avere la cifra dei risparmi, ma solo il numero dei depositanti per abitante, pigliando per dato di ricchezza la cifra dei libretti della cassa di risparmio, su 1000 abitanti, dal 1884-85, abbiamo che i delitti crescono sempre in ragione diretta della ricchezza, cioè:

assassinii furti stupri
Nei paesi a ricchezza infima si ha una media di 64 83 17[11]
Nei paesi a ricchezza media si ha una media di 66 99 26
Nei paesi a ricchezza massima si ha una media di 89 186 29[12]

E non solo: ma i delitti crescono appunto nelle regioni che più si arricchiscono, dove quindi è più intensa la attività industriale; qui la criminalità tanto di sangue che di truffa, di stupro, è in rapporto diretto coll’aumento esagerato delle ricchezze, salvo che nella Corsica dove vi è il minimo della ricchezza, e dove, anche qui, come in Italia, vi ha grande il numero dei reati di sangue e non così grande quello contro alla proprietà.

La contraddizione così spiccata dell’influenza del risparmio fra Francia e Italia—fino a un certo punto—si può spiegare allo stesso modo che abbiam potuto spiegare la opposizione stessa che ci si mostrò tra i reati e la densità (vedi pag. 73-77), perciò che là dove è maggiore la ricchezza e l’industria in Francia accorrono gli emigranti che dànno in genere il quadruplo di criminalità, e per gli stupri anche il sestuplo di quella dei francesi. Ora l’emigrazione dal 1851 al 1886 vi triplicò, e la qualità degli emigrati peggiorava mano mano che ne aumentava la quantità, perchè dapprima accorrono i migliori elementi, poi i peggiori. Il Nord ha 4 volte più stranieri che Bouches-de-Rhone e 19 volte più che Hérault, ma ha 9 volte più naturalizzazioni ossia elementi più stabili e più assimilabili del primo, e 75 più del secondo, frequentato da spagnuoli, mentre i primi sono belgi (Joly, op. c.).

Gli emigranti sonvi attirati pure dalla scarsezza delle nascite e dalla frequenza degli scioperi che lasciano speranza di trovare lavoro (Joly, France criminelle).

S’aggiunga l’interferenza provocata dalla razza semita e clima caldo nell’Italia meridionale, che abbiam veduto aumentare tutti i delitti contro le persone e in parte contro le proprietà e che coincidendo in Italia con scarso risparmio ne confondono l’influenza, facendo prendere il fattore climatico ed etnico per l’economico.

Ma sarebbe una grande illusione il credere che queste spiegazioni bastassero. Vi deve essere una causa ancora più grave. Infatti se noi confrontiamo paesi nostri che hanno molta analogia di razza e di clima colla Francia come Piemonte e Lombardia, troviamo in condizioni molto più identiche perdurare il fenomeno opposto: ivi pure il risparmio maggiore coincide col minor delitto, mentre in Francia si ha il contrario: qui la ragione è data da tre altri fattori: la ricchezza enormemente maggiore, per lo meno quadrupla, secondo i calcoli di Bodio (op. c.), della Francia in confronto all’Italia, fatto questo che si aggrava dall’essere in molti siti quella una ricchezza subitanea che spinge alle massime orgie (sicchè débaucher vi è sinonimo di divertimento), a ciò s’aggiunga la maggior miseria d’Italia. È in Italia che, secondo l’inchiesta fatta nel 1885[13], si contavano 999 comuni con acqua cattiva e scarsa; 6804 che non hanno fogne, e 24.158 abitazioni sotterranee con 37.203 stanze e con 100 mila e più abitanti; 1178 comuni dove di rado si mangia pane di frumento, se non per malattia o nei giorni festivi prevalendo l’uso del granturco e delle castagne; 4974 che fanno raramente uso della carne; 2037 che mantengono l’abusivo esercizio dell’arte salutare o non hanno medico residente per i poveri e 421 non provvedono affatto al servizio sanitario; 274 che mancano di cimiteri, seppellendo nelle chiese; 194 circondari che sono infestati dalla malaria, la quale si estende a 90 mila chilometri quadrati, popolati da 6 milioni di abitanti; e lì si contano infine annualmente 100 mila pellagrosi, che si nutrirono di mais guasto.

Una riprova diretta troviamo nel fatto che da noi la ricchezza media e la massima si confondono negli effetti, appunto perchè sono quasi analoghe e tra loro assai vicine (vedi pag. 158, 159); mentre il contrario ha luogo per la Francia dove la ricchezza massima dista assai più dalla media, e dà risultati suoi proprii (pag. 161).

Dove in Italia abbonda il risparmio non si nota dunque tanto una vera ricchezza quanto economia e inibizione, mentre in Francia, in molte almeno delle regioni industriali, specialmente Hérault, Bouches de Rhone, esso è un indice di ricchezza così rigogliosa che deborda, e che fra i modi di sfogo ha anche il risparmio, ma che sopratutto si getta nella rapida speculazione. Per cui per uno stesso indice in un luogo abbiamo i vantaggi e nell’altro il danno della ricchezza. La piccola ricchezza lentamente accumulata frena il delitto: la rigogliosa e debordante, non è più un freno, ma anzi uno stimolo, un incitatore del crimine.

Regioni agricole, industriali.—Infatti, dove l’attività industriale rapidamente si mescola, peggio se succedendo all’agricola, essa richiama un agglomero maggiore di immigranti e operai e insieme a loro l’abuso dell’alcool; ed ivi subito s’innalza la cifra di delitti.

Ed invero, dividendo la Francia come dallo studio sulla sua Criminalità per 50 anni (o. c.), in regioni Agricole—Agricole industriali—Industriali, vediamo che il delitto cresce quasi sempre, dalle prime venendo alle ultime: come si vede da questo diagramma, che ci mostra come su 42 dipartimenti agricoli solo 11, il 26%, superano la media degli assassini in Francia, mentre la superano 10 su 26, il 38%, nei dipartimenti Agricolo-Industriali e 7 su 17, il 41%, negli Industriali. Quanto agli stupri su adulti e nei delitti contro le persone vediamo quella media:

Stupri R. contro
le persone
nei 42 dipartimenti agricoli superata nel 33% e 48%
nei 20 dipartimenti agric.-industr. superata nel 39% e 39%
nei 17 dipartimenti industriali superata nel 52% e 59%

certo per l’agglomero maggiore e per l’aumentata immigrazione.

Ed anche nei paesi agricoli quando cause speciali portino una troppo rapida ricchezza abbiamo dei delitti dipendenti direttamente da questa.

Nell'herault«Nell’Hérault venendo la ricchezza si ebbe la frode in permanenza. Nessun altro luogo ebbe più tentativi di corruzione sugli impiegati, sui municipii: uno di questi giunse a frodare il proprio dazio e il giurì lo mise in libertà.

«Questa demoralizzazione parve prodotta o aggravata dalla crisi vinicola che offerse a loro, fin dal 1874, il modo di guadagnare enormemente coi loro vini: infatti, è nel 1874 che Hérault passò dal 5º al 61º posto di gravità della criminalità e più tardi, nel 1884, all’81º» (Joly, La France criminelle, pag. 110).

«Dal giorno, scrive ancora Joly, in cui i contadini più poveri poterono trasformare i terreni incolti in vigna, e raddoppiare colla ferrovia il prezzo dei prodotti divennero avidi del denaro degli altri, [165]come chi ha giuocato alla borsa non pensa più che al modo di procurarsi nuovo denaro. Ogni ricchezza ottenuta senza sforzo somiglia al denaro ottenuto col giuoco e fa nascere i medesimi sentimenti. È la fortuna, diceva il commissario di Cette, che ha rovinato questo paese.

Il Bocage quand’era povero era più onesto. «Ici les gens qui volent possèdent tous quelque chose eux mêmes; et les paysans aisés commettent plus de crimes que les vagabonds» (Joly).

Nell’Est di Eure e nell’ovest di Calvados industrie e agricoltura sono in regresso, e vi è poca criminalità.

A Vire vivono del lavoro della terra e non vi è quasi criminalità.

Ricchezza causa di reati.—Quelli, adunque, che affermano esser il delitto sempre effetto della miseria non vanno a ricercare invece l’altro lato della questione, quando il delitto è effetto della ricchezza.

La ricchezza che si è acquistata rapidamente e non è corretta da un elevato carattere, da larghi ideali religiosi, politici ecc., provoca danni invece che vantaggi. Anche Spencer aveva detto della ricchezza che secondo la bontà o la tristizia del carattere d’un popolo conduce al vizio o alla virtù; e questo sopratutto si deve intendere della ricchezza eccessiva che è come l’eccessiva potenza, la eccessiva istruzione, un naturale fomite di prepotenza, di abusi sessuali, alcoolici ecc., e quindi di delitti.

La ricchezza, insomma, è a sua volta impedimento al delitto ed anche sua eccitatrice, come del resto abbiam visto per l’istruzione, per la densità, per la civiltà ecc., e come vedremo per la religione. Questo è il criterio nuovo che bisogna introdurre nell’eziologia dei reati ammettendone ed esplicandone le contraddizioni, poichè la stessa fonte, a seconda le fasi e i caratteri, ora ci avvelena, ora ci preserva: e allora si vedono appianarsi le contraddizioni che son pur fatti come i fatti positivi e giovare alla spiegazione completa.

Questo che pare un assurdo, poichè la ricchezza diminuendo i bisogni più urgenti dovrebbe togliere molte occasioni dei delitti, è poi comprovato da altri dati.

Nell’America del Nord gli stati che sono più colpiti da criminalità dànno ora il minimo ora il massimo della ricchezza, calcolata questa direttamente dai dati chiesti agli individui pel censimento.[14]

Noi vi vediamo il paese più ricco, Rhode Island (913 lire per individuo) che dà una proporzione debole di criminalità, 0,11; ma Massachusset con una ricchezza quasi uguale (888) ne dà il doppio, 0,20; press’a poco la stessa cifra che la Colombia, 0,21, che ha una ricchezza media (559); come Wyoming che dà il doppio, 0,35 di reati; alcuni paesi poveri come Dakota (150), Alabama (97), New Messico (95) dànno le cifre più basse di criminalità, da 0,04 a 0,08; ma subito spicca la contraddizione, perchè troviamo Delaware con 0,05 e una cifra media di ricchezza (408).

In Italia abbiamo veduto (v. sopra) che è simultaneo al progredire delle industrie nazionali un aumento nella criminalità in genere, quale ci viene mostrata dal numero dei condannati, unico indice misuratore del movimento della delinquenza che noi possediamo dal 1873 in poi, salvo che ciò non è dovuto alla grande delinquenza: e abbiam veduto che Artena dà il massimo della criminalità in Italia, eppure, nota Sighele, nessuno vi è veramente povero, tutti sono piccoli proprietari ecc.; ma meglio lo dimostra, per la Normandia, lo Joly, anche cronologicamente, che è prova più importante. Nell’Hérault (scrive egli, pag. 112) la frode è in permanenza: i furti, e perfin gli incendi vi aumentarono per le assicurazioni, ed è il dipartimento che ebbe più intenso e rapido commercio: prima di arricchire, nella crisi vinaria, era il 5º nella serie della criminalità; ed ora giunse all’81º. L’Eure, accrescendo in ricchezza da 2 a 11 milioni, aumentava la sua criminalità.

Anche Marsiglia, ricchissima, dà ora un massimo di criminalità.

Nelle vallate d’Ange e di Presle la ricchezza è aumentata, ed aumentata è pure la criminalità e così in Pas de Calais et Nord.

Ciò non toglie che quando ci sia estrema selvatichezza e barbarie come in Corsica, i delitti contro le persone crescano, come nei paesi e negli anni in cui estrema è la povertà aumentano i furti semplici: ma in fondo la ricchezza è causa di delitto quanto e forse più che la povertà.

Spiegazione.—E la causa di tutto ciò è troppo chiara: da una parte la povertà e la mancanza dello stretto necessario spingono a carpire i beni atti alla soddisfazione dei proprii bisogni.[15]

Ecco il primo legame tra la miseria e gli attentati alla proprietà. Per di più la miseria rende l’uomo impulsivo per l’irritazione corticale che segue all’intossicazione alcoolica ed alla nutrizione deficiente; ora spinto il bisogno a un più alto grado, e quando trovi un fondo degenerato più fortemente, un terreno meglio concimato sul quale germogliare, naturalmente spinge ad alcune forme di omicidio, a quelle dovute, come dice Colaianni, all’applicazione pratica di quella specie di legge del taglione che dice «A chi ti leva il pane, levaci la vita» ed è pure incentivo a quelle brutali eliminazioni di individui che sono di peso alle famiglie, e ricordano i parricidii e gli infanticidii dei selvaggi per cause analoghe che vedemmo nel volume I.

In questi reati influisce direttamente la miseria; indirettamente poi essa deve esser causa di reati contro i costumi, per la difficoltà di accedere alla prostituzione, per le mescolanze precoci nelle fabbriche e nelle miniere, per la frequenza dell’infantilismo o del femminilismo nei figli (V. Vol. I); ed anche di reati di sangue, grazie al vino e agli alcoolici, il terribile veleno cui ricorrono molti proletari per passar meno male le poche ore di riposo concesse, e per assopire i dolori e la fame; e soprattutto per la degenerazione che lo scorbuto, la scrofola, l’anemia, l’alcoolismo dei genitori producono nei discendenti, e che in luogo di tisi si converte spesso in epilessia e in pazzia morale (v. s.).

Viceversa, allorquando si presenti una debole occasione, l’individuo agiato, reso e mantenuto fisicamente e moralmente più forte da sufficiente nutrimento e da sana disciplina educativa, meno spinto dal bisogno, pur sentendo un malo stimolo, può meglio resistervi.

Ma, a sua volta, la ricchezza è sorgente di altrettante degenerazione (sifilide, esaurimento dell’orgia, ecc.) per altre cause; e spinge al delitto per vanità, per superar gli altri, per quel terribile figurar nel mondo che abbiamo visto esser una delle cause maggiori dei reati contro la proprietà; e poi, come ben nota Fornasari, dove è maggiore la ricchezza assoluta, questa è sempre accumulata in poche mani, sicchè ivi è pure grande povertà resa più sensibile dal contrasto che essa desta; ora ciò deve favorire una forte tendenza a delinquere da un lato, una facile occasione dall’altro, che venendo a combinarsi insieme debbono dare un rilevante numero di reati.

Si noti inoltre[16] che dove è minore la ricchezza è minore l’agglomero di persone, e specialmente di individui pericolosi, che accorrono altrove, e precisamente nelle regioni più ricche, per delinquere meglio. Che se è vero che alcuni urgenti bisogni spingono i poveri al male, lo spingono a pochi, per quanto più feroci, delitti; mentre fra i ricchi i bisogni fittizi benchè meno urgenti sono più numerosi, ed infinitamente più numerose le specie dei delitti—ed anche dei mezzi per impunemente eseguirli; come li offrono purtroppo le professioni e le alte posizioni politiche: sicchè si son visti nelle razze latine parecchi ministri rei di delitto comune restare al potere dopo scoperto il delitto, anzi cavarne un’arma per consolidarvisi: nè v’è che la Francia in cui il popolo si rifiuti ad esser comandato da delinquenti comuni. Questo pei reati di cupidigia: quanto poi ai reati ispirati dalla Venere e dall’alcool il primo soddisfacimento raggiunto colla ricchezza non appaga mai a sufficienza il blasé e lo spinge alla ricerca di nuovi stimoli, come, per es., agli stupri sui bambini[17] e agli eccessi omosessuali; come alle orgie collo sciampagna, coll’etere, e agli abusi della morfina, della coca, della cocaina; dunque la ricchezza invece che uno sfogo e un preventivo spesso è [169]uno stimolo, una scala a nuovi reati. «Vi son molti (nota Joly) che nulla hanno e nulla desiderano e molti che hanno troppo ed agognano aver sempre di più; e poi come in guerra l’uccidersi da lontano ed in massa toglie l’idea dell’omicidio, così nei grandi centri il rovinar da lontano con truffa o con bancarotta un’enorme massa di persone, non pare un vero reato nemmeno a molti onesti» (Joly). Il reo-nato trova, insomma, occasione al delitto nella ricchezza più che non ne trova nella miseria: ma anche e peggio il reo d’occasione. Certo chi ha osservato (vedi vol. II) la fisionomia di Baihaut, di De Ze…, di Tanlongo ecc., si persuade che non erano criminali nati, che senza la politica non sarebbero divenuti criminali.

9. Prevalenza di rei poveri.—Ma perchè (ci si obietterà) vediamo noi che i condannati son quasi tutti poveri? Noi p. es. vediamo dalla Statistica penale per il 1889, che sopra 100 imputati condannati in Italia, dei quali si potè, sebbene con qualche incertezza, conoscere la condizione economica, si avevano negli anni

1887 1888 1889
56,34 57,45 56,00 indigenti;
29,99 30,77 32,15 col solo necessario per vivere;
11,54 9,98 10,13 mezzanamente agiati;
2,13 1,80 1,72 agiati e ricchi;

dati che si accordano con quelli pubblicati da altre statistiche attendibilissime, dal dott. Guillaume, dallo Stevens, dal Marro[18], ecc. ecc. e che mostrerebbero un’enorme sproporzione del delitto nei poveri in confronto ai ricchi.

Prima di lasciarsi trascinare da queste cifre che sembrano esser recisamente contrarie all’influenza malefica della ricchezza bisogna ricordare, che, come giustamente osservava il Marro, in carcere non giungono con eguale facilità tutti coloro che offendono le leggi sociali, perchè a favore del ricco stanno l’influenza delle sue ricchezze, le aderenze di famiglia, le relazioni sociali e l’elevata cultura mentale, le quali spesso riescono a salvarlo dalla prigione, o almeno gli procurano validissimi mezzi di difesa; ed abbiamo già veduto come nei manicomi privati (dove vanno solo i ricchi) abbondano quei pazzi morali che mancano nei manicomii pubblici e nelle carceri—ciò che vuol dire che la ricchezza aiuta a mettere in chiaro la patologia del reo-nato, mentre la povertà l’abbuia. E nella lotta secolare di classe la giustizia è adoperata dal ricco come stromento di potere e di dominazione contro il povero che è già a priori condannato e condannabile solo come tale: poichè le classi elevate sogliono usare il proverbio: Povero come un ladro, e ahi! quel ch’è peggio, spesso invertirlo.

«Se, come dice Colajanni, alcuni casi della delinquenza dei poveri rimangono ignoti, o perché il senso morale deficiente tra loro non li fa rivelare, com’è il caso dei reati di libidine, o perché avvengono in condizioni da non poter essere scoperti, come molti furti campestri, e forsechè tutte le libidini dei ricchi son messe in chiaro? Forsechè per i reati dei ricchi vi è un corpo speciale d’armata per iscoprirli come v’è pei reati campestri e boschivi». E non vi è, al contrario, nelle immunità palesi e segrete, parlamentari e politiche, una specie d’enormemente esteso diritto d’asilo per tutti i delinquenti ch’abbiano un potere politico, ministri, deputati, grandi elettori, giornalisti; diritto d’asilo che servì a coprire per venti o trenta anni enormi delitti; e non vediamo ancora dopo morte N. e De Z. apoteosizzati malgrado l’evidenza dei loro reati.

Un grande poeta lasciò detto: «I cenci lasciano scoprire tra le loro maglie subito il delitto, mentre l’oro lo copre e lo difende» (Shakspeare, Re Lear).

Ed è un Procuratore generale italiano (Lozzi) che scriveva (La giustizia in Romagna, Bologna, 1894): «Nella corte d’Assise sta scritto a lettere cubitali la felice formola della Rivoluzione francese: L’eguaglianza di tutti in faccia alla legge; ma se questo è nei codici, eguale per tutti, può dirsi lo stesso della effettuata giustizia? Chi non vede e non deplora i continui strappi che avanti le corti d’Assise si fanno nell’applicazione sua ai singoli casi, alle singole persone? Può dirsi che i poveri e i deboli vi trovino lo stesso favore, la stessa assistenza, gli stessi maneggi che non mancano mai [171]a pro dei ricchi e dei potenti? Siamo giusti, e confessiamo una volta che certe istituzioni che si vantano le più liberali, le più provvide e democratiche, tornano troppo spesso a danno del popolo, e si direbbero, guardando agli effetti, escogitati a favore della borghesia.

«Ricordiamo il Verlicchi, ricco proprietario, che con un colpo di fucile uccise il colono mentre lavorava nel suo cortile, e i giurati assolsero come affetto da momentanea pazzia; e il Muratori omicida del suo cocchiere, condannato una prima volta alle Assise, e la cui pena fu ridotta quasi ridicolmente in un secondo giudizio, grazie alla difesa di un collegio di avvocati e di periti. Ben altra sarebbe stata la sorte del cocchiere, se invece di essere restato vittima avesse ammazzato il prepotente padrone.

«E ancora nel richiedere la condanna di ladruncoli non può non lacrimarci il cuore a confronto della criminalità spudorata e impunita degli svaligiatori della Banca Romana».

Parole sante ma che pronunciate da un altro potrebbero esser scontate col carcere, tanto ahi! è giusta la giustizia d’Italia!

S’aggiunga che molti reati oggidì eziandio non vengono denunziati se commessi in talune classi pericolose ma potenti: tra camorristi, mafiosi, barabba. E basta esser camorrista per non esser più indigente.

Riassumendoci: il fattore economico ha una grande influenza sulla criminalità, non già perché la miseria ne sia la causa precipua, influendovi quanto questa la ricchezza eccessiva o troppo rapidamente acquistata, o quando, subendo crisi, espone doppiamente alle tentazioni del bisogno chi s’era abituato al benessere. Però e miseria e ricchezza sono spesso paralizzate dall’azione etnica e climatica.

Ad ogni modo, come dimostrò Fornasari, restano completamente indipendenti dal fattore economico gli incendi e danni, i reati contro la religione e i culti, le diffamazioni e ingiurie, le bancherotte fraudolenti, ed in gran parte le false testimonianze, calunnie, ecc., i reati contro la sicurezza dello stato, i falsi in atti e monete (Fornasari, o. c.).[19]


  1. Abbiamo omesse le tasse ferroviarie perchè per la enorme sperequazione dall'Italia settentrionale alla meridionale che deriva dalla deficienza di linee sarebbero riuscite un elemento perturbatore. Aggiungendo alle indicate tasse ed imposte le quote di ricchezza mobile per ritenuta, come mi consiglia Bodio, ho visto che la gradazione delle provincie non riesce modificata.
  2. I dati sono tutti di Bodio (1879-83) salvo i furti che sono di Ferri.—Le tasse e le imposte sono desunte dall'Annuario del ministero delle finanze, Statistica finanziaria (anni 1886-87).
  3. De Foville, La France économique, 1890
  4. Pantaleoni, Delle regioni d'Italia in ordine alle loro ricchezze e al loro carico tributario (Giornale degli economisti, 1891).—ID., L'entità e le variazioni della ricchezza privata in Italia dal 1872 al 1888 (Giornale degli economisti, 1890).
  5. Atti della Commissione per la statistica giudiziaria—Sessione maggio 1895—sul movimento della delinquenza nel 1893. Relazione di L. Bodio, pag. 19
  6. Anni di crisi, 1839, 1847, 1857, 1864, 1866, 1873, 1882.
  7. Cfr. Fornasari di Verce, op. cit., §§ 62-68.
  8. Cfr. Fornasari di Verce, op. cit., §§ 32-33, 44-48.
  9. I confronti della criminalità internazionale esposti in questa tabella vanno accolti naturalmente con certa riserva per le diverse condizioni morali e legistative dei vari paesi: ciò vale specialmente, ci nota il Bodio, pei reati contro il buon costume. È importante però che quanto agli omicidi le cifre delle ultime statistiche (L. Bodio, Sul movimento della delinquenza nel 1893, pag. 51) lasciano invariata la gradazione, salvo che l'Inghilterra passa al primo posto e la Scozia al secondo.
  10. Tutti i dati in proposito mi furon forniti dall'egregio dott. Lavagna su documenti raccolti nel Laboratorio di Economia Politica di Torino, creato con mirabile energia dal Cognetti de Martiis; ne rendo a lui vive grazie.
  11. Ricchezza infima da 0 a 100 libretti p. 1000 ab. (Corsica 20, Ardèche 97). Ricchezza media da 100 a 200 libretti p. 1000 ab. (Lot 101, Loire et Cher 190). Ricchezza massima da 200 a 406 libretti p. 1000 ab. (Seine 201, Sarthe 406).
  12. Annuaire de Économie politique, 1886.
  13. Relazione generale sui risultati della inchiesta statistica sulle condizioni igieniche e sanitarie nei Comuni del Regno.
  14. Scribner's, Statistical Atlas of the United States, 1880.
  15. Mask, Die Gezetzmässigkeit in Gesellschaftleben. München, 1877.—Fornasari, o. c.
  16. Vedi E. Ferri, Dei sostitutivi penali, nell'Arch. di psich. ecc., I, p. 88.—Studi sulla criminalità in Francia, ecc. ecc. negli Ann. di Stat., S. 2ª, v. XXI, pag. 183.—Fornasari, op. c.
  17. Vedi sopra pag. 130, 131. Mentre le persone colte dànno 5,6% di criminalità, negli attentati sui bambini il 12,9%, cioè mentre 1 su 20 appartiene alle professioni liberali in quei reati se ne nota i su 8 (Stackenburg, La energia sessuale, 1896, Palermo).
  18. Guillaume, État de la question des prisons en Suède.—Stevens, Les prisons cellulaires en Belgique.—Marro, I caratteri dei delinquenti, Torino, 1887.
  19. Tutto questo capitolo venne con strano singolare amore riveduto nella parte statistica dall'illustre Bodio in modo da diventar quasi nuovo: del che gli esprimo la più viva gratitudine.