Capitolo VI

Contro i danni dell'Istruzione.—Educazione.—Riformatorii ecc.

È certo che tutte le vecchie esagerazioni sull’influenza benefica dell’istruzione sono svanite: ma pure siccome una non iscarsa essa ne esercita specie sull’indole meno feroce dei reati la non deve porsi in non cale, nè d’altronde si potrebbe: poichè i congegni della civiltà per sè stessi ci s’impongono non solo, ma, anche nostro malgrado, procedono avanti. A questo, ad ogni modo, dobbiamo provvedere che l’istruzione non aumenti l’abilità criminosa nei reati nè fornisca così, come ora accade, ai rei, nuove occasioni e mezzi a delinquere.

Scuole.—Prima d’ogni altro si devono sopprimere le scuole carcerarie che abbiamo visto (p. 133) favorirvi le recidive e somministrare a spese degli onesti nuove armi pel crimine.

Viceversa cerchiamo estendere al massimo numero di individui onesti l’istruzione, perchè vedemmo che dove essa è più diffusa, corregge i proprii danni (v. s.).

Cogli esercizi ginnastici, marcie e danze all’aria aperta[1], irrobustendo e distraendo piacevolmente i corpi, preveniamo le tendenze all’accidia, alla precoce od abnorme lascivia, più che con ogni precetto; quest’ultima anche col scegliere maestri fra donne ed uomini maritati e sopprimendo collegi, conventi e frati.

E quando nelle scuole elementari s’infiltra un criminale-nato, si deve sequestrarlo da questo e impedirgli un’istruzione che sarebbe dannosa a lui ed alla società e iniziarne per lui una speciale che assecondando alcune sue tendenze lo rendano meno nocivo: indirizzandolo, p. es., allo sport, alla marina, alla caccia, in mestieri che ne soddisfino le prave passioni, quali la macelleria per i sanguinari, lo stato militare, che è spesso una macelleria ufficiale, o il circo per gli atletici, sviluppando in questo senso la sua vanità; esso deve essere educato in modo di apprendere appena quanto possa essere utile a vivere, senza perfezionarsi nelle arti che potrebbero esserci pericolose; ricordiamo come molti rei-nati (pag. 134) ebbero a confessarci quanto l’istruzione giovò loro, o quanto avrebbe potuto loro giovare nel male, e tanto più ora nelle nostre condizioni politiche per cui i criminali-nati istrutti hanno più facile accesso al potere che non gli onesti, grazie alla corruzione, alla violenza, all’intrigo, alla truffa che tanto vi influiscono. Quanto sangue e quante sventure non sarebbonsi risparmiate all’Italia e alla Francia se Napoleone, Boulanger, Crispi fossero stati analfabeti.

Nè devonsi dimenticare i tentativi di cura: dopo la suggestione morale dovrà tentarsi la ipnotica, che in quella età ha il massimo dei successi; e, siccome la base delle tendenze criminose è sempre l’epilessia, dovrà usarsi la cura interna che si usa per questa: bromuro, cocculus, specie se vi è vertigine, e le cure dell’omeopatia che pare abbiano ottenuto qualcosa, in alcuni casi, per es. cuprum metallicum negli accessi notturni e periodici con predominio di spasmi tonici e quando l’accesso è preceduto da aura ben distinta; plumbum, con residui fenomeni paralitici e accessi di lunga durata che si vanno accorciando, color terreo della cute, aura ben distinta, cefalea frontale, coliche; belladonna, nei casi recenti con spiccata iperemia cerebrale; opium, accessi notturni degli epilettici; secala se gli accessi incolgono spesso e si succedono l’un l’altro; nux vomica alla 200 nei figli di alcoolisti; phosphorus e cantharis nelle tendenze oscene; rana bufo, o phosphorus acidum e digitalis sugli onanisti, silicea, calcarea: sulphur negli scrofolosi.

Nella tendenza al furto si consiglia pulsatilla e sulphur; nelle tendenze all’omicidio, belladonna, mercurium, nux vomica, agaricus, opium, anacardium; nelle tendenze sessuali hyosquiamo phosph. veratr. e cimicifuga.

La misura capitale dell’isolamento preventivo dei criminali, è resa immensamente più facile, ora, dalle conoscenze di antropologia criminale: poichè i caratteri fisionomici e craniologici uniti ai biologici e agli eccessi nelle tendenze al mal fare rendono più facile anche nelle mani del maestro il distinguere la criminalità sempre più progrediente e incurabile del reo-nato da quella temporaria e quasi generale del fanciullo (Vedi Vol. I, cap. II e III).

Dal primo studio che sia stato fatto in proposito in Italia (Studi antropologici in servizio alla pedagogia, Vitale Vitali, 1896) appare che su 333 scolari esaminati 43, ossia il 13% aveva anomalie craniane gravi. Ora di questi anomali 44% erano poco disciplinati o indisciplinati; mentre degli altri giovani a cranio normale solo il 24%, quasi la metà, era poco o nulla disciplinato. Dei primi: il 23% aveva poca intelligenza od ottusa e il 27% inerte; dei secondi: l’11% intelligenza ottusa e il 10% inerte, mancando di ogni profitto 2% di questi e il 9% degli altri.

Dei 43 anomali 8 si lagnavano di dolori e calore alla testa, di incapacità a persistere nel lavoro, e 12 avevano impulsività colleriche e impossibilità di contenersi: 6 avevano mancanza di senso morale, insistendo senza alcuna ripugnanza a commettere gravi infrazioni.[2]

L’isolamento, in tali casi (4%), mentre servirà a tentare un salvamento con metodi nuovi di cura e di pedagogia del reo nato nella sola epoca in cui è possibile, impedirà certo il suo perfezionamento nel male, e quello che più importa, il suo pernicioso contatto cogli altri: impedirà che da un pomo congenitamente malato si guastano centinaia di sani.

Nè questa idea che ho creduta nuova per quanto capitale[3] nella cura del delitto, è poi nuova nelle sue applicazioni.

Nell’Inghilterra quando un ragazzo o manca alla scuola, o vi si conduce male, in seguito a un regolare giudizio, è chiuso nella scuola dei refrattari—trouant’s schools.

Benchè l’abito non faccia il monaco, si procura di dargli immediatamente, dalla testa ai piedi, la sensazione di una nuova vita; perciò è pettinato, o meglio rasato, lavato, disinfettato e rivestito di panni puliti. Viene poi collocato in una squadra ed obbligato al silenzio tutta la settimana salvo la domenica, e a tutti i servigi interni e ai lavori di sartoria e calzoleria, che si alternano con ginnastica e esercizi militari. I piccoli reclusi sanno che da loro stessi dipende il riconquistare la libertà in un tempo più o meno lungo, poichè possono restare nella scuola dagli 8 a 14 anni. Generalmente, e per la prima volta, questa scuola forzata non dura più di 8 settimane: trascorso questo tempo, il fanciullo vien rilasciato con l’ammonizione di frequentare le scuole ordinarie. Di questi liberati o licenziati, il 25 o il 30% mancherà alla promessa e si farà rinchiudere un’altra volta, per quattro mesi e, quando ci ricaschi una terza volta, per sei. Finalmente, se è necessario un trattamento morale più prolungato, vengono mandati in una Scuola Industriale, od in una Scuola di riforma.

Si noti: che lungi dagli accumuli informi che si fauno da noi, nei riformatorii, essi si dividono in piccoli gruppi: si separano i viziosi dai criminali e dai semplici rei occasionali; scemandovi almeno in parte quei danni che sempre provoca l’accumulo in questi istituti, e per cui è preferibile quanto più si può spedirli in baliatico nelle famiglie.

Aggiungo che se codesti istituti qualche volta riuscirono, è anche perchè abituano il giovinetto a un qualche lavoro continuato, sia pur leggero, ma ritmico, regolare, da cui rifugge ordinariamente il criminale-nato, che quindi, se è tale, vi si ribella e così meglio ci permette selezionarlo dagli altri.

Io credo che per quanto mal organizzate, in questo senso, giovano le nostre scuole perchè col lavoro continuo facilitano il passaggio di quella che noi chiamiano subcriminalità fisiologico-infantile alla onestà fisiologica ed additano invece i non adatti, i veri rei-nati. Certo è per questo che le così inutili scuole arabe, chinesi, tibetane che si risolvono in teologie metafisiche o esercitazioni automatiche, pur riuscirono utili alla morale.

Ma perchè la scuola riesca utile, non più negativamente, ma attivamente, bisogna mutare la base della nostra educazione, la quale coll’ammirazione della bellezza e della forza vi mena all’ozio, alla indisciplinatezza e alla violenza.

Noi dobbiamo porre quindi in prima linea le scuole speciali pei lavori agrari, e nelle altre scuole tutte dare il primo posto al lavoro manuale, che sostituisce qualcosa di pratico, di esatto ai miraggi nebulosi dell’antico: e questo unito a fortissime tasse universitarie ci salverebbe da quel diluvio di spostati[4], che noi colle nuove facilitazioni universitarie aumentiamo ogni giorno.

«Finora la scuola (scrive Sergi) ha discusso come si debba insegnare l’alfabeto e come si debba insegnare a scrivere più presto, come si debba sviluppare la mente, seguendo questo o quel metodo, quali materie valgano per gli studi di preparazione o di coltura; ma non ci dà alcun indizio per dirigere i sentimenti nostri e le nostre tendenze, se togli il catechismo nelle scuole infantili.

«L’educazione è come l’igiene per la conservazione della salute: chi deve presiedere all’igiene, darne i precetti, curare, dovrà conoscere le funzioni sane e le alterate, e che cosa possa alterarle e come guarentirle dalle alterazioni.

«Così l’educatore; egli dovrebbe conoscere la natura dell’animo umano, come opera e agisce individualmente e nella società; dovrebbe sapere quali cause organiche possano alterare le manifestazioni, e quali cause esterne e sociali possano far deviare le funzioni normali. I nostri educatori non sono istruiti a questo scopo, ed entrano nelle scuole per istruire ed educare i nostri figliuoli, senza alcun concetto determinato del fine difficile che devono conseguire. Ogni piccolo essere umano che va a scuola, è un problema a varie incognite, e pure si considera come un problema risoluto!

«Invece di aumentare il numero delle scuole classiche, riducetele al minimo numero, e trasformate tutte le altre in iscuole per comercio, arti e mestieri, in iscuole professionali, in iscuole pratiche secondo le esigenze della vita moderna; e dentro vi metterete la scuola per la mente, la scuola pel carattere, la scuola per la vita giornaliera: colà inculcherete l’abito al lavoro, che per sè medesimo è educazione efficacissima.

«Quando vi saranno scuole numerossime di arti e mestieri, il lavoro manuale sarà nobilitato, mentre oggi comunemente chi vuol apprendere un mestiere, bisogna vada a servire presso un capo d’arte, e imparerà soltanto per pratica e più o meno male.

«E capitalissimo scopo di ogni scuola sia l’educazione del carattere, da cui tutta la condotta umana dipende; fortificarlo ove trovasi vacillante, crearlo ove ancora non esiste, dirigerlo ove manca la guida. Se non si ottiene l’educazione del carattere, non si otterrà nulla da ogni scuola e da ogni istituzione».[5]

Educazione in famiglia.—Ma qui assai più del maestro può la famiglia. Nelle fiere e nei mercati—osserva Galton—»il contadino sagace che vuol comprare un vitello giovane non si lascia abbindolare da ciarle di sensali o di venditori; esamina e antivede da sè la riuscita che la bestia farà e la mette a prezzo in ragione dei benefizi che gli si attende. Ma della riuscita dei nostri giovani noi ne sappiamo assai meno. Nessuno si è curato mai di conoscere il rapporto fra i successi della scuola, coi successi e gl’insuccessi della vita, nessuno ha mai investigate le relazioni fra le energie fisiche, etniche, tipiche di un giovane colle contingenze e gli accidenti inattesi della vita del futuro cittadino.[6]

A questo giova, più di tutto, l’occhio della famiglia che invece da noi crede potersi scaricare sulla scuola per le cure educatrici, mentre invece il maestro, che del resto non vi potrebbe riescire stante il gran numero di soggetti che ha alle mani, crede se ne incarichi la famiglia restando così inerti amendue nell’obbiettivo che più previene il delitto.

Il pubblico delle famiglie ignora che nella integrale che ci darà lo stato e la destinazione del figlio, la vocazione e le attitudini entrano come esponente, e la spreparazione intellettuale come coefficiente: la famiglia ignora che per ottenere la integrazione occorre unione e continuità di forze, non esclusa, ma anzi contata, come potentissima, quella che dovrebbero arrecare volenterosi e solleciti i genitori.

«Con un liceo in città o nel paese vicino, con qualche sacrifizio pei tre anni d’università si garantiscono dal lavoro materiale i lombi dell’onesto borghese, come quelli del patrizio, e una bella posizione è assicurata, poco importa se in questa o in quella carriera, nella magistratura o nel giuoco del lotto» (Idea liberale, 1896).

«Interrogate le mogli loro perchè non abbiano avviato nessuno dei figli ad un’arte manuale, e vi risponderanno con una certa espressione di dignità offesa: Ma e perchè paghiamo tante tasse e abbiamo le scuole, allora?…» (Id.).

Dire a quelle buone mamme che i Della Robbia e Palissy erano vasai; che Vatel faceva il cuoco, Cellini l’orafo, Donatello l’intagliatore in legno, Garibaldi il marinaio; dirle che un popolo di camerieri e di garzoni di bottega trova onorato pane e fortuna in tutte le parti del mondo purchè sobrio ed onesto; che un popolo di mercanti lanaioli dette alle arti il Rinascimento e imprestava denari ai re di Inghilterra; tutte queste argomentazioni approderebbero a poco con quelle buone mamme e con quei bravi babbi. E una volta sbagliate le premesse, si va diritto alle conseguenze che sono il pullulare di tanti spostati.

Eppure ci vorrebbe così poco per riescirvi. «I figli di una donna colta, scrive Garofalo[7], e secondo i casi, affettuosa o severa, sono abituati a spiare nell’occhio di lei l’approvazione e il biasimo di ogni loro azione. Quale pena può per loro essere maggiore del rimprovero addolorato che farà la madre al bambino che le mentiva, che ha fatto del male a un coetaneo? Quel bambino, di mese in mese, di anno in anno, acquista così ciò che potrebbe dirsi l’istinto negativo della falsità, del furto, della crudeltà; una ripugnanza organica, una avversione fisiologica, per cui il delitto non sarà per lui possibile. Ecco allora risoluto il problema educativo.

L’antropologia criminale ci apprese (Vedi Vol. I) che, vista la temporaria criminalità comune ai bimbi, non conviene troppo spaventarsi (nè chieder quindi repressioni dure e severe) degli atti criminosi dei fanciulli, quando non siano eccessivamente ripetuti e quando non s’accompagnino ai caratteri antropologici della criminalità.

L’evoluzione verso il bene ha luogo in ogni modo nell’uomo sano—come la trasformazione delle forme inferiori nel feto man mano che diventa infante—; solo la cattiva educazione se stimola attivamente gli istinti malvagi che sono in pieno slancio nell’infanzia, può fare in guisa che, invece di mutarsi e’ diventino abituali; Spencer c’insegna anche nel suo mirabile libro Sull’educazione che altrettanto male fa un’educazione troppo severa, la quale irriti il fanciullo e non lo convinca dei suoi torti, un’educazione che non segua, cioè, l’istinto naturale del fanciullo, che voglia ottenerne più di quanto esso possa dare, che dimentichi l’immensa influenza della simpatia, per cui anche noi adulti proviamo assai più dolore di aver offeso una persona simpatica che con una antipatica: ciò ci dà modo di ridurre le correzioni a forme mitissime eppure più efficaci, perchè consone alla sua indole: per es., quando un bambino abbia sciupato un oggetto caro, dobbiamo comperarglielo a sue spese, diminuendogli una leccornia, o quando abbia disordinato la casa coi proprii balocchi, farglieli rassettare, il che gli mostra, nel medesimo tempo, le conseguenze del suo fallo; lasciarlo perciò anche incontrare lievi graffiature, scottature, ma avvisandonelo prima; e quando non obbedisca ai nostri ordini, punirlo col dimostrargli minore simpatia, ma non trascendere in ira: poichè un’ira anche breve è sempre nociva tanto al padre quanto al figlio: nel padre perchè in fondo è un resto di vendetta, e nel figlio perchè considerata come tale fa nascere una reazione dannosa; mentre occorre che il giovane si corregga piuttosto naturalmente da sè che non costrettovi dalla violenza del correttore. Si impedisca piuttosto che favorire, come dai più si fa, nel fanciullo l’associazione d’idee costante fra le azioni malvagie e le punizioni, per cui, cessato il freno del maestro e dei genitori, essi non hanno più paura a commetterle. Causa questa per cui spesso i figli delle persone troppo rigide nei costumi, giunti all’età adulta e fatti liberi, commettono maggiori mancanze e finanche delitti dei figli dei genitori men severi.

Psicologia applicata ai riformatori.—Queste ragioni doppiamente servono quando si tratti del criminale minorenne, così facile all’ira, alla vendetta, a prendere anche ingiustamente in mala parte le correzioni: esso è già crudele per sè, lo diventa di più naturalmente nelle case di correzione per l’imitazione degli altri, per la gloria del fare il male e per la reazione molte volte giusta alle punizioni, le quali se spesso sono in rapporto col bisogno di far andare correttamente un grande stabilimento, non lo sono però colla gravità dell’azione commessa, nè coll’età di chi la commette.

E poi come si può destare nel fanciullo simpatia verso il correttore quando questo non può avere che fugaci rapporti con esso, e il più spesso, anzi, solo in occasione di infliggergli pene? E come può egli tenerlo d’occhio giorno per giorno, in modo da mutarne le abitudini, quando si tratta di centinaia d’individui che appena vede fugacemente? E poi, come evitare quel pericolo massimo che sorgano nuove occasioni che conducano al male, quando il contatto con tanta gente cattiva, gloriosa della propria malvagità, ne farebbe destare dei nuovi anche ad un onesto, e ciò nell’età in cui sorgono e vegetano rigogliose di più queste idee?[8]

Si ha un bel suggerire nei Riformatori delle suddivisioni nuove: ma è già molto se si attuano quelle per età e per la causa del ricovero. Chi è che si sogna di dividere dagli altri, e all’uopo isolare almeno fuori delle ore di lavoro, i masturbatori? gli irosi impulsivi? i psicopatici sessuali? i ladri? i tormentatori d’animali? E anche volendolo, come lo potrebbero, se quasi tutti, anzi tutti, qualche prava speciale tendenza l’hanno, senza di che non sarebbero stati ricoverati?

Eppure qui sta uno dei punti più salienti del problema.

Un naturalista collocò in un acquario, divisi fra loro da un vetro, dei carpi e dei piccoli pesci che essi erano soliti mangiare; sulle prime si gettavano sul vetro per abboccarli, ma dopo, visti inutili i [406]tentativi, cessarono. E dopo anche tolto il vetro, convissero senza attaccarli più. È l’abitudine che li fece divenire innocui se non innocenti. Così il cane coll’abitudine e coll’educazione finisce a non rubare.

È con questo metodo che si devono curare i criminali-nati, e non solo coi bagni e la ginnastica, e, peggio, colle punizioni feroci, che nulla possono sulle abitudini morali.

Quando si voglia far di istituti correzionali un luogo di cura, cosa difficile se non impossibile, dobbiamo lasciare da banda l’istruzione alfabetica, che riesce quasi sempre dannosa perchè facilita ai rei i mezzi di comunicazione, cui il reclusorio dovrebbe troncare, e fornisce nuove armi al delitto; al più si deve impartirla, al pari della ginnastica e come alcuni lavori obbligatorii senza scopo, per sviluppare quell’energia del corpo e della mente che manca quasi sempre in costoro, in cui suprema tendenza[9] è l’accidia; ben più ci conviene invece innestare in essi le cognizioni pratiche sui mestieri utili, sulla merciologia, sull’agraria, la fisica applicata, come si fa, per esempio, in Svizzera. A queste si alterneranno nozioni di disegno, di colorito. Ma più ancora della mente dobbiamo educare il sentimento; e qui bisogna ricordarsi che, come ben dice Sollohub, la virtù non si fabbrica artificialmente; che si ottiene molto più basandosi sugl’interessi e le passioni degli uomini che sulla loro logica; che l’uomo si può spogliare dell’esistenza ma non delle passioni; che tutti, anche i tristi, hanno bisogno di avere nella vita un interesse, uno scopo; ch’essi possono essere insensibili alle minacce, alle paure ed anche ai fisici dolori, ma non alla vanità, al bisogno di distinguersi sugli altri e più che tutto alla lusinga della liberazione; sono inutili, quindi, le prediche o le lezioni di astratta morale, bisogna invece interessarli nel bene, o con vantaggi materiali come la diminuzione graduale delle pene; o col far leva sulla vanità loro. Quindi i bei risultati che si ottennero coll’istituire una specie di decorazioni e coi punti di premio o di biasimo inscritti sull’album; col passaggio, a seconda dei meriti, in categorie privilegiate, che hanno, p. es., il permesso di portare barba od i comuni vestiti, di adornare la cella con piante o pitture; di ricevere visite, di lavorare a proprio vantaggio o della famiglia, in fino a quello, sospiratissimo, della temporaria libertà.[10]

Ottenere la libertà è il sogno, la preoccupazione continua di costoro. Quando vedano una strada aperta, più sicura e possibile dell’evasione, vi si gettano subito; faranno il bene, solo per ottenerla, ma intanto lo faranno; e siccome i moti ripetuti diventano una seconda natura, potrebbe esser che vi si abituassero. Perciò, quindi, bisogna abolire il diritto di grazia che dà lusinga di ottenere l’uscita, non per i meriti propri, ma pei favori degli altri.[11]

E bisogna (dice assai bene Despine) rilevare i rei ai loro propri occhi, far loro comprendere che possono riacquistare la stima del mondo, inspirare il bisogno di diventare onesti col mezzo di quelle stesse passioni, che se fossero lasciati a loro stessi li farebbero diventare peggiori. Despine, Elam, De Metz, Moutesinos, Brockway[12] calcolavano tanto sull’influenza del loro punto d’onore, da lasciarli quasi liberi al lavoro sulla parola, ed uomini feroci, cui 20 guardiani appena avrebbero bastato a frenare, non sognarono pur di fuggire o al caso ne furono impediti dai compagni.

Ferrus racconta come un ladro diventasse galantuomo, vedendosi affidata la guardaroba, a bella posta, dalla suora delle carceri.—Un condannato, ozioso, era insopportabile per l’eccessiva violenza; gli si dette la sorveglianza di un gruppo di condannati e divenne il più docile di tutti.

Un giorno un detenuto di Citeaux, condannato coi compagni a vuotare dei cessi, gettò la vanga imprecando contro il direttore Alberto Rey; questi, senza far motto, prese lo strumento e si mise a lavorare in sua vece; lo sciagurato, colpito da questa nobile lezione di morale applicata, riassunse, commosso, il lavoro e vi permase. [408]Questi esempi ci mostrano ancor meglio la via, con cui noi possiamo curare ed educare costoro, cioè col fatto più che colla parola, colla morale in azione più che colla dottrina teorica.

Una disciplina energica, certo, è necessaria con essi, come in tutte o più che in tutte le comunioni d’uomini, tanto più che i castighi troppo tenui facendo minor effetto, si devono replicare e portano più danno dei pochi, ma energici, onde Auburn che conserva la frusta ha minor mortalità di Filadelfia che l’aboliva; ma l’esagerazione della forza, del vigore è forse più perniciosa che utile; il rigore li piega, non li corregge, li irrita e ne fa degli ipocriti.

Anche adulti i rei devonsi considerare come fanciulli[13], come malati morali, che si curano con dolcezza e con severità, ma più colla prima che colla seconda, perchè lo spirito vendicativo, la facile reagibilità fa loro credere ingiuste torture anche le più lievi punizioni, quindi anche il troppo rigore nel mantenere il silenzio si trovò riescire dannoso alla stessa morale.—Un vecchio detenuto diceva a Despine: «Quando ella chiudeva un occhio sulle nostre mancanze, si parlava di più, ma quasi sempre senza venir meno alla morale: ora si parla poco, ma si bestemmia e si cospira».

In Danimarca, quando si usava nelle carceri il massimo rigore, si contava un 30% di mancanze, ora, con leggi più miti, le infrazioni disciplinari discesero al 6%.

E giova accoppiare il sentimento della vanità a quello della giustizia, che come abbiam veduto (Vol. I) è in essi assai vivo quando non sia soffocato dalle men nobili passioni, con che si ottiene di mantenere la disciplina e raddoppiare il lavoro, e ciò: facendo giudici i detenuti delle mancanze dei compagni, dividendoli in piccoli gruppi (come usa Obermayer) che eleggono fra loro i propri sorveglianti e maestri, destandosi, così, uno spirito buono di cameratismo, e rendendosi possibile una dettagliata, individuale istruzione, la sola veramente proficua. Détroit, in America, diede il maggior numero di istrutti, perchè i 385 reclusi vi sono divisi in ventuna classi con 28 maestri, tutti, meno uno, condannati, notandovisi che i peggiori condannati sono i migliori maestri (Pears, Prisons and Reform, 1872) sicchè fino nei peggiori si può trovare uno strumento di miglioramento per gli altri.

Buono pure era il metodo di Despine di non infliggere punizioni se non dopo trascorso alcun tempo dalla commessa mancanza, per non mostrare di ispirarsi al bollore dell’ira; appena constatato il reato il detenuto era condotto al gabinetto di meditazione, e solo dopo un’ora entravano il maestro ed il direttore a mostrargli la pena portata dal regolamento; molte volte si trovò utile infliggere una pena ed un biasimo a tutto il gruppo di cui il colpevole formava parte; così usava, p. es., con vantaggio Obermayer.

Il lavoro deve essere la molla, il passatempo e lo scopo di ogni stabilimento carcerario, per suscitare l’assopita energia, per abituare ad una occupazione fruttuosa dopo la liberazione, come stromento di disciplina carceraria, e anche per risarcire lo Stato delle spese incontrate per loro[14]: ma siccome questo ultimo non deve essere l’unico scopo da raggiungere, non tutti i lavori più lucrosi possono attuarsi; noi dobbiamo, per le ragioni che sopra toccammo, evitare i lavori di ferraio, ottonaio, calcografo, fotografo, calligrafo, che preparerebbero le vie ad altri delitti. Dobbiamo preferire i lavori agricoli i quali ci diedero il minino delle mortalità nelle nostre statistiche e permettono ai dimessi un facile collocamento; quindi i lavori in paglia, sparto e cordame, in tipografia, in sartoria, in terra cotta, in pietra dura, e, solo da ultimo, i lavori di calzoleria, ebanista e falegname, pei quali si esigono ordigni che possono riuscire pericolosi. E sarà meglio scegliere, a preferenza, quei lavori in cui s’adoperino strumenti da taglio, commessi come nell’officina di castagne d’India della casa penale di Milano, solidamente ad ingranaggi non amovibili, ma meglio ancora i lavori che non esigono stromenti atti a ferire; e devo a questo proposito molta lode al cav. Costa pell’introdotta lavorazione delle scatole di zolfini, nelle torinesi carceri cellulari, che rende 36.000 lire all’anno allo Stato e dà un compenso che va da 15 a 75 centesimi all’operaio. A Noto si introdusse nelle case di pena il lavoro di corbe d’erba (tipha fluv.), che fu premiato più volte.

Ad ogni modo il lavoro deve essere proporzionato alle forze ed agli istinti del condannato, il quale se gracile e dapprima affatto ignaro, ha raggiunto il massimo degli sforzi, deve trovare un premio proporzionato, se non in moneta, almeno in diminuzione di pena, a quello che compensa i più forti e i più abili; gli è perciò che io credo doversi cancellare dall’organismo carcerario quel triste personaggio dell’impresaro, il quale naturalmente cerca proteggere solo i più abili, senza badare punto alla moralità, e che pure dispone in alcuni paesi perfino della grazia dei rei.

L’amore al lavoro conviene diffonderlo fra costoro, facendolo apparire come premio alla buona condotta, e sollievo alla noia del carcere: quindi non conviene imporlo sulle prime, ma lasciarlo chiedere, desiderare (Crofton), facendolo precedere da una più o meno lunga ed indeterminata detenzione cellulare. Perchè il lavoro riesca proficuo, e perchè si possa stabilire quello spirito di cameratismo e di emulazione su cui si fonda tanta parte della cura, passati i primi tempi, il sistema cellulare deve temperarsi, lasciando gli individui, nel giorno, insieme, divisi in piccoli gruppi a seconda delle necessità tecniche e delle condizioni del locale. Non bisogna però mai che il lavoro sia un pretesto od una causa a eccessivi vantaggi, in genere, peggio se individuali; Mareska attribuisce molte recidive ai privilegi concessi a certi scrivanelli del carcere (condannati scrivani); egli sentì uno di questi dire ad un nuovo venuto: «Sciocco, con un po’ di scarabocchi, qui si sta meglio che fuori» (Des progrès de la Réforme, 1838, III), parole che ci ricordano i versi dei carcerati siciliani (vedi Vol. I) e che ci spiegano il fatto ammesso da molti direttori di carcere, che i peggiori birbi sono i più docili nelle carceri ed apparentemente i più ravveduti!

Don Bosco[15] ci ha tracciato una pratica psicologica per l’educazione dei piccoli discoli. «La categoria dei più è di coloro che hanno carattere ed indole ordinaria, ma volubile e proclive all’indifferenza; essi hanno bisogno di brevi ma frequenti raccomandazioni, avvisi e consigli, bisogna incoraggiarli al lavoro, anche con piccoli premi e dimostrando d’averne grande fiducia, senza trascurarne la sorveglianza. Ma gli sforzi e le sollecitudini devono essere in modo speciale rivolti alla categoria dei discepoli discoli. Il numero di costoro si può calcolare 1 su 15 ricoverati; il superiore si adoperi per conoscerli, s’informi della loro passata maniera di vivere, si mostri loro amico, li lasci parlare molto, ma egli parli poco e i suoi discorsi siano brevi esempi, massime, episodi e simili; e non li perda mai di vista, senza lasciar travedere diffidenza: nè trascuri qualche volta di cattivare i giovani con qualche colazione e con passeggiate. Il vizio che più si deve temere è la lubricità(?!); se un giovine vi si ostina, espellasi».

«… I maestri e gli assistenti, quando giungono tra i loro allievi, portino immediatamente l’occhio sopra i più discoli: accorgendosi che taluno sia assente lo faccia tosto cercare colla apparenza di avergli che dire o raccomandare. Qualora si dovessero biasimare non si faccia mai in presenza dei compagni. Si può nulladimeno approfittare di fatti, di episodii avvenuti ad altri per tirarne lode o biasimo, che vada a cadere sopra essi.

«… Il sistema repressivo potrà impedire disordini, ma difficilmente farà migliori gli animi. I giovani dimenticano facilmente le punizioni dei genitori, difficilmente quelle degli educatori. Il sistema repressivo è poco faticoso, e può giovare nella milizia e in generale tra persone adulte ed assennate; ma migliore qui è il sistema preventivo. Esso consiste nel far conoscere le prescrizioni e i regolamenti di un istituto, e poi sorvegliarlo in guisa che gli allievi abbiano sempre sopra loro l’occhio del Direttore e degli assistenti, che come padri amorosi li guidino ad ogni evento, li consiglino e ne prevengano le mancanze.

«I giovanetti non tengano oggetti di valore nè danaro impedendosi così il furto e i contratti, a cui hanno un grande tendenza essendo dei commercianti-nati.

«Anche si proibisca loro di mettersi le mani addosso; ed i più ribelli perdono quest’abitudine dopo qualche mese di ricovero.

«Questo sistema si appoggia tutto sopra la ragione, la religione e l’amorevolezza; ed esclude ogni castigo violento. Presso ai giovinetti, castigo è quello che si fa servire per tale ed uno sguardo non amorevole produce maggior effetto che non farebbe uno schiaffo. L’allievo non resta avvilito per le mancanze commesse, come avviene quando esse vengono deferite al Superiore; non s’adira per la correzione fatta o pel castigo minacciatogli, perchè trova sempre una parola amichevole che lo persuade.

«Bisogna ricordare, per comprenderne i vantaggi, la grande mobilità del giovane, che in un momento dimentica le regole disciplinari e i castighi che quelle minacciano: perciò spesso un fanciullo si fa trasgressore di una regola e meritevole di una pena, alle quali nell’istante dell’azione punto non badava, ed avrebbe per certo diversamente operato, se una voce amica l’avesse ammonito».

Oltre altre pratiche religiose, D. Bosco poneva particolare attenzione ai seguenti punti: «Il direttore non si assuma impegni che lo distraggano dal suo uffizio; i maestri e gli assistenti siano di moralità conosciuta; evitino le amicizie particolari cogli allievi. Si faccia in modo che gli allievi non siano mai soli. Si dia ampia facoltà di correre, saltare, schiamazzare a piacimento. La ginnastica, la musica vocale ed istrumentale, la declamazione, il teatrino, le passeggiate, sono mezzi efficacissimi per ottenere la disciplina, giovare alla moralità e alla sanità. Si badi soltanto che sia ben scelta la materia del trattenimento, ed oneste le persone che v’intervengono. La scelta d’un buon portinaio è un tesoro per una casa d’educazione. Ogni sera, prima che gli allievi vadano a riposo, il Direttore indirizzi alcune parole affettuose in pubblico, dando qualche avviso o consiglio intorno a cose da farsi o da evitarsi; studii di ricavare le massime da fatti avvenuti in giornata nell’Istituto o fuori; ma il suo discorso non oltrepassi i cinque minuti.

«Con questo sistema, secondo D. Bosco, qualunque sia il carattere, l’indole, lo stato morale di un giovanetto all’epoca della sua accettazione i parenti possono vivere sicuri che il loro figlio non potrà peggiorare, e si può dire che si otterrà sempre qualche miglioramento»; perciò quando venne offerta a D. Bosco la direzione di Riformatorii correzionali, dichiarò di non poterle accettare che ai patti di: 1º Togliere l’infamia agli istituti, in modo da considerarli non come case di pena ma di educazione; 2º Lasciargli completa libertà di disciplina, in modo da abolire i mezzi repressivi per adottare i preventivi; 3º Lasciargli facoltà di ricevere giovani di buoni costumi, espressamente per togliere all’istituto il disonore. Ma a questi patti i governi ciechi sempre, e più in Italia, non vollero assogettarsi.

Associazioni infantili.—Si sorveglieranno, colla massima cura, tutti i centri scolastici e le associazioni giovanili, impedendo, con che si trasformino in centri criminosi, anzi impedendole anche prima che diventino tali perchè son tali in germe.

Fra le associazioni, quelle che meno sembrano temibili, e che più energicamente, invece, si devono tutelare, anzi sopprimere, sono le infantili, piazzaiuole, delle grandi città.—»I ragazzi che fanno il male (diceva un maestro a Joly) non sono mai soli; e quando sono insieme nol sono mai per iscopi onesti» (Joly, Le combat ecc., pag. 127).

«Quando qualche ragazzo, aggiunge, si mette male, vi influisce la troppa amicizia d’un altro; anche se non cattivo e’ gli farà delle cattive confidenze, e peggio naturalmente se sarà cattivo.—Hanno inclinazione a far delle masnade, che hanno tutti i caratteri delle criminose, per es., usano una specie di gergo» (Id.).

E noi già nel volume II, e poi qui nell’Eziologia, abbiamo veduto come gli uomini pur che s’associno perdono in onestà—anche se senatori, deputati e accademici—; naturalmente assai più ciò deve accadere nell’epoca in cui fisiologicamente son disonesti (Vol. I).

Noi, dice Spagliardi, possiamo asserire[16], che una buona parte dei giovanetti vagabondi ed oziosi lo sono non per mancata educazione, non per l’indole perversa, non per la miseria, ma perchè trascinati dal vortice delle associazioni. Quante volte non ci toccò di sentire, continua lo Spagliardi, da oneste famiglie queste strazianti parole: «Finchè il nostro figlio fu nel suo luogo natìo, era un giovinetto docile, promettente; ma poichè ci stabilimmo a Milano, ci perdette l’amore ed il rispetto, e ci spogliò più volte la casa». Un ragazzetto di buona e benestante famiglia, d’anni 8, stette lontano da casa molti giorni, sottraendosi alle più diligenti ricerche; trovato finalmente, mantenne un silenzio da spartano sul luogo del suo nascondiglio. Chi è che produce nei figli di famiglie oneste così strani mutamenti? Chi istruisce, chi procura ad essi i mezzi di vivere indipendenti ed emancipati dalla famiglia? Sono i ritrovi, le combriccole di Piazza Castello, di via Arena, di Porta Magenta. Lo dicono essi medesimi, appena rientrino in sè stessi, con quel tratto ingenuo, così proprio della loro età: finchè stiamo fuori, non possiamo far bene, i compagni ci trascinano; fateci ritirare, e faremo giudizio. Lascio poi che v’immaginiate da voi, di quanto non debba aggravarsi questo pericolo delle associazioni, quando le piccole vittime di tale disordine appartengano alla classe degli orfani, od a quella delle famiglie immorali od incapaci, od impotenti a educare.

«Ora, io dico: se il giovinetto che di questo genere di vita vagabonda si forma un ideale, al primo volo che spiega fuori del nido, trovasse la fame, l’isolamento, la molestia, il controllo, e, direi quasi, una pietosa persecuzione, non preferirebbe la famiglia? e la famiglia, per tal modo, non potrebbe far valere la propria autorità? Vi sono ordinanze severissime per l’igiene pubblica, per la polizia stradale, per prevenire i contagi… ve ne sia una che limiti queste associazioni, che sono una minaccia latente per la società. A rintanarli quando sono fanciulli, basta un sorvegliante municipale; lasciateli fare, ed un qualche giorno resisteranno alle cariche della cavalleria».

Noi dobbiamo curare i minorenni, gli orfani, gli esposti e gli abbandonati da perversi genitori, che formicolano per le vie delle grandi città, e formano, come vedemmo, il semenzaio de’ rei; impedire che essi siano tratti al delitto, e che, una volta cadutivi, vi si affondino sempre più, colla dimora nelle carceri comuni.

Riformatorî.—E qui subito sorge l’idea dei riformatorî, delle case di custodia pei giovani, che ne ricoveravano pochi anni sono: in Francia 7685; in Italia 3770; nel Belgio 1473; in Olanda 161; in America 2400.

Se non che gli studî antecedenti ci hanno dimostrata la ragione della quasi inutilità di tali istituzioni, erette, certo, con animo più benevolo che conscio della natura dell’uomo criminale.

Ogni causa che aumenti i contatti reciproci, moltiplica sempre, anche, la delinquenza; tanto più in quell’età, che, non essendo abbastanza tenera per potersi correggere e modellare, è più espansiva, più incline all’imitazione, e specialmente all’imitazione del male verso cui naturalmente pencola e per le più violente passioni e per la mancata educazione e pel minore criterio. Che sarà se vi s’aggiunga, poi, il distacco da quel preservativo del delitto che è la famiglia? Tali istituti riescono, ad ogni modo, ancor meno vantaggiosi quando la cifra dei ricoverati passa il centinaio (e il non sorpassarlo è inconciliabile con le viste economiche); essi cessanvi, allora, di essere individui, diventano, cioè, come si dice in gergo burocratico, un numero, e non possono anche dal più abile direttore essere sorvegliati ed educati, uno per uno, cosicchè le norme regolamentari più adatte vengono ad infrangersi contro alla materiale impossibilità.

E non parlo teoricamente, parlo dopo averne esaminati parecchi fuori e dentro i riformatorî, che io ammiratore caldissimo di qualcuno di quei veri e santi filantropi che ne sono alla direzione, era disposto ad elogiare senza contrasto.

Ora, se in alcuni dei migliori riformatori ho osservato dei giovanetti con un piglio vivace e sciolto, un’attività non comune al lavoro, una temperata disciplina senza bigotteria, non posso dire altrettanto di molti altri in cui la tranquillità non era che apparente e in cui sotto la vernice di gesuitica mansuetudine covava il vizio peggiore di prima. Anzi, anche nei migliori (a Milano) ho osservato che quando venivano interrogati sulle cause del loro ricovero, tutti mentivano, anche dinanzi al loro direttore, il che mi provava che un vero pentimento, una vera coscienza del mal fatto essi ancora non l’avevano. Più, avendo per maggior sicurezza tenuto dietro ad alcuni di essi dopo l’uscita dal ricovero, e interrogatili in proposito, ne ebbi risposte ed autobiografie che mi provarono come anche nei migliori stabilimenti serpeggino i vizi più infami; pederastia, furto, camorra, precisamente come nei bagni, tanto da mettere ribrezzo a coloro, tutt’altro che virtuosi, che me ne parlavano e che mi diedero più tardi prova, pur troppo esatta, dei funesti effetti del riformatorio, essendo in brevissimo tempo recidivati nel crimine, come potrà convincersi chi consulterà una serie di dialoghi ed autobiografie poste in fine della 2ª ediz. dell’Uomo delinquente, 1878.

Io so di riformatori a G… e a M… dove si usava, impunemente, la pena, cioè dovevano i nuovi entrati prestarsi a masturbare tutti gli adulti che lo desideravano, se no erano battuti; ad Ascoli hanno incendiato lo stabilimento col petrolio: all’Ambrosiana in tre uccisero un buon guardiano, pugnalandolo, senza alcun speciale movente, solo… per uccidere.

Hanno astuzie incredibili: uno portava in un legno incavato, approfittando della sua qualità di falegname, sigari, salame, ecc., che vendeva ai compagni; un altro aveva uno stilo in una scanalatura del pagliericcio. Un altro teneva un marengo d’oro nascosto nella tessera su cui era inciso il suo numero di matricola, dimodochè l’aveva sempre con sè quando mutava di cella, nè senza la sua confessione mai non si sarebbe trovato.

Si è obiettato, giustamente, che una o due deposizioni non provano nulla—che ponno essere quelli casi eccezionali—ma pur troppo nuovi esami, eseguiti insieme col dottore Raseri e avvocato Frisetti-Tancredi alla Generala, tolsero di mezzo anche questa obbiezione.

Noi abbiamo veduto (Vol. I, p. 388) che il tatuaggio ivi sale nelle proporzioni del 40%; indizio gravissimo d’ozio e di immoralità; ma ve n’è un altro, se è possibile peggiore: quello di un gergo speciale. Così la carne è da loro chiamata cucurda o scoss, la minestra boba o galba, l’acqua lussa, i sigari lucertole o busche, il tabacco moro, gangher o fanfaer, i maestri di disciplina tola, l’avvocato lo scuro.

Questo mostra che malo spirito di associazione vi domini. Tutti, infatti, sanno delle molte loro sommosse, specie di quella del 1875, in cui poco mancò non riuscisse ai più coraggiosi di evadere in massa; essa fu organizzata da una combriccola dei giovani più robusti ed astuti dell’istituto, detta Società della corda, perchè essi si servivano a segnale di una cordicella stretta al pugno.

L’8% dei giovani da noi interrogati alla Generala, non dimostrava neppure a parole volontà alcuna di pentirsi dei falli commessi ed erano pure i falli più gravi (ferimento, furto recidivo); essi dicevano che se gli altri loro coetanei avevano denari per divertirsi, anche essi avevano diritto di procurarsene, rubando in casa o fuori; e v’era chi aggiungeva che qualunque delitto fossero per commettere, non compenserebbe mai il male che fu fatto loro soffrire nei riformatori.—Il 3% negava risolutamente il fallo imputato, e l’11% affermava il suo pentimento con tale noncuranza, da mostrare averlo piuttosto sulle labbra che nell’intimo del cuore. Il 5% giungeva sino ad insultare i genitori. Uno di questi, interrogato sulla professione del padre, rispose che era un boia di cancelliere al tribunale, che bisognerebbe impiccare; un altro, parlando di sua madre, disse che era una b…scia, che cercava qualunque via di disfarsi dei figli, per potersi più comodamente abbandonare ai suoi vizi!!

Io ne notai un 10% che rubò prima dei 12 anni, e di questi parecchi eran recidivi per la terza volta.

Ed in che modo provvede il Governo all’emenda di tutti costoro?

Egli vi raccoglie i peggiori respinti dagli altri stabilimenti e li accomuna e mesce coi semplici abbandonati, coi delinquenti adulti in custodia.

Un cappellano, coadiuvato da alcuni giovani più anziani e più istrutti, dovrebbe attendere all’educazione morale ed intellettuale, ma ogni suo sforzo va perduto fra tanta massa di gente. Si negano i giornali per paura che la relazione dei delitti ecciti la loro fantasia già di troppo portata al mal fare, ma in pari tempo anche i libri utili e morali.

La Generala possiede attorno a sè un ampio giardino cintato, coltivato ad ortaglie dai giovani stessi sotto la sorveglianza di alcuni giardinieri. Con ciò si crede di aver provveduto all’educazione agricola, ma pochi ettari di terreno bastano appena al lavoro di alcune diecine, e per pochi mesi dell’anno. Vi ha poi nello stabilimento qualche grande stanzone destinato al lavoro per chi vuole attendere ai vari mestieri, di calzolaio, di falegname, di fabbricante da stuoie. Una ventina circa attende in locale a parte allo studio della musica.

Dappertutto mancano utensili, materiali, e sopratutto buoni istruttori perchè mancano i mezzi per pagarli. Due omicidi adulti sono maestri d’arte a quei giovinetti. E poi quel locale basta appena a contenere un trenta o quaranta giovani, ed anche questo poco è di data affatto recente.[17]

E tutti quegli altri che non hanno alcun lavoro da eseguire? Cosa altro devono fare se non: istruirsi nel vizio, simulare od eseguir furti, tentare pederastie quasi sott’occhio dei guardiani, o nella notte sforzare le già malferme serrature, o inventare nuovi modi di congiure e di complotti, od, al meno male, disegnarsi tatuaggi?

Nè meglio va la bisogna in molti riformatori privati, forse peggio. A Testona i tatuaggi sono in una proporzione doppia che alla Generala: tutti patisconvi l’ozio completo, e, quel che è peggio, letteralmente, la fame, il bastone e la pederastia.

Uno proveniente dal riformatorio di Chi… mi dichiarava che vi si usavano parte per giuoco e parte da senno i ladronecci tra compagni, e chi meglio riusciva era applaudito.

Sette giovani provenienti dal riformatorio di Gen… si lamentavano dei cattivi trattamenti ricevutivi; per futili motivi erano duramente bastonati dai superiori, che incrudelivano particolarmente sui più giovani, e così otto del riformatorio di Mil…, e tre del riformatorio di Bos…

Due provenienti da Crem… dichiararono che il direttore teneva nella propria camera un grosso randello, con cui accompagnava le sue ammonizioni: io stesso potei vedere la cicatrice lasciata da queste crudeli lezioni sul fianco di un giovane che da lì proveniva.

Un ragazzo di 14 anni di Cas… Mag. ci racconta, come per punizione gli si facesse mangiare la minestra in un truogolo coi porci.

Sono, è vero, queste testimonianze sospette, certo esagerate, ma la moltiplicità e concordanza delle asserzioni e le lesioni realmente esistenti, non possono non destare gravi dubbi sul modo con cui sono diretti molti dei così detti riformatori modelli, i riformatori privati.

O non è preferibile perfino l’abbandono ad una correzione di questa fatta?

Nessun vantaggio possibile economico possono dare costoro col lavoro, come s’usa fra noi, prima perchè distruggono tutto, poi perchè quasi tutti a distanza dalle grandi città: infine, non interessati negli utili, non sono sufficientemente zelanti nè abili. Forse svilupperebbero abilità nelle lavorazioni più difficili, precisamente quelle che loro meno si possono affidare.

Se anche con cure assidue si ottiene un miglioramento nei piccoli, esso svanisce quando essi tornano coi grandi; e vi è un regolamento uniforme non solo per tutte le regioni, ma anche per tutte le età; eppure per i bambini ci vorrebbe la direttrice, il pedagogo, per gli altri un vero colonnello; eppure lo sviluppo sessuale in alcune regioni avviene a 2, a 3 anni di differenza.

Sopratutto amano l’ozio, nè si occuperebbero, e non tutti, che di ginnastica e musica.

Anche Joly parla di riformatori e colonie in Francia che paiono paradisi a visitarli, e sono inferni ove la disciplina è inefficace e dura; vi ha una cella di punizione ove i ragazzi devono camminare in elissi per 40 chilometri su mattonato ineguale prima di potersi gettar sul tavolaccio, e dove in 8 o 10 minacciano il guardiano di false denunzie, se non li lascia fare a loro agio (Le Combat contre le crime, pag. 145).

Vi sono, è vero, alcuni rari stabilimenti che hanno a capo uomini straordinari per filantropia e per acume didattico, come il De Metz, il Ducci, il Ray, l’Obermayer, lo Spagliardi, il Martelli, che suppliscono a tutto colla propria persona; ma queste sono le eccezioni su cui lo Stato non deve far calcolo. Il fatto lo prova, lo provano le stesse statistiche che si vorrebbero portare a loro favore. Nel riformatorio modello d’Italia, che è quello di Milano, si conterebbero solo il 10% di recidivi; però si escludono dal calcolo circa un terzo degli usciti, o perchè passati in altri stabilimenti (107), o perchè d’ignota dimora (49), i quali inforsano di molto la cifra, tanto più che passano ad altri stabilimenti, se si deve giudicare da quel che succede alla Generala, non i buoni ma i peggiori. Di più l’indagine si limita solo a tre anni. Chi ci garantisce quello che accadrà più tardi, mentre D’Olivecrona c’insegna che le recidive sono più frequenti dopo il terzo anno dalla dimissione?—Io credo che sotto la mano sapiente di quel direttore, essi hanno perduta la naturale inerzia, ma non le prave tendenze; e ne ho per prova che tutti, meno uno, quelli da me interrogati, dissimulavano i commessi reati, dicendo essere là solo per mancanza di assiduità alla bottega.—E cosa dire delle statistiche degli altri riformatori fatte, tutte, con minore coscienza, da persone certo inferiori pei meriti allo Spagliardi? che se anche fossero vere, non concluderebbero nulla, perchè i riformatori privati tirano a scaricarsi dei cattivi soggetti, mandando gli insubordinati, gli oziosi, ed anche i deboli, ai pubblici riformatori; ora è naturale che esclusi tutti i più tristi, quelli che rimangono dovranno apparire relativamente buoni.

L’Inghilterra ha saputo (come ora vidimo) creare per costoro due specie di stabilimenti ben distinti: le scuole industriali (o, come si direbbe con vocabolo equivalente, professionali) e le scuole di riforma. Le scuole industriali ricevono i fanciulli non ancora stati condannati per alcun reato, ma che potrebbero, per le abitudini contratte, facilmente cadere nel delitto. Le scuole di riforma ricevono i giovani delinquenti condannati o dai magistrati (giudici di pace) o dalla Corte semestrale della contea o dalle assise, ad una pena restrittiva a cui segua il ricovero per 5 anni al massimo in una scuola riconosciuta ed autorizzata e sottoposta all’ispezione. In altre parole, le scuole industriali sono stabilimenti preventivi, le scuole di riforma sono, come l’indica del resto il nome loro, stabilimenti preventivi, repressivi e di educazione ad un tempo, in cui ha luogo un’accurata separazione di fanciulli delinquenti da quelli semplicemente viziosi, e in cui con sollecitudine estrema si evitano gli agglomeri e si dividono poi in piccoli gruppi i ricoverati. Gli effetti di queste misure si spiegano anche in rapporto alla recidiva, che è tanto minore quanto minore è il numero dei condetenuti. Infatti in Francia le colonies publiques che raggiungono quasi sempre i 400, dànno una recidiva superiore dal 4 al 19%, mentre le private di 150 alunni all’11 o 12%; nella Svizzera invece e nel Granducato di Baden, in cui le colonie dei ricoverati non superano mai 60 fanciulli, la recidiva discende al 4% dal 2,50. In Inghilterra la recidiva per i fanciulli usciti dalle scuole industriali è del 4% e per le fanciulle dell’1%.

Tuttavia non io a queste cifre m’acqueto senza i miei forti dubbi.

Tutti ricordano le pompose lodi della colonia di Mettray, la quale era riuscita, secondo le statistiche di pochi anni fa, a ridurre (vedi Despine) i recidivi, dal 75% che erano, al 3,80%: ebbene, pochi anni dopo sentiamo dal M. Du Camp esservi risalita la recidiva al 33,3%, il che egli vorrebbe spiegare per l’avversione dei Parigini alla campagna, che forma altrove la delizia e il sogno dei giovani. Eppure Mettray raggiunge l’ideale di un riformatorio; i ricoverati vi sono divisi in gruppi o famiglie di 16 a 17 che abitano ciascuno una piccola casa con speciali capi e sottocapi.—E come credere ai miracoli del riformatorio cellulare della Roquette, che riduceva anch’esso i recidivi dal 15 al 9% (vedi Biffi, Sui riformatorî dei giovani, 1870), quando vediamo pochi anni dopo una Commissione governativa trovare necessario di sopprimerlo, e gli statisti francesi, mentre fissano al 17% i recidivi dei riformatori pubblici, all’11 quelli dei riformatorî privati, nel 1866-67-68 confessano che la metà degli usciti era mal notata! (Bertrand, Essai sur l’intempérance, 1875, p. 195).

Confrontando, nella eccellentissima Statistique internationale pénitentiaire (Rome, 1875, 1), la cifra dei ricoverati nei riformatorî con quella degli arrestati o condannati, si vede che non vi passa alcun rapporto preciso: l’Italia, tanto più indietro della Sassonia, ha una cifra d’arrestati minore; essa, che ha nei riformatori la metà della cifra dei ricoverati della Francia, ha minor numero di condannati; il Belgio ha maggior numero d’arresti, ma non di condanne dell’Olanda, la quale pur lo supera per riformatorî.[18]

In America si calcolano sino al 33% i recidivi dei moltissimi riformatorî.—Anche Tocqueville, dopo averli lodati come un ideale della riforma penale, dichiara che su 519 fanciulli 300 recidivarono; quasi tutti quelli dati al furto ed al vino, specialmente le donne.

Su 85 ragazze uscitene, solo 11 ebbero condotta ottima, 37 buona, e su 427 ragazzi, 41 ebbero condotta ottima, 85 buona.

In Inghilterra si pretende che i 172 riformatorî abbiano prodotto una diminuzione nella criminalità del 26%, ma io domanderò se non è molto più probabile che v’abbia, invece, influito la diffusione specialmente di quelle 23.000 ragged schools, che vi preservano e vi curano non più centinaia o migliaia, come succede da noi, ma milioni di minorenni e in quell’età in cui è possibile la riforma, nell’età impubere e le leggi e pratiche contro l’alcoolismo?

Poiché questo è fatto capitale, che se anche i riformatorî fossero utili alla cura morale, il loro grande costo, la loro scarsezza in confronto ai bisogni, li renderebbero sempre insufficienti. Poichè cosa sono 2 o 3 mila posti, seppure tanti ve ne sono, in confronto al bisogno che ne richiede almeno 6 volte tanto, sapendosi dalla statistica, che la età pubere è quella che dà il più gran contingente alla criminalità, tanto che, insieme alla giovanile, forma, quasi, la metà dei delinquenti.

S’aggiunga, che la possibilità di metterli in uno stabilimento quando diventano discoli e di collocarli senza nessun disagio proprio, rende i parenti di costoro meno attivi alla vigilanza, alle volte pur troppo quasi interessati al loro malanno. Io insieme agli egregi signori Frisetti e Raseri alla Generala osservai cinque casi di ragazzi di famiglie illustri, due con più di 100.000 lire di rendita, che avidi tutori o colpevoli genitori avevano con pretesti più o meno seri fatti ricoverare e che mantenevanvi ad una lira al giorno—in educazione (!!), negando loro fino con che acquistare uno stromento musicale o un libro, che avrebbero potuto rendere meno tetra la disonorata solitudine di quel ricovero.

Questi fatti riescono tanto più gravi, quando si pensi che l’entrata dei minorenni per correzione paterna si è aumentata del sestuplo in questi ultimi anni, e ciò grazie agli artifici colpevoli dei genitori stessi che spingono alla colpa i figli per aver un pretesto al ricoverarli.—E perchè non si credano queste mie accuse fantastiche, lascerò la parola a un burocratico, ad un antico questore, il Locatelli:

«Farò, scrive egli, in primo luogo osservare che le disposizioni di legge riflettenti gli oziosi minorenni furono dalle nostre popolazioni interpretate a rovescio, mentre il legislatore ha creduto d’inserirle allo scopo di prevenire con maggiore efficacia i reati, il popolo, colla strana ermeneutica che gli viene consigliata dall’interesse, si ostina dal canto suo a ritenerle di natura esclusivamente filantropica, dal che ne nasce, per esempio, che i padri di numerosa prole si credono autorizzati per legge a far ricoverare ed educare a spese dello Stato quelli fra i loro figliuoli dei quali riesce loro più gravosa la sorveglianza e l’educazione. È un vero e deplorabile fomite alla funestissima malattia morale che affligge già da parecchi anni le nostre popolazioni, specialmente delle grandi città, malattia per la quale si è un tempo spaventosamente aumentata l’esposizione dei figli legittimi nei brefotrofi. Come poi avvenga che il popolo persista nell’equivoco, anche in seguito alle esortazioni dei pubblici funzionari, è un fatto pur troppo che torna di sconforto agli animi più inchinevoli a tutto sperare dal progresso dell’epoca nostra. Dopochè i postulanti si accorsero che si andava a rilento nell’accogliere le loro domande, la caccia al ricovero andò sempre più perfezionandosi. Le domande vennero stese con artificio maggiore, corredate da numerose e spesso autorevolissime attestazioni comprovanti l’incorreggibilità del minore o della minore da ricoverarsi, e ciò che è più doloroso a svelarsi, non di rado si arrivò a spingere con artefizi di ogni sorta il minore all’oziosità ed al vagabondaggio, in modo però che all’Autorità non venisse dato di raccoglierne le prove; il cibo scemato in proporzioni tali da non autorizzare per esempio i pubblici funzionari ad un’inchiesta sulla economia domestica, il riposo delle notti interrotto, le punizioni disciplinari moltiplicate per ogni benchè leggiero trascorso, sono, per esempio, mezzi che certi snaturati genitori mettono in pratica senza timore che li possa cogliere il rigore della legge, quantunque siano per sè stessi più che sufficienti a spingere un fanciullo al vagabondaggio ed all’abbandono delle sue ordinarie occupazioni. Siccome le conseguenze di questo equivoco popolare morale hanno ormai raggiunto le proporzioni di un vero disordine sociale, così i tribunali si videro spesso costretti a rifiutare di loro arbitrio il ricovero coattivo di quegli adolescenti che non fossero orfani dei genitori, o che avessero i genitori di ignoto domicilio, e ciò in onta al letterale disposto dell’articolo 441, il quale, ordinando quale misura preliminare la sottomissione dei genitori, suppone di necessità che possa ordinarsi il ricovero coattivo anche di adolescenti figli di genitori aventi stabile domicilio, e quindi per ciò solo provvisti di mezzi idonei all’applicazione della disciplina domestica. Nè si dica che, limitando il ricovero coattivo agli adolescenti discoli senza famiglia, verrebbe a scemarsi di non poco il benefizio di tale misura preventiva, giacchè i cittadini di poca coscienza che ora si ostinano a far servire la legge ai loro scopi egoistici e snaturati, quando si fossero persuasi dell’assoluta vanità, anzi del pericolo dei loro tentativi, si adatterebbero a provvedere da sè all’educazione dei figli, ed in fine dei conti avrebbero maggiore interesse ad allevare della prole laboriosa ed onesta che dei rompicolli. Ove poi anche si avesse a verificare l’inconveniente di dover lasciar libero il campo ad un numero maggiore di vagabondi ed oziosi, io, e con me tutti gli onesti, non esiteremmo un solo istante a subirci fra i due mali il minore, e preferiremmo cioè che il paese avesse a deplorare la mancata riabilitazione di pochi individui piuttosto che il rilassamento dei vincoli della famiglia, che sono il più saldo fondamento di ogni società costituita» (op. cit).

Quanto agli abbandonati nelle città dai genitori ed agli orfani, a cui il riformatorio vuolsi che sia una singolare provvidenza, notiamo che se ne hanno appena l’8 al 13% di figli del secondo letto e l’8 al 12% d’orfani, quindi non certo la maggioranza; queste istituzioni al più loro gioveranno, nei pochi siti ove funzionano bene, per apprendervi un’arte, non credo che giovi punto nei rapporti morali. È un’illusione il credere che il riformatorio li salvi dai contatti malefici. Se impedirà quelli del vagabondaggio, dei colleghi, cioè, in parte solo corrotti ed in parte in via di corrompersi, offrirà quello di gente ben peggiore, di vizi concentrati, diremo, passati già al primo staccio di selezione carceraria, e ciò principalmente in quell’epoca che più fa inclini al delitto. Poichè in nessun o quasi nessun riformatorio sono applicati seriamente il sistema cellulare notturno, ed il rigore del silenzio, i quali, d’altronde, in istituti che sono in parte didattici, in parte industriali, sarebbero inattuabili, e anche quando applicati, sono dall’astuzia dei ricoverati delusi. Quelli poi che vengono dalle campagne dove loro era impossibile erudirsi ed associarsi nel male, troveranno qui l’associazione malvagia già bella e costituita e la mala istruzione che non avrebbero mai conseguita.

Si parla della corruzione che potrebbero ricevere alcuni in mezzo alle loro famiglie, e non si pensa a quella che effettivamente è generata nei giovanotti onestissimi ma privi d’ogni sussistenza, che si fanno ricoverare in mezzo a costoro; non si pensa a quel nuovo genere di delitti ingenerati dal riformatorio che è la seduzione e la costrizione al crimine del minore per parte dei genitori, onde aver un pretesto al ricovero; non si pensa che in grazia di questo perdonsi quei legami d’affetto che il contatto continuo desta e mantiene negli uni e negli altri, e che forma il più grande fra i freni al delitto.

Io non ammetterei, quindi, i riformatorî se non per casi eccezionali quando vi si raccolgano pochi individui, divisi per classi, età, costumi, attitudini, moralità, con celle almeno per la notte, con una relativa libertà, senza nota di infamia; vorrei vi entrassero solo quelli che per la loro povertà non possono essere accolti nei collegi militari o di marina, e che ad ogni modo se ve li fan ricoverare i genitori ricchi pagassero una forte diaria proporzionata alle loro entrate; tutti dovrebbero esser sorvegliati uno per uno, e diretti da capi e maestri veramente adatti, che se ne facciano un apostolato. E piuttosto che i molteplici regolamenti inutili contro la fiumana del male, credo converrebbe studiare il modo di plasmare, scoprire tali uomini, e metterli a posto, quando si sieno trovati.

Ma quando questi manchino, e quando i contatti fra le varie classi, pel troppo numero, non si possano più evitare, nè si possano impedire le frodi dei genitori, quando non si abbiano celle notturne per ciascun ricoverato, o officine d’arti o mestieri, come pur troppo è il caso in Italia, dove le finanze e le grettezze governative vi si opposero per anni[19], credo preferibile il consegnare i corrigendi a famiglie morali ed energiche, e allontanarli dai centri corruttori della capitale o dei capiluoghi.

In mancanza di una propria famiglia che vi badi occorre un vero bagno morale in mezzo a famiglie oneste, in cui il piccolo reo non possa trovare un complice—mentre un luogo ove molti dei suoi simili sieno insieme, malgrado tutti gli inviti teorici e pratici alla onestà, sarà sempre per lui più una causa di pervertimento che di emenda; di più il derelitto si affeziona a poco a poco ai parenti adottivi, loro porta i suoi primi guadagni, e, generalmente, non lascia più la casa che lo ha raccolto, si trova così in un ambiente sano, stabile, sicuro, che lo indirizza al bene (Joly, Le Combat etc.); in Francia infatti, su 11.250 fanciulli inviati nelle famiglie delle campagne, solo 147 dovettero essere ricoverati in un riformatorio.

In Olanda questo istituto del baliatico morale è pur attuato (Roussel, Enquète sur les orphelinats, etc.); in Svizzera i bimbi assistiti nel 1870 erano 31.689, di cui presso famiglie oneste 23.000 che vi apprendono la pastorizia, l’orticoltura, e, d’inverno, la tessitura, l’arte del fabbro.

Si risponde, è vero: che questa della spesa non è una seria obbiezione: e davvero chi fa un trattato teorico non dovrebbe preoccuparsene, ma come nol devo, buon Dio! se penso, che questo della spesa e il più grave ostacolo a tutte le riforme più nobili ed urgenti del paese; quando pensiamo che questa difficoltà della spesa ha impedito di attuar la riforma cellullare che si credeva la panacea del delitto nella proporzione necessaria, persino, alle nazioni più ricche e liberali del mondo, l’America e l’Inghilterra.

Soprattutto trovo giustissima la nota di biasimo che sorse nel Congresso penitenziario di Londra contro i riformatorî nautici, in cui i giovanetti imparano le scostumatezze dei camerati, con di più quelle dei marinai.

Ma si chiederà: come dovrassi provvedere altrimenti alla grossa cifra dei rei orfani o dei minorenni abbandonati?

Qui la carità, o meglio la previdenza, deve assumere forme nuove, abbandonare la via cappuccinesca dell’elemosina e la soldatesca e violenta disciplina carceraria o di caserma, od anche quella dell’astratta morale, che negli inclini al delitto non potrebbe aver presa, nè molto curarsi dell’istruzione alfabetica, che lascia il cuore come lo trova; deve assumere invece le vesti dell’industria, della cooperazione; deve far nascere a poco a poco, e celando la mano benefica, il piacere della proprietà, l’amore del lavoro, il senso del bello. Convien dunque sostituire al carcere, al riformatorio, l’asilo spontaneo, la scuola industriale, l’emigrazione in terre lontane ed in campagne.—E in che modo, Barnardo e Barce ce lo hanno insegnato.[20]

Riforme americane: collocazioni in campagna.—Nel 1853, i professori, i giudici, i preti e rabbini di New-York si unirono in una Società di soccorso pei fanciulli vagabondi (Società per la riforma giovanile); si stabilì di raccoglierli in officine, ma la concorrenza con le officine non filantropiche le soffocò, e poi ai piccoli discoli ripugnava essere oggetto di carità; amavano l’aria libera, fuggivano. Allora si pensò di offrir loro un alloggio, ma dietro una larva di pagamento, p. es., un letto a 32 centesimi, bagno e pranzo a 20 centesimi.

Con tutto ciò però non si era trovato il modo per farli lavorare; invitarveli, direttamente, sarebbe stato un volere spopolare d’un tratto il nuovo asilo. Per non destare ripugnanza nè sospetti, entra una mattina il direttore annunziando essere venuto un signore che abbisogna di un garzone per il suo banco, a cui darebbe 12 dollari al mese. Venti voci s’alzano per esibirsi… «Sì, ma occorre che abbia una bella mano di scrittura». Silenzio generale.—»Ebbene, se non vi è chi ne sappia, noi ve la insegneremo alla sera»; e così si formarono le scuole serali.

Nel 1869 e 1870, 8835 giovani erano passati alla Lodging; in 10 anni 91.326, di cui si posero al lavoro 7788. Le donne avevano paura delle scuole industriali, dove sarebbero state miste alle ricche; se ne stabilirono di apposite; una anzi nel centro più povero. Si promisero alimenti e vestiti a chi si conducesse bene alla scuola; da quel giorno le arrestate per vagabondaggio, che erano 3172 nel 1861, scesero a 339 nel 1871; solo 5 su 2000 scolare si diedero a mala vita; le ladre da 944 calarono a 572; le minorenni arrestate, da 405 scesero a 212. Si fece altrettanto pei maschi; si aprirono scuole di lettere, di falegname, e insieme somministravansi dei cibi caldi; si davano feste, lanterne magiche, il tutto per 4 a 6 soldi. Cominciarono per rompere i vetri, per gridare: Abbasso le scuole: ma la libertà stessa di non andarvi vinse i più ricalcitranti, cui il metodo obiettivo, fröbeliano, finì per sedurre.

L’istituzione venne perfezionata colle collocazioni dei ragazzi nelle fattorie isolate ove il lavoro loro è più utilizzato e quindi preferito—ove sono impossibili le cattive influenze dei grandi e anche dei piccoli centri—ove minore essendo la distanza fra il padrone e l’operaio, esso ne viene più sorvegliato e anzi entra come nella sua famiglia e dove d’altronde una bocca di più non conta e quindi è meglio alimentato.

Il contatto continuo dell’attenta massaia fa divenire le ragazze buone cameriere, e quello del padrone fa divenire i ragazzi i migliori coloni, perchè vivendo in un’atmosfera di bontà, di simpatia, di lavori, stimolati al bene dell’amor proprio e dalla speranza di una migliore posizione, non avendo d’altra parte tentazioni al furto, l’incitazione di cattivi compagni, abbandonano coi loro sudici vestiari molti dei loro vizi, e trovano nei campi e nelle molteplici colture uno sfogo alla loro attività. Ecco come avviene il loro collocamento.

L’Agente della Società appena conosce un grosso centro di fattorie dove si abbia bisogno di ragazzi, si procura il nome degli abitanti che possano aiutarlo, annunzia il giorno del suo arrivo; i ragazzi sono lavati e condotti al municipio dove si improvvisa una commissione dei principali abitanti che designa le famiglie dove collocarli e che li accetta dopo breve prova senza convenzione scritta, ma colla promessa di mandarli l’inverno a scuola e di trattarli bene. La Commissione Municipale li sorveglia e informa di loro il Comitato centrale, il quale si assicura del loro trattamento con nuove visite dell’Agente sul luogo e con lettere a loro stessi ed ai padroni.

Quando sono molto gracili la Società paga il loro mantenimento fino a che abbiano sufficiente attitudine al lavoro, li ritira quando non vi abbiano abbastanza robustezza.

Molti di questi sono adottati dai loro padroni, altri hanno col loro lavoro impiantate nuove fattorie e divennero professionisti o sacerdoti, e delle donne molte sono buone madri di famiglia; pochissimi ritornano a New-York, alcuni cambiano di posto come tutti i servi, ma ben pochi, non più di 6 sopra 15 mila, ebbero a che fare colla giustizia.

Questa Società ha collocato in 23 anni, così, 35 mila ragazzi abbandonati e senza asilo, oltre i moltissimi (oltre 23 mila nel 1875) raccolti nelle scuole industriali, 21 diurne, 14 notturne, ove vengono nutriti e vestiti, o nelle 6 case di alloggio (lodging) donde dopo aver preso delle abitudini di ordine e di pulitezza e frequentate le scuole serali e domenicali, vengono poi collocati in campagna, il tutto con una spesa che non superò dieci milioni di franchi.

Infatti a New-York, dopo quelle istituzioni, in 10 anni

  • i vagabondi diminuirono da 2829 a 994
  • i ladri diminuirono da 1948 a 245
  • i borsaiuoli diminuirono da 465 a 313

Questo assai bene, continua il Barce, è il modo di sostituire gli stabilimenti pei ragazzi vagabondi, mendicanti, ecc., che riuniti assieme, come nei nostri riformatori, peggiorerebbero, e ciò migliorando la terra coll’uomo e l’uomo colla terra.

Questa sì, è santa, è vera terapia criminale! E quanto non sarebbe applicabile da noi in alcune regioni, per es. dell’alto Piemonte, della Sardegna, della Valtellina, ove la pastorizia utilizza il lavoro dei fanciulli, dove si educano volentieri i piccoli esposti degli ospedali appunto per averne soccorsi di braccia quando sian cresciuti in età.—Si aggiunga che sopra i risparmi che ne verrebbero all’amministrazione pel minor prezzo dei viveri, pel maggior guadagno del lavoro, si potrebbero offrire dei premi ai migliori educatori.

Restano i casi di ragazzi gracili, impotenti a lavori di campagna, e per questi si potrebbero tenere pochi letti separati nelle stesse scuole, nella notte, come appunto trattasi nelle ragged school d’Inghilterra.

Riformatorî esterni per la puerizia.—Ma quando la nessuna abitudine alle istituzioni autonome, spontanee, di beneficenza, impedisca o ritardi il loro nascere, come è da noi, conviene pensare ad un’altra istituzione, molto più facilmente attuabile: a quella che l’abate Spagliardi chiama Riformatorio esterno per la puerizia. Sarebbe un asilo obbligatorio, ma solo diurno, per i fanciulli dai 6 ai 12 anni, che non possono più accogliersi negli asili ordinarî, e che per propria riluttanza o per impotenza od incapacità dei genitori, sieno destituiti d’ogni mezzo educativo, e dove si farebbero entrare per forza i monelli associati abitualmente nelle pubbliche piazze. «Anche nello stesso asilo infantile, dice quel caldo filantropo[21], non entrano tutti i bambini poveri, specialmente i più poveri, vergognosi della loro miseria; ma ad ogni modo, finito l’asilo infantile, in quell’età, in cui i ragazzi sono più esposti al mal fare per la maggiore svegliatezza, non hanno alcun ricovero speciale, e si dànno al vagabondaggio. Nè possono per legge accogliersi nei riformatori; e quando a 12 anni vi entrano, non sono più correggibili, ed entrandovi, non farebbero che peggiorare coi contatti. In questi asili si darebbe loro un tenue vitto, con che si favorirebbe l’affluenza, e si renderebbe meno dura l’obbligatorietà; si avrebbe più occhio alla educazione che all’istruzione, e si avvierebbero verso un’arte, e insieme sarebbero tenuti in continuo esercizio adatto alle loro forze. Si correggerebbe un difetto, che è una delle cause principalissime della criminalità (non meno del 20%) nei figli di persone civili, l’indebolimento dell’autorità paterna, la mancanza di quella resistenza alle voglie irragionevoli, che forma il criterio del giusto e dell’onesto e della discrezione, che impedisce lo sviluppo di un egoismo prepotente, selvaggio, le cui pretese ascendono, ascendono, finchè travolgono i genitori, impotenti alla lor volta, quando vogliono porvi un argine. E ciò si otterrebbe senza distaccare il ragazzo dal suo nido, in quell’età appunto in cui ha maggior bisogno di aria e di moto, e soprattutto delle cure e dei contatti colla madre e colla famiglia, che, una volta interrotti, non si ripristinano più. Si sottoporrebbero i discoli ad un trattamento più adatto, più mite, più conforme alla età loro ed alla natura, emancipandoli da fatiche sproporzionate alla età, ma pur provvedendo al loro fisico sviluppo. Si renderebbe meno ingiusta e più pratica l’applicazione della legge che gravita, con egual norma, su un fanciullo di otto anni ed un monello di 16 (articolo 441); si toglierebbe anzi l’apparenza di una condanna, che è sempre avvilente e nociva. E così si eviterebbero quelle tristezze, portate alle volte fino al suicidio, cui si danno in preda i fanciulli nei riformatori.

E mentre il Riformatorio comune non può applicarsi in larga scala, per il grande costo, e quindi ad ogni modo non può estendere i vantaggi che a pochi individui, questo più proprio agli impuberi, pel molto minor costo (col prezzo con cui vi si mantengono 600 nel primo, qui se ne manterrebbero 6000), potrebbe veramente estendere la sua azione in ragione diretta del bisogno, il che è una questione capitale; perché, se anche il Riformatorio per gli adulti fosse utile, sarebbe sempre insufficiente e sproporzionato al bisogno. E fosse pur grande la spesa, ad ogni modo verrebbe ricompensata dal minor numero dei carcerati, e dalle minori iatture e vergogne della società.

Una prova diretta dei vantaggi di questi istituti si ebbe in Milano, dove i 700 giovinetti dell’infima classe del povero, ricoverati dopo l’uscita dagli asili fin dal 1840 nei due Conservatori della puerizia Mylius e Falciola non diedero nemmeno un condannato (Sacchi); mentre invece metà dei degenti nei Riformatorî appartenne, un tempo, agli asili infantili.

Forse basterebbe, per ora almeno, laicizzare i così detti oratori, dove si raccolgono molti ragazzi (sino a 3000 in Milano), la domenica, e per inutili preci interrotte da lunghi e tristi ozî, mutandone l’indirizzo ed estendendone il beneficio a tutta la settimana.

Ragged School.—Una istituzione che tiene il mezzo tra l’asilo obbligatorio di Spagliardi e il volontario di Barce, è quella dell’Home for little boys, veri villaggi interi o colonie dedicate ai ragazzi disgraziati dove son tenuti a gruppi come in propria famiglia, imparano a far i calzolai, camerieri, meccanici, agricoltori (Riv. di discipl. carc., 1876, pag. 197) e meglio ancora quella della Ragged School, in cui si dà vestiario ed educazione, qualche poco d’alimento, ricovero diurno e per alcuni perfino notturno ai ragazzi poveri, abbandonati sulle vie e agli orfani. Questa istituzione, che non costa nulla al Governo, cominciò, nel 1818, con pochi vagabondi razzolati sulle vie di Londra, nel 1869 contava non meno di 23.498 filiali con 3.897.000 beneficati, sparsi nei quartieri più poveri, e quello che è meglio[22], divisi secondo le varie industrie. Essi formano un anello sublime tra le classi alte e basse; ivi un cancelliere d’Inghilterra fu veduto dare per 34 anni di seguito lezioni d’alfabeto ogni domenica. I ricoverati entranvi spontanei in parte, in parte tradotti dalla polizia; non pochi vi si sostengono col proprio lavoro; per esempio nel 1860 vi erano 368 lucida-scarpe, ciascuno dei quali rapportava ogni giorno alla società sei danari.

Altre misure inglesi pei giovanetti.—E, misura degna d’imitazione, quando i ragazzi ebbero a delinquere per negligenza dei loro parenti, questi ultimi sono obbligati a contribuire per la loro detenzione del proprio un penny per ogni scellino del salario, essendo anch’essi così interessati a guardarli e a non contare, come accade fra noi, quasi sopra un proprio vantaggio, sul ricovero dei medesimi.

Noi vidimo i miracoli della Società per la protezione dei bambini (v. s.). Un’analoga e bellissima è quella della Boy’s Brigade[23], che inreggimenta in centurie i discoli delle vie. Essa fu iniziata a Glasgow da W. A. Smith nel 1883, e nel 1891 aveva già 20.000 giovani che si esercitano in manovre, marcie, preghiere in comune, canti nella domenica, e poi alla classe biblica ove sentono interpretare la bibbia—o si fanno accampare per alcune settimane ai laghi e al mare.

Bimbi.—Ma per ottenere i massimi miracoli, per salvare se non i rei nati, almeno i criminaloidi, i semi-rei-nati, bisogna raccoglierli, direi covarli fin dalla primissima infanzia.

«I tentativi di riformare la miserabile popolazione adulta sono sempre andati fatalmente falliti, per l’abitudine troppo inveterata ormai negli individui adulti al male: la vis inertiae dell’ignoranza, del vizio, del delitto è ben difficilmente vinta dalla forza dell’idea riformatrice.

«Tutt’altro invece è la cosa quando si tratta di bambini: le difficoltà svaniscono per metà, poichè abbiam tra le mani una materia plastica. L’ambiente e le circostanze hanno per formare e plasmare una vita un’importanza ben più grande che non si creda! Io ho fatto l’esperienza che un ambiente nuovo e sano è più potente a trasformare e rinnovare un individuo, che non lo sia l’eredità nell’imporgli la tara. Tutto sta nell’arrivare a cambiare e purificare l’ambiente abbastanza presto e completamente perchè si atrofizzino gli istinti maligni».

E il Barnardo cita vittoriosamente l’esame attento fatto nelle liste dei nuovi ricoverati e che mostra come l’85% dei ragazzi ammessi discenda da parenti alcoolisti—e noi sappiamo quanto funesta sia l’eredità dell’alcoolismo. Ora dei 9000 ragazzi raccolti e mandati al Canadà, di cui si conosce la storia—e che sono ormai uomini fatti,—sol l’1% è fallito!

Bisogna prenderlo quando è allo stato plastico per poterlo modificare, e ciò non è solo evangelico, ma anche economico: perchè con 20 sterline spese a raccoglierlo e migliorarlo la società risparmierebbe a sè migliaia di lire per difendersi dal delitto.

Ecco 4 modelli (Figg. 3 e 4) di bimbi salvati da Barnardo, nella cui faccia si legge ancora il tenore dei maltrattamenti e della fame.

PT 2 FIG3Fig. 3. Figli di vagabondi di Londra salvati da Barnardo.

Io ho provato, dice Barnardo, che un ambiente nuovo e sano ha più potenza per rinnovare e trasformare l’uomo che non si ebbe l’eredità lo è stato per degenerarlo.

Barnardo riceve tutti i bambini abbandonati in esame e fa delle ricerche sulla loro vita anteriore: da chi son nati, di che malattie son morti i parenti, e di che cosa vivono; come trattavano il bambino, come il bambino è stato giudicato dalle persone che l’hanno avvicinato (maestre, ecc.), che tendenze ha, ecc., e poi lo tiene in esame per qualche tempo, dopo di che li destina a questo o a quel mestiere, alla tal casa, o al Canadà, ecc.

Uno dei suoi grandi segreti è di distribuire in sezioni, per quanto è possibile, i ragazzi che entrano, anno per anno, lasciando piena libertà alle varie attitudini individuali, evitando così quell’impronta come lo chiama egli «stampo istituzionale» regolamentario che è la maledizione dei ricoveri e orfanotrofi in generale.

Per questo egli ha cura non solamente di non mischiare assieme ragazzi di differenti età, ma di tenerli anche separati in differenti edifici, facendoli passare dall’uno all’altro secondo che l’età od altre circostanze consiglino.

PART 2 FIG 4Fig. 4. Figli di vagabondi abbandonati salvati da Barnardo.

Il Barnardo racconta il caso di un bambino di nove anni, intelligente, simpatico, che viveva presso una sua nonna: aveva un fratello in prigione, e cominciava a esser trascinato egli stesso da compagni sospetti, a pernottar fuori la notte, ecc., ma la famiglia non era così completamente destitute, priva di tutto, come quelle di cui egli si era proposto e di cui più urge raccogliere i bambini.

«Io rimasi in forse qualche tempo se dovessi sì o no accogliere il bambino, ma infine mi decisi pel sì; non era completamente abbandonato, ma aveva più tendenza e maggiori occasioni pel male… e per questo era più necessario di venirgli in aiuto».

Questa intuizione di ciascun individuo in rapporto agli altri individui, ai suoi bisogni, alle sue facoltà, il Barnardo la porta in tutta la sua opera, l’erige a sistema con un acume ed insieme un sentimento profondamente umano. Egli raccoglie bambini di tutte le età; ha la Tiniees House pei bambini d’ambo i sessi da 3 ai 5 anni, l’House di Yersey pei fanciulli dai 4 ai 9 anni. Altrove si ricevono i ragazzi dai 10 ai 15 anni, ecc.: questi ultimi giunti ai 13 anni, il Barnardo cerca di corazzarli al lavoro, renderli resistenti alla fatica, trenarli insomma, come esige la vita che son chiamati a fare; ma ai piccoli bambini miserabili, ai poppanti, ai piccoli orfani abbandonati, ai bambini malati—a questi—nei brevi anni d’infanzia ha voluto dare, se non tutto il lusso, tutto il comfort almeno, dei bambini allevati e carezzati nell’ambiente famigliare: il loro asilo è in mezzo ai giardini e hanno nurses giovani e agghindate, e cameroni pieni di luce e di sole, e son vestiti di bianco e con le piccole braccine nude e hanno balocchi, e uccelletti e carrettelle e bei lettini!

Se a tutti i ragazzi raccolti il Dottore non può dare il benessere e l’agiatezza completa, darla volle almeno ai più piccoli, non lasciarli sfiorare dalla mancanza di alcuna cosa!… Nel suo giornale Night and Day vedesi la fotografia di uno di questi dormitorî coperti di stampe colorate, con un gran cavallo dondolo in fondo e le gabbiette di uccelli sospese accanto ai lettini!

Quando si pensa alla tristezza, alla melanconia dei nostri brefotrofii, delle nostre crêches, dove i bambini son coricati come bestie in greppie e tutto passa come in tombe di vivi! (Paola Lombroso, o. c.).

Una diramazione di questa casa dei bambini, in campagna: Il nido degli uccelli, fu fondata perchè occorse una volta il caso di una bambina di 3 anni, contadina, raccolta nell’istituto, che non vi si poteva adattare e piangeva continuamente. Portato il caso al Consiglio, una collaboratrice di Barnardo, Miss Blanche Wattely, ne trovò risolutamente la soluzione: Se la bambina non poteva adattarsi alla casa in città le si farebbe una casa in campagna, e così sorse The Bird’s Castle.

Un’altra intuizione geniale è quella di studiare il carattere del ragazzo raccolto prima di adibirlo a questa o quella professione, per cercargli quella che gli sia più adatta.

A quest’uopo egli osserva le sue abitudini, la sua costituzione, tiene una specie di giornale schematico di quel che fa, prende informazioni dove ha vissuto, cosa pensano di lui le persone o i maestri (se è stato a scuola) che l’hanno avvicinato, ecc.

Dopo aver così sottratti alla miseria e al delitto (perchè molti di questi ragazzini son tolti alla polizia), e averli indirizzati a un lavoro, il Barnardo per compier l’opera più radicalmente li spedisce al Canadà dove ha un’agenzia che uno per uno li colloca in fattorie e li sorveglia, facendo contratti coi farmers o padroni di fattorie per 3 o 5 anni con vitto, alloggio e dai 50 ai 100 dollari annui di paga.

Così sono tolti al sistema pernicioso dell’acquartieramento, e nello stesso tempo trasportati in un nuovo ambiente tale dove tacciano tutti i febbrili stimoli della vita industriale a pressione forzata della civiltà occidentale!

E di tutti questi ragazzi strappati al carcere, al vagabondaggio, alla mendicità, tutto insomma il popolo futuro di ladri, truffatori e di miserabili l’1% solo fallisce alla prova!

Essi sono ricercatissimi dai farmers e, fatto commovente, sono questi ragazzi stessi a cui la casa ha dato l’indipendenza, che poi a capo di un piccolo peculio, spontaneamente contribuiscono alla manutenzione della casa, inviandovi i loro risparmi.

Questi istituti del Barnardo sono così organizzati da far allignare anche quel frutto estremo e rarissimo della carità umana che è la gratitudine!…

Con un egual senso rappresentativo e psicologico dei bisogni e delle facoltà dei suoi protetti il Barnardo ha organizzato l’istituto per le ragazze.

Le femmine hanno un villaggetto tutto per loro in un sito ameno poco lungi da Londra composto da 30 casette con nomi di fantasia come Fior di pisello, Timo selvatico, ecc., intorno ad un giardino. Ogni casa contiene 20 ragazze sorvegliate dalla loro madre, perchè il D.r Barnardo opina e giustamente che se l’aria di un istituto peggiora un ragazzo, rovina affatto una ragazza, il cui temperamento esige per svolgersi convenientemente tutti gli innumerevoli particolari di economia domestica della vita di famiglia.

«Il così detto Barrack System, ossia la vita di caserma, può in certe determinate condizioni riuscir abbastanza bene applicato ai ragazzi, purchè per breve tempo: non già per le ragazze che così non apprendono quanto è necessario alla moglie del povero: non apprendono a far la spesa, a quietar il bimbo piagnucoloso, a cucire; mentre l’imparano nei Cottage System, ed infatti ne colloca 200 desideratissime all’anno nel Canadà.


Oh! anime elette di Don Bosco, di Brockway, di Barnardo ricevete da queste carte, ove il delitto s’aggirava finora tetro, disperato,—nell’aer senza tempo tinto—un saluto come ai soli che vi abbiano saputo portare un raggio di luce—additando l’unica via possibile di prevenzione se non del reo-nato, certo del criminaloide.


  1. «L'entrainement est une école de continence et de chasteté»; la Società contro la scostumatezza riescirebbe meglio al suo scopo se potesse dare il gusto alla nostra gioventù della ginnastica, ecc., più che colle prediche (Tissié, Revue Scientifique, 1896).
  2. Come il buon Laurent non trova criminali nati nelle carceri perchè non li sa o non li vuole osservare, così Joly (Le combat ecc.pag. 116) non ne trova nei giovanetti delle scuole, ove fece un'inchiesta.—»Noi abbiamo degli infermi, degli anomali, gli risposero i maestri, ma essi sono inoffensivi».—Ma io nella inchiesta negli asili trovai dei rissosi, dei ladri, dei masturbatori, sopratutto dei calunniatori di 5 o 6 anni (Vedi Vol. I, P. III); e poi più sotto il Joly è costretto a confessare che ve ne sono che uccidono ecc., e che non sono nelle scuole perchè non vi sono mai tollerati. Oh! dove erano prima di esserne cacciati e andar in carcere?
  3. The Monist., Chicago, 1895.
  4. Chi ne dubitasse, ricordi il classicismo dei rivoluzionari dell'89 e legga Vallés, Le bachelier et l'insurgé, e vedrà quanto contribuisca quell'educazione discorde dal tempo a farne uno spostato ed un ribelle.
  5. La degenerazione umana, 1889.
  6. Mr. Francis Galton, On international antropometry. Dal «Bollettino dell'Istituto internazionale di Statistica», 1890.—Idea liberale, 1896 (maggio).
  7. L'educazione in rapporto alla criminalità, Roma, 1896.
  8. Vedremo nel capitolo seguente come Brokway ispirandosi a queste pagine creasse il Riformatorio d'Elmira, dando alla mia opera il più grande premio che un pensatore ne potesse sperare.
  9. Vedi la nota alla pag. precedente.
  10. Vedi la nota a pag. 404.
  11. Vedi la nota a pag. 404.
  12. Vedi la nota a pag. 404.
  13. Miss Carpenter che dedicò loro l'intera sua vita diceva: «Sono grandi fanciulli che la società deve governare come governa i fanciulli».
  14. Ch'io sappia, solo le carceri di Charlestown, di Chatam, di Portsmouth, di Alipore diedero proventi di poco inferiori alle spese. Nel 1871-72, Chatam e Portsmouth diedero, anzi, un avanzo di 17,759 Ster. Du Cane, 1872.—Secondo Garelli le carceri nostre costavano allo Stato 32 milioni e ne rendevano solo 1 e 1⁄2. Lezioni sulla riforma delle carceri, 1862.—Nella Relazione Sul lavoro dei detenuti, presentata nel 1876 dal Nicotera, troviamo che nel 1874-75 si aveano 38.407 detenuti operosi, di cui 400 in arti distinte (eban.), 32.178 inoperosi, 1⁄4 erano tessitori, 1⁄10 calzolai, 1⁄20 falegnami, 1⁄10 agricoltori, 1⁄40 alle saline.—L'utile netto per l'amministrazione nel 1871 fu di 1.632.530 ed il detenuto ebbe per prezzo della mano d'opera it. L. 0,473, il doppio quasi del Belgio 0,266, Ungheria 0,218 e dell'Austria 0,407. Notiamo qui che in Austria un condannato può essere obbligato a pagare un tanto per la sua detenzione; in Berna deve almen guadagnare 75 centesimi al dì prima di poter fruire del suo lavoro. In Francia tiene 1⁄3 del suo prodotto.
  15. Bonetti, Cinque lustri di storia dell'Oratorio Salesiano. Torino, 1892.
  16. Rendiconto dell'adunanza generale del Patronato. Milano, 1874.
  17. Dopo che queste righe erano scritte, nuove migliorie andarono introducendosi, ed il Governo con una circolare (29 novembre 1877, pubblicata in febbraio 1878), assai ben concepita, mostrava voler togliere molti degli abusi qui sopra lamentati.—Ma non suffragata da sussidii e da uomini competenti la circolare restò una grida spagnola.
  18. N. di ricoverati in riformatori per 100.000 abitanti Condannati per 100.000 abitanti Arrestati per 100.000 abitanti Italia 10 162 724 Sassonia 13 117 918 Francia 20 199 412 Belgio 31 54 432 Olanda 40 92 271
  19. Vedi nota a pag. 422.
  20. Vedi Barce, Rapports sur les questions du programme du Congrès pénitentiaire international qui aura lieu à Stockholm—D'après quels principes convient-il d'organiser ces établissements affectés aux enfants vagabonds, mendiants, abandonnés, 1877; e opera cit, Dangerous classes of New-York, 1875.
  21. Rendiconto dell'adunanza generale dei signori soci dell'Opera Pia dei Riformatori dei giovani nella provincia di Milano (1872) agli onorevoli soci.
  22. V. Bertrand, Essai sur l'intempérance, 1875.
  23. Revue du Christian. prat., 1892, Vals.