Capitolo VI

L'utilizzazione del delitto.—Simbiosi.

Ma giunto al termine del mio lavoro, da quello sguardo finale con cui chi è giunto alla riva abbraccia la plaga da lui lentamente solcata, son fatto accorto che tra le molte lacune di cui un libro, per quanto faticato, non difetta mai, un nuovo aspetto del delitto fu da me tenuto troppo in non cale: quello che riguarda i, sia pur rari, e mal sicuri vantaggi di cui pur non poteva esser privo, se da tanto tempo esisteva.

Se, infatti, noi tentiamo accordare la legge darwiniana, secondo cui non sopravvivono che gli organi, i quali abbiano una qualche utilità per la specie, perché altrimenti la selezione li atrofizza e li spegne, col fatto che, per quanto dica lo Spencer, il delitto, salvo Inghilterra e Svizzera, va continuamente aumentando se non in intensità, certo in estensione, almeno sotto veste di truffa o di intrigo politico, o di peculato, dobbiamo sospettare che anche esso abbia, almeno nei popoli meno civili, se non una funzione, un’utilità sociale.

Tutti sanno infatti che nei tempi antichi, e anche ora nei popoli meno civili, i più nefandi delitti furono e sono adoperati come arma politica; noi possediamo anzi una specie di codice (quello di Machiavelli), che è tutta una serie di progetti criminosi a scopo politico, di cui il Borgia fu l’esecutore, o meglio il modello.

E certo dal Consiglio dei X di Venezia che pagava sicari ed avvelenatori a scopo politico, alla fucilazione del duca di Enghien, alla S. Barthelemy, o alla orribile carneficina di Algeri, quando il generale Bougeaud soffocava migliaia di infelici nelle caverne; alle infamie degli Americani e dei Portoghesi, che, per diradare e vincere gli indigeni, spargevanvi il vaiuolo e la sifilide, è il delitto che regna sovrano nella storia antica dell’uomo e, pur troppo, anche nella più vicina a noi.

Tutti ricordano le corruzioni parlamentari di Pitt e di Guizot, le menzogne e i tradimenti di Fouché e di Talleyrand, e, a pochi mesi quasi di distanza, le persecuzioni sanguinose degli Ebrei e dei Polacchi; poiché nei modernissimi tempi come nei più antichi si usarono contro i popoli deboli dai popoli più forti quella menzogna e quella violenza che nei privati sarebbero state considerate delitti. Reticenza e bugia sono, oggidì, diventate sinonimo di linguaggio diplomatico.

Di recente, i processi della Banca Romana hanno mostrato che, nei popoli poco civili, la morale politica è disgiunta da quella privata, e che vi può essere fra noi ministri immorali—anche essendo altamente stimati, od almeno senza destare quel ribrezzo che si destarebbe per una uguale azione in privato. A lor volta gli anarchici, equivalendo costoro dichiarano di considerare il delitto come arma di guerra.

Una triste osservazione in Italia mi ha dimostrato che, dopo Cavour, non si ebbe un ministero completamente onesto che potesse reggersi. Se vi prevalevano uomini troppo integri, il ministero era certo di una brevissima durata, perchè non aveva abbastanza tenacia, furberia, tristizia contro le mene parlamentari. Il peggiore ministro per l’Italia fu quello che dichiarava: «Saremo incapaci, ma onesti», e ahi! la storia rivelò che neppur egli era onesto.

Il ministro certamente più carico di delitti che abbia mai esistito potè, or ora, non solo reggersi davanti alla Camera, ma anche davanti alla opinione pubblica, e governare senza una vera opposizione del paese, che tanto più gli si prostrava sommesso, quanto più s’allontanava dalla legge.—Ed è morto pieno d’onori e d’anni, ed ha una statua collocatagli certo per volere di molti italiani, quel ministro mediocrissimo di mente, che, se pur non corrotto, introdusse fra noi più sfacciata la corruzione parlamentare, il cinismo più spudorato in politica.

E morì, nell’Italia del Sud o s’uccise, compianto e onorato fra poco di monumenti, anche quel deputato pubblicista, che fu convinto del peculato politico più sordido; come nel Nord d’Italia morì compianto e onorato colui che vendè a prezzo esagerato le proprie scarsissime opere e i propri lunghi silenzi sul mercato politico.

Oramai pare dunque che l’immoralità dia fra noi all’uomo politico, non solo guadagni ed onori in vita, ma perfino dopo morte, quando si crede che i giudizi del mondo divengano finalmente equi.

Il senso di pudore, infatti, l’amore del vero, che è proprio di un animo integro, gli impedirà di dire una menzogna, senza la quale non si può superare una situazione difficile, non si può adescare delle personalità riluttanti, non si può adulare principi ignoranti, pei quali l’adulazione è la migliore delle virtù: e quindi esso troverà sempre nella piazza, o nella reggia, degli inesorabili ostacoli.

Ecco dunque il vizio divenuto quasi necessario pel governo parlamentare nei popoli inferiori come i nostri, perchè, a dir il vero, ciò non si può dire degli Anglo-Sassoni o dei Tedeschi e nemmeno dei Francesi, il che indica bene i limiti etnici e civili entro cui si svolge questa triste funzione.

Anche di recente si son veduti cadere per sempre due grandi capi partiti d’Inghilterra e d’Irlanda e un ministro di finanze, per indelicatezze al di fuori della loro influenza parlamentare, benchè anteriori all’epoca del loro ufficio; indelicatezze che avrebbero fatto sorridere in Italia, anche gli avversari più accaniti.

L’Inghilterra stessa però ebbe in epoca anteriore dei corruttori e dei corrotti. Basta ricordare Bacone e Pitt; anche negli ultimi tempi quanta immensa differenza fra Disraeli, adulatore del trono e piaggiatore dei Lordi, e Gladstone, che cade per volere una tassa sugli alcoolici e sulle bettole, e per arrestare le persecuzioni secolari dell’Irlanda.

Buckle ha dimostrato, nella sua opera immortale, quanto sia più dannoso per un popolo aver dei reggitori balordi ed ignoranti che di averli criminali. Il reggente balordo lascia libera la mano a centinaia di birbe, mentre quello che è birbante ruba e delinque lui solo.

Anche agli specialisti, medici, avvocati, la bugia è necessaria nei nostri tempi—è quasi la base delle loro operazioni; la bugia pietosa, che conforta gli ultimi istanti del tisico spesso si estende all’isterico, alla clorotica, al sano—come la difesa dell’orfana e della vedova per parte dell’avvocato si estende facilmente da queste… anche ai loro persecutori.

I tiranni sono delinquenti, ma anche coloro che per spegnerli adoprano il delitto sono più o meno criminali; ed ecco come nella politica il delitto si innesta quasi inestricabilmente.

E qual delitto più criminoso della guerra, che è un cumulo di furti, uccisioni, stupri, incendi, saccheggi, su grande scala, provocati da cause simili a quelle dei delitti comuni, come le ambizioni personali, le cupidigie, ecc., e perdonati appunto e solo perché in grande scala!

Eppure è innegabile che le guerre, se danneggiano le civiltà già rigogliose, spingono a straordinari progressi popoli semi barbari: e noi vedremo fra poco tremare l’Europa per le sconfitte della Cina, che ci farà pagar care le sue umiliazioni: cominciando dalle tribù primitive, essa ha congiunto insieme piccoli gruppi in gruppi più larghi e ha formato le nazioni: nello stesso tempo la disciplina militare ha obbligato uomini selvaggi a sopportare le privazioni ed iniziato quel sistema di graduata subordinazione sotto il quale si stabilisce tutta la vita sociale (Spencer).

E la guerra ha spesso contribuito alle libertà popolari.

Ad Argo, dopo la battaglia perduta contro Cleomene, si dovette dare la cittadinanza ai servi. A Taranto prevalse la demagogia, dopo vinta in una battaglia la maggioranza dei cittadini. Siracusa, dopo che il popolo vinse gli Ateniesi, sostituì la democrazia alla republica.

Ad Atene, quando la flotta, i cui componenti erano popolani, vinse a Salamina, la democrazia ebbe il sopravvento sull’Areopago.

Secondo il Rénan, le due grandi evoluzioni ebree del Giudaismo e del Cristianesimo, si dovettero, oltrechè ai Profeti (v. s.), alla grande perturbazione, realmente provocata fra gli Ebrei, dalle vittorie degli Assiri e dei Romani.

La guerra Franco-Prussiana creò, o meglio cementò la nazionalità Germanica, e spense il Cesarismo napoleonico in Francia.

Ed ecco forse perchè il senso di indignazione contro le guerre non è ancor tanto generale, quanto basta perchè più non se ne provochino.

E la prostituzione che abbiamo veduto un equivalente del crimine può prevenire una quantità di delitti sessuali, riescirne una vera profilassi. È per questo che nei paesi rurali, lontani dai centri, si notano proporzionalmente più stupri che nelle città: è noto che Solone ebbe gratitudine eterna, perché l’istituzione dei dicterion, o postriboli a due soldi, arrestò l’imperversare degli stupri in Atene.

Altrettanto dicasi dell’usura; con essa furono formati i primi strati della borghesia, e i primi grandi accumuli di capitale da cui son partite le imprese più potenti dell’umanità. Il Novikow ci dimostrò che la cacciata degli Ebrei, mercanti e usurai, dalla Russia, impoverisce i contadini a cui prò venne eseguita, sicchè il lino vi rinvilì di un terzo, perchè la merce non trova più abili spacciatori; ed è noto come i reggitori dei Comuni medioevali, dopo aver cacciato a furore gli Ebrei, li riammisero però subito, perchè la loro assenza aumentava la povertà loro, e paralizzava le povere industrie embrionali d’allora, favorite dalle loro usure.[1]

Io ho dimostrato nel 1º volume, cap. II, che una gran parte delle pene contro i delitti, non erano nell’età barbara che nuovi delitti: e prima di tutto il delitto di vendetta codificato, il delitto di cannibalismo o di simonia, che poi venne utilizzata dagli uomini a prò della virtù. Il tabù era una serie di simonie, di proibizioni, assurde spessissimo, introdotte dai sacerdoti, quasi sempre a proprio vantaggio; ma ve n’erano poi di quelle che salvavano dalla distruzione completa la semina e la pesca, e perciò, non ostante la loro origine simoniaca, furono utilissime.

Anche le multe per omicidi (compensationes) che imponevano i capi barbari ai loro sudditi, e che continuarono i vescovi ed i papi del Medioevo, e non erano in fondo che forme diverse di simonia e di peculato, servirono a impedir l’imperversare degli omicidi, a terminare i principî grossolani di senso morale e a fondare le basi di una codificazione meno barbara con un principio di graduatoria.

Quando nei popoli latini primitivi la donna adultera era esposta nuda agli oltraggi di tutti i celibi della comunità, o nel medioevo, costretta a correre nuda in una specie di pallio, a cavalcioni d’asino, la legge, o meglio l’uso, creavano un osceno e criminoso sollazzo pel pubblico, ma per la natura delle cose, per la paura, pel ribrezzo che così ispirava alle vittime, quest’uso finì per formare un nucleo grossolano di moralità.

Io credo, infine, che la tolleranza moderna verso tanti delinquenti, rei se non di sangue, certo di truffe e di ricatti, ecc., che noi vediamo, quasi generale in Europa, parta dalla tempra stessa di questi delinquenti; da quelle tendenze che io ho dimostrato alla neofilia che portano dappertutto, nei commerci, nelle industrie e nella politica, mentre gli uomini medii vi sono così contrari (Vedi Vol. 1, pag. 520).

Nei Palimsesti del Carcere, in mezzo a tristizie e ad orribili malignità, ho trovato a intermittenze una genialità, che non si trova nell’uomo medio, certo perchè i criminali acquistano dalla degenerazione una irritazione corticale che l’uomo medio non ha. Così trovai scritto nelle pareti di un carcere: «Oh codice penale! perchè colpisci la truffa di pene severissime, mentre il libero Governo d’Italia, coll’immorale giuoco del lotto, è dei truffatori maestro e donno?».

Così vi ho trovato una dimostrazione dei danni degli studi arcaici, in cui potrebbero specchiarsi molti ministri, che ci ribadiscono sempre più la catena dei classici, così dannosa al benessere ed alla libertà latina.

Sono lampi fugaci, ma che ci confermano l’esistenza di quella neofilia e genialità intermittente, di cui l’uomo medio è incapace, critico abilissimo, ma niente creatore.

Gli è che in costoro, come nel genio, con cui han comune la base epilettoide, la degenerazione non è solo feconda di mali—ma anche di nuove virtù—e come nel genio l’eccesso dell’intelletto si compensa coi difetti del senso morale e dell’energia pratica, ecc., così nei criminali i difetti del sentimento sono spesso compensati dalla energia d’azione e dalla neofilia.

Gli è che in costoro l’anomalia organica prepara il terreno al minore misoneismo, che è il carattere normale dell’uomo onesto normale.

Ed è certo perciò che costoro vedono, forse inspirati dalla passione, i difetti dei Governi che ci reggono, meglio e più giustamente che non faccia la media degli onesti. Perciò, anche da questo lato, si intravede una ragione, che si aggiunge all’impulsività e al bisogno del male, per spingerli in prima linea nelle rivoluzioni.

Ed essi odiano lo stato presente, credendo che non l’ordine naturale, ma l’ordine di quel dato Governo costituito sia quel che li frena e li punisce; s’aggiunga ch’essi, più impulsivi degli altri, sono più inclini all’azione, e a prendere a pretesto la prima bandiera che loro si offra.

Anormali essi stessi, non sentono la ripugnanza del pubblico, per l’anomalia, per la novità, e molti avendo, o per l’insensibilità o per l’agilità una straordinaria energia, l’adoperano, oltrechè pei propri vantaggi nel sostenere e propagare le nuove idee, da cui gli onesti apatici rifuggirebbero.

E lo stesso spirito novatore che essi portano nei reati, mentre a volte danneggia molti a vantaggio di pochissimi, spesso però favorisce delle immense innovazioni. Se si considera bene, p. es., l’apertura del canale di Suez è stata una truffa gigantesca, compita colle stesse arti criminose del Panama, che a sua volta, se fosse riescito, sarebbe stato coronato dall’approvazione universale.

Gli imbroglioni, i truffatori, pur non lavorando che per sè, grazie alla stessa loro smania d’attività, applicano l’ingegno a vantaggio degli altri; nello stesso tempo mettono in moto una tal quantità di fermenti, che danno una spinta fortissima al progresso e alla civiltà; anzi per la mancanza di scrupoli, per l’energia che presta loro l’impulsività violenta e per l’imprevidenza degli ostacoli e delle sventure, riescono là dove gli onesti non giungerebbero mai.

Essi, poi, per l’antipatia del normale, del vecchio, del costituito, sono un baluardo potente contro i partiti retrogradi, clericali, ecc.

E così, almeno in Italia, si vedono gli onesti abbondare nel partito dei clericali. Cesare e Catilina non trovarono sulle prime partigiani che tra i birbanti, mentre l’antico partito consolare era tutto composto di onesti.[2] Tutta la storia ci ricorda che il nucleo dei grandi ribelli politici è, quasi sempre, criminale.[3]

E la civiltà li applaude costoro, non ostante le loro magagne, perchè sono i soli che riescono a innestarle il nuovo, che senza essi non potrebbe attecchire.

D’altronde essi le si impongono in tal modo, approfittando dei congegni complicati della vita parlamentare, che il cacciarli non sarebbe possibile senza pericolo e senza altri gravissimi danni, come non era possibile cacciare i tiranni antichi, che anch’essi erano criminali….. ma utili.

Essi coll’ingegno, coll’energia, colla mancanza d’ogni scrupolo, creano delle istituzioni che riescono poi utili a tutto il paese; così la flotta inglese deve la sua origine a pirati (Drake).

Nei popoli semi-barbari, in cui il delitto è più che altro un’azione e non un misfatto, molte volte i delinquenti, specie se associati, diventano una specie di giustizieri economici e di tribuni politici. Essi esercitano e mettono in pratica, in gran parte è vero a pro di sè, ma in parte a prò degli altri, una specie di comunismo violento, per cui si arricchiscono col defraudare e derubare il ricco e il potente, ma insieme applicando una specie di sommaria giustizia che supplisce l’assente giustizia officiale. In Sardegna, in Corsica, e per molto tempo, sotto i Borboni, in Sicilia, i veri giudici, i veri protettori degli oppressi sono od erano i briganti, che in parte ruban per sè, in parte (per avere delle sicure clientele) dividono le prede coi più poveri, che a volte poi capitanano nelle ribellioni, come in Grecia i Clefti. In Napoli ed in parte in Sicilia, la camorra e la maffia, pur essendo associazioni criminose, esercitarono un tempo nelle plebi e tuttora nei postriboli, nelle osterie e nelle carceri una relativa giustizia e potevano, offrire ai proprietari e ai viaggiatori una specie di assicurazione contro i malandrini, che il governo non può offrire, e perciò son sopportati e forse qualche volta aiutati anche dagli onesti. Così ai briganti ed ai contrabbandieri, associati quasi in armata, dovette, per quasi un secolo, il popolo francese se potè, sotto Luigi XIV, fruire del sale colpito da così enormi tasse da divenir un oggetto di lusso (Ferrero).

In mezzo alla troppo corrotta civiltà, quando l’eccessiva legalità finisce col favorire l’impunità del delitto, il linciaggio, che è pure un delitto, è divenuto un mezzo, barbaro è vero, ma efficace per difendercene.—In California, p. es., tutti gli uffici pubblici, la giustizia compresavi, erano in mano a una vera banda di furfanti, che rubavano impunemente, assolti se accusati; la maggioranza allora si unì e li linciò; d’allora la California è il più quieto paese degli Stati Uniti. La giustizia non vi sarebbe giunta mai, come non giunge ora in Italia a colpire i colpevoli, se coperti d’alti uffici.

Dopo tutto ciò, noi comprendiamo come nei popoli barbari per una causa, nei popoli meno civili per un’altra, una serie di delitti non solo non sia stata punita, ma per fin favorita, e perchè in complesso, per tutti i delitti in genere, salvo pel più feroci, la persecuzione sia sempre stata così scarsa, così insufficiente, così illusoria; come i giudizi penali, in fondo, non sono troppo spesso che i mezzi con cui gli avvocati, come i vermi dall’humus, fan passare (con parlari altisonanti o sentimentali—le lagrime delle madri, ecc.—o con geroglifici imcompresi spesso da loro medesimi) nel proprio, terreno l’oro che i criminali rubano agli onesti, e un appiglio per adagiarci in una falsa sicurezza tutti i giorni smentita, perchè già, come dice il proverbio, sono i moscerini che entrano nel paretaio penale…, le vere birbe ne sgusciano quasi sempre.

Senza dire che, se i vecchi giudizi penali, il cannibalismo giuridico, il concubito delle adultere, i combattimenti colle fiere erano un triste e criminoso sollazzo, anche i moderni lo sono, sotto forma di Assise e di pena capitale, a cui accorrono avidamente curiosi tutti i peggiori criminali che vi trovano il migliore dei loro passatempi, ed un modo di istruirsi nel male, e raddoppiare nei reati; sicchè la pena stessa e il mezzo per conseguirla sono un’altra forma semi criminosa, che, notisi poi, pesa tutta sulle spalle degli onesti, i quali, come in Italia, dopo aver perduto già 20 milioni per l’arti malefiche dei rei, ne perdono quattro volte tanto per l’arresto ed il giudizio e sei volte tanto per la loro condanna.

Cosicchè si può dire che un buon terzo del bilancio dell’onesto va tutto a servizio del disonesto, pel quale una falsa pietà trova sempre una certa quantità d’attenuanti e di scusanti, tanto più anzi quanto più è atroce il delitto.

E ad ogni modo tanti sono i ricorsi, i controlli, gli appelli e i contrappelli creati (così almeno protestasi) per confortare sempre più la sincerità del giudizio, che questo, quando sta per pronunciarsi, trova gli uomini dimentichi del reato avvenuto—o stancati dal lavoro fatto per ottenerne giustizia: e quindi il verdetto più ingiusto non desta alcuna reazione: che se è giusto e severo, vi provvedono, dopo qualche tempo, le grazie e gli indulti, un altro provento diretto dei deputati avvocati—sicchè bisogna sia ben povero e ben inetto quel reo che sconta interamente una pena, ben meritata.

Tutto ciò non avrebbe potuto continuare per tanti secoli, se in fondo l’utilità che viene da alcuni delitti, nei popoli barbari o quasi, non fosse stato così grande da impedire sorgesse nel cuore degli onesti una sufficiente reazione.

Simbiosi.—Ma ammessa questa, sia pur temporanea, funzione del delitto, ne verrà forse che tutto il supremo scopo di questo libro, la lotta contro il delitto sia inutile e forse dannosa?

Oh no! se a questo esso dovesse menarci, sarei il primo io, a cui la sete del bene, l’odio del male soverchiano ogni convinzione teorica, sarei il primo, dico, a lacerar queste carte. Fortunatamente si può scorgere già fin d’ora una meta meno sconfortante, per quanto possa ripugnare ai seguaci dei metodi antichi contro il delitto—che senz’abolire la lotta ammette mezzi meno severi.

La via nuova che ci si apre e cui questo libro ha solo in parte preparato colla critica spietata delle pene e coll’accresciuta importanza data ai mezzi preventivi, come a più saldo soccorso diretto contro il delitto, la via nuova è quella di creare istituzioni che ci permettano di utilizzare il delinquente a pari degli onesti con vantaggio di entrambi, tanto più che il delitto (e il reato anarchico ne sarebbe una più bella prova) spesso ci può rivelare ove maggiormente s’annida la piaga sociale, come si vede il colera colpire di preferenza i quartieri più poveri e più sudici della città, e quindi indicarci ove debbansi più convergere le nostre cure profilattiche.

Ed a ciò tanto più miriamo, allontanandoci dall’antica crudeltà repressiva, in quanto che mano a mano che modificandosi i tempi, le condizioni nostre sociali sempre più migliorano, il delitto stesso, se aumenta di numero scema di crudeltà, si spoglia sempre più della ferocia atavica e va assumendo le vesti certo meno ripugnanti e meno selvaggie del falso, della truffa e della bancarotta, contro cui la repressione cruenta è meno urgente e la coltura e l’accorgimento degli uomini sono maggiore salvaguardia. E quanto più i tempi avanzano, più le dure disuguaglianze sociali vanno attenuandosi; e come mano a mano i più urgenti bisogni umani si sono quasi inconscientemente, gradatamente riparati coi mezzi collettivi, come per l’illuminazione, l’istruzione, la viabilità, così si intravvede che si andrà riparando con rimedi collettivi, alle ingiustizie sociali, e riparando così radicalmente a una delle più forti cause del delitto occasionale, che è l’insufficienza del lavoro per la lotta dell’esistenza, mentre nello stesso tempo si previene un’altra causa potente di delitti che è l’eccesso stesso della ricchezza. Che se vi è un gruppo di rei nati pel male, sui quali, come sul bronzo si rifrangerebbe senza alcun vantaggio, anzi con danno, ogni cura sociale, noi pure, qui ammettendo la dolorosa necessità dell’eliminazione completa, sia pur colla morte, per la nostra difesa, vediamo però che anche qui queste tristi necessità, almeno pei meno gravi, pei criminaloidi, andranno sempre più diradando: e che più frequenti ci si offriranno i mezzi di adattamento alla vita, sia che la medicina ne modifichi e smussi gli angoli più acuti, sia che utilizzandoli per alcuni lavori più ripugnanti agli uomini normali e che più sono adatti agli istinti atavici, come p. es., la guerra agli omicidi, lo spionaggio poliziesco ai ricattatori, truffatori, la prostituzione alle oscene, l’estetica ai psicopatici sessuali, come le colonizzazioni in terre selvaggie e malariche in cui la vita è più esposta ai pericoli, e meno legata alle fisse dimore ai vagabondi, non solo la società ne permetta, e ne tolleri, ma fin ne provochi in certi limiti la connivenza, cavandone essa i maggior vantaggi.

È così che se la storia naturale (vedi Atlante, Tav. CII e Vol. I) ci ha dimostrato l’esistenza perfino nelle piante di organi appropriati ad uccidere implacabilmente gli animali per nutrirsene (piante carnivore), essa anche ci ha appreso, quasi come simbolo e ammaestramento della trasformazione suprema della carità umana i non rari cari di simbiosi di piante che per sè nocive, tuttavia unendosi ad altre, senza uccidere, anzi aiutando la loro, giovano alla propria esistenza. Così la ricchezza delle leguminose, specialmente del lupino in azoto, si deve a uno schizomiceto, al Rhizobium leguminosarum Frank, che si agglomera in un vero bitorzolo o tubercoletto nelle sue radici in enorme quantità (vedi Atlante, Tav. CII), penetrando dal terreno per i peli radicali nel loro interno, dove si moltiplicano finchè giungono nella regione corticale dalla radice, annidatisi nelle cellule del parenchima e trovandosi in condizioni atte, vi si moltiplicano enormemente, mentre le cellule che le ospitano, irritate, a lor volta si segmentano dando luogo a un tubercolo. Durante la formazione del seme i tubercoli si disfanno, una parte è utilizzata dalla pianta per le riserve del seme, un’altra nel terreno si sparge dando luogo a nuove e utilissime infezioni aumentando sempre più la ricchezza d’azoto del terreno[4].

Analogo è il caso del commensalismo trovato dal Lunel, tra il pesce (Vedi Atlante, Tav. CII) scomberoide detto Caranx melampygus, e la Medusa Combessa, palmipes; il Caranx sta disteso orizzontalmente attraverso gli orifizi del suo portico sottogenitale per ciò deformato e allargato e deve quindi procedere orizzontalmente contro al suo abito, ma vi trova il suo conto, perchè la presenza della medusa, così nociva a chi la tocca, lo difende dai pesci grossi (Chronique scientifique, mai, 1896); e così il paguro, invece di divorare l’actinia, la lascia fissarsi sulla dimora di cui si è fornito, ed essa gli serve col colore brillante ad attirar le vittime e, a sua volta ha da lui casa e trasporto.

Forse il tempo si avvicina in cui anche nella civiltà umana, le piante carnivore andranno sempre più diradandosi, e moltiplicandosi invece quelle simbiotiche.

E se la scienza ora ci addita la fusione di due ordini di piante, inutili o dannose, i funghi e le alghe, dar luogo ad un terzo ordine utilissimo, come il lichene, il tempo si avvicina in cui la società troverà il modo di far vivere con una opportuna coltura simbiotica, il criminaloide in mezzo al florire della civiltà progredita, non solo sopportandolo, ma anche utilizzandolo a proprio vantaggio.

Ci bisognerà, perciò (e qui l’opera della nuova scienza antropologica sarà potente perchè può individualizzare l’assistenza), sorprendere le speciali tendenze che fino dalla pubertà e qualche volta anche prima, si manifestano fortissime, in costoro, per cercare di incanalarle e utilizzarle quando siano men antisociali. È notissimo come Nino Bixio, da ferocissimo rissatore, vagabondo e disertore (Guerzoni, Vita, 1880) divenne quell’uomo che tutti sanno, per quanto spesso impulsivo, quando fu diretto nella marina e nella guerra. E non sono pochi gli uomini che l’impresa di Garibaldi trasformò da vagabondi e feritori in eroi. Ho sentito ladri e assassini che avevano tentato le loro imprese per ottenere quanto bastasse per diventar comici, biciclisti o avvocati, protestarmi con uno di quegli accenti che non ammettono dubbio, che se avessero raggiunto quel loro ideale, sarebbero diventati celebri e avrebbero sfuggito sempre dal delitto. La convinzione che essi erano nel vero mi è rassodata dall’aver veduto più volte (vedi vol. I) nel mondo, dei delinquenti nati, posti in alte posizioni, sfogarsi, è vero, in modi crudeli, anche iniqui, ma non criminosi, nei loro capricci, nelle loro vendette, ma sopratutto sfogarsi nell’esercizio della stessa loro professione, diventando da antisociali che erano naturalmente, individui utili al consorzio umano, per quanto a loro modo e inegualmente. Così tutti conoscono nel popolo di R…. un celebre operatore che ha nel cranio e nel volto tutti i caratteri del delinquente nato, non esclusa un’esagerata eredità in ascesa e discesa di pazzia morale, ma che sfoga le sue crudeli energie in una chirurgia forse qualche volta arrischiata, ma sempre geniale.

I miei studii anteriori hanno mostrato[5] come essendo a base di epilessia il genio come la pazzia morale, questa non di raro vi si mescola rimanendone per ciò non solo non dannosa ma utile alla società come nei grandi creatori di conquiste, di rivoluzioni, per modo che le note criminali passano in seconda linea e non sono nemmeno avvertite dai contemporanei, anche quando esse erano tanto potenti come le geniali.

E chi ha letto la vita dei pionieri d’Australia e d’America ha capito che essi erano criminali nati, pirati e assassini, utilizzati dall’umanità nella conquista di nuovi mondi, e che sfogavano nelle tribù selvaggie quei bisogni d’azione, di lotta, di stragi e di novità che sarebbero divenuti un mostruoso pericolo nella madre patria.

E così bisogna anche approfittare poi della trasformazione, della metamorfosi contraddittoria, polarizzatrice che la pazzia epilettica acutizza, inducendo a volte dei criminali nati egoisti e crudeli all’eccesso dell’altruismo, alla santità la quale spinge a sua volta non solo l’individuo, ma le masse intere, a una virtù epidemica. Tale è il caso di Loiola, San Giovanni di Ciodad.

Non occorre il dire come in questi casi lo Stato invece di opporsi, dovrebbe favorire in mille modi il sorgere di questi nuovi soli, per quanto la loro origine sia fangosa, senza imitare quei ministri che ne spensero nel sangue e nelle carceri i rari esemplari, Lazzaretti, p. es., che aveva ed ha lasciato dietro a sè un’orma di virtù singolare.

Ma è a proposito del delitto per passione, e del delitto politico che la idea della simbiosi deve trionfare nelle proporzioni più grandi; sfogare in grandi opere altruistiche quella energia, quella passione del bene, del giusto e del nuovo che anima costoro, dovrebbe essere una delle mete di un grande popolo, il quale così utilizzerebbe quelle forze che potevano diventargli di danno, senza incorrere in alcun modo in quei pericoli che non possono mancare nei contatti coi delinquenti nati. Quel rigoglio, quell’eruzione di passione che animano il vero reo per passione, ed il vero delinquente politico sono immense energie che tutte possono utilizzarsi nel bene, e che sole forse possono trasformare le apatiche masse.

Le rivoluzionarie sono energie rivolte verso il nuovo, verso l’utile futuro: solo che l’esagerata precocità non le rende accettabili nè utili momentaneamente: quindi la pena, se pur vi si deve applicare, non solo dev’essere spoglia d’ogni infamia e d’ogni dolore, ma pure impedendo che l’opera loro si applichi prima del tempo, deve mirare che appena sia maturata, venga utilizzata e nell’intervallo non sia impedita dal gettarsi in quelle direzioni in cui possa riescire vantaggiosa.

Se la palla che colpì prima o il processo che colpì dopo Garibaldi ce l’avessero allora spento, quante opere magnanime non sarebbero state impedite! E chi sa se la morte non ce l’avesse infine troppo presto rapito, chi sa se non si sarebbe veduto avverare il suo sogno di trasformare le terre paludose d’Italia invece di gettarci a capofitto nelle sterili lande africane.

In una nazione aduggiata da un’onnipotente e triste burocrazia, la Russia, noi abbiam veduto l’energia dei settari perseguitati (e così nella terra libera d’America, i Mormoni) trasformare regioni quasi inabitabili in campagne straordinariamente ubertose, dove sorsero intere e popolose città.—Ecco la simbiosi.

Se a questo altissimo scopo divinato dal grande Salvatore che perdonando alla Maddalena pentita, sentenziava: Chi non ha peccato getti la prima pietra, e dal profeta che ci prometteva un’epoca in cui: «il lupo e l’agnello pastureranno insieme; e il leone mangierà lo strame come il bue; e queste bestie non faranno danno nè guasto» (Isaia, LXV, 25), e da quella santa dei nuovi tempi che dettava: «tutto conoscere è tutto perdonare»—Se a questa meta l’antropologia criminale potesse trarre gli uomini e trovare un Brockway, un Don Bosco, un Barnardo che la facessero conseguire, oh! certo le sarebbe perdonato quanto di troppo crudele ha dovuto suggerire per raggiungere il supremo suo scopo,—quello della sicurezza sociale.


  1. Lombroso, L'antisemitismo, 1804.—Id., Il delitto politico, 1892.
  2. Vedi mio Delitto politico, III.
  3. Vedi mio Delitto politico, III.
  4. D.r Frank, Ueber die Pilssymbiose der Leguminosen. Berlin, 1890.
  5. Uomo di genio, 5ª ed. Torino, 1895.