Capitolo VII

Alcoolismo.

Ma, come abbiamo veduto nel capitolo antecedente, l’influenza dell’alimentazione non si può scindere da quella dell’alcool, anzi questa è così grave che ne assorbe quasi sempre gli effetti pur troppo prepotenti nel campo dell’eziologia criminale, come in tutta la patologia umana.

1. Tradizione.—Ho dimostrato già altrove che la leggenda del pomo d’Eva, come una quantità di altre leggende medioevali semitiche ed egizie, alludono alle prime ebbrezze ad ai primi malanni provocati sotto gli eccitamenti alcoolici, e che si ripetono nell’altra leggenda del peccato di Cam.[1]

I Semiti, che, come ci apprendono già le leggende di Noè, e più tardi le imprecazioni dei profeti Elia, Davide, Isaja, di Maometto, poterono forse, grazie al clima, prima degli altri, avvertire come gli effetti benefici delle bevande alcooliche erano sorpassati, troppo spesso, dai tristi (Salomone nei proverbi attribuisce all’ebbrezza la miseria dei popoli ebrei); conformandosi alle abitudini dei popoli primitivi che personificano e plasmano i fenomeni così buoni che tristi della natura, ce lo formularono e scolpirono in quella singolare leggenda dell’albero della scienza del bene e del male, che, collo stesso nome, compare in India fra i prodotti singolari scaturiti durante la fabbrica dell’Amrita, ed è accennata nella leggenda prearia di Yma (Harley, Zend-Avesta, 89), ed è scolpita in quel bassorilievo di Ninive, in cui un serpe offre al primo uomo il frutto di una palma (Layard, Mem. of Niniveh, p. 70; Lenormant, op. cit.).

Secondo un’altra leggenda arabica il primo a piantar la vite fu non Noè, ma Adamo, e il diavolo l’inaffiò col sangue di una scimmia, di un leone e di un porco[2], allusione ai vizi che più suscita l’alcool; infatti in un fabliau francese, che con quella si collega, si legge che il diavolo, dopo aver lungamente tentato un romito senza poterne vincere la virtù, gli promise di volerlo lasciare in pace, a patto che gli desse questa soddisfazione di commettere una sola volta un peccato, scegliendo tra il vino, la lussuria, l’omicidio. Il romito per liberarsi accetta, e sceglie il più piccol peccato, del bere, pensando di poterne poi con poco far penitenza; va a pranzo da un mugnaio suo vicino e s’ubbriaca; rimasto solo con la moglie di costui casca nel secondo peccato e finisce per uccidere il mugnaio da cui è sorpreso.[3]

Gli effetti criminosi del vino adombrati in queste leggende, ci spiegano perchè in Zendha la parola Madhu valga per vino e anche per dolore, e Kan, chinese, per albero e peccato,—e come i Caldei adorassero insieme al Setarvan (la vigna profumata), il Sam Gafno, sopra cui aleggia la vita suprema, e gli Indi il Kalkavir-Keha, l’albero dei desideri, e forse così spiegasi l’analogia di malum, pomo e malum, male—in latino.

2. Danni del vino.—È troppo noto come l’alcool, lungi dal rendere più tollerabile il freddo, aumenti i danni così dei grandi freddi, come dei grandi caldi, cosicchè si videro, nelle regioni polari e nelle Russie, e nelle Indie, aggravati quei soldati e marinai, che credendo meglio sopportare, così, le fatiche, ne usavano più volte nel giorno; e forse è questa la ragione che i latini nella campagna di Russia soffersero meno dei nordici. E si constatò, nelle epidemie coleriche, che i beoni, anzi, anche solo i bevitori, erano più colpiti dal morbo degli astemi;[4] e come gli aborti sieno in maggior numero fra le bevitrici, perfino nelle mogli di alcolizzati, le quali offersero, d’altronde[5] una fecondità da due a quattro volte minore delle coppie temperanti; cosicchè questo fatale liquore ben può stimolare le passioni carnali sino alla violenza ed al delitto, ma senza pur crescerne la fecondità.

L’alcool è causa precipua delle riforme per debolezza e per gracilità nelle truppe di Svezia, che si videro salire fin al 32% nel 1867 e calare al 28 nel 1868, dopo le buone leggi sull’alcool; nei dipartimenti francesi, che, per scarsezza di vino, abusan più di alcool, come Finistere, la gracilità dei coscritti da 32 sale a 155 (Lunier).

L’alcool agisce sulla statura. I grandi Wotjak, dopo l’uso della acquavita, son calati al disotto della media. E sotto i nostri occhi le bellissime valligiane di Viù perdettero dell’avvenenza e dell’imponente statura dopochè contrassero l’abitudine dell’acquavite.

Dopo ciò, non è meraviglia se esso abbia avuto un’influenza sulla vita media; sicchè invece d’esser l’acqua della vita, possa ben dirsi l’acqua della morte. I calcoli di Neison dimostrano che i bevitori hanno una mortalità almeno 3,25 maggiore degli astemi.[6]

3. Pauperismo.—Tutto questo ci spiega, già in parte, come uno degli effetti più evidenti e fatali dell’alcool sia il pauperismo, ed in parte lo spiega il veder come da un padre alcoolista si dirama una progenie cieca, paralitica, zoppa, impotente, e che di necessità, se ricca, finisce ad impoverire, e, se povera, trova chiusa ogni fonte del lavoro. Peggio accade a coloro cui, direttamente, l’alcool rende paralitici, cirrotici, ciechi.

Vero è, convien subito confessarlo, che negli accrescimenti di salario (quando nel Lancashire crebbe il salario dei minatori da 5 a 8 e 11 lire, le morti per ubbriachezza da 495 salivano a 1304 e 2605; ed i delitti da 1335 a 2878 e 4402) crescono a dismisura gli ubbriachi, e quindi le loro male opere. Ma assai peggio accade quando cala il salario. Si beve alcool allora per sopperire alla mancanza di vesti e di cibo, per cacciare la sete, la fame ed il freddo; e l’alcool a sua volta rende sempre più impotente e più povero colui che lo usa e insieme sempre più avvinto al suo carro fatale. Sicchè l’alcoolismo è prodotto or dalla troppa or dalla poca ricchezza; ciò si vide ad Aquisgrana in cui crebbe l’alcoolismo quando s’elevarono a più di 1,25 i salari dal 1850 al 1860, ma più ancora dopo il 1874 quando la crisi americana fecevi chiudere 80 fabbriche e ridurvi il salario di un terzo; le famiglie povere crebbero da 1364 a 2255 (nel 1877), e le bettole da 183 a 305, le prostitute da 37 a 101, i matrimoni scemarono da 785 a 630 e crebbero i furti e gli incendi (Thun, Die Indust. in Nieder Rhein, 1870).

Nelle carestie del 1860 e 1861 in Londra si osservò che non uno dei 7900 membri della Società di temperanza aveva chiesto un sussidio.[7] Huisch osservò che ogni 100 sterline d’elemosina 30 passavano in acquavite; e Bertrand e Lee: che i comuni più decaduti erano quelli in cui crebbe smisuratamente l’uso dell’alcool, e in cui si aumentarono le osterie; una prova ne è pure la Slesia superiore, dove la miseria giunse fino alla morte per fame; e dove l’ubbriachezza imperversava fino a trascinare vacillanti gli sposi innanzi l’altare, ed i parenti dei neonati innanzi al battesimo, così da comprometterne fra i lazzi la vita. «Dove, scriveva un predicatore della Slesia, dove è intemperanza, segue, come l’ombra il corpo, la miseria e il delitto» (Baer, op. c.).

Già era stato notato come una delle cause delle divisioni coniugali e dei divorzi in Germania fosse l’ubbriachezza, che per lo meno vi conta nelle proporzioni di 2 a 6 per 100; ed è notorio come i figli dei divorziati e di secondo letto diano un forte contingente al delitto ed alla prostituzione.

4. Alcoolismo e crimine. Statistiche.—Dopociò è facile afferrare lo stretto nesso tra l’alcool e il crimine anche dal lato sociale come lo vidimo dal patologico (v. s.). Una prima prova ce ne offrono quelle statistiche che ci mostrano un continuo incremento del delitto nei paesi civili, incremento che il crescere delle popolazioni potrà giustificare solo per una quota del 18 al 16%, e che invece è troppo bene spiegato in certe direzioni dallo aumentato abuso degli alcoolici, salito appunto, in proporzioni analoghe a quelle del delitto.

In Inghilterra si consumavano:

nel 1790 galloni d’alcool 5.526.890 nel 1866 galloni d’alcool 12.200.000

Gli ubbriachi arrestativi:

nel 1857 erano 75.859 nel 1875 erano 203.989

A Milano le osterie da 1120 nel 1865 salirono a 2140 nel 1875 (Verga) a 2272 nel 1878 (Sighele).

Nel Belgio si calcolava l’alcoolismo provocare il delitto nel rapporto del 25 al 27%.

A New-York, su 49.423 accusati, 30.509 erano ubbriachi di professione.

Nel 1890 agli Stati Uniti su 100 omicidi 20 erano dediti alla ubbriachezza, 60 bevevano moderatamente e 20 erano astemi (Bosco, L’omicidio negli Stati Uniti d’America, Rivista penale, nov. 1893).

In Olanda si attribuiscono al vino 45 delle cause di crimini e precisamente 78 delle risse e contravvenzioni, 34 degli attentati contro le persone, 14 di quelli contro le proprietà (Bertrand, Essai sur l’intemp., Paris, 1871).

Tre quarti dei delitti di Svezia si attribuiscono all’alcoolismo e propriamente gli assassinii ed altri delitti di sangue all’abuso dell’alcool; i furti e le truffe all’eredità dei parenti alcoolisti.

Sopra 29.752 condannati in Inghilterra dalle Assise, 10.000 erano venuti a tal passo per la troppa frequenza dell’osteria, e 50.000 sopra i 90.903 condannati sommariamente (Baer, op. c. p. 343).

In Francia il Guillemin calcola al 50% i rei in seguito all’abuso dell’alcool, e in Germania, il Baer al 41%.

La più grande proporzione di ubbriachi è data da quei dipartimenti in cui, per scarsa produzione di vino, sono consumati in più gran quantità gli alcools artificiali.

Il 73% dei rei italiani osservati da Marro, abusava dell’eccitamento alcoolico, e solo il 10% era normale.

Nella mia Centuria, il Rossi trovò l’ubbriachezza salire all’81% dei rei di cui il 23% l’erano fino da bambini 2 a 5 anni).

Vi è solo una differenza del 10% nella frequenza dell’ubbriachezza fra giovani ed adulti; su 100 ragazzi al disotto dei 20 anni, il 64% era già dato al bere, onde si scorge che il marcio data dall’infanzia.

Ma una prova più chiara ce ne diè il Ferri in questa tavola (V. Atlante) della criminalità in Francia in rapporto al vino ed all’alcool consumato.

È evidente come tra la linea del vino e del delitto corra un completo parallelismo, in quanto almeno concerne le grandi salienze (1850-58-65-69-75) e decrescenze (1851-53-54-66-67-73), salvo, come è naturale, il 1870, anno eccezionale di guerra, e in cui tacciono gli atti giudiziarî non militari, e salve parziali discordanze del 1876, che non saprei spiegare, non avendo ora le statistiche successive, e nel 1860-61, in cui per altro l’effetto del raccolto vinicolo sembra soltanto spostato di un anno.

Il parallelismo riesce tanto più curioso e singolare, poichè gli autori francesi ed inglesi pretendevano addossare questa influenza fatale solo all’alcool e non al vino, tanto che, come vedremo, si propose di facilitare la diffusione maggiore del vino nei paesi resi da quello più proclivi al delitto. Ora dalla nostra tavola grafica e dalle statistiche si deduce che il rapporto dell’alcool consumato cogli omicidi e ferite non è così evidente come quello del vino, se non negli anni 1855 al 1858 e 1873 al 1876. E ciò ben si comprende, perchè le risse nascono più facili nelle osterie che dagli acquavitai, dove la dimora è troppo breve per dar luogo a litigi.—Un’altra prova di ciò ci offre l’osservazione del giorno e del mese in cui più spesseggiano i delitti, e son quelli in cui più si abusa del vino. Così Schroeter (Jahrb. des Westph. Gefangnissen, 1871) ci rivela come in Germania: su 2178 delitti, il 58% avveniva il sabbato sera, la domenica 3%, e il lunedì 1%; prevaleva in quei giorni, nella proporzione dell’82% i rei contro il buon costume, ribellione e incendi; e in quelli del 50% i rei di destrezza.

Anche in Italia, nel solo anno 1870, in cui se ne tenne nota, si riscontrava altrettanto.[8]

E quel che è più curioso, in Francia, il Ferri trovò che mentre i reati in genere contro le persone dal 1827 al 1869 calano rapidamente dopo l’agosto fino al dicembre, le ferite e percosse gravi, invece, mostrano una recrudescenza ben spiccata nel novembre, epoca vicina alla confezione del vino nuovo, e notisi che si tratta delle sole ferite gravi giudicate nell’Assise (Vedi Atlante) e non di quei ferimenti che si giudicano dai tribunali, e sono i più frequenti risultati delle risse d’osteria.

Dixon trovò un solo paese in America che da anni va esente da crimini, S. Johnsbury, malgrado sia popolatissimo di operai; ma questo paese adottò per legge la proibizione assoluta delle sostanze fermentate, birra, vino, che vengono somministrate, come i veleni, dal farmacista, dietro domanda in iscritto del consumatore e con assenso del sindaco, che però appende il nome del reprobo in pubblico albo.

5. Azione.—E ciò è naturale, perchè tutte le sostanze che hanno virtù d’irritarci in modo anomalo il cervello, ci spingono più facilmente al delitto ed al suicidio come alla pazzia, con cui assai spesso si confondono in un inestricabile intreccio.

Si è notato, persino, questa tendenza nei Medggidub e Aissaoui, i quali, non avendo narcotici, si procuravano l’ubbriachezza col continuato movimento del capo. Son uomini, dice il Berbrugger (Algérie, 1860), pericolosi, feroci e con tendenze al furto.—Anche i fumatori d’oppio sono presi spesso da furore omicida; sotto l’uso dell’haschisch Moreau si sentì attratto al furto.

E peggio fa il vino; e ancor peggio l’alcool, che si può dire vino concentrato, quanto all’attività venefica: e peggio ancora quei liquori d’assenzio, di vermouth, che, oltre all’alcool puro, contengono droghe intossicanti i centri nervosi.

Neuman nel 1879 mostrò come l’alcool agisca, alterando l’emoglobina, e diminuendo di 14 nei globuli la capacità per l’ossigeno, provocando afflusso attivo delle membrane e della corteccia cerebrale; donde una dilatazione vagale, una paralisi delle fibre muscolari delle pareti vasali ed edema; ed infine degenerazione grassa delle cellule nervose irritate.

Kräpelin[9] dimostrava che da 30 a 45 grammi d’alcool etilico assoluto rallentano e paralizzano dal più al meno tutte le funzioni mentali: lo intorpidimento—che rassomiglia nei suoi effetti alla fatica fisiologica—va aumentando col crescere della dose d’alcool assorbita: cioè dura da 40 a 50 minuti per piccole quantità—da 1 a 2 ore per quantità più forti: nelle dosi minime, il rilassamento paralitico delle funzioni mentali è preceduto da un periodo maggiore di attività o di accelerazione, che dura al massimo dai 20 ai 30′. Ma egli ha inoltre dimostrato che l’azione dell’alcool non è la stessa su tutte le funzioni psichiche: che se si ha un passeggero acceleramento nella innervazione motrice, le funzioni intellettuali, quali l’appercezione, la concezione delle idee, le loro associazioni, ed il lavoro intellettuale di combinazione, sono rallentate e sulle prime, anzi, arrestate, anche dalle dosi più piccole d’alcool. Altrettanto dicasi per ciò che riguarda le sensazioni. Ne segue che il periodo iniziale di eccitamento prodotto dalle piccole dosi di alcool non è che una specie di fuoco d’artificio, dovuto al concorso di parecchi fattori; specie dall’aumento delle associazioni esterne di idee—(associazioni di parole, di sensazioni, ecc.) a danno delle associazioni interne—associazioni logiche e più profonde.

Sotto l’azione delle grandi quantità (ubbriachezza) l’eccitamento dell’innervazione motrice è causa dell’illusione di forza che hanno tutti gli ubbriachi e di tutte le loro azioni brutali e sconsiderate. L’alterazione portata all’associazione delle idee spiega la volgarità dei loro discorsi, le ripetizioni continue di triviali banalità, gli alterchi, gli scherzi sciocchi. L’effetto esilarante dell’alcool si spiega esso pure coll’accelerazione psico-motrice iniziale che arresta le inibizioni mentali dolorose; ma rimane pur sempre che esso, anche nelle dosi più piccole, paralizza od indebolisce immediatamente le funzioni intellettuali superiori.

L’alcool, dopo aver perciò eccitato, indirizzato nella via del delitto la sciagurata sua vittima con atti istantanei ed automatici, ve la mantiene ed inchioda, per sempre, quando, rendendola un bevitore abituale, ne paralizza, narcotizza i sentimenti più nobili, e trasforma in morbosa anche la compage cerebrale più sana: dando una dimostrazione, pur troppo sicura, sperimentale, dell’assioma che il delitto è un effetto di una speciale, morbosa condizione del nostro organismo; tale è, in questi infelici, quella sclerosi (ispessimento del connettivo) che colpisce il cervello, il midollo ed i gangli, come ed insieme a quella che colpisce il rene ed il fegato, ed in essi si esplica col delitto, come negli altri, colla demenza o coll’uremia o coll’ictero, e ciò secondo che colpisce più un organo che l’altro, o più una parte che l’altra dell’organo stesso. E qui le prove sovrabbondano. Non è molto rinvenni alle carceri un singolarissimo ladro, P…, che si vanta con tutti di esserlo, ed anzi, non sa più parlare se non nel gergo dei ladri, suoi degni maestri; eppure, nè l’educazione, nè la forma cranica ci dava l’indizio della causa che ve lo spinse; ma noi presto ne fummo in chiaro, quando ci narrò che egli ed il padre suo erano bevoni. «Vedano: io fin da giovinetto mi innamorai dell’acquavite, ed ora ne bevo 40 od 80 bicchierini, e l’ebbrezza di questa mi passa bevendo due o tre bottiglie di vino»; come si vede nella storia che ne pubblicò nel mio Archivio il Collino (Archivio di psichiatria e scienze penali, 1880).

E non solo i beoni abituali sono immorali e generano figli pazzi, o delinquenti, o con precoci libidini (Ann. Méd-Psyc., 1877), il che ci verrà dimostrato dalla storia degli Juke; ma l’ubbriachezza acuta, isolata, dà luogo a delitti. Gall narra di un brigante, Petri, che, appena beveva, sentiva nascersi le tendenze omicide; e di una donna di Berlino, a cui l’ubbriachezza suscitava tendenze sanguinarie.

L’alcool è causa di delitti, perchè molti delinquono per poter ubbriacarsi; perchè molti sono tratti dall’ubriachezza al delitto, oppure nell’inebbriamento si procurano prima, i vigliacchi, il coraggio necessario alle nefande imprese, e poi l’amminicolo ad una futura giustificazione, e colle precoci ebbrezze seduconsi i giovinetti al crimine; ma più di tutto perchè l’osteria è il punto di ritrovo dei complici, il sito dove non solo si medita, ma si usufrutta il delitto, e per molti questa è abitazione e banco pur troppo fedele. In Londra nel 1880 si contavano 4938 osterie ove entravano solo ladri e prostitute.

Finalmente l’alcool ha una connessione inversa col crimine, o meglio col carcere; nel senso che dopo le prime prigionie il reo liberato, perduto ogni vincolo di famiglia, ogni punto d’onore, trova nell’alcool di che dimenticarli e supplirli; perciò tanto spesso l’alcoolismo si offerse nei recidivi; e perciò si comprende come Mayhew trovasse quasi tutti i ladri di Londra ubbriachi dopo mezzodì, così da morirne tra i 30 ai 40 anni per alcoolismo, e come fra i deportati dalla Noumea, che bevono, oltre che per la vecchia abitudine, anche per dimenticare il disonore, la lontananza della famiglia, della patria, le torture degli aguzzini e dei compagni e forse i rimorsi, tanto che il vino vi si convertiva in moneta; sicchè una camicia valeva un litro, un abito due litri, un pantalone due litri, e perfino il bacio della donna si saldava con litri (Simon Meyer, Souvenirs d’un déporté, pag. 376, Paris, 1880).

6. Criminalità specifica.—E qui gioverà conoscere in quali reati più specialmente si senta la sua influenza.

Dalle tabelle del Baer (pag. 351 della sua opera Der Alcoholismus und seine Verbreitung, ecc., Berlin, 1878) ricavasi come in Germania si notassero su un totale:

I.—Nell’ergastolo per uomini:

A B C D
REI ALCOOLISTI
Totale in genere d’occasione abituali
% % %
1. Ferite e percosse 773 575 cioè 74,5 418 cioè 72,7 157 cioè 27,3
2. Rapina e assassinio 898 618 cioè 68,8 353 cioè 57,1 265 cioè 42,9
3. Omicidio semplice 348 220 cioè 63,2 129 cioè 58,6 91 cioè 41,4
4. Impudicizia e stupro 954 575 cioè 60,2 352 cioè 61,2 223 cioè 38,8
5. Furto 10033 5212 cioè 51,9 2513 cioè 48,2 2699 cioè 51,8
6. Omicidio tentato 252 128 cioè 50,8 78 cioè 60,9 50 cioè 39,1
7. Incendio 304 383 cioè 47,6 184 cioè 48,0 199 cioè 52,0
8. Omicidio premeditato 514 237 cioè 46,1 139 cioè 58,6 98 cioè 41,4
9. Spergiuro 590 157 cioè 26,6 82 cioè 52,2 75 cioè 47,8

II.—Nelle prigioni per uomini:

1. Offese contro la moralità 209 154 cioè 77,0 113 cioè 73,3 41 cioè 26,7
2. Resistenza alla forza pubblica 652 499 cioè 76,5 445 cioè 89,0 54 cioè 11,0
3. Ferite e percosse 1130 716 cioè 63,4 581 cioè 81,1 135 cioè 18,9
4. Incendio 23 11 cioè 48,0 5 cioè 45,4 6 cioè 54,6
5. Furto 3282 1048 cioè 32,0 666 cioè 63,5 382 cioè 36,5
6. Frode, falso, ecc. 786 194 cioè 24,7 111 cioè 57,2 83 cioè 42,8

Sarebbe evidente una frequenza maggiore nelle ferite e percosse e nelle offese al pudore e ribellione; venendo poi in seconda linea gli assassini e gli omicidi; in ultimo gli incendiari ed i ladri (i rei dunque, contro la proprietà), che però sono più abbondanti dei primi fra i beoni abituali. Un minimum degli uni e degli altri si ha nei falsi e nelle truffe e pour cause; perchè, com’essi mi dicevano; «Ci vuol la testa a posto per commettere le truffe».

Però una notevole differenza darebbe in queste proporzioni il Marambat, il quale comunicò all’Accademia di Parigi (Revue scientifique, 1888) alcune osservazioni statistiche fatte sulla frequenza dell’alcoolismo nei criminali. Sui 2950 condannati da lui esaminati, 78% erano ubbriaconi; emergerebbero i vagabondi e mendicanti che ne dànno il 79%; gli assassini e gli incendiari darebbero il 50 e 57%; i colpevoli di attentati al buon costume il 63%; i ladri, i truffatori, ecc., il 71%; però, nel complesso, egli notò nei reati contro le persone l’88% d’ebbri; il 77% in quelli contro la proprietà; nei recidivi il 78,5%.

Anche Marro trovò in 1ª lista, fra i suoi beoni, i grassatori, 82%; i feritori, 77%; i ladri, 78%; venendo poi i truffatori, 66%; gli assassini, 62%; e gli stupratori, 61%.

Vétault (op. cit.) in 41 alcoolisti delinquenti trovò:

  • 15 omicidi
  • 8 ladri
  • 5 truffatori
  • 4 attentati al pudore
  • 4 feritori
  • 2 oltraggi in offesa al pudore
  • 2 vagabondi
  • di cui 13 soli furono tenuti responsabili.

Può ben dirsi in complesso che i grandi reati contro le persone (ferimenti in ispecie) e la proprietà (furti e grassazioni) sieno i più infetti d’alcoolismo ed in complesso più quelli che questi.

Rispetto all’influenza del vino sulla criminalità in Italia possiamo trarre dall’opera del Fornasari questi dati riflettenti i più importanti reati. Vedi Tav. II e Fig. 3.

Tav. II. ITALIA

ill-110.jpg fig 3

 

tav 4Fig 4.

Egli servendosi, oltrechè dei dati riportati nella detta tavola, anche del movimento dei prezzi medi annuali di cinque mercati: Milano, Firenze, Roma, Avellino e Cagliari, giunge a queste deduzioni:

1º Un rincaro del vino porta sempre una diminuzione di grassazioni, molto spesso anche d’incendi e danni; talvolta però porta un aumento negli altri reati contro la proprietà, in modo simile a quanto avviene quando rialza il prezzo dei cereali: viceversa pei ribassi. I reati contro il commercio e i falsi non se ne risentono.

2º Il furto, tanto semplice che qualificato, va gradatamente diminuendo da 196 e 160 nel 1880; a 105 e 107 nel 1887, mentre il valore e il consumo dell’alcool diminuisce; però i furti crescono mentre l’alcool continua a diminuire.

3º Il vino è il fattore principale e più potente nella determinazione dei reati contro le persone: tutte le varie specie di tali reati risentono in generale l’influenza delle variazioni che si verificano nel prezzo di esso; particolarmente variano inversamente al variar del costo del vino le ferite e percosse e i reati di competenza pretoriale quasi senza eccezioni, sufficientemente pure gli omicidi e ferimenti con morte. Così le ferite e percosse, nel 1887-88, col calar del prezzo del vino, crescono, da 158 ch’erano nel 1886, a 180 e a 192, e calano subito a 178 crescendo, nel 1889, il prezzo del vino. Invece le diffamazioni e ingiurie sono affatto indipendenti dal costo del vino.

Tutti gli altri reati ne risentono alcuni poco, altri nulla; quelli però contro la pubblica amministrazione e in particolare le ribellioni e violenze a pubblici ufficiali, 1881-88, ne risentono moltissimo.[10]

Per l’influenza dell’alcool sulla criminalità del Regno Unito della Gran Brettagna e Irlanda lo stesso autore trovò:

1º Agli aumenti nel consumo dell’alcool corrispondono con sufficiente ma non precisa frequenza[11], diminuzioni nei crimini contro la proprietà senza violenza, e quando esso scema si hanno quasi del pari aumenti e cali; ma un po’ più spesso aumenti di detti reati: nel 1875-76, p. es., aumentano mentre il consumo d’alcool cresce, ma poi nel 1877-78 crescono quando questo cala.

2º Sui crimini contro la proprietà con violenza il consumo dell’alcool non ha chiara influenza.

3º I crimini contro la proprietà con distruzione dolosa a preferenza calano col maggior consumo dell’alcool; infatti dal 1870 al 1875 e dal 1863 al 1865, mentre il consumo dell’alcool va aumentando, questi perciò diminuirono da 276 a 260 e da 519 a 238, con eccezione però del periodo 1848-55, in cui il consumo dell’alcool e quello dei reati va aumentando di pari passo; diminuendo poi il consumo dell’alcool, questi delitti; aumentano o diminuiscono indifferentemente; così alla diminuzione costante del consumo durante il quattordicennio 1875-89, corrisponde ora aumento ora diminuzione di reati.

4º I crimini di falso e contro la circolazione monetaria scemano anch’essi collo scemare del prezzo del vino fino al 1884, ma poi rimontano indipendentemente da esso.

5º I crimini contro le persone mostrano di essere legati al consumo dell’alcool e degli alcoolici aumentando gradatamente coll’aumentare del prezzo dell’alcool, come nel periodo 1848-57, ma non diminuiscono col diminuire di esso nel periodo 1873-89.[12]

6º Gli altri crimini non hanno un rapporto troppo chiaro, i delitti e le contravvenzioni scemano a preferenza quando scema il consumo dell’alcool.[13]

Circa l’influenza del vino nella Nuova Galles del Sud non troviamo chiara corrispondenza che coi furti e le ricettazioni di res furtivae e i furti di cavalli e gli incendii, i quali quando aumenta il consumo dell’alcool (1884, 1891) o sono ad una cifra alta o aumentano; per bere molto se mancano denari si ricorre al furto. Non risentono alcuna influenza invece gli altri reati contro la proprietà. E neppure gli stupri e poco chiaramente gli assassini e tentati assassini e gli omicidi e i ferimenti; meno netto ancora è il rapporto per i reati di competenza inferiore.

Infatti i furti danvi il massimo 737 p. 100.000 nel 1882, quando è massimo il consumo del vino (0,85), diminuendo con esso fino al 1885 a 583 (consumo 0,65), e risalendo col risalire del consumo fino al 1889 in cui dànno un massimo 608 (0,83 di consumo).

Quanto agli assassinii invece e ai loro tentativi dànno il massimo 31 (1888) e il minimo 14 (1876) con cifre medie quanto al consumo del vino (0,82, 0,76). E viceversa al minimo e al massimo di consumo (1882, 1886) corrisponde una cifra media di assassinii.[14]

Anche qui devesi notare che per quanto l’alcoolismo sia un fattore influentissimo, pure, anche dove più flagella non colpisce al di là del 77%, e che vi hanno reati come lo spergiuro, il falso, la bancarotta ecc. che non ne sono minimamente influiti.

7. Alcoolismo in antagonismo col crimine.—Anche ci deve colpire il fatto che nei paesi più civilizzati e che pure abusano di alcoolismo, come la Nuova Galles del Sud e anche l’Inghilterra, l’azione sua va facendosi sempre più incerta e lieve.

Ed ora Bosco ci mostra che negli Stati Uniti solo il 20% degli omicidi è dedito all’ubbriachezza, mentre il 70% è anzi temperante (op. cit.).

E già dal bel lavoro di Colaianni, dal mio (Alcoolismo, 1892), sopratutto dalla bellissima monografia dello Zerboglio[15], ciò si tentava spiegare (come si spiega quell’altro fatto contraddittorio che dove è il maggior consumo degli alcoolici, è spesso minor numero di delitti), non perchè l’alcool non porti i suoi terribili effetti sugli individui, ma perchè non se ne abusa che quando la civiltà assai progredita ha dato i suoi frutti, proteggendoci colla maggiore inibizione e attività psichica dai grandi reati; infatti l’Inghilterra, Norvegia, Germania, paesi di massimo consumo d’alcool, dànno come dimostra Zerboglio minori reati della Spagna e Italia che bevono assai meno.

E nella tabella più recente dell’alcoolismo in Europa si vede che alcuni dei paesi che dànno maggior consumo di alcool come, p. es., Inghilterra, Francia e Belgio dànno cifre minori di omicidi.

Consumo di alcoolici (equivalente in alcool puro per abitante (galloni)):

Omicidi
p. 100.000 ab.
Austria 2,80 25
Spagna 2,85 74
Germania 3,08 5,7
Italia 3,40 96
Inghilterra e Galles. }
Irlanda } 3,57 5,6
Scozia }
Belgio 4,00 18
Francia 5,10 18

(Coghlan, The wealt and progress etc., Sydney, 1893) con scala inversa dell’omicidio.

E così spiegasi quanto nota giustamente il Colaianni (Arch. di Psich., VII), come dal 1861 al 1870 e probabilmente anche dal 1880 in Francia, il numero dei delitti gravi provocati dall’alcoolismo, dal 7% e dall’11% che erano nel periodo 1826-40 calò nel periodo 1861-80 al 5% e al 3%.—L’alcoolismo sussiste dunque e anche aumenta ma insieme aumenta la forza di inibizione che dà la civiltà, e per questa causa calano alcuni delitti; senza dire che nei paesi del Nord, predomina anche l’influenza climatica che se aumenta il bisogno dell’alcool, diminuisce però l’impulsività e quindi gli omicidi.

8. Ribellioni politiche.—L’alcoolismo è un fattore potente nelle rivolte. Questo non isfuggì ai capi delle rivolte, che spesso cercarono di giovarsene per le loro mire: ed è così che nell’Argentina, Don Giovanni Manuel, alcoolista egli stesso, trovava un efficace aiuto alla sua politica nelle esplosioni del furore popolare, dovuto all’abuso degli alcoolici e che a Buenos-Ayres questi furono armi politiche in mano di Quiroga, di Francia, di Artigas e dei suoi feroci satelliti, non pochi dei quali, come Blacito e Ortoguez, erano essi stessi in preda al Delirium tremens (Ramos-Mejia).[16]

È incredibile l’abuso degli alcoolici che si fece p. e. a Buenos-Ayres nel 1839: in quell’anno si consumarono, oltre a centinaia di botti d’acquavite, 3836 frasqueras di ginepro, 262 botti e 2182 damigiane della stessa bevanda, oltre 2246 botti di vino, 246 barili di birra ed altri di cognac e di Oporto (Id.).

Durante la Rivoluzione francese fu l’alcoolismo che attizzò gli istinti sanguinari della plebe e dei rappresentanti del Governo rivoluzionario; fra questi ricordiamo Monastier che, ubbriaco, faceva ghigliottinare Lassalles, e all’indomani non si ricordava più dell’ordine dato; gli inviati nella Vandea che vuotarono, in tre mesi, 1974 bottiglie, e che contavano nel loro seno Rossignol, un operaio orefice, divenuto generale in capo, tutta la vita dedito alle crapule, e Vacheron che violava le donne e le fucilava allorchè si rifiutavano alle sue libidini accese dall’alcool.

La Francia gode, tuttora, un triste primato nel consumo dell’alcool: secondo il Rochard[17] la produzione dell’alcool in Francia, che nel 1788 si calcolava a 369,000 ettol. nel 1850 saliva a 891,500 e nel 1881 a 1,821,287 ettol.—È naturale, pertanto che essa più ne risenta gli effetti nel campo politico, e che, come disse il Caro[18], l’assenzio faccia degli oratori e dei politici a Parigi, come l’oppio crea in China ed in India gli estatici.

Fu affermato che anche nel colpo di Stato del 2 dicembre si siano usate enormi distribuzioni di vino alle truppe: certamente l’alcoolismo, come non era stato prima estraneo ai moti del 1846 (fra i cui capi, secondo l’attestazione del Chenu[19], si notavano due beoni, Caussidière e Grandmesnil), ripullulò colla Comune, per la grande quantità d’alcool che si trovava nella città assediata e quindi alla portata di coloro che vi erano rinchiusi.

Despine[20]

Marambat[21] ha stabilito che la passione del fanciullo per il tabacco lo trascina alla pigrizia, all'ubbriachezza e poi al delitto. Su 603 fanciulli da 8 a 15 anni, 51% avevano le abitudini del tabacco prima della loro detenzione; su 103 giovani dai 16 ai 20 anni questa proporzione è dell'84%; su 850 individui maturi il 78% avevano contratto quest'abitudine prima dei 20 anni. Di questi ultimi—516—individui il 57% entrava in prigione per la prima volta prima di raggiungere i 20 anni, mentre tra gli individui che non avevano mai usato tabacco questa proporzione è solo del 17%. La proporzione degli abituati al tabacco tra gli imputati di vagabondaggio, mendicità, ladroneggio, truffa, ecc. è dell'89%.

Tra gli ubbriachi condannati gli individui dediti al tabacco danno il 74%, mentre gli altri il 43%. E tra i fumatori il numero dei recidivi è 79%—mentre fra quelli che non fanno uso del tabacco è dell'55%. I detenuti sobri che non usano tabacco dànno recidive nel 18%, mentre gli altri, quantunque pure sobri, forniscono il 62%.

È evidente dunque che vi è un rapporto eziologico tra il tabacco ed il delitto, che perfettamente collima con quello dell'alcoolismo; perocchè è un fatto curioso che nei paesi dove è massimo il consumo del tabacco[22] si ha il minimo della criminalità. Contraddizione frequente in tutte queste ricerche, ma che presto si elide, perchè i fatti restano sempre, anche quando pare si contraddicono ricordando come già per l'alcoolismo che queste sostanze eccitanti del sistema nervoso sono più frequentemente abusate nei popoli quanto più civili.

11. Canapa.—Lo Stanley, or ora, in Africa trovò una specie di banditi detti Ruga-Ruga, che erano i soli indigeni che abusassero della canapa; secondo le tradizioni dell'Uganda il delitto apparve nei figli di Kinto dopo che adottarono la birra (Stanley).

12. Morfina.—A queste intossicazioni si potrebbero aggiungere una quantità di altre. L'Hamook è un'ebbrezza da oppio che spinge i Malesi all'omicidio; l'oppiofago chinese è apatico e insieme impulsivo, omicida, suicida. Parecchie truffatrici ladre mostrano una isteria mischiata a morfinomania, e i morfinomani in genere mostrano una diminuzione notevole di senso morale, che più specialmente spinge alla truffa, come qualche volta all'omicidio e all'oscenità criminose (Charcot, op. cit.).

Un dottore aveva perduto così il senso morale, da farsi rubare dalle amanti il denaro pel giuoco. Quando l'amante adultera entrò in convento diede in ismanie tali, rotolandosi per terra, mordendo i tappeti, che la moglie gli ricondusse essa stessa l'amante.

Una donna per le atroci sofferenze della astinenza morfinica fu obbligata a prostituirsi per procacciarsene.

Una donna perversa fin da bambina divenata morfinomane, assassinò una sua bimba di 5 anni e sostenne che era trascinata agli impulsi sanguinosi della morfina (Guimbail, Annale d'hygiène publique, 1891). Il morfinomane perde per gradi il potere di reagire, alle tendenze impulsive finchè eguaglia e quasi supera il fumatore d'Haschisch in cui le tendenze criminali sono così frequenti.

Un chinese per procurarsi il denaro per fumare, giuoca perfino le proprie dita falange per falange, di cui stacca con un'ascia una falange ogni volta che perde.

Il dott. Lamson, morfinomane, avvelenò con morfina un suo cognato, senza comprenderne la gravità.

Nell'astinenza forzata, si hanno insieme alle manie e alle melanconie, una tendenza al suicidio, omicidio, ma sopratutto al furto per procurarsi il veleno (V. Guimbail, o. c.).

Marandon de Montijel riferisce il caso di un avvocato che vedendosi rifiutata la morfina, in un bastimento, ne rubò con iscasso la provvisione di bordo.

Una isterica morfinomane, di 28 anni, truffa, dando un falso nome, e compra per un valore di 120 lire di merci in un magazzino, e con imprevidenza strana ritorna nel magazzino pochi giorni dopo riportando una parte degli oggetti rubati dicendo che non le convenivano: aveva venduto tutto, argenteria, libri, per comperarsi morfina, e doveva ancora 1600 lire per questa al farmacista: e quando egli si rifiutò di dargliene altra commise il reato.

I morfinomani in complesso hanno la perdita del senso morale; tanto più viva quanto maggiore è la dose. Possono avere allucinazione e pazzia ma soprattutto hanno tendenze impulsive. Così uno taglia il capo di un compagno credendo di ferire un porco.

14. Mais guasto.—Anche il maiz guasto può considerarsi come criminogeno.

Già le osservazioni esperimentali mi avevano mostrato che i polli, i cani, docili e buoni, nutriti a maiz guasto diventavano dopo qualche tempo feroci. Ma già nei miei Studi clinici sulla pellagra (1872) e nel Trattato sulla pellagra (Torino, 1890) ho esposto le storie di rei il cui movente risaliva alla pellagra ossia all'uso del maiz guasto. Così uno affamava i figli per avarizia, e ne uccise uno perchè per sfamarsi gli rubava alcune patate nel suo campo; ed una donna gettava nel pozzo quasi pubblicamente il proprio neonato. Un altro rubava per sfogare l'enorme voracità, per cui dicevami: «Sarei capace di mangiare un uomo». In ambedue la pazzia morale era acquisita in età matura, dall'avvelenamento maidico.


  1. Chi compari la più antica leggenda Semita, quella di Eva, colle altre che corsero sulla Saoma nell'India, e sul Medh nel nord d'Europa, intravvede che si trattava di quel frutto, il pomo, forse, tanto indiziato dalla tradizione popolare, donde escì il primo liquore fermentato, il sidro, mentre col biblico albero della vita, che gli stava vicino, si voleva probabilmente alludere a quell'altro, la vigna, detto in Accadico gestin, legno della vita, donde si trasse l'alcool o l'acqua della vita, così omologo nel significato all'amrita—l'immortale degli Indiani, ed all'abrotos del Greci. Coloro che, in grazia alle condizioni economiche o di clima o di casta, fecero solo un parco uso delle sostanze fermentate o dei loro sostitutivi, oppio, coca, ecc., non ne videro se non la strana e benefica efficacia, l'eccitamento meraviglioso dell'intelligenza e della memoria, e delle più nobili passioni, dell'amore sopratutto e della benevolenza. Al succo dell'asclepias, alla Soma, quindi, attribuirono facoltà meravigliose, e non solo la ispirazione poetica, ma il coraggio degli eroi, e perfino la virtù di rendere immortali (amrita). «Noi abbiamo bevuto la Soma (Rig. Veda, VIII, p. 48); noi divenimmo immortali, entrammo nella luce, ecc.»—Il Soma che genera gli inni ed il talento del poeta (idem, IX, 25). Nel Yacna di Zoroastro, il succo dell'Haoma, che è tutt'uno del Soma «allontana la morte». Il sacerdote era sinonimo di bevitor di Soma; e poi finalmente il Soma stesso divenne, per quei rivolgimenti facili nelle creazioni popolari, un Dio, un Dio così potente da rivaleggiare col fuoco (Rig. Veda, IX, 96): «Soma, tu che fai i Richis, che dai il bene, padrone di un migliaio di canti, ecc., tu immortale, dai l'immortalità agli Dei e agli uomini». La Saoma non era permessa che ai Bramini; così come nel Perù la coca era solo concessa ai discendenti dell'Incas; e fra i Chibcha ai preti, che se ne servivano come di un agente di ispirazione. Anche il Med, la bevanda dell'Edda, di miele e sangue, faceva divenire poeti e saggi gli uomini (Kuhn, Die Herabkunst der Feuers, 1859). E qui ricordo come il grande Idhunna dell'Edda fu sedotto da Loki a carpir i pomi dell'immortalità, e tosto la sua Bragi gli fu rapita dai giganti. E, qui, notisi che la Saoma, la quale è già spesso confusa coll'amrita (Veda, XIV) è detta qualche volta in sanscrito Madhu, che nello Zendo ha significato di vino; il che lega il Med Nordico, Madus Lituano e Mad sanscrito col nostro matto; e, infatti, Bacco, nato Dio, è versato in onore degli Dei; e il delirio bacchico è una virtù profetica, è la possessione del Dio: ed Esculapio era figlio di Bacco. Gli Assiri ebbero, come i Sabei, sempre un albero sacro, che dapprima fu la stessa asclepia degli Indiani, e poi la palma, donde ancora si cava un liquore; e si noti che il nome presemita di Babilonia è Tin-tir-ki—luogo dell'albero della vita (Lenormant, De l'Orig. de l'Hist., 1879). L'albero sacro agli Egizi era il ficus religiosa, donde traevano un liquore fermentato; e nei riti funerari le anime porgono la mano a berne il succo che le deve rendere immortali. Curioso è poi che questo del Ficus era nell'India il liquore profano che i Bramini porgevano alle plebi quando ne eran richiesti, invece della sacra Saoma (Katyalyana, X, 9).
  2. Plancy, Légendes de l'ancien Testament, p. 121-122.
  3. Méos, Nouveau Recueil De l'hermite qui s'énivra.
  4. Il colèra nei temperanti diede mortalità del 19,9%. Il colèra nei bevitori diede mortalità del 91%
  5. Matrimoni dei bevitori diedero, in media, 1,3 figliuoli. Matrimoni degli astemi diedero, in media, 4,1 figliuoli. (A. Baer, Der Alkoholismus, Berlin, 1878).
  6. Un uomo di 20 anni bevitore ha la vita media probabile di 15, l'astemio di 44. I bevitori di birra hanno una vita media di anni 21,7. Quelli di alcool hanno una vita media di anni 16,7. Quelli di alcool e birra hanno una vita media di anni 16,1. Su 97 bambini nati ad ubbriachi, 14 soli eran sani (Baer, op. cit.).
  7. Dal 1823 al 1826 gli ospizi di Filadelfia accettarono da 4 a 5000 poveri per anno ridotti a tale dall'ubbriachezza. Su 3000 del Massachussett ben 2900 erano nella stessa condizione. Baer, op. cit. p. 582.
  8. Nelle statistiche uffiziali 1870, calcolando in media 1 giorno festivo sopra 5 non festivi, si avrebbe questa proporzione per % di reati commessi nei giorni festivi: Assise Tribunali ordinari Ribellione, resistenza all'autorità pubblica 68,1 78,5 Stupro violento 65,4 67,4 Parricidio, uxoricidio, infanticidio 56,9 — Omicidio volontario 72,8 74,8 Omicidio in rissa 78 76 Giuochi in rissa — 83,8 Ferite con morte 71,3 — Ferite e percosse volontarie 69,6 82 Minaccie e vagabondaggio — 72,4 Grassazioni e furti 61,5 — Furti 61,2 66,8 Esposizione e supposizioni d'infanti — 34,8 Ricettazione e compra di cose furtive 63,9 — Sottrazione di depositi pubblici — 39,3 Truffe e appropriazioni indebite 33,9 62,4 Falsi diversi 47,8 49,4 Calunnie e false testimonianze 12 — Grassazioni e furti con omicidio 31,2 — Bancherotte 26,4 48,2 Danni di fondi — — Tutti cioè i delitti d'impeto e contro le persone prevalgono nei giorni festivi su quelli di calcolo e di destrezza.
  9. Ueber die Beeiflussung einfacher psychischer Vorgänge durch einige Arzeneimittel. Jena, Fischer, 1892.
  10. Cfr. Fornasari di Verce, Op. cit., § 25-31.
  11. Che l'aumento o la diminuzione nel consumo dell'alcool non abbia spiccata influenza sui crimini contro la proprietà senza violenza si vede p. e. da ciò che questi reati aumentano da 20.035 a 23.571 nel 1847 e da 21.545 a 23.017 nel 1854, parallelamente a un aumento di consumo nell'alcool; ma viceversa diminuiscono nel 1864 e nel 1871 da 14.075 a 13.202 o da 12.294 a 11.265, nonostante l'aumento sensibile del consumo da 0,85 a 0,90 e da 1,23 a 1,27.
  12. V. Fornasari di Verce, op. cit., pag. 198.
  13. Op. cit., § 62-68.
  14. Op. cit., § 74-87.
  15. L'alcoolismo, Torino, Bocca, 1893.
  16. Vedi C. Lombroso e Laschi, Il Delitto politico e le rivoluzioni, pag. 92
  17. L'alcool (Revue des Deux Mondes, avril 1886).
  18. La fin de la Bohème (Revue des Deux Mondes, juillet 1871).
  19. Les conspirateurs, 1849.—Lombroso, Il delitto politico ecc.
  20. De la folie, etc. Paris, 1875.—Lombroso, Il delitto politico ecc.[/footnote nota, a questo proposito, che la dipsomania reclutò il maggior numero dei soldati della Comune, attrattivi per soddisfare le tristi passioni colla paga e col saccheggio: e che l'alcoolismo rendeva sprezzanti del pericolo, e non curanti delle ferite.

    Il generale comunardo Cluseret, stesso, non ne fa mistero nelle sue Memorie.—«Mai, come a quel tempo, egli scrive, i vinai possono vantare d'aver fatto quattrini». Egli stesso dovette spesso arrestare dei capi di battaglione briachi, non soltanto dalla sera alla mattina, ma ben anco... dalla mattina alla sera.

    «Quando le cose volgevano a male per gli insorti assediati; quando i Versagliesi minacciavano da vicino il forte d'Issy, che cosa facevano i difensori? Le taverne e le bettolaccie di quella borgata rigurgitavano di avventori rimbamboliti dall'ubbriachezza. Dentro Asnières, e proprio alla vigilia della sua capitolazione, la guardia nazionale, seguendo la sua lodevole consuetudine, fumava, dormiva, mangiava e beveva».

    Laborde cita due veri dipsomani fra i principali comunardi: L... irascibile e vano, condannato più volte per violenze ed oltraggi, e già sospetto d'alienazione; R... membro della Corte marziale e alcoolista, con antecedenze ereditarie; e insieme Genton, già falegname, che presiedette la stessa Corte allorchè giudicò gli ostaggi, rozzo colla fisionomia brutale del beone; Dardelle, governatore militare delle Tuileries, la cui voce era roca per l'alcool, e Protot, delegato al Ministero della giustizia, che del gabinetto del guardasigilli aveva fatto una bettola.

    Eguali cause, eguali effetti:—non è guari, l'anniversario della Comune segnava, in una regione del Belgio, il principio di un movimento anarchico, con lontane parvenze politiche, che distruggeva col saccheggio e coll'incendio quelle grandiose fabbriche di vetri, da cui parecchie migliaia di operai ritraevano il sostentamento. Orbene: da calcoli fatti risultò che appunto quella regione partecipò più largamente all'enorme consumo dell'alcool fatto nel Belgio in quell'anno (1884), accertato dalle cifre ufficiali in 500 mila ettolitri, ma probabilmente superiore ai 600 mila ettolitri, cifra che corrisponde al consumo dell'alcool in Italia, che ha una popolazione cinque volte maggiore.

    9. L'alcoolismo nell'evoluzione.—Nell'Homme de génie ho dimostrato che una piccola quota di genii e dei loro genitori è alcoolista (Baethoven, Byron, Avicenna, Alessandro Murger), ma questa, più che causa, può dirsi triste complicazione e concomitanza del genio, la cui vasta ed eccitabile corteccia abbisogna di sempre nuovi eccitanti. E fatto parallelo a quello dei popoli che, quanto più civili, specialmente se nordici, più sono preda dell'alcoolismo: che, anche qui, però, non è causa, ma complicazione sventuratamente necessaria della maggiore eccitabilità corticale.

    10. Tabacco.—Secondo Venturi i delinquenti offrono il maggior numero di fiutatori di tabacco non solo in confronto de' sani, ma anche de' pazzi stessi (delinquenti 45,80%; pazzi 25,88%; sani 14,32%); e tra i delinquenti le proporzioni crescono tra sanguinari (48%) e assassini rispetto a briganti ladri e falsari (43%).

    Tanto nei criminali come ne' pazzi tale uso si inizia—al contrario de' sani—sin nella gioventù; ma mentre nei pazzi esso aumenta nel manicomio—invece nei deliquenti tale uso è antecedente alla detenzione nè viene accresciuto da essa.

    Le prostitute di Verona e Capua pigliano tabacco quasi tutte e quelle che non tabaccano fumano.[footnote]Venturi, Sull'uso del tabacco da naso nei sani, pazzi e delinquenti (Il Manicomio, 1885, N. 2 e 3 e Archivio di Psich., VII, 630).

  21. Vedi Archivio di Psich., V, 378.
  22. libbre di tabacco per persona Olanda 6,92 Austria 3,77 Danimarca 3,70 Svizzera 3,24 Belgio 3,15 Germania 3,00 Francia 2,05 Svezia 1,87 Spagna 1,70 Italia 1,34 Russia 1,23 (Coghlan, Wealth of New South Wales, 1895, pag. 303. Sydney).