In vista di questi principii strano parrà, a chi non riflette che la ragione non è quasi mai stata la legislatrice delle nazioni, che i delitti o più atroci o più oscuri e chimerici, cioè quelli de’ quali l’improbabilità è maggiore, sieno provati dalle conghietture e dalle prove più deboli ed equivoche; quasiché le leggi e il giudice abbiano interesse non di cercare la verità, ma di provare il delitto; quasiché di condannare un innocente non vi sia un tanto maggior pericolo quanto la probabilità dell’innocenza supera la probabilità del reato. Manca nella maggior parte degli uomini quel vigore necessario egualmente per i grandi delitti che per le grandi virtú, per cui pare che gli uni vadan sempre contemporanei colle altre in quelle nazioni che più si sostengono per l’attività del governo e delle passioni cospiranti al pubblico bene che per la massa loro o la costante bontà delle leggi. In queste le passioni indebolite sembran più atte a mantenere che a migliorare la forma di governo. Da ciò si cava una conseguenza importante, che non sempre in una nazione i grandi delitti provano il suo deperimento.
Vi sono alcuni delitti che sono nel medesimo tempo frequenti nella società e difficili a provarsi, e in questi la difficoltà della prova tien luogo della probabilità dell’innocenza, ed il danno dell’impunità essendo tanto meno valutabile quanto la frequenza di questi delitti dipende da principii diversi dal pericolo dell’impunità, il tempo dell’esame e il tempo della prescrizione devono diminuirsi egualmente. E pure gli adulterii, la greca libidine, che sono delitti di difficile prova, sono quelli che secondo i principii ricevuti ammettono le tiranniche presunzioni, le quasi-prove, le semi-prove (quasi che un uomo potesse essere semi-innocente o semi-reo, cioè semi-punibile e semi-assolvibile), dove la tortura esercita il crudele suo impero nella persona dell’accusato, nei testimoni, e persino in tutta la famiglia di un infelice, come con iniqua freddezza insegnano alcuni dottori che si danno ai giudici per norma e per legge.
L’adulterio è un delitto che, considerato politicamente, ha la sua forza e la sua direzione da due cagioni: le leggi variabili degli uomini e quella fortissima attrazione che spinge l’un sesso verso l’altro; simile in molti casi alla gravità motrice dell’universo, perché come essa diminuisce colle distanze, e se l’una modifica tutt’i movimenti de’ corpi, così l’altra quasi tutti quelli dell’animo, finché dura il di lei periodo; dissimile in questo, che la gravità si mette in equilibrio cogli ostacoli, ma quella per lo più prende forza e vigore col crescere degli ostacoli medesimi.
Se io avessi a parlare a nazioni ancora prive della luce della religione direi che vi è ancora un’altra differenza considerabile fra questo e gli altri delitti. Egli nasce dall’abuso di un bisogno costante ed universale a tutta l’umanità, bisogno anteriore, anzi fondatore della società medesima, laddove gli altri delitti distruttori di essa hanno un’origine più determinata da passioni momentanee che da un bisogno naturale. Un tal bisogno sembra, per chi conosce la storia e l’uomo, sempre uguale nel medesimo clima ad una quantità costante. Se ciò fosse vero, inutili, anzi perniciose sarebbero quelle leggi e quei costumi che cercassero diminuirne la somma totale, perché il loro effetto sarebbe di caricare una parte dei propri e degli altrui bisogni, ma sagge per lo contrario sarebbero quelle che, per dir così, seguendo la facile inclinazione del piano, ne dividessero e diramassero la somma in tante eguali e piccole porzioni, che impedissero uniformemente in ogni parte e l’aridità e l’allagamento. La fedeltà coniugale è sempre proporzionata al numero ed alla libertà de’ matrimoni. Dove gli ereditari pregiudizi gli reggono, dove la domestica potestà gli combina e gli scioglie, ivi la galanteria ne rompe secretamente i legami ad onta della morale volgare, il di cui officio è di declamare contro gli effetti, perdonando alle cagioni. Ma non vi è bisogno di tali riflessioni per chi, vivendo nella vera religione, ha più sublimi motivi, che correggono la forza degli effetti naturali. L’azione di un tal delitto è così instantanea e misteriosa, così coperta da quel velo medesimo che le leggi hanno posto, velo necessario, ma fragile, e che aumenta il pregio della cosa in vece di scemarlo, le occasioni così facili, le conseguenze così equivoche, che è più in mano del legislatore il prevenirlo che correggerlo. Regola generale: in ogni delitto che, per sua natura, dev’essere il più delle volte impunito, la pena diviene un incentivo. Ella è proprietà della nostra immaginazione che le difficoltà, se non sono insormontabili o troppo difficili rispetto alla pigrizia d’animo di ciascun uomo, eccitano più vivamente l’immaginazione ed ingrandiscono l’oggetto, perché elleno sono quasi altrettanti ripari che impediscono la vagabonda e volubile immaginazione di sortire dall’oggetto, e costringendola a scorrere tutt’i rapporti, più strettamente si attacca alla parte piacevole, a cui più naturalmente l’animo nostro si avventa, che non alla dolorosa e funesta, da cui fugge e si allontana.
L’attica venere così severamente punita dalle leggi e così facilmente sottoposta ai tormenti vincitori dell’innocenza, ha meno il suo fondamento su i bisogni dell’uomo isolato e libero che sulle passioni dell’uomo sociabile e schiavo. Essa prende la sua forza non tanto dalla sazietà dei piaceri, quanto da quella educazione che comincia per render gli uomini inutili a se stessi per fargli utili ad altri, in quelle case dove si condensa l’ardente gioventù, dove essendovi un argine insormontabile ad ogni altro commercio, tutto il vigore della natura che si sviluppa si consuma inutilmente per l’umanità, anzi ne anticipa la vecchiaia.
L’infanticidio è parimente l’effetto di una inevitabile contradizione, in cui è posta una persona, che per debolezza o per violenza abbia ceduto. Chi trovasi tra l’infamia e la morte di un essere incapace di sentirne i mali, come non preferirà questa alla miseria infallibile a cui sarebbero esposti ella e l’infelice frutto? La miglior maniera di prevenire questo delitto sarebbe di proteggere con leggi efficaci la debolezza contro la tirannia, la quale esagera i vizi che non possono coprirsi col manto della virtú.
Io non pretendo diminuire il giusto orrore che meritano questi delitti; ma, indicandone le sorgenti, mi credo in diritto di cavarne una conseguenza generale, cioè che non si può chiamare precisamente giusta (il che vuol dire necessaria) una pena di un delitto, finché la legge non ha adoperato il miglior mezzo possibile nelle date circostanze d’una nazione per prevenirlo.