1 Nota introduttiva

L’ascesa del cognitivismo è forse la novità più rilevante che gli studi letterari abbiano registrato negli ultimi dieci o vent’anni. I riferimenti ai paradigmi, alle teorie e alle categorie delle scienze cognitive si sono moltiplicati in ambiti diversi quali la narratologia, la stilistica e la teoria della ricezione, nel contesto di un diffuso interesse delle scienze umane per un settore in crescita impetuosa. Di fronte a questa crescita e alla prospettiva di integrare i risultati e il linguaggio delle scienze cognitive nel dominio delle scienze umane, le reazioni si sono spesso polarizzate verso l’entusiasmo (talvolta superficiale) o la diffidenza (talvolta aprioristica). In Italia, fino a tempi recenti, la diffidenza è stata l’atteggiamento dominante, ma la curiosità per questo nuovo paradigma, o per questa nuova prospettiva sulla letteratura, sembra crescere di giorno in giorno. Così almeno suggeriscono l’aumento delle pubblicazioni in materia e le conversazioni che mi capita di intrattenere con studiosi che fino a qualche anno fa non si sarebbero affacciati su questo terreno.

Le pagine che seguono rispondono a questo contesto in quanto si prefiggono un semplice compito di mediazione. Il loro intento è presentare alcuni risultati delle neuroscienze contemporanee che incidono su questioni rilevanti per lo studio della letteratura. Nel guardare al mondo vasto e differenziato delle scienze cognitive, dunque, esse si concentrano sul solo dominio neuroscientifico – solo in un caso, ma di nuovo per il tramite dei suoi risvolti neuroscientifici, entrerà nel discorso anche la linguistica cognitiva – e, all’interno di questo dominio, solo su alcune scoperte che, come dicevo, incidono direttamente su questioni che appartengono storicamente anche agli studi letterari nella loro dimensione più speculativa. Ciò significa che questo libro si rivolge a quegli studiosi e studenti di letteratura che non si sono ancora addentrati nella materia e che però vogliono conoscere quei risultati delle più recenti teorie neuroscientifiche che possono aiutarli a riflettere in modo nuovo su questioni con le quali tradizionalmente si confrontano.

Questo intento mi sembra giustificare il rischio che corro presentando i risultati di una scienza rispetto alla quale io stesso sono un profano: proprio perché sto fuori del tempio con i lettori ai quali mi rivolgo, vale a dire, spero di sapere che cosa in particolare possa interessarli, fra tante scoperte che le neuroscienze contemporanee hanno compiuto. I loro interessi sono anche i miei e presumo che il mio linguaggio sarà per loro familiare. Già da alcuni anni, inoltre, gli stessi neuroscienziati aiutano il pubblico generalista ad accostarsi al loro lavoro mediante un’abbondante produzione saggistica non specialistica. Di questa produzione mi sono avvalso come di una guida per procedere verso la letteratura scientifica primaria e pertanto spero, e anche confido, che la presentazione che offro sia scevra da errori.

Per impostare il discorso nel senso indicato, nel primo capitolo richiamerò i lineamenti della controversia sul metodo delle scienze umane e sulla categoria della comprensione, la quale sta al centro del pensiero dello storicismo e poi dell’ermeneutica in materia di interpretazione. In questa controversia, alla dialettica filosofica si è spesso unito lo scontro disciplinare o perfino corporativo, con gli umanisti impegnati a difendere la specificità e la legittimità delle proprie ricerche dai tentativi di imposizione di un metodo unico modellato su quelle delle scienze della natura. La diffidenza di cui parlavo sopra si lega anche a questa contrapposizione, che l’espansione delle neuroscienze nei domini delle scienze umane ha talvolta rinfocolato. Ancora nel luglio 2013, sulla New York Review of Books, la recensione dedicata dal filosofo Colin McGinn all’ultimo saggio di Jean-Pierre Changeux, che da neuroscienziato interveniva sul terreno dell’etica e dell’estetica, si trasformava in un confronto a distanza, tra autore e recensore, nel quale le rivendicazioni di parte finivano per prevalere sul dialogo intellettuale.

Naturalmente, non c’è alcuna ragione per la quale ciò debba accadere. Se guardiamo nello specifico ad alcuni risultati delle neuroscienze contemporanee, tra l’altro, troviamo buoni argomenti per ripensare alla controversia sul metodo e alla categoria della comprensione in una direzione chiaramente affine a quella indicata dalla tradizione storicista ed ermeneutica. Nel secondo e nel terzo capitolo, quindi, presenterò queste scoperte che le neuroscienze hanno compiuto in materia di comprensione intersoggettiva e di comprensione del linguaggio. Cercherò di riferire molto sinteticamente ciò che si è scoperto negli ultimi vent’anni su fenomeni come la comprensione delle emozioni e delle intenzioni altrui e il radicamento del linguaggio nell’esperienza. Parlerò di neuroni specchio, di dinamiche neurali dell’empatia e di linguaggio incarnato, per capire come le neuroscienze contemporanee incoraggino a ridefinire la controversia filosofica iniziale e le categorie che vi sono implicate, con qualche conseguenza per la teoria dell’interpretazione. In un’intervista apparsa su Repubblica il 13 settembre del 2013, Zygmunt Bauman definiva l’oggetto della sociologia nei termini della tradizione storicista, e weberiana, come «l’esperienza umana», il «vissuto», ciò che può essere descritto «solo attraverso i racconti, pensieri e sentimenti del soggetto», e concludeva che «qui le neuroscienze si fermano, lasciando il posto alle scienze umane». Io direi che le neuroscienze non si fermano affatto di fronte al vissuto, ma aggiungerei che ciò che trovano suggerisce che le scienze umane, se sono fondate in quella materia soggettiva alla quale pensa Bauman dall’osservatorio di una tradizione nella quale anch’io mi riconosco, possono vantare per i propri metodi ragioni che affondano nella nostra stessa natura umana, quale ci appare anche alla luce delle neuroscienze contemporanee. Nozioni come quelle di «simulazione incarnata» e di «linguaggio incarnato», che saranno al centro del secondo e del terzo capitolo rispettivamente, possono aiutarci a chiarire le origini e le modalità dei processi ermeneutici che mettiamo in atto nella nostra esperienza quotidiana come nelle nostre ricerche di umanisti e penso che non dovremmo perdere l’occasione di pensiero che ci è offerta con esse. Anche le ricerche di cui scriverò nel quarto capitolo, rivolte specificamente all’arte, mi sembrano avvalorare l’idea congiunta e non nuova agli umanisti, ma non sempre condivisa nemmeno tra di loro, che l’arte costituisca un dominio nel quale rimettiamo in gioco la nostra esperienza. Anche queste ricerche, vale a dire, ci incoraggiano a pensare in modo nuovo entro una tradizione di pensiero, o un insieme di idee, che ci dovrebbe essere familiare.

Dal punto di vista metodologico, i presupposti di queste considerazioni sono questi: che dobbiamo evitare operazioni intellettualmente grossolane di trasferimento di categorie neuroscientifiche in un discorso epistemologicamente diverso, come può accadere se ci si abbandona ai facili entusiasmi di cui dicevo sopra; che in questo ci aiutano le stesse neuroscienze, le quali devono muoversi sia sul versante biologico, sia su quello fenomenologico, e che in effetti si concentrano proprio su come i fenomeni dell’uno e dell’altro possano essere correlati tra loro; che agli umanisti, in generale, convenga usare i risultati delle neuroscienze in modo essenzialmente euristico; e che l’apertura intellettuale sia in ogni caso l’atteggiamento più razionale. Sarei portato a dire che si tratta di semplice buon senso, ma si sa che non sempre il buon senso è anche senso comune e le contrapposizioni, gli entusiasmi e le diffidenze a cui accennavo sopra mostrano che la distinzione vale anche in questo caso.

Vorrei precisare ancora che non ho scritto questo libro perché ritenga che gli umanisti, e in particolare coloro che si occupano di letteratura, debbano interessarsi alle neuroscienze e alle scienze cognitive. Alla luce dei risultati attuali, penso che da questo versante non siano venuti contributi rilevanti né per la critica né per la storia della letteratura e personalmente dubito che ne verranno. D’altra parte, penso che per la teoria della letteratura, nelle neuroscienze contemporanee, ci siano idee sulle quali conviene riflettere. Questo libro, come ho detto, è scritto per chi vuole cominciare a farlo.

Infine, vorrei ringraziare alcune persone che in vario modo contribuiscono al progetto della collana nella quale questo libro è pubblicato: Paolo Borsa, da condirettore; Edoardo Esposito, Laura Neri e Stefania Sini, da membri del comitato scientifico; Nicola Cavalli, da editore. Senza di loro, questo saggio non sarebbe arrivato ai suoi lettori. Li ringrazio per il sostegno e soprattutto per l’amicizia e il confronto intellettuale di ogni giorno.