Una nuova teoria psichiatro-zoologica delle rivoluzioni.
Ma costoro, per quanto rumore siasene fatto, non meriterebbero che alcuno se ne occupasse, se, insieme al grande Tribuno del Medio Evo, non ci porgessero aiuto a sviluppare un’idea che io accarezzo da molto tempo.
È una teoria psichiatro-zoologica delle rivoluzioni, di cui certo molti storici rideranno. Eccola:
La legge d’inerzia, che domina sovrana in tutta la natura, non perde i suoi diritti nemmeno nel mondo psicologico e nello andamento dei popoli; e la prima prova, la elementare, mi veniva alla mente leggendo una bella osservazione di Bret Harte sul cane conservatore, che abbaiava e s’accaniva ferocemente contro ogni novità che vedesse introdotta nel suo villaggio: le ferrovie, le vetture, il gaz, ecc.
Ora, a ben pensarci, tutti gli animali sono conservatori, e i cani, è noto, abbaiano a tutti i forestieri solo perchè forestieri, e vi hanno cavalli che non si lasciano montare dal padrone solo che abbia mutato vestito.
L’uomo lo è ancor peggio. Il fanciullo piange se lo mutano di appartamento e se gli si affaccia un viso nuovo; e così pure spesso il demente. E per gli adulti e sani il così faceva mio padre è una regola si generale che guai a chi vi manca; e tanto meno egli è civile, tanto più ha spiccata quest’antipatia ad ogni innovazione. Ben inteso, alle grandi novità; chè delle piccine tutti son avidi e ghiotti, e tanto più quanto più deboli di spirito, come i fanciulli e le nonne.
Così, nei selvaggi, tutti andranno a gara a mettere in mostra prima degli altri una penna di un nuovo colore o un tatuaggio a linee cilindriche invece che quadrate; ma Dio ci guardi di mutare i costumi, anche i più assurdi, dei loro padri. Ed è bello, a proposito, il fatto di quell’australiano che avendo perduto la moglie di malattia e attribuendola, come era costume della tribù, a malefizi, voleva vendicare la morte uccidendone i pretesi autori. Fu minacciato del carcere se lo tentasse e per alcuni giorni si astenne. Ma il meschino era però diventato magro, triste, vergognoso di sè. Passati alcuni giorni non potè più rattenersi, e commesse le uccisioni di rito, ritornava contento come un uomo onesto che ha adempiuto al suo dovere (Letourneau).
Ed in China non è molto che era decretata la pena del carcere al marinaio che adottasse un’àncora all’Europea; e fra i Dayaki era delitto attaccare i ceppi di vite con dei tagli a V come gli occidentali.
Le religioni sono in gran parte l’effetto della resistenza degli istinti conservatori ad ogni nutazione, sia buona o cattiva; sono la perpetuazione e la consacrazione di questo principio d’inerzia: cominciando dal vestiario, per cui le nostre monache e preti ci conservano il figurino del Medio Evo, e ai nostri nipoti tramanderemo religiosamente il cilindro; finendo in alcuni paesi col cannibalismo sacro, che perpetua un’abitudine feroce nata per improvvisa carestia e che si era eternata in solenne rito religioso, come nel Messico e nelle isole Marchesi (Ferri, Omicidio, 1883, Archivio di psichiatria, vol. III, 1882).
E così dicasi della prostituzione sacra vicino ai templi; e della bestiale, che perpetuava le prime caotiche mescolanze d’amore che non permettevano di riconoscere il padre, e le ridusse ad uso sacro e a sacro mercimonio, come mostrerò nella nuova edizione dell’Uomo delinquente.
Che più? In un grosso Comune del Piemonte decimato dalla pellagra si radunava or ora il Consiglio comunale per discutere sopra una savia proposta ministeriale di acquistare essiccatoi del grano per prevenirvi il triste flagello. La bella proposta non destò che le meraviglie di quei messeri. «I sali» dicevano in coro, «li hanno avuti i nostri padri, i nostri nonni, li abbiamo tutti noi; e che gli salta in mente ai ministri di volere che ce ne liberiamo?…».
Una prova più semplice e più alla mano è nelle scomuniche lanciate non sono molti anni contro l’uso del tabacco, contro i brefotrofi, ecc.
In una scala più elevata ciò si ripete anche nelle accademie che coronano festanti le piccole scopertucce, la forma nuova di una chiocciola, il mutamento di una desinenza irregolare, ecc., le quali corrisponderebbero alle nuove foggie di tatuaggio delle galanti Taitiane; ma respingono con superbo disdegno, ogni vasto o nuovo concetto, che conturbi il loro pacifico ambito, e quindi anatemizzarono la scoperta d’America e poscia quella del vapore, ecc., ed ora del Darwinianismo, e le applicazioni delle scienze naturali alle sociali, salvo poi a sostenerle a spada tratta, quando, loro malgrado, saranno divenute di dominio pubblico.
Andiamo più in su, e vediamo uno scienziato distinto mettere in canzonatura le scoperte dell’antropologia criminale, che pure porgevano un’applicazione pratica utile alla sterile chincaglieria che forma il più grosso capitale degli antropologhi.
La ragione, in fondo, è che gli uomini tutti odiano le innovazioni, perchè essi obbediscono involontariamente alla legge d’inerzia; e provando una fatica nei centri nervosi, un dolore nel dover afferrarle, cominciano col respingerle, e perseguitare coloro che tentano di convertirneli.
Questa tendenza giova a spiegarci la genesi di quel fenomeno che pure ci pare tanto contrario: l’origine dell’estetica. Quando infatti, noi ci facciamo ad analizzare con Helmoltz e con Janet (Revue scientiphique, 1886) la principalissima fonte estetica, vediamo che essa si riduce alla ripetizione nei toni, nelle rime, nell’aria dominante della musica (in molti selvaggi, e anche nei liguri fra noi, si risolvono canti musicali nella pura e sola ripetizione di un tono), nelle linee simmetriche o quasi simmetriche nell’ornato, e anche nella pittura; ogni volta che il bello cercò il plauso fuori della simmetria, col grottesco, eccitò curiosità momentanea, ma finì coll’insuccesso. Anche nel bello femminile noi cerchiamo assai più la simmetria che non paia a prima vista; v’hanno paesi, come Torino, p. es., in cui per molti anni si credette l’ideale della bellezza architettonica essere la ripetizione della stessa facciata in tutta una via ed in tutta una piazza.
Ma voi mi direte: ma con tutto ciò voi ci spiegate l’inerzia, non il moto, non il progresso, non la rivoluzione dello scibile umano. È verissimo. Ma prima di tutto, a chi ben veda, l’inerzia è la regola, il progresso è l’eccezione.
Ora, come anche accada questa eccezione mi venne suggerito da un aneddoto raccontatomi dall’egregio mio amico il professore Lessona, che è certo il più ricco miniatore che io mi conosca di osservazioni originali sugli animali, e sul loro primo derivato, l’uomo.
Lessona vide un cane a far bella cera ai forastieri in un alberguccio, dove la loro rara venuta era festeggiata con refezioni di cui esso fruiva.
Ecco qui una delle vie con cui le novazioni s’introducono: gli uomini in preda agli stenti o ai dolori non fanno più la guerra solita alle innovazioni quando possono sperare (e la fame o il dolore li aiuta ad illudersi) di vederne mitigata la loro sorte, cambiar di fianco quando sperano vederne scemato il dolore: e così accade dei bimbi, che, nemici anche essi di ogni faccia nuova, cominciano ad acchetarsi e farle festa quando essa s’accompagni alla presenza o alla speranza di una chicca o di un balocco.
Ma, non ostante questa spinta potente, la forza d’inerzia terrebbe quasi sempre il soppravvento (non vedo, a prim’occhio, eccezione che per le Pasque veronesi, i Vespri siciliani e il sasso di Balilla) senza la comparsa o l’impulso dei geni, degli alienati o dei mattoidi, che, appunto perchè tali, appunto perchè hanno un organismo e quindi tendenze ben differenti dalle comuni, quando trovino un terreno predisposto, provocano i mutamenti non senza pagarne spesso il fio col martirio, col carcere e con le risate accademiche, e non senza, anche, ricadere nella primitiva legge d’inerzia e lasciar quindi il tempo che trovano, quando essi, come Cola, come Masaniello, come Savonarola, della cui pazzia darò più sotto le prove, siano comparsi troppo presto nel mondo.
Gli è che in essi soltanto si può trovare accoppiata alla tendenza opposta dell’inerzia l’originalità, che è propria dei geni e dei pazzi, e più ancora di quelli che sono l’uno e l’altro insieme, l’esaltazione capace di generare una tal dose di altruismo che valga a sacrificare i proprii interessi e la vita per far conoscere e spesso accettare i nuovi veri al pubblico, a cui ogni innovazione è sempre inaccetta, e che se ne vendica, non di raro, col sangue.
Essi, riunendo la convinzione irremovibile, fanatica, del pazzo, all’astuzia calcolatrice del genio, sviluppano una potenza capace di sollevare in qualunque epoca le torpide masse, stupefatte innanzi a questo fenomeno che appare strano e raro anche ai pensatori e agli spettatori lontani. — S’aggiunga, a renderlo irresistibile, l’influsso che ha già per sè la pazzia nei popoli e nei tempi barbari1.
Ben inteso, che essi nulla creano di punto in bianco, ma solo determinano i moti latenti preparati dal tempo e dalle circostanze, perocchè, grazie alla loro passione del nuovo, dell’originale, essi s’ispirano quasi sempre alle ultime scoperte o novazioni, e da queste partono per indovinare le future 2. Così Schopenhauer scrisse in un’epoca in cui il pessimismo cominciava a venir di moda, mescolato al misticismo ed all’enfasi; ed egli non fece che fondere tutto ciò in un sistema filosofico (v. Ribot, op. cit.).
Lutero riassunse le idee di molti contemporanei e predecessori: basta ricordare Savonarola.
Che se queste idee sono troppo discordi dalle opinioni prevalenti nei popoli, o troppo assurde, esse cadono col loro autore, spesso, anzi, seco lo trascinano nella caduta.
Il pazzo (Maudsley) è in contraddizione coll’opinione dei più, e così pure in sulle prime il riformatore; ma questo unisce coll’essere accettato, il pazzo col restare solo colla piccola schiera di quelli che ne subirono il contagio (Responsability, p. 48).
Or ora nell’India è sorta, grazie a Keshab, fra i Bramini stessi, una religione nuova che mette sugli altari il razionalismo e lo scetticismo moderno — ma evidentemente anche qui la pazzia di Keshab andò innanzi ai tempi, perchè il trionfo di una simile religione non è probabile nemmeno fra noi che siamo ben più innanzi nello scibile3.
Ma egli era a ciò indotto dalla pazzia analoga a quella che descrissi, nel mio Genio e Follia, nel popolano venditore di spugne ed in un allucinato B. di Modena; in fatti il razionalista crede alla rivelazione, e nel 1879 declamava: “Sono il profeta ispirato, ecc.” (Revue des deux Mondes, 1880).
Altrettanto si dica della politica; chè i rivolgimenti storici non si fanno duraturi se non sono preparati da una lunga serie di eventi: ma chi ne precipita la soluzione, alle volte, molti anni prima della applicabilità pratica, sono i geni alienati, che precorrono gli eventi, non sentono gli ostacoli, nè li temono; e perciò spesso riescono laddove i savi sarebbero stati impotenti.
Note
39 Vedi Genio e Follia, IV, pag. 177, 185, 122, 180, 229).
40 Vedi Genio e Follia, IV, pag. 177, 185, 122, 180, 229).
41 Anche l’Europa antica (1680) ebbe il suo Keshab nel Knutzen dello Schleswig, che proclamava non esistere Dio nè inferno, i preti ed i magistrati essere inutili e dannosi, il matrimonio essere una fornicazione, l’uomo finire colla morte, ognuno doversi guidare col suo senso interno, e perciò dava ai suoi il nomignolo di coscenziosi. Il tutto in mezzo a citazioni strampalate: basti per esempio questa: «Amicus, amicis, amica. Demiratus saepicule qui fieret quod Christiani, idest rotarum in modum nacti, secum discordent, etc.»