Intelligenza dei pazzi — Monomani — Mattoidi.
Come ho già accennato poco sopra, mal potrebbe il lettore profano agli studi di psichiatria, afferrare quanto io tenterò di esporre nei seguenti Capitoli, se prima non si persuade essere non già una bizzaria che mi pulluli in capo, ma un fatto, ormai nettamente risoluto dalla scienza, che, salvo negli idioti, negli imbecilli e nei dementi che hanno servito sventuratamente a modello pei più, l’intelligenza della maggior parte dei pazzi è piuttosto in una esagerata che non deficiente attività; se e’ sbagliano, sbagliano perchè troppo sentono e pensano, e quindi sono in un contrasto continuo coi loro coetanei e fino col loro stesso passato.
Ciò ben si capisce, perchè in essi l’organo di quella funzione sublime che è il pensiero, non è tutto colpito1, ma lo è solo in parte, e l’energia, che vien meno solo negli affetti, nell’ordine, od in quello che noi diciamo senso comune, viene compensata nel rigoglio di altre facoltà, la fantasia, la memoria, p. es., la passione estetica.
Così Winslow conobbe un gentiluomo, incapace, quand’era di mente sana, di fare una semplice somma, che diveniva un famoso aritmetico sotto all’accesso maniaco; così come una donna, poetessa nel suo manicomio, ritornava, guarendo, la più prosaica delle massaie (p. 207).
Un monomaniaco di Bicêtre si doleva, con questi bel versi, della sua triste prigionia (Moreau):
Ahi le poète de Florence — N’avait pas dans son chant sacré
Revé l’abîme de souffrance — De tes murs, Bicêtre exécré.
Esquirol racconta come un maniaco, durante il periodo acuto del male, inventasse un cannone che venne adottato.
Morel curava un pazzo, soggetto a vere ebetudini intermittenti, prima delle quali componeva delle belle commedie.
Un altro pazzerello curato dal Verga, avea fantasticato, nel e pel suo delirio, con molto ingegno, se non con verità, l’etimologia di Senavra, da Sen-avrà; un medico, figlio d’un grand’uomo, colpito dalla follia, inventava, con molto ingegno, e, non dirò, per onore dell’armi, giustezza, che farmacia deriva da far-marci e medico da ocidem.
G. B., nipote di un celebre letterato, ammattito (mania), un giorno che gli prescrissi un decotto di camomilla, la medicina notoria delle comari: «Vedi, escì a dirmi subito,
Vedi Tiresia che mutò il sembiante,
Poichè di maschio femmina divenne».
M. G., negoziante, melanconico, da uno dei compagni chiamato col titolo di conte: «Che conte — rispose, — dei conti ne ho fatto molti, ma erano conti di quattrini; conte non sono punto».
«Perchè non mi vuol dar la mano, diceva io, una mattina, alla signora M… (follia morale), è forse meco in collera? Ed essa: «Pallida virgo cupit, rubiconda recusat».
«Spera di uscir presto, signora M…, dallo Stabilimento?
Uscirò quando avranno messo giudizio quelli che ne stanno fuori».
N. B. è un poeta del manicomio, scrive versi con molto buon senso, ma con piedi troppo numerosi; il suo compagno G. B. diceva che allungava loro quei piedi perchè essendo ben piantati, non gli fuggissero di mente2.
Quindi sbagliano coloro che negano la pazzia di certuni, perchè ragionano meglio che non la comune degli uomini; appunto perchè ragionano meglio degli altri, essi non sono normali. Infatti, la massa degli uomini generalmente non ragiona troppo, nè troppo pel sottile; generalmente l’uomo, fruges consumere natus, suole esercitare la sua intelligenza nelle questioni che riguardano il suo ufficio, il suo mestiere, il suo cibo; quando quindi vediamo, p. es., un venditore di frutta applicarsi quasi continuamente a fare ragionamenti filosofici, od un birro sbracciarsi a far il filantropo, come il Bosisio, noi dobbiamo sospettare che la sua mente si trovi in uno stato anormale.
Ma, ben inteso, questa anormalità, a chi ben vi studia, non è mai isolata; quasi sempre si osservano in costoro, insieme alla esagerazione, anomalie caratteristiche, lasciandosi essi, per esempio, dirigere negli atti da una rima (come colui che voleva uccidere un povero curato perchè «curato» faceva rima con «croato»), od adoperando parole antiquate e straniere, od esagerando nelle minuzie o nei simboli, ecc.; od applicandosi ad argomenti poco adatti alla loro condizione, come, per esempio, il Lazzaretti, quando, carrettiere, volle fondare una nuova religione; od in una direzione inutile od anche dannosa, come, per esempio, quella M. che riponeva i suoi aghi in una serie innumerevole di sacchetti rinchiusi l’uno nell’altro, ecc.
Hanno alcuni un esagerato sentimento dell’ordine; così, per esempio, una mia cliente, per la mania dell’ordine, quando allogava nel cassetto la biancheria, ne ritagliava quella che essendo più lunga non apparisse abbastanza allineata.
Così non di rado i pazzi tracciano bei disegni, ma in cui si ravvisa qualche difetto caratteristico.
Uno, per es., nell’eseguire un lavoro di paesaggio, trascura la prospettiva come un Giapponese, perdendosi invece a disegnare con una cura esagerata certi particolari minutissimi ed inutili affatto (vedi tavola I). Eppure con tutto ciò riesce, grazie all’originalità, ad un effetto mirabile, come trovarono Boito e Castellazzo. Altri, come un monomane studiato dal Raggi, riproduce nelle scolture tutti i caratteri degli artisti preistorici e medioevali. Queste anomalie si osservano specialmente nei pazzi ereditari, monomani in ispecie, e nei mattoidi, sui quali più a lungo ci fermeremo.
I pazzi ereditari, scrive Magnan3, offrono caratteri fisici e psichici speciali, che li fanno distinguere da tutti gli altri, e fin dai primi anni di vita.
Spiccano in essi la disarmonia intellettuale, lo squilibrio non solo fra le facoltà mentali, egli atti intellettuali da una parte e le inclinazioni dall’altra, ma anche fra le varie facoltà mentali. Cosicchè si hanno degli imbecilli molto atti ad uno o ad altro lavoro psichico ed incapaci affatto per tutto il resto; e ciò perchè le lesioni dei centri sono in essi irregolarmente distribuite, alcune essendo bene sviluppate, mentre restano quasi completamente atrofiche le altre.
Alcuni sono dotati di ottime facoltà intellettuali, ma difettano delle morali; altri al contrario, moralissimi, sono inatti affatto o pochissimo capaci a tutto che richieda lavoro mentale. Magnan ci narra d’uno, di codesti squilibrati, il quale torturò per più anni sua moglie, obbligandola ad udire dei discorsi che duravano per intiere notti ed in cui formulava lamentele punto giustificate: quando egli aveva parlato per sette od otto ore era soddisfatto e la famiglia poteva andarsi a riposare: ebbene la figlia di questo parlatore notturno comincia, ora, verso le otto ore di sera le sue arringhe e non finisce che al mattino; e grandemente si irrita se non la si ascolti o se si tenti di farla tacere.
Mattoidi. — Una forma nuova4, quasi sempre congenita5 di alienati, è quella ch’io chiamo dei mattoidi, che si avvicina all’imbecillità da un lato, e alla monomania dall’altro, ma ha caratteri suoi ben spiccati. E prima di tutto ha pochissime di quelle anomalie che si chiamano dagli alienisti degenerative, e che deformano la fisonomia. Sopra un gruppo di 30 di costoro, solo 21 ne presentavano, e ben poco spiccati: 12 cioè con 2 anomalie; due soli con 3; con 4, due; con 6, un solo; e quasi tutti questi ultimi grafomani. I più spiccati anzi avevano una fisonomia intelligentissima ed armonica. Un altro carattere negativo è la conservazione degli affetti per la famiglia, ed anzi per gli uomini in genere, che va fino all’esagerato altruismo; per quanto però nell’altruismo stesso entri in molti la grande loro vanità.
Bosisio pensa fino al benessere dei posteri.
Così Dim… ama. la moglie, i nipoti, lavora continuamente per la famiglia; così Cianchettini manteneva la sorella sordomuta; il Lazzaretti adorava la moglie.
Nel carcere, pochi dì sono, dovendo fare una trasfusione di sangue, perdetti assai tempo per trovare un individuo sano cui cavare del sangue; tutti si rifiutavano: appena lo seppe un mattoide, tisico, si offerse, e s’adontò anzi quando io non lo volli usufruire.
Ed hanno in genere perfettamente conservato, e fin esagerato, il senso dell’ordine: quasi sempre sono sobrii. Bosisio si nutre di polenta senza sale; Passanante solo di pane; Mangione con 13 soldi di ceci e fagiuoli; Cianchettini arrivò a formarsi col risparmio un piccolo peculio, facendo il portinaio d’una caserma.
L’intelligenza loro, sulle prime, non sembra offrire notevoli anomalie; e’ sono spesso di una notevole furberia e abilità nella vita pratica, per cui alcuni riescono medici, deputati, militari, professori, consiglieri di Stato; ma hanno di particolare e di morboso una laboriosità esagerata in materie estranee alla loro professione e sproporzionata alla loro non elevata intelligenza; attività, ma non attitudine, insomma, pari a quella del genio.
Ma ancora il carattere prevalente sta nella singolare abbondanza degli scritti. Il pastore Bluet ha lasciato nientemeno che 180 libri l’uno più insulso dell’altro. Il fornaciaio Mangione, che per giunta era storpiato nella mano e non poteva scrivere, si privava del cibo per potere stampare, e parecchie volte spese più di 100 scudi al mese coi tipografi. Di Passanante sappiamo quante risme di carta vergasse, e come egli desse più importanza alla pubblicazione di una insulsissima lettera, che alla sua propria vita.
Qualche volta le loro stramberie e’ si accontentavano di scriverle e stamparle senza diffonderle al pubblico; eppure credono che esso le debba conoscere.
In questi scritti, oltre ciò, si nota che lo scopo è o futile, o assurdo, o in perfetta opposizione col loro grado sociale e coltura; così un prete deputato tira giù ricette pel tifo; due medici fanno della geometria ipotetica e dell’astronomia; un chirurgo, un veterinario ed un ostetrico dell’areonautica; un cuoco fa dell’alta politica; un carrettiere della teologia.
È notevole che in quasi tutti, Bosisio, Cianchettini, Passanante, Mangione, De Tommasi, ecc., le convinzioni esposte nei loro scritti sono tenacissime, profonde, ma non fervide, sicchè non dan luogo al delirio di azione se non per eccezione, e quando vi si associa l’estrema penuria; e sono di tanto più prolissi e assurdi nello scrivere, di quanto sono sensati e succosi nel rispondere; si vedono respingere, solo a monosillabi, le obbiezioni, salvo a sfogarsi più tardi in chilogrammi di carta, e comportarsi, nel rispondere a voce, con tal buon senso, da far credere, ai meno dotti, per savie le loro fantasticherie.
«Il guardiano è la vera sentinella del popolo e governo, la libertà, la circolazione della stampa», è sentenza di Passanante, che sembra una logomachia, ma egli la spiega ai periti con questi termini: «La libertà della stampa, la libera circolazione dei giornali costituiscono la sorveglianza dei diritti del popolo. — Quand’io chiedevo al Bosisio perchè portasse bizzarramente i sandali e passeggiasse in pieno luglio a capo scoperto e seminudo mi rispondeva: Per imitare i romani e per l’igiene del capo, e infine per richiamare con un segno esterno l’attenzione del pubblico sulle mie teorie. Mi avrebbe ella fermato se io non fossi stato acconciato in questo modo?».
Insomma costoro, pazzi certamente nei loro scritti, e molte volte più di quelli dei manicomi, lo sono poco negli atti della vita, dove mostransi pieni di buon senso, di furberia ed anche di ordine; per cui accade loro il rovescio che ai veri poeti e in specie a quelli ispirati dalla pazzia, quasi tutti di tanto più abili nelle lettere quanto meno lo sono nella vita pratica. Quindi si spiega come molti di questi autori di bizzarrie mediche sono reputatissimi pratici. Uno era direttore di un ospedale. L’autore dello Scottatinge fu capitano e commissario di guerra. Un altro, inventore di macchine quasi preistoriche e di scritti più che umoristici, è in un ufficio che l’espone a continui contatti con uomini colti, che non l’hanno sospettato mai di follia.
La convinzione esagerata in loro dei proprii meriti ha ciò di speciale: del manifestarsi più negli scritti, che negli atti della vita e nella parola, sì che non mostra irritarsi, così come succede nei pazzi e anche nei genii, della contraddizione e delle tristizie della vita pratica.
Il Cianchettini si paragona a Galileo e a Gesù Cristo, ma scopa la scala della caserma. Passanante si nomina presidente della Società politica e fa il cuoco. Mangione si classifica martire dell’Italia e del proprio genio, eppure si adatta a far da sensale.
E non sarebbero mattoidi se insieme alla apparenza della serietà e alla tenacia costante in una data idea, che li fa simili al monomaniaco ed all’uomo di genio, non s’accompagnasse spesso negli scritti la ricerca dell’assurdo e la continua contraddizione e la prolissità e futilità pazza; ed una tendenza che supera tutte l’altre, la vanità personale.
Così il Cordigliani si accinge ad insultare alla Camera per aver un vitalizio dal Governo e crede che ciò gli debba tornare a grande onore. Cosi Passanante dopo aver predicato: «Non distruggiamo più vita umana, nè proprietà», danna a morte i rei dell’Assemblea; e dopo aver ordinato di «rispettar la forma del Governo», insulta la monarchia e tenta il regicidio e propone di abolire gli avari e l’ipocrisia.
Un medico vi stampa che i salassi espongono allo eccesso di luce; ed un altro, in due grossi volumi, vi predica che le malattie sono elittiche.
Vero è che qua e là qualche concetto nuovo e robusto ti vien fuori dal caos di quelle menti. Così, p. es, in mezzo alle assurde sentenze, ne ha Cianchettini alcune bellissime: «Come una porta chiusa a chiave non può essere aperta senza lesione che con chiavi o grimaldelli, così l’uomo avendo perduto la libertà mediante la lingua, non è che la lingua che possa svincolarlo senza lesione di parte».
In mezzo ai cantici spropositati dello Scottatinge, trovo questo bel verso sull’Italia
Padrona o schiava sempre — ai figli tuoi nemica. Ho mostrato nella Monografia su Passanante come egli, qualche volta negli scritti, e più nei discorsi, uscisse in concetti vigorosi, originali, che appunto indussero tanti in errore sulla natura e veracità del suo morbo, ricordiamo la frase: «Dove il dotto si perde, l’ignorante trionfa»; e quell’altra: «La storia imparata dai popoli è più istruttiva di quella che si studia nei libri».
Perchè se il cervello non giunge in essi alle concessioni geniali, ha, col genio e col pazzo comune, all’opposto del mondo volgare, il filo-neismo, la passione del nuovo, dell’originale.
È naturale, che in questi concetti, essi rinnovino i pensamenti dei politici o pensatori più forti, ma sempre a loro guisa incompleti ed esagerati; quindi nel Bosisio tu trovi esagerate le delicatezze dei nostri zoofili, e prevenute le idee della Royer sulla necessità dell’applicazione Malthusiana. E il De Tommasi, un sensale, truffatore, trovò ugualmente, salvo quanto vi aggiunse di erotismo morboso, un’applicazione pratica della selezione Darwiniana. E Cianchettini vuol mettere in pratica il socialismo.
Ma l’impronta della pazzia non è tanto nell’esagerazione delle loro idee, quanto appunto nella sproporzione in cui sono con sè medesimi, cosicchè a pochi passi da qualche raro concetto, ben espresso ed anche sublime, si corre subito a uno più che mediocre ed ignobile, paradossale, quasi sempre in contraddizione coi ricevuti dai più e colle condizioni loro e colla loro coltura: quello, insomma, per cui Don Chisciotte invece di strapparti l’ammirazione, ti fa sorridere: eppure le sue azioni, in un’altra epoca, ed anzi in un altro uomo, sarebbero state ammirabili ed eroiche; e ad ogni modo in costoro i tratti di genio sono piuttosto l’eccezione che la regola. Nei più vi è piuttosto mancanza che esuberanza dell’estro: riempiono interi volumi senza senso, senza sugo; alla mediocrità dell’idea, all’impotenza dello stile, che sfugge, direi, alla irruenza dell’ambizione loro, suppliscono con punti esclamativi od interrogativi, con continue sottosegnature, con parole speciali di tutto lor conio, proprio come usano i monomani; così già Menke notava di alcuni mattoidi suoi contemporanei che avevano inventate le parole derapti felisan.
Un altro, il Le Bardier, scrisse un’opera per insegnare ad ottenere il doppio raccolto agli agricoltori, evitare i venti ai marinai, un’opera intitolata: Dominatmosfheri; egli poi s’intitolava: Dominatmosfherifateur (De le Pierre, Litèr. des fous, 1882). Il Cianchettini ha trovato il travaso, il Pa… ha la cafungaia, il morbozoe, il Waltuk l’antropomognotologia, il Gem… la ledepidermocrinia; spesso tu vi trovi una tipografia bizzarra con linee verticali tagliate da orizzontali e solcate di traverso e perfino con diversi tipi, come nel Cianchettini.
Molte volte mescolano delle figure alle proprie frasi, quasi per rinforzarle ritornando (parallelamente a quanto vedremo fare i megalonomaniaci) alla scrittura ideografica degli antichi, in cui la figura faceva da segno determinativo; così il Bluet ha nel suo lib. 88 una figura oscena ch’egli esplica ancor più nella sua strana prosa: «L’uomo giacerà supino e la donna a lui presso; un serpe a due teste gli attornia il pene ed un dragone fa entrare la sua gran coda nella femmina».
Tutti nelle loro opere usano un’esuberanza nei frontispizi veramente singolare. Io ne posseggo uno di 18 righe, non compresavi una nota che vorrebbe illustrare il frontispizio stesso. Un dramma ne ha 19. Un’opera socialista, stampata da un italiano in Australia e in puro italiano, ha un frontispizio foggiato ad arco trionfale. Quasi tutti, nel titolo, tradiscono subito l’indole pazzesca. Basti quest’esempio del mattoide Démons: «La démonstration de la quatrième partie de rien est quelque chose, tout est la quintessance tirée du quart de rien et des dépendances, contenant les préceptes de la sainte magie et dévote invocation de Démons pour trouver l’origine des maux de la France».
Molti hanno il ticchio di mescolare e accumulare serie di cifre alle frasi, il che fanno qualche volta i paralitici. In una matta opera di Sovbirà intitolata 666, tutti i versi sono accompagnati dalla cifra 666: lo strano è che contemporaneamente certo Poter in Inghilterra aveva pubblicato un’opera sul numero 666 dichiarandolo il più squisito e perfetto dei numeri (De le Pierre, op. cit.). — Anche Lazzaretti aveva per alcuni numeri una speciale predilezione.
Un carattere, speciale a costoro ed anche ai pazzi, è quello di ripetere alcuni vocaboli o frasi centinaia di volte anche nella stessa pagina. Così in uno dei capitoli di Passanante il riprovate si ripete circa 143 volte.
Un altro carattere è quello di adoperare una ortografia e calligrafia loro speciale con parole in stampatello o sottolineate e nello scrivere in doppia colonna anche nelle lettere private, oppure in tanti versetti, distaccati come nella Bibbia, o frammischiando puntini ogni due o tre parole, come un certo Bellone, o intercalando continue pompierate, come certo Jasnò, che voleva provare che le articolazioni del braccio formano un tutto colla mano che si mena e semene (semaine) per mostrarci l’analogia colla semaine in cui Dio creò il mondo, gioco tra main e semaine!!
Hepain immagina un linguaggio fisiologico, che in fondo consiste nelle nostre lettere o rovesciate o sostituite da numeri: sta 5 nq facto, p. es., vorrebbe dire votre présence.
Ve n’ebbero, come il Wirgman, che facevano per le proprie opere fabbricare la carta a parte, con differente colore nel medesimo foglio, il che aumentava enormemente le spese, sicchè un volume di 400 pagine gli costò più di 2200 sterline.
Ma il carattere più spiccato è la calma, malgrado la tenacia in un’idea delirante, che si può osservare del resto anche nei monomaniaci e ne forma la differenza precipua dai maniaci.
Ma, come appunto nei primi, anche nei mattoidi, la calma alle volte cessa tutto ad un tratto e dà luogo a forme impulsive e deliranti, specialmente sotto l’aculeo della fame, o nell’acutizzarsi dalle varie nevrosi che si accompagnano al morbo e forse lo generano, come in Cordigliani e Mangione. Poichè giova notare che molti vanno soggetti a sintomi che accennano alla preesistenza di alterazioni dei centri nervosi. Gin… e Spand… hanno convulsioni alla faccia, abbassamento del sopraciglio destro, ptosi destra; anestesia si mostrò in Lazzaretti, in Passanante, e in B., incendiario, fenomeni epilettoidi in Mangione ed in De Tommasi, deliri brevi in Cordigliani.
Querelanti. — Vi ha poi una varietà di costoro: è quella già nota sotto il nome di maniaci litiganti o queruli.
Sono individui con forme del cranio e volto normali, fegato però quasi sempre ingrossato, che hanno un bisogno continuo di perseguitare giuridicamente gli altri, dicendosi essi, invece, i perseguitati, e spiegando una attività strana, una conoscenza minuziosa dei codici, che vogliono sempre applicare a proprio vantaggio, accumulando istanze su istanze, memoriali su memoriali, ed in copia tale, cui l’immaginazione nostra difficilmente giungerebbe. Molti s’attaccano ad un personaggio, intrigano presso di lui, poi vanno fino al Re, al Parlamento; non di rado incontrano; od al più sono ritenuti per esagerati litiganti; ma poi finalmente, dopo che la loro insistenza stancò clienti, giudici, deputati, essi trasformano la violenza curialesca e scrittrice in vie di fatto, pur sicuri che tutto loro verrà perdonato in grazie alla giustizia della causa, e servirà anzi a risolversi in loro favore, il che a dir vero qualche volta loro capita in virtù dell’assurda istituzione dei giurati; così il G.., perduta una lite, aveva ferito con un colpo d’archibugio il conte Colli e fu prosciolto, per la singolare eloquenza che sviluppò avanti ai giurati; dieci anni dopo finì per invadere ad armata mano un appartamento che aveva già venduto e che voleva riavere ciò malgrado, e che ancora sostiene per suo.
Come l’erotomaniaco s’innamora d’un soggetto ideale o si immagina di essere amato da tale che non l’ha nemmeno veduto, così essi fanno col diritto, che non ha altro aspetto per loro se non quello che lor può giovare; e gli avvocati ed i giudici che non li sostengono diventano altrettanti nemici; concentrano l’odio verso un nemico immaginario o non vero; e fanno a lui rimontare ogni disgrazia. Un certo B…, cui il parroco, con pieno diritto, aveva tolto un campo, si mise in mente di avere il diritto di ferire tutti i preti del suo paese, perciocchè, egli diceva, «il cattolicismo è in opposizione col nostro governo», e poi tutti i pretori, perchè preti e pretori sono uguali; un altro giorno tenta d’incendiare la chiesa, il tutto dopo una serie di liti e proclami molto sensati e giusti, se si vuole, nel fondo, ma non nelle applicazioni.
Ho osservato che tutti questi hanno una forma di scrittura affatto somigliante a lettere molto allungate e che somigliano un po’ a quelle dei vagabondi.
In molti le liti personali si mescolano alle politiche: ed è questa la specie che più si manifesta pericolosa, ai nostri giorni; si tratta in genere d’individui a cui la scarsa coltura e l’estrema miseria non permette di sfogare per la stampa le proprie idee e in cui, direi, mancando lo sfogo, a poco a poco la irruenza delle idee si trasforma in violenza di fatti; tale fu il Sandou, che diede molte noie a Napoleone III ed a Billaud, ed era un mattoide politico; e tali sono pure Cordigliani, Mangione e Sbarbaro.
Perseguitano deputati e magistrati, a cui, quando non riescono nelle liti, attribuiscono l’insuccesso. E stendono la reazione alle più alte autorità, rifiutansi di pagare le multe, insultano i giudici, si fanno gli avvocati di tutti gli oppressi. Buchner (Friedreich’s Blatte, 1870) racconta di uno che fondò a Berlino una società per proteggere tutti coloro ch’erano stati maltrattati dai giudici, e ne mandò il proclama al re.
Monomania (alcuni, con uno dei soliti stupidi grecismi, che giovano tanto… per non farsi capire, la chiaman paranoia) è quella specie di pazzia, senza depressione nè eccitamento, in cui predomina un delirio parziale che lascia apparentemente integre alcune facoltà del pensiero.
Ben poche anomalie presentano costoro, e ciò solo basterebbe per distinguerli dagli altri alienati così tempestati da caratteri degenerativi; al più soffrono qualche contrattura, specie dei muscoli flessori; più facile è riconoscerli pei gesti speciali, pel portamento, per la truccatura, si direbbe in linguaggio comico, ricercata e altiera nei pretesi re, umile e piena d’unzione nei neo-religiosi, e per la scrittura minuta, studiata, vergata qualche volta verticalmente od obliquamente, con numerosi poscritti, sottolineamenti e con frasi speciali che spesso ripetono, ed a cui annettono un grande significato; hanno, per es., la scottona, la gotta superiore.
Abusano poi nelle parole e negli scritti di simboli che diventano alle volte la loro esclusiva maniera di esprimersi.
Così, p. es., si trovarono da Lazzaretti lunghe striscie di carta su cui erano disegnati cavalli con quaranta gambe e venti ali; un altro megalomano, credendosi dappiù degli altri uomini, sdegnava scrivere colle lettere usate comunemente e parlare coi vocaboli ordinari: quindi aveva una lingua sua speciale da lui immaginata, e la sua scrittura era composta da tante piccole medaglie in mezzo alle quali eravi un simbolo, e sotto una epigrafe esprimente l’idea che voleva indicare. Egli poi si firmava: Padrone del mondo. Quest’individuo fu facilmente riconosciuto come pazzo, ma se egli colle sue idee barocche fosse per avventura riuscito a commuovere qualche turba di ignoranti (come avvenne a Lazzaretti), probabilmente sarebbe stato accusato di cospirazione e condannato. Costui (che era poi pederasta) aveva con tali segni fatto un vero programma politico.
Senza affetto per alcuno, hanno tendenze ad isolarsi, a vivere rinchiusi nelle loro cerchie d’idee: e spesso vi tempestano di scritti e di lunghe autobiografie, mentre a voce non vogliono o possono rispondere.
Vedono negli infermieri ora ministri che li proteggono, ora spie che li perseguitano, ora persone prima loro note; inclinano essi a interpretare tutto quanto vedono e sentono come relativo alla loro personalità: s’imbattono in un avviso d’osteria — li si accusa di essere ubbriachi. — Il principe tale ha il loro nome — è perchè anch’essi sono principi. — Un prete, che si credeva perseguitato per certe sue maccherelle, vedendo, p. es., all’Esposizione di Torino il cane da caccia di V. E.: «Ecco, me lo misero qui per mostrare che invece di fare il prete fo il cacciatore». – Un veterinario fa degli elogi sperticati nel giornale ad uno di costoro, che credendosi dannato, avea regalato una grossa somma ad un sindaco; il credereste? esso andò su tutte le furie – pretendendo che l’elogio partendo da un veterinario, voleva significare: esser egli una bestia.
Uno avendo veduto della paglia nella strada: «È segno, dice, che non vi doveva andare». Se una mosca cade morta nel suo piatto: «È per indicarmi che è avvelenato».
Hanno illusioni in cui vedono le persone colla faccia d’un altro. Vi è qualche mistero sotto, dicono, e li cominciano a fissare sul gesuita, sulla polizia, sul magnete. Avendo esagerato insomma in strano modo il senso della propria personalità vedono se stessi designati nei libri, come profeti, per la stessa ragione che sono bastardi di re, ecc., o scopritori della quadratura del circolo, creatori di nuovi partiti. In genere l’idea fissa comincia a germinare lentamente in quegli individui predisposti, in seguito ad una forte emozione o una viva sensazione.
Un magistrato di mediocre intelletto, comincia a fissare che gli oggetti di rame nuociono alla salute e loro attribuisce le malattie sue e degli altri.
Una ragazza, che già sino da 16 anni mostrava una tendenza a preoccuparsi delle cose più futili, sentì parlare di un cane arrabbiato che aveva morsicato un altro cane; evita non solo i cani, ma gli oggetti che possono essere stati da loro toccati, perfino le corde della lavandaia ed il bucato, poi i suoi genitori, perchè non prendevano precauzioni sufficienti; più tardi comincia a sospettare fino delle loro esalazioni.
Hanno poi una gran tendenza all’interpretazione mistica, ai simboli sessuali — hanno (dicono) polluzioni elettro-magnetiche — visioni di santi nudi. Masturbandosi uno credeva creare dei mondi nuovi, e si dipingeva in uno strano quadro a colori, che io posseggo, nell’atto di fabbricare a questo modo dei pianeti, mentre due donne ignude lo contemplavano molto da vicino, e dall’alto lo sorvegliava un’aquila enorme con un grande Napoleone accoccolato su una piccola montagna.
Nei loro raziocinii con finissimo criterio tentano dimostrare la verità delle più assurde asserzioni; per es., se si dicono imperatori, figli di Napoleone, non convengono, come fanno i paralitici, d’essere nel medesimo tempo calzolai, ecc., ma lo negano recisamente; e non asseriscono d’essere diventati re, imperatori tutto d’un tratto, ma in seguito ad avvenimenti che hanno qualche vernice di probabilità; erano bastardi di quella imperatrice che godeva tutt’altra nomea che di castità come Maria Luigia, e ne furono affidati a colei che porta ora il nome della loro madre, ecc.
Ed una volta che questo delirio parziale si organa presenta una tenacità straordinaria.
Tutti gli accidenti della vita essi li interpretano nel senso di quello. Qualche volta, è vero, alla prima contraddizione convengono dell’assurdo, ne ridono anche, ma per lo più non ammettono di sbagliare, se non per un grande interesse loro personale (evitare la reclusione, ecc.) o non siano colpiti da una potente emozione che li faccia rientrare momentaneamente in se stessi, come la speranza di vendicarsi, lo spettacolo di molte persone minacciose o severe, dei giudici, per es., od i superiori.
Non hanno, sulle prime, allucinazioni; ma queste pullulano sotto al rigoglio delle idee persecutorie, ed allora passano ad atti illogici: vanno dalla polizia a lagnarsi, protestano, viaggiano per fuggirle, s’irritano se si fa osservare che furono essi che diedero luogo a quelle scene, coi loro sospetti e colle loro azioni.
Alle volte restano immobili o rifiutano gli alimenti, perchè sentono pretesi ordini superiori, che se mangino o se si muovano sarebbero morti. Una donna ricchissima e molto educata un giorno si vide defecare, in mezzo alla stanza, e ciò perchè nella latrina eravi un sistema di lenti e macchine elettriche che le occasionavano delle strane sensazioni. Farina sente ogni volta che va alla latrina le voci Cesar tò e punta che lo indussero per disperazione all’omicidio. — Qualche volta cominciano dopo qualche tempo a calmarsi, a dubitare di sè, oppure si trasformano in forma cronica.
In genere però (e ciò illude l’autorità ed il pubblico sul loro stato) hanno un contegno passivo, di difesa; restano tranquilli, anche quando son colpiti da allucinazioni dolorose o da idee di persecuzione (chiudono le finestre per non lasciar entrare il nemico) e in ciò si distinguon dai maniaci e dai melanconici. Solo l’intossicazione alcoolica, il calore o freddo eccessivo, o la opposizione troppo tenace li spingerà a commettere atti assurdi e feroci e per poco tempo. Un certo Gianinetti, cui la vicinanza della Reggia di Moncalieri inspirò delirio ambizioso, credevasi proprietario di quel R. Castello, sposo di una Napoleonide e pacificatore del Tonchino: minacciato stupidamente di multa e carcere perchè non isgombrava abbastanza presto la neve dal suo portone, egli, che credevasi invulnerabile, grazie ad un certo revolver che Re Umberto avea toccato — sparò addosso ai RR. Carabinieri e alle Guardie del Comune, sicchè diè luogo ad una vera battaglia. Eppure egli era presidente di una fiorente Società operaia — e da tutti chiamato come giardiniere modello.
Malgrado il delirio, la preoccupazione esagerata della propria personalità e l’allucinazione, l’intelligenza è spesso acutissima; e scrivono spesso dei libri (uno ne inserii nel Genio e follia) libri che sono, anzi, in opposizione colla loro coltura, colla loro posizione.
Perchè l’essenziale carattere di questi è l’originalità, sicchè riescono in combinazioni ove uomini anche di una coltura e di un ingegno superiore non riescirebbero: per es., quel Gianinetti, un povero agricoltore, era giunto a modificare senz’ombra di coltura meccanica, una macchina idraulica venuta dall’estero, con dei congegni che avrebbero fatto onore ad un vecchio specialista.
Tutto ciò gioverà a farci comprendere perchè sì spesso i grandi progressi politici e religiosi delle nazioni siano attuati od almeno determinati da pazzi o semi-pazzi. — Gli è che in essi soltanto si può trovare accoppiata all’originalità, che è propria dei genii e dei pazzi, e più ancora di quelli che sono l’uno e l’altro insieme, l’esaltazione capace di generare una tal dose di altruismo che valga a sacrificare i proprii interessi e la vita per far conoscere e spesso accettare i nuovi veri al pubblico, a cui ogni novazione è sempre inaccetta, e che se ne vendica non di raro col sangue.
«Osserviamo (dice Maudsley) come costoro sono atti a scoprire le vie recondite del pensiero state neglette da ingegni più gagliardi e così proiettare sulle cose una luce nuova.
Si nota questa tendenza anche in molti di quelli che non hanno genio, e neanche talento; essi battono vie intentate nell’esaminare le cose, e nell’operare si staccano dall’andazzo comune. È singolare la indipendenza con cui taluno d’essi discute, quasi fossero semplici problemi di meccanica, argomenti ed avvenimenti che il comune pensiero copre di un ossequio convenzionale; quindi nelle credenze sono in genere eretici, spessissimo incostanti, perchè facili a sbalzare da un estremo all’altro, ovvero, confortati da una fede profonda nell’opinione che hanno sposata, spiegano uno zelo ardente, incurante di ogni ostacolo, non vedendo, innanzi, i dubbi che si parano davanti ai pensatori scettici e calmi».
Quindi spesso sono riformatori.
Ben inteso che essi nulla creano di punto in bianco, ma solo determinano i moti latenti preparati dal tempo e dalle circostanze, comechè grazie alla loro passione del nuovo, dell’originale, essi si ispirano quasi sempre alle ultime scoperte o novazioni, e da queste partono per indovinar le future. Così Schopenhauer scrisse in un’epoca in cui il pessimismo incominciava a venir di moda, mescolato al misticismo ed all’enfasi, ed egli altro non fece che fondere tutto ciò in un sistema filosofico.
Lutero riassunse le idee di molti contemporanei e predecessori — basta ricordare Savonarola.
Che se queste idee sono troppo discordi dalle opinioni prevalenti nei popoli, o troppo assurde, esse cadono col loro autore, spesso anzi lo trascinano seco nella caduta.
Il pazzo (Maudsley) è in contraddizione coll’opinione dei più, e così pure in sulle prime il riformatore, ma questo finisce per essere accettato, il pazzo per restare solo colla piccola schiera di quelli che ne subirono il contagio (Responsability, p. 48).
Dopo ciò sarà facile comprendere il miracolo di Cola da Rienzi.
Note
1 E si noti che in essi lo sviluppo del cranio e del cervello è spesso maggiore che nei sani: il cranio più voluminoso, oltre i 1900 c.c., che si conosca, è quello di un pazzo (Quatrefages): e precede quello di un uomo di genio.
2 Per altri esempi vedi Genio e Follia, 5ª edizione, in corso di stampa.
3 Dei segni morali della follia ereditaria. — Ann. méd.-psych., 1886.
4 Il pubblico ha afferrata e fatta sua la parola, ma non il concetto: crede si tratti di mezzi pazzi: invece sono costoro, come si vede qui, qualcosa di più e qualcosa di meno dei veri pazzi, perchè il loro delirio è perpetuo e congenito, mentre d’altra parte è assai meno intenso e senza perdita degli affetti.
5 Vedi il mio Genio e Follia, 5ª ediz., Torino, Bocca.
DISEGNO D’UN MONOMANE