Rimedi.
1. I bambini vogliono sempre la morale della favola; ed i lettori, dopo l’esposizione di un male, pretendono a quella dei rimedi; ma qui non parrebbemi proprio necessaria, tanto spicca evidente.
Certo, i mattoidi non si sopprimono, e quanto più innanzi noi andremo, più ne troveremo. Sono produzioni del nostro ambiente civile, arroventato dalle istituzioni politiche, che lasciano, e devono lasciare il varco a tutte le ambizioni. Ciò è tanto vero, che essi negli Stati Uniti hanno un nome speciale, Kranks, ed un altro ne hanno nell’Indostan (Babou), fra quegli indigeni che una coltura europea ad alta pressione costringe a trasformarsi in troppo breve tempo.
Ma per quanto siano maggiori i danni che e’ recano dei benefici, sarebbe crudele il volerli sequestrare fino a che non siansi mostrati pericolosi alla pubblica salute e finchè s’agitano nei campi astratti della politica, tanto più che non di raro essi, come alcune qualità di fermenti, giovano, anche colle loro bizzarrie, alla vita pubblica. — Ma quando essi degenerano in forma criminosa, come Sbarbaro, come Mangione, si devono poter colpire, ma colpire non tanto colla pena del giurista, come col sequestro psichiatrico, il che giova così alla politica come all’umanità.
Oh! non fu egli un triste segno dei nostri tempi, il vedere Sbarbaro, che aveva diritto doppiamente alla clausura ed insieme all’immunità del manicomio, tradotto davanti ai tribunali come qualunque uomo di mente sana, porgendogli occasione ad una apoteosi, che fu una vergogna del nostro paese, perchè mostrava mancare in molti il criterio del vero od il coraggio di proclamarlo?
Non è egli accrescere l’importanza di simili bolle, iridescenti ma vuote, a cui non dà presa che la comune fiacchezza, per non dire viltà, il porgere pretesto al loro povero autore di atteggiarsi a martire, e il tradurlo così solennemente davanti ad un tribunale, quando si poteva renderlo innocuo per sempre colla perizia di pochi alienisti, risparmiando al tribunale fatiche e contraddizioni, ed al paese spettacoli tutt’altro che proficui?
Che se non si vuol badare alle conclusioni psichiatriche, si guardi almeno, terra terra, alla vergogna ed ai danni che ve ne vengono dal trascurarle.
Condannando i due tribuni come avete fatto, avete voi conseguito risultati più utili, che se li aveste chiusi fino a completa guarigione, dove i loro pari, con meno ingegno, ma spesso con minore intensità di morbo, son custoditi e curati?
E non avreste perduto tutto quel tempo, nè loro concesso, colla condanna, quel prestigio di martire, quella serietà di cui, prima, sempre mancarono.
Ma perchè ciò si conseguisse, bisognava non solo istituire i manicomi criminali, come ora si fece finalmente, ma modificare le disposizioni di legge così che ve ne fosse autorizzato l’invio.
È il caso di ripetere col grande ateniese, ma con minore frutto, forse, di lui: Batteteci, ma ascoltateci.
2. Perchè, poi, i mattoidi, così poco felici nelle opere e nei progetti, non formino un avvenimento storico, non influiscano punto sull’opinione e sull’azienda pubblica, bisogna, altresì, che non si lasci loro il terreno propizio, che la loro sia una nota discorde sempre dal sentimento pubblico. Non potendo, insomma, distruggere questi microbi politici colle baionette, come malamente ci sognammo di tentare cogli altri microbi, dobbiamo medicare il terreno; togliamo, sopratutto, il sospetto che i giudici si lascino trascinare dalle influenze politiche e parlamentari: e mentre per obbedire alla legge della divisione del lavoro dobbiamo, come ben tentarono Villa, Zanardelli e Taiani, estendere sempre più la correzionalizzazione dei reati comuni, sopprimendo per essi quell’istituto preistorico che chiamasi giurì, sottoponiamo invece sempre ai giurati ogni reato che possa accennare anche indirettamente alla politica, e tentiamo sottrarre alle pressioni parlamentari ogni servizio che tocchi la giustizia.
Se vogliamo, infine, che i mattoidi non abbiano seguito, guariamo le nostre piaghe, sulle quali si agitano sempre costoro, come i vermi sul putridume, perchè essi, cui il morbo spoglia da ogni misoneismo (v. s.), subodorano da lungi quei mali reali, che, avvertiti dal pubblico, più tardi, lo rendon, poi, meno restio ad accogliere qualunque proposta di cura e ad ammirarli come profeti.
Il primo malanno nostro sta nella mediocrità, nell’esaurimento di forze e d’uomini, che ci viene per reazione alle energie consumate nel 48 e nel 59; anzi, a chi miri più a fondo, nelle quattro grandi civiltà di cui fummo maestri al mondo; noi abbiamo in parte a compagne in questo (triste conforto) le altre razze latine; ma non perciò ci è chiusa ogni speranza di migliore fortuna, e ben lo vede chi pensa ai grandi progressi fatti dai paesi del Sud e dalla capitale in pochi anni.
3. Concetto di Stato. — La piaga più grave, quella che ci rende inferiori innanzi all’Europa, nasce da che in noi la regione, il gruppo, la personalità affogano lo Stato, il cui concetto non persiste se non grazie all’abilità di qualche individuo sopranuotato al naufragio generale degli uomini cui si deve l’Italia, e costretto, per sopravvivere, a barcamenare ora da un lato, ora da un altro, senza quasi più altra mèta nè scopo che di non restare soffocato dalle ondate contrarie.
Certo, se molti fossero questi abili uomini di Stato, e con ampia libertà d’azione, questa sventura, la massima di una nazione, permarrebbe egualmente; ma noi ne soffriremmo assai meno, e l’influenza dei fanatici e dei mattoidi, che tenta loro sostituirsi, non si avvertirebbe.
Il sistema parlamentare, che fu detto da Spencer la più grande delle superstizioni moderne, fu, forse, la causa maggiore di questa piaga, sostituendo tante autorità onnipotenti, irresponsabili, alle responsabili che dovrebbero reggere le amministrazioni e la giustizia.
Un’altra causa ne è nell’odio contro ogni concetto di Governo, che naturalmente ci dovevano destare e lasciare nelle ossa, dei Governi o stranieri, o nemici di ogni libertà; vi si aggiunge il danno che viene da un clima caldo, in cui le passioni sono sempre più vivaci e gli uomini meno sofferenti del freno: e quello del predominio sopra tutti della casta avvocatesca che non aveva sulle altre il prestigio della storia, come la nobiliare e sacerdotale, nè quello della forza, come quella delle caste guerriere, e nemmeno propriamente della cultura, perchè svolgendo tutte le sue facoltà in un campo quasi sempre astratto, quasi sempre lontano dai fatti, non si trova a suo posto se non quando si tratta di leggi; onde, e per l’abitudine professionale e per farsi valere è costretta, sempre, a fantasticare, manipolare nuove leggi, a farne, disfarne, rifarne, o trovare in queste, quando sono al Governo, la panacea di ogni sventura, salvo ad eluderle quando i suoi membri cedono il potere e ritornino cittadini.
A molti di questi mali non si vede uno scampo; gli uomini grandi non li possiamo creare: sarebbe già bazza se potessimo facilitare loro il potere quando siano sòrti.
E questo è, forse, il solo lato utile del parlamentarismo.
4. Suffragio universale. — Quanto agli altri lati, troppo dannosi, di questo, postochè si tratta d’un male che non si può sopprimere, senza generarne molti altri, noi dobbiamo temperarli, ricordando quel detto di Spencer, che non sono i più che conducono i meno, ma i meno che conducono i più; allarghiamo, pure, le basi del suffragio, rendiamolo pure universale, estendendolo ai poveri contadini che sudano sui campi per arricchirci, e muoiono, negletti e famelici, più che l’ultimo degli operai, e perciò sono messi da banda anche nei progetti (restati, pur troppo, sempre in istato di crisalide) a favore delle classi inferiori; ma facciamo che essi non siano che elettori di primo grado, e che essi stessi eleggano i veri elettori. Attraverso questa doppia trafila è difficile che siano elette le nullità ed i mattoidi, o lo sarebbero in numero piccolissimo; per scemare, poi, i pericoli delle inframettenze, diminuiamo il numero dei deputati.
5. Avvocati. — Sopratutto restringiamovi il numero delli avvocati patrocinanti, sicchè non sorpassino, che del decuplo, le proporzioni in cui sono le categorie dei colleghi magistrati, professori, per le stesse ragioni per cui si lamentarono quelle, anzi, per ragioni più evidenti, perchè essi, nelle questioni penali sarebbero parte troppo interessata; oltrecchè la necessità in cui sono, spesso (Zanardelli), di sostenere il falso nelle difese, li rende facili al sofisma, inclini a sostituirvi spesso il trionfo delle proprie idee e dei proprii interessi a quelli del paese, nella cui sicurezza turbata essi non vedono l’effetto degli abusi da essi provocati.
Io vedo, del resto, nella bell’opera di Zanardelli (Avvocatura, 1879), lodata la proibizione indetta agli avvocati di Francia dal Consiglio dell’ordine, di farsi amministratori di società od anche membri dei consigli d’amministrazioni ferroviarie, onde non doversi trovare in collisioni di interessi. Ma quanto più ciò non deve applicarsi, quando si tratta di un Parlamento, dove essi, come legislatori, possono essere accusati di favorire leggi, di cui potrebbero approffittare come avvocati?
Come, se non si scema il potere immenso a questa avvocatocrazia che, assai più pericolosa, perchè meno avvertita, di quella sacerdotale di un tempo, va assorbendo tutto, che riesce ad entrare, come maestra suprema, nella marina, nell’agricoltura, nelle discipline, cui essa è assolutamente estranea, come credere che possa permettere uno svolgimento sicuro ed imparziale in quella materia in cui è più competente, in cui le sue arti possono più abilmente essere adoperate e meno controminate e controllate dagli altri? E come può aver luogo urna vera giustizia, se da un lato si van togliendo, con continue manovre, le barriere contro al vizio, dall’altro, i deboli suoi difensori, i magistrati, sono lasciati inermi innanzi ai colpi dei loro naturali, legittimi, avversari?
Tutto ciò sia detto per l’avvocato patrocinante in penale. Ma per conseguire completamente lo scopo, una certa limitazione dovrebbesi imporre, anche, agli avvocati civilisti; anzi, credo che al benessere pubblico gioverebbe rendere più difficile, p. e., con tasse ed esami più severi, l’accesso agli studi giuridici, di cui sono troppi i cultori; sicchè non dia luogo ad un sedimento, sempre maggiore, di spostati, di mali politicanti.
E sminuirebbe allora questa smania di legiferare. E forse, allora, concentreremo un po’ più le nostre forze, le nostre attività nel sostituire la buona, l’attenta applicazione delle leggi esistenti, sempre migliori appunto perchè non nuove, perchè già studiate, perchè già entrate nelle abitudini a questa eterna vicenda di fare e disfare delle leggi che, mentre mancano sempre allo scopo, ne raggiungono in chi le deve subire, pur troppo, sempre uno, il meno preveduto — quello della sfiducia e dell’indisciplina.
E così nelle questioni penali non ci smarriremo dietro ai miraggi di un Codice nuovo, che muterebbe, solo con imbarazzo dei giudici e quindi con ritardo della giustizia, alcune formole astratte ed accrescerebbe quella mitezza della repressione che è il peggiore dei pericoli, facendo perdere qualche anno di discussioni, tanto più inutili quanto più verbose.
6. Polizia. — Miglioriamo, invece, il nostro sistema carcerario e di polizia, rendendolo scientifico coll’uso dell’album criminale, delle fotografie, dell’antropometria dei criminali, accrescendone1 a mille doppi così l’efficacia, come si perfezionò, rendendola più scientifica, l’arte della guerra; miglioriamo il nostro Codice di procedura in modo che le denuncie siano più facili, che le vittime non abbiano ancora da perdere in tempo ed in istima pubblica e, forse, in denaro per il solo fatto di volersi far rendere giustizia; impediamo che l’ultima delle ricerche sia quella della constatazione del fatto, mentre si lascia la massima libertà alla declamazione rettorica, la quale non ha nulla a che fare- nell’illuminare la giustizia.
Perchè permetteremo, per esempio, che si dichiari impunemente dal preteso perito di difesa che una forte dose d’arsenico non sia mortale, o che non lo sia una coltellata nel cuore, quando in bocca ad un testimonio che ha pur fatto un egual giuramento, ciò può essere argomento ad una grave condanna?
7. Assise. — E cerchiamo limitare il numero degli accorrenti alle Corti d’Assise, non permettendone lo accesso ai minorenni, ai sorvegliati o sospetti; e così si eviterebbero le scene scandalose che mutano le Assise in un teatro, ed ahi! spesso, in un ritrovo, ancor meno corretto, e sempre, in una specie di scuola pratica d’immoralità e d’incitamento alla vanità dei criminali; essendo chiaro, del resto, che la presenza dei tristi non può dare garanzia della bontà d’un procedimento.
8. Magistratura. — Finchè permetteremo l’intromissione continua dei deputati avvocati nelle cause e, peggio, nei Ministeri di Grazia e Giustizia, colla magistratura in gran parte mobile, come impediremo che nasca il sospetto, per quanto sia ingiusto, od almeno esagerato, che questa non sia sempre pienamente libera di sè?
Bisognerebbe consacrarne, dunque, l’inamovibilità, anche di sede, e devolverne le scelte ad un corpo rispettabile ed indipendente, ma pagato, come quello della Cassazione; il quale dovesse servirsi per criterio delle promozioni, prima degli esami e poi del numero delle sentenze non revocate pei magistrati inferiori; infine, per questi e pei procuratori del re, del numero delle cause trattate per citazioni dirette, corretto e controllato dagli esiti in appello, che sarebbe criterio esattissimo e nello stesso tempo stimolo stupendo a ben fare. Le statistiche ci rivelano come, dove vi hanno magistrati assai attivi, la citazione diretta raggiunge una cifra che è singolarmente diversa da quella che si nota nel più dei casi. Così, mentre a Napoli se ne è notato solo il 30 % e in Italia in genere il 48 % (Costa. Relaz. statist., 1879. Genova, pag. 46), noi vediamo in Genova nel 1878 essersene avuto il 57 %, in Venezia (Torti) il 53 %, in Milano nel 1878 il 60 p. %, (Sighele).
Perchè non approfittare del modo stesso di migliorare la giustizia per avere anche un criterio sicure sulla scelta dei magistrati?
9. Collegialità giudiziarie. — La buona scelta dei pretori avrebbe il vantaggio di permettere di diminuire le cause di rinvio, e di togliere pegli appelli certe collegialità giudiziarie inutilmente costose, anzi dannose, perchè coprono colla moltiplicità dei membri la responsabilità individuale.
10. Rinvii, Appelli. — Lo strano abuso degli appelli e delle cassazioni, è fra le cagioni più gravi dell’attuale rilassamento penale. Bisognerebbe provvedere, perciò, che gli appelli fossero concessi solo quando abbiano specialissime ragioni di esistere; e inibiti quando in ritardo o quando non esistessero che semplici errori di forma e quando le nuove prove, su cui si fondassero, fossero di tal natura che si potevano offrire fin da principio al I° giudizio; siccome si dovettero cassare parecchie sentenze per difetto dei verbali dei cancellieri, si dovrebbero, questi, obbligare ad apprendere la stenografia ed applicarla nei punti più essenziali dei processi; punti che non dovrebbero essere protocollati dopo, ma seduta stante, onde impedirne ogni errore2. Quanto risparmio sia con ciò conseguibile, ben lo dimostra la statistica, che ci dà 29,361 ricorsi in appello respinti, perchè in ritardo, o irrecivibili sopra 41,000; evidentemente, a più della metà dei ricorsi avrebbe potuto essere risparmiata la presentazione.
Le nostre leggi permettono di appellarsi anche senza addurre motivi, anzi, anche quando motivi non ci sono, sicchè avviene, che da un tribunale lontanissimo, p. e., da Vercelli a Torino, il detenuto sia coi suoi complici se esistono, anche se non appellanti, trasportato a Torino, e una Corte si raduni per null’altro che per ripetergli il non farsi luogo, per mancanza di motivi.
E poi si cercano le economie nei periti, e ci lagniamo che manchi nei luoghi più necessari la forza pubblica, occupata in tali serie imprese!
Se noi consultiamo la storia delle istituzioni giudiziarie di Roma, troviamo che la introduzione dell’appello non fu conquista di libertà, nè garanzia di retta giustizia, ma invece strumento di politica illiberale e retriva, perchè preordinata a mezzo di accentramento del potere nelle mani dei governanti3.
Ai tempi della Romana Repubblica si conosceva l’apellatio ad populum, ma come sindacato verso i magistrati; nella forma attuale fu adottata, solo sotto gli imperatori, e rampollò dal principio cesareo della concentrazione di tutti i poteri nel principe.
11. Cassazione4. — Ammettendo i ricorsi in cassazione solo per gravi errori di diritto, e ammettendo gli appelli, solo in via eccezionale, quando si possano portare nuove prove, si scemeranno molti ricorsi, che rendono così ingombre quelle Corti da ritardarne il lavoro e quindi impedire l’applicazione rapida della giustizia che è la sola efficace; tanto più se vi s’aggiugnerà, come in Francia, e come la giustizia più semplice suggerisce, che i nuovi giudizi in rinvio possano aggravare come migliorare la sorte del reo.
Questa riforma della cassazione e degli appelli potrà giovare anche a diminuire il numero degli impiegati, migliorandone la sorte, ed a scemare l’enormi somme che senza il più lieve vantaggio pel paese aggravano il bilancio di giustizia, e tuttociò, accelerando l’esecuzione e definizione delle sentenze.
Il confronto, infatti, col nostro vicino paese, ha dimostrato che spendiamo molto di più della Francia, avendo un lavoro assai minore.
In Italia nel 1875 si definirono 175,587 processi in meno, e si giudicarono 228,100 rei in meno che in Francia, e si spesero 694,076 lire in più!
Le spese di giustizia per ciascun processo sommarono lire 8,50 in Francia, a 14,20 in Italia, il che si può spiegare solo in parte colle poche citazioni dirette, e col numero dei processi gravi in più (12,706) portati dalla sezione di accusa, e alle Assise 772, ma più ancora coll’enorme cifra degli appelli (Statistica degli affari civili e penali del Ministero di grazia e giustizia, 1875, Roma).
Scemate le spese di giustizia penale, si potrà offrire quella gratuità vera per le cause civili dei non abbienti, senza cui non esiste eguaglianza civile.
12. Citazione diretta. — Ma contro i ritardi e le impunità che sorgono dagli abusi degli appelli e cassazioni, abbiamo aperto e facile un farmaco, senza nessuna legge speciale, coll’uso di quella citazione diretta, che è, forse, l’unico mezzo che ancora ci resta, onde ottenere, con grande economia di tempo e danaro, la tanto desiderata prontezza ed anche, che è meglio, la sicurezza della pena; poichè il reato è avvenuto da poco, i testimonii ne hanno più fresca e precisa memoria, nè la loro buona fede fu scossa dalle solite arti, e l’esemplarità è maggiore, nè trattandosi di magistrati abituati alle tristi scene del delitto, si può temere che l’impressione troppo fresca del fatto possa preponderare nell’animo loro in senso contrario dal giusto.
13. Corpi gratuiti. — Un altro dei danni della nostra doppia piaga parlamentare ed avvocatesca è anche la tendenza a sostituire una proposta di legge dove urge un provvedimento immediato, e una Commissione quando il progetto non si trovi su due piedi; e quella d’organizzare, a somiglianza del Parlamento e con un’impotenza ancor maggiore, con un’azione, anzi, solo negativa, ritardataria, e qualche volta contradditoria, dei Corpi consultivi, come i Consigli di sanità, d’istruzione pubblica, d’agricoltura, ecc., gratuiti tutti, in parte elettivi, di uomini anzi, occupati altrove spesso in gravissime bisogne, i quali idealmente dovrebbero avere la suprema direzione, insieme ai Ministri, dei grandi interessi dello Stato, ma, in fondo, colla collettività gratuita, coll’intermittenza e colla mancanza di ogni voto esecutivo, finiscono per ritardare, alle volte peggiorare, orpellandone ed attenuandone la responsabilità, l’azione dei Ministri.
Gli uomini, p. es., preposti ai Consigli d’igiene, saranno ciascuno individualmente migliori (e per molti la mia amicizia si confonde coll’ammirazione) di colui che si dovesse scegliere a capo effettivo della sanità del regno; ma malgrado ciò, se esso ne riunisse il potere e la responsabilità, riescirebbe più efficace, più utile; saprebbe colpire i morbi epidemici appena sòrti, sarebbe indipendente dalle fluttuazioni della politica, e se errasse, ne risponderebbe.
Sostituiamo, dunque, ove sia possibile, degli specialisti ai Corpi consultivi, e diamo loro non solo un voto puramente teorico, ma anche esecutivo, e associato ad una massima responsabilità in quella parte in cui non entra affatto la politica, e in cui la scienza moderna vuole specialisti direi specializzati, e non uomini-omnibus che passino dall’uno all’altro ramo più diverso.
14. Ministeri Tecnici. — E qui ci pare che un altro modo di controminare i danni del parlamentarismo senza ricorrere a quelle reazioni, contro cui si ribellerebbe ad ogni modo la tempra troppo elevata ed onesta del nostro Monarca, sarebbe di rendere alcuni Ministeri affatto tecnici, e sottratti ad ogni influenza di partito, ma non, ben inteso, ad ogni responsabilità.
Lasciamo politici e parlamentari fin che si vuole il Ministero dell’Interno e quello degli Esteri; ma che rapporto possono avere colla politica quelli della Marina, dell’Istruzione e dell’Agricoltura? E se la rettorica dominante e l’intrigo parlamentare rende ciò impossibile, innalziamo entro i singoli Ministeri degli uffici con poteri estesissimi, simili a quelli del segretario generale, che non ne dividano le vicende parlamentari, ed i cui funzionari non possano essere scelti che nei professionisti delle specialità a cui devono essere addetti.
Allora le ambizioni intra ed extra parlamentari avranno un campo assai più circoscritto, e noi saremo più serii; e non vedremo degli uomini di Stato rispettabili proporre, senza essere contraddetti, di mutare le acque dei paesi per guarire la pellagra, o suggerire la chiusura delle Alpi per difenderci dall’epidemia cholerica!
Oh! non abbiamo avuto degli avvocati alla Marina ed alla Guerra? E come impedire le aspirazioni più bizzarre quando questi casi si moltiplicano sotto i nostri occhi e non destano la più lieve reazione?
15. Formalismo. — Noi abbiamo parecchie altre piaghe, che malgrado siano contradditorie l’un l’altre, in questo son sempre d’accordo di rovinarci sempre più: il formalismo e l’arcadia.
La burocrazia mi fa l’effetto di un’alienata che io curava, la quale aveva la mania di certe sue infinite cassette, che rientravano una dentro l’altra: ma l’ultima non conteneva che… della stoppa od un ago.
Noi accatastiamo carte su carte, relazioni su relazioni per assicurarci dell’economia di una zuppa in un ospedale: intanto lasciamo dei cassieri senza cauzione, e per una zuppa che risparmiamo, teniamo in carcere otto, nove mesi un individuo non d’altro reo che di non entrare nei casellari di questa strana religione burocratica. Riempiamo, p. es., migliaia di risme di carta per avere poi una cifra mitologica di recidivi, che non giunge nemmeno al terzo del vero, e per farci credere diminuito il delitto quando è aumentato.
16. Clero. — Il Vaticano è il nostro eterno nemico, ma esso non si combatte colla militare strategia; egli ha la sua forza principale nel sentimento atavistico di conservazione d’ogni uso passato, troppo forte nella donna, nel bimbo, nel vecchio, ed in quelli che l’indebolimento mentale rende simili a loro. Combatterlo colla forza è creare dei martiri, aumentandone il prestigio e la forza.
Non v’è con lui altra guerra possibile che quella che viene dalla coltura più diffusa, come ben si vede nelle città in confronto alle campagne, in cui per la scarsa istruzione il prete comanda assoluto.
Vi sarebbe un altro lato in cui combatterlo, sebbene con maggior difficoltà: nella gerarchia, che ne fa un esercito compatto ed in assetto di guerra; chi sollevasse i gregari contro i generali ed il generale d’armata, promuovendo, come si è tentato, per poco, sotto gli auspici del Guerrieri-Gonzaga, l’elezione comunale del parroco, otterrebbe due grandi vantaggi, di rompere questa catena a noi così pericolosa e di rendere, col voto elettivo, nazionale un’armata potentissima e nemica.
17. Classicismo. — Finalmente, per difenderci dai mattoidi della specie di Sbarbaro, dobbiamo spogliarci di quel triste retaggio degli avi, ch’è l’arcadia rettorica. Oh! quanto dovranno sorridere i nostri nipoti pensando che migliaia e migliaia di uomini hanno creduto sul serio, come qualche frammento di classico, studiato sbadigliando e per forza, e dimenticato con più facilità che non appreso, e peggio ancora, le aride regole grammaticali d’una lingua antica, siansi credute lo strumento più prezioso per acuire l’ingegno del giovane, e ciò più che non l’esposizione dei fatti che più lo dovrebbero interessare e più della ragione dei fatti stessi. E chi crederà, fra poco, che anche per fare dei buoni marinai e dei buoni capitani di linea siasi creduto necessario il latino? mentre le norme strategiche e marinaresche hanno cambiato di tanto dopo l’invenzione della polvere, del vapore, della bussola, ecc., e mentre le utili cognizioni storiche si attingerebbero egualmente nelle tradizioni! – Ma intanto si fabbricano generazioni, il cui cervello s’imbeve per molto tempo solo della forma e non della sostanza, anzi, più che della forma, (che almeno si tradurrebbe in qualche capolavoro estetico) di un’adorazione feticia della forma, e tanto più inesatta, tanto più sterile e cieca, quanto maggiore fu il tempo che inutilmente si consumava per apprenderlo, e mancando così di una solida base, si getta in braccio alla prima novazione, anche la più inesatta5. E quando crediamo di avere ingolfati a sufficienza quei poveri cervelli di questa classica stoppa, li rinzeppiamo, per soprassello, per anni ed anni di vacuità metafisiche, che si continuano, almeno pei legali, fino agli ultimi corsi universitari.
E intanto si lasciano in seconda linea o in mano a professori poco seri quegli strumenti stupendi di coltura sociale che sono gli studi di statistica, di sociologia; e non si parla della psichiatria, dell’igiene, dell’antropologia, dell’etologia, della storia religiosa, della parassitologia, relegate, addirittura, fra le Cenerentole universitarie. E si trascura quella bella scoperta pedagogica ch’è la Scuola Fröebeliana; e si aspetta che tutta Europa l’adotti per accettare quella sana innovazione, qual vero antidoto alle tendenze rettoriche, del lavoro manuale nelle scuole, che rannobilendo e stimolando più all’arte, sostituendo qualcosa di pratico, di esatto ai miraggi nebulosi dell’antico, ci salverebbe da quel diluvio di laureati, ossia di spostati6, che noi colle nuove facilitazioni universitarie aumentiamo ogni giorno, e che si dovrebbe invece arrestare con gravi tasse e colla diminuzione delle Università.
Oh! noi abbiamo e ci bastano le scuole di eloquenza, di declamazione e, magari, sul poema dantesco, e di archeologia; e se di un sol insegnamento di diritto romano non foste proprio contenti, ve ne daremo due altri per ogni università. Oh, non è noto che noi viviamo, salvo la toga, anzi con quella, coi costumi e le leggi dei nostri antenati!!
Ed è con questo bagaglio che noi pretendiamo elevare l’uomo medio d’Italia a grandi destini, fare dei forti, e sopratutto, degli abili cittadini che non si limitino a vantare o rimpiangere sulle orme dei mattoidi e dei frati di Sant’Ignazio, le grandezze degli antichi, ma cerchino crearne delle nuove col mezzo delle arti novelle!
Quanto alla stupida smania pei monumenti, che si rannoda a quest’arcadismo, non vedo altro nodo di reprimerla che di tassarla come gli avvisi ed i réclames, di cui in fondo fan parte, con un’imposta che cresca in ragione delle spese consumate per la loro erezione. Un simile rimedio, una tassa cioè sui giornali che pubblicano processi criminali, gioverebbe, senza toccare la libertà della stampa, a scemarne questa pericolosa pubblicità.
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Ma scrivendo queste righe, più volte mi sono sorpreso a sorridere di me stesso, tanto vani sono i sogni d’un pensatore, sia pur patriota; dinanzi all’apatia generale, e tanto riesce difficile l’applicazione dei concetti, dirò schermatici, di cura che sorgono in mente a chi studia, solo dal tavolo, le nostre miserie.
E lo paragono ad un fanciullo che immaginasse elevare delle dighe di sabbia contro i flutti dell’oceano. Viene un’ondata: e della diga non resta, sulla riva, pure una pallida traccia.
Torino, 2 febbraio 1887.
Note
47 Vedi Archivio di psichiatria e scienze penali, vol. VII, 6, pag. 611-612.
48 Lombroso, Incremento del delitto in Italia e mezzi per prevenirlo. — Torino, Bocca, 1879.
49 Casarini, Dell’Appello. — Riv. penale, novembre 1878.
50 Lombroso, Incremento del delitto, ecc. — Torino, Bocca, 1879.
51 Chi ne dubitasse, ricordi il classicismo dei rivoluzionari dell’89, e legga Valles: Le bachelier et l’insurgé, e vedrà quanto contribuisca quell’educazione discorde dal tempo a farne uno spostato ed un ribelle.
52 Vedi nota a pag. 183.