CAPITOLO VII.

Esempi di matti politici.

E gli esempi mi pullulano.

I nostri nonni ricordano ancora la potenza di quella vera profetessa monarchica che fu la Giulia di Krüdener. Era isterica; erotica, fino a gettarsi in ginocchio in pubblico davanti ad un tenore; spinta poi dalla delusione amorosa all’antica fede, si crede eletta a redimere l’umanità, e trova il vigore di una ardente eloquenza. Va a Basilea e, predicando la prossima venuta del nuovo Messia, mette sossopra la città; alla chiamata evangelica, ventimila pellegrini rispondono; il senato intimorito la bandisce: ella accorre a Baden, dove quattromila persone l’aspettavano sulla piazza per baciarle la mano o la veste; una donna le offre diecimila fiorini per fondare una chiesa. Ella li distribuisce ai poveri, dei quali è prossimo il regno. La esiliano da Baden, ed ella ritorna seguita dalle turbe in Svizzera. La polizia la perseguita: ella passa dalle città ai villaggi, acclamata, benedetta; sente dettarsi le opere dagli angeli. Napoleone, che l’aveva disprezzata, diventa per lei l’angelo nero; Alessandro l’angelo bianco: ed essa giunge ad esserne l’ispiratrice, sicchè l’idea della Santa Alleanza pare si debba a lei sola.

Loyola, ferito, volge il pensiero alle cose religiose, e spaventato dalla rivolta di Wittemberg, escogita il grande progetto della fatal Compagnia; ed ecco che Maria Vergine lo aiuta in persona ne’ suoi progetti ed egli sente voci celesti che ve lo incitano.

Lutero (Archiv für psychiatrie, 1881) attribuiva i suoi dolori fisici e i suoi sogni alle arti del demonio, eppure tutti quelli di cui ci tramandò la descrizione alludono a fenomeni nervosi. Ei soffriva spesso, per esempio, «una implacabile ambascia, causata, secondo lui, da un Dio fiero ed irritato». A 27 anni cominciò ad essere preso da accessi di vertigine, cefalea, susurri alle orecchie, che si rinnovarono a 32, 38, 40, 52 anni, specialmente quando egli era in viaggio per Roma; anzi a 38 anni ebbe una vera allucinazione, favorita forse dalla solitudine eccessiva. «Quando nel 1521, scrive egli, io era nel mio Patmo, in una stanza in cui non entravano che due paggi per recarmi il cibo, sentii una sera, mentre ero in letto, moversi le nocciole dentro il sacco e scagliarsi da sè contro il letto e intorno al mio giaciglio. Appena mi addormentai, sentii un immenso rumore come se precipitassero molte bacche; mi alzai e gridai: Chi sei tu? Mi raccomandai a Cristo», ecc.

Nella chiesa di Wittemberg aveva appena cominciato a spiegare l’epistola ai Romani, quando giunto alle parole: «Il giusto viva della vera fede», sentì questi concetti penetrargli nell’animo e udì ripetersi più volte quel detto nell’orecchio.

Nel 1570 quelle parole gli rimbalzano quando era ancora in viaggio per Roma, e con voce tonante, quand’egli si trascinava per la scala santa. «Non rare volte, egli confessa, mi capitò di svegliarmi verso la mezzanotte e disputare con Satana intorno alla messa», ecc., e qui espone molti argomenti addotti dal diavolo, dai quali, notisi, partì per combattere quel rito.

Giovanna d’Arco deve i miracoli d’eroismo alle allucinazioni sofferte fin dai 12 anni.

Nei nostri tempi, Giorgio Fox, il fondatore dei quaqueri, deve l’energia della sua propaganda a vere allucinazioni. In grazia a queste abbandona la famiglia, si veste di cuoio, si chiude nei cavi degli alberi, sente che tutti i cristiani, ortodossiani, son figli di Dio. Niuno gli crede; ma egli ode una voce che gli grida: «G. C. ti comprende»; sta 14 giorni in una specie di letargia; e mentre il suo corpo sembra morto, la mente continua ad agire: il che si ripete poi nei suoi seguaci, tutti onesti, ma visionari, profeti.

Ma l’esempio, che ancor più ci calza, (se non paresse, il dirlo, una bestemmia nazionale), è quello offertoci dal Savonarola.

Sotto l’impressione di una visione, fin da giovine, si credette mandato da G. C. a redimere il paese corrotto; parlava egli un dì con una monaca, quando gli parve ad un tratto si aprisse il cielo, e vide sotto i suoi occhi le calamità della Chiesa e udì una voce che gli ordinava di annunciarle al popolo.

Le visioni dell’Apocalisse, del vecchio testamento, gli si schieravano dinnanzi. Nel 1491 voleva smettere di trattare di politica nelle prediche. «Vegliai tutto il sabato, l’intera notte; ma sull’alba udii mentre pregava: Stolto, non vedi che Dio vuole che tu seguiti la medesima via?».

Nel 1492, mentre predica l’Avvento, ha un’allucinazione di una spada su cui era scritto: Gladius Domini super terram. Ad un tratto la spada si rivolge verso la terra, l’aria si oscura, e piovono spade, saette, fuochi; la terra è in preda alla fame ed alla peste, ed ei ne predice, fin d’allora, la peste, che infatti avvenne.

In un’altra visione, egli, fattosi ambasciatore a G. C., fa un lungo viaggio al paradiso, vi tiene discorsi con molti santi e colla Vergine, di cui descrive il trono, non dimenticando il numero delle pietre preziose che l’adornavano (Villari, Vita del Savonarola, p. 11 e 304).

Era una scena simile a quella che ci descriveva Lazzaretti (Vedi Archivio di psichiatria e scienze penali, 1, 1880).

Egli meditava continuamente sopra i suoi sogni, e nelle sue visioni cercava di distinguere quelle che gli angeli producevano, da quelle dei demoni.

Quasi mai lo coglie il dubbio di essere in preda all’errore. In un suo libro dichiara: «che il fingersi profeta per persuadere altrui sarebbe lo stesso come far Dio impostore. E non potrebbe essere (continua ad obbiettarsi) che tu ingannassi te stesso? No, risponde; io adoro Dio, cerco imitarne le vestigia, non può essere che Dio mi inganni» (De veritate prophetica, 1697). Eppure, con quella contraddizione propria degli alienati, poco tempo prima aveva scritto: «Io non sono profeta nè figlio di profeta, e sono i vostri peccati che mi fanno per forza profeta». Infine in una pagina detta: «che il suo lume è indipendente dalla grazia»; mentre poco prima in un’altra aveva dichiarato: «che era una medesima cosa».

Il Villari giustamente nota: «questa essere la singolarità del suo carattere; il vedere un uomo, che aveva dato a Firenze la miglior forma di repubblica, che dominava un intero popolo, che empieva il mondo della sua eloquenza e che era stato il più grande filosofo, inorgoglirsi perchè sentiva per aria delle voci, e vedeva la spada del Signore!!

Ma, come bene egli conclude, la puerilità stessa delle sue visioni ci prova che egli era vittima di una allucinazione; e lo prova ancor più l’inutilità, anzi il danno che a lui ne veniva.

Qual bisogno aveva, per ingannare le plebi, di scrivere trattati sulle visioni, di parlarne alla madre, di discuterne sui margini delle sue Bibbie?

Quelle cose che i suoi ammiratori più avrebbero voluto nascoste, quelle che l’accortezza più semplice non avrebbe mai lasciate alla stampa, quelle, egli continuava a pubblicare e ripubblicare.

Il vero è, come spesso confessava, che sentiva un fuoco interno bruciargli le ossa e farlo parlare; e in quella potenza dell’estasi e del delirio, come trascinava se stesso, così riesciva a rapire l’uditorio, il quale ne restava commosso in modo che a noi riesce mal comprensibile quando lo raffrontiamo col testo delle stesse prediche».

Ciò ci fa comprendere come egli, a guisa appunto del Lazzaretti, propagasse la sua divina follia non solo direttamente col fanatizzare le plebi, ma col far nascere anche dei veri alienati che, essendo semianalfabeti o ignoranti, pure si trasformavano, grazie alla pazzia, in predicatori e scrittori. Così Domenico Cecchi (Villari, p. 406) scrive la Riforma Santa, in cui giustamente propone di liberare il Consiglio maggiore dalle piccole faccende, di tassare i beni ecclesiastici, di porre un’imposta unica, di creare una milizia ed insieme di fissare le doti delle fanciulle; e nella prefazione scrive: «Mi son messo con la mia fantasia a fare tal’opera e non ne posso far altra, e dì e notte me ne pare essere sforzato che ne potrei dire cose di miracolo, e me n’è avvenuto che io stesso ne sto stupefatto». – Ed ecco spiegati i piccoli Coccapieller che pullulano, collo stesso suo stile, nell’Ezio II.

Sono pochi anni che il Malet, un monomane, chiuso in una casa di salute, senza soldati, senza danari, colla sola alleanza di un prete e d’un servo, tenta, e per un giorno quasi vi riesce, rovesciare Napoleone: falsificando degli ordini, uccide un capo del ministero, sequestra quello della polizia, inganna quasi tutti i comandanti di corpo a cui dà a credere la morte di Napoleone. E non era la sua prima impresa: chè già nel 1808 aveva tentato un’altra rivolta, fabbricando di sua testa un senatus consulto (Hamel, Histoire des deux conspirations du gènèral Malet, Paris, 1875).

Masaniello1, garzone di pescivendolo non anco ventenne, colpito dalle prepotenze spagnuole e dalle esagerate gabelle che torturavano il popolo, fissa il chiodo sul modo di liberarlo, comincia a far cantare a dei monelli come lui alcune parole rivoluzionarie, fatte imparare a mente, parole che restavano tanto più in mente inquantochè esprimevano le più care speranze del popolo, cioè: l’olio a due tornesi senza gabella, mora il mal governo. A poco a poco quei monelli divennero cinquecento, mille, due mila, e mano mano fino 100 mila, 120 mila; e così in un tratto Masaniello si trovò padrone di Napoli. E vi governò da savio ed insieme da pazzo.

Strappò i peli al cranio del Caraffa fatto uccidere crudelmente dal popolo; e non potendo, come desiderava, aver nelle mani il duca di Maddaloni, ne guastò il palazzo, trapassò con ispilli gli occhi al ritratto del padre suo e gli tagliò la testa in effigie.

Si spinse ad abbruciare gli uffici delle gabelle, le case di chi se ne arricchiva, punendo poi chi della distruzione tentava approfittare: così per una tovaglia o per un sacco d’orzo qualche popolano fu condannato a morte.

Insieme, però, dimostrò un’abilità straordinaria: organizzò barricate; accettò, prima, il concorso dei banditi; ma quando vide che e’ volevano conservare il cavallo, prevedendo, com’era vero, qualche tradimento, li fece sterminare. Ordinò che le donne non portassero guardinfanti, nè i preti mantelli, per impedire il travestimento di altri briganti. Armò battaglioni di donne con bastoni e con materie incendiarie, per dar fuoco ai palazzi nemici; assediò il vicerè e poi incominciò le trattative a favore del popolo, esibendosi di abdicare l’immenso potere; ma in questo punto, sia per l’esagerata fatica intellettuale in un uomo predisposto alle malattie mentali, e che già ne avea dato, come vedemmo, qualche accenno, sia pel naturale dolore di perdere tutto ad un fiato il comando assoluto, egli che fino allora, (settima giornata), aveva rifiutato somme immense e rifiutato, perfino, di spogliarsi della sua rozza camicia da marinaio e a stento rivestivasi di una bella divisa per presentarsi al vicerè, venne colpito, proprio nella chiesa, e mentre si leggevano i patti degli accordi col popolo, da un accesso maniaco: cominciò a mandar a richiedere da un ufficiale, volta per volta, al vicerè il diritto di nominare ufficiali, e di concedere licenze d’armi, e che Sua Eccellenza licenziasse tutti i cavalieri alle loro case; di poi si mise a stracciarsi il vestito inargentato e volere che il vicerè e l’arcivescovo l’aiutassero a lacerarlo; insomma, agì da alienato di mania ambiziosa, riproducendo molte di quelle follie degli imperatori romani che giustamente attribuisce il Jacoby al sentimento della illimitata potenza.

Vuol, p. es., per forza far accompagnare un arcivescovo, che desidera tornare modestamente al suo paesello, da quattro mila dei suoi dipendenti; e intanto dà un calcio ad un povero Aversano, e te lo fa così… cavaliere d’Aversa; obbliga un terzo a fare degli epitafi in cui si dichiari che a lui non si deve obbedienza, sì bene al vicerè; ma viceversa poi agisce perfettamente all’opposto. Non dorme quasi più: «Che facciamo, grida a se stesso: siano padroni di Napoli e dormiamo?» — e ad ogni momento impone nuovi comandi alle guardie che gli stan vicino. Colla spada ignuda percorre le strade, ferisce qualche persona, fa tagliar la testa ad uno che al dire d’un compagno gli aveva mancato in un contratto, sequestra i cavalli del re e poi li rimanda; ordina al Caracciolo di baciargli i piedi per punirlo di non essere smontato di carrozza incontrandolo; spoglia di tutte le sue ricchezze un alto impiegato, visitatore generale, Pozzo di Leone, in compenso di un bacio che egli aveva dato ad un suo nipotino; pretende che il vicerè venga a mangiare con lui, gitta dinari in mare e paga chi glieli pesca.

Fa uccidere persone ignote, e senza causa, perfino dei suoi stessi capitani, come fossero (dice il suo storico) dei capponi; minaccia di voler uccidere il vicerè, sparla dei ministri, però sempre facendo di cappello al re di Spagna.

Si getta in mare vestito, e si leva minacciando gli stessi suoi amici che son costretti a legarlo; ma egli fugge, e da una chiesa si raccomanda al popolo, talchè i suoi consiglieri più intimi, Arpaia, Genuini, minacciati, schiaffeggiati, si trovano costretti ad ucciderlo, E non eran trascorse ancora due settimane.

Veniamo ad esempi più recenti.

Tutti ricordano la recente rivoluzione chinese che raggruppò fino a 400 mila guerrieri, e inaugurava nuovi riti analoghi ai cristiani in un paese avverso ad ogni innovazione e ad ogni fanatismo religioso.

Ebbene, chi la sollevò fu un alienato2. Era un Hong-Sion-Tiuen, nato da poveri contadini nel 1813, ma che, a malgrado di un vivace ingegno, fallì spesso negli esami, di sorpassare i quali, egli, poverissimo, aveva più bisogno degli altri.

Mentre gemeva sotto la fatica e l’ansia dell’ultimo esame, nel 1837, ebbe alla mano un libro di divozione cattolica. Respinto in quelle prove, s’ammalò ed ebbe allucinazioni: fra le altre, gli pareva di essere trascinato in mezzo ad una assemblea di vecchi venerandi, uno dei quali, piangendo sull’ingratitudine degli uomini, che da lui creati, offrivano doni ed olocausti al demonio, gli consegnava una spada ordinandogli di esterminare gli adoratori del diavolo.

Sotto l’influenza di quest’allucinazione egli corse dal padre, dicendogli, come il vecchio di lassù gli ordinava di esterminare i falsi credenti, e come tutti gli uomini a lui doveano inchinarsi e portargli i loro tesori.

Il povero padre lo giudicò per quello che era: un matto — e ne accagionò i maligni spiriti, che molestassero le ceneri degli avi e quindi influissero sul suo cervello, come è credenza del volgo chinese e già del nostro.

Questo delirio continuò quaranta giorni, durante i quali sembravagli vedere un uomo di mezza età che l’accompagnasse nelle sue corse contro i maligni geni e s’agitava furioso menando la spada per l’aria e gridando: Uccidete! Uccidete! finchè stanco di gridare
e di agitarsi, ricadeva sul suo letto e si assopiva; altre volte invece pretendeva d’essere l’imperatore celeste della China, e tutto ringalluzzivasi quando i visitatori acclamavanlo per celia con questo titolo. Molti lo venivano a vedere, e gli appiccicarono invece il nomignolo di pazzo, che gli restò per molto tempo. Il delirio poi cessò; egli tornava alle sue umili funzioni di precettore, ed ai tentativi per la terza volta falliti di ottenere la laurea.

Un giorno ci si mise a percorrere quel tal libricciolo cattolico, già avuto a Pekino; e rileggendolo gli parve trovare la chiave di tutte le sue allucinazioni.

L’uomo vecchio a tonaca nera, era Dio; l’uomo di mezza età era Gesù Cristo, ecc. Egli allora si riconfermò nelle sue idee, così che fecesi battezzare da un suo compagno, rovesciò la statua di Confucio, e, trovato qualche vicino che gli prestò fede, fondò una setta che si chiamò degli adoratori di Dio.

Pieno di quel nuovo entusiasmo, si recò dal missionario Roberts e studiò con lui due mesi per ottenere la comunione e il battesimo regolare cristiano; ma anche il missionario, come il dispensatore delle lauree, nol trovò abbastanza degno di ricevere il battesimo.

Allora ritornò ai suoi adoratori, ma fu perseguitato dall’autorità e dovette fuggire e star nascosto sette anni; la persecuzione, come accade, aumentò i proseliti; costoro divagavano in teorie teologiche, essendo poi d’accordo in un certo battesimo a cui seguiva una sorsata di tè, e nel dovere di distruggere ogni immagine; pare che avessero essi pure allucinazioni come il lor capo.

Così un tal Hang si intratteneva col Dio padre, e Sian col Dio figlio, che gli insegnava a guarir tutti i mali e scoprire i ladri.

Il grande profeta fingeva o prestava loro pienissima fede; e valendosi del loro fanatismo e della tattica europea e dell’odio nazionale dei Chinesi contro i Tartari, si fece sempre più potente, sicchè nel 50 potè chiamarsi imperatore Tin-Ouang, e fece re i suoi due matti acoliti, che più tardi però, colla solita contraddizione dei pazzi, fece morire, poco dopo di aver giurato e fatto giurare a tutti i dieci comandamenti della bibbia. — Ci vollero molti anni ancora, e molto sangue scorse, prima che egli potesse venire domato.

Anche nel Madagascar, quando il partito aristocratico tentò abbattere il re Radama, cominciò coll’istigare uomini del volgo, che, o matti o fingendosi tali, parlavano di aver visto la morta regina e che il re era indegno di regnare, e davan pugni a chi incontravano: e come pazzi non solo non erano puniti, ma da molti creduti; e la malattia si propagò dagli ufficiali ai soldati.

Nel 1862, tra i selvaggi della Nuova Zelanda si andò formando una nuova religione.

Il fondatore ne era un certo Horopapera, già stato pazzo molti anni; il che gli giovò invece, perchè i Maori venerano i pazzi e credonli ispirati.

Essendo naufragato un bastimento inglese, fece il possibile per impedire il massacro e saccheggio; non riuscitovi, divenne di rabbia delirante e allucinato. Si credè in relazione coll’arcangelo Gabriele, che gli insegnava una nuova religione di pace. Onde, fervendo le guerre fra le tribù, egli predicava la tregua, la pace; fu favorito sulle prime dagli inglesi, ma poco dopo egli fece bruciare la bibbia, cacciare i missionari, tollerando solo gli ebrei dai quali pretendeva discendessero i Maori; sicchè i sacerdoti furono chiamati Ieu.

Pretendeva far miracoli, slegandosi dalle corde in cui l’allacciavano; ma volendo guarire il figliuolo lo ammazzò, e conducendo i suoi sotto un forte inglese li fece mitragliare tutti.

Ciò malgrado, divenne il Pietro Eremita di una insurrezione contro gli inglesi. «Il Pakeca, lo straniero, — gridava egli, con mille gesti come un ossesso. — è un mostro, un serpe che morde chi lo nutre; è tempo di distruggerlo…»; e poi ipnotizzava i neofiti facendoli rapidamente girare intorno a sè stessi o intorno ad un palo, finchè cadevano sbalorditi e come pazzi, gridavano come cani, si sodomizzavano in pubblico, bevevano il sangue umano, prendevano dei crani inglesi e volevano farli parlare (Fraser Magazin, 1866).

Or ora, il Mahdi, che mise in iscacco l’esercito egizio nel Sudan e dispose, vuolsi, di 300.000 insorti, e predicava la comunità dei beni e faceva leggi, era proclamato per pazzo dai suoi.

Dovunque, insomma, nei popoli più barbari come nei più civili, e più nei primi che nei secondi (e la teoria esposta poco sopra lo spiega), i mutamenti politici e religiosi furono originati o almeno fecondati dai pazzi; ed ecco spiegato completamente l’enimma di Cola di Rienzo.

Quanto ai mattoidi, non avendo i concetti elevati dei primi, anzi non avendo spesso alcun concetto, non poterono estendere tanto la loro azione, che però guadagnò in intensità quanto perdeva in estensione: essi seppero però diffondere intorno a sè tale profonda convinzione delle proprie bizzarrie, da suscitare, se non delle rivoluzioni, per lo meno delle sette che resistettero all’arte della critica e perfino al dente del tempo. Tali i Mormoni di Smith, i Quaqueri di Fox, i Vegetariani di Gleizes, gli Anabattisti di Giovanni da Leida.

Picard si crede mandato al mondo novello Adamo per ristabilire la legge naturale, che consiste nella nudità e nella comunità delle donne; e ne sorgon gli Adamiti, che vanno nudi in truppe pei boschi e non furono che dopo molti anni disciolti3.

Gleizes si sente gridar in sogno il bisticcio, Gleizes equivale ad Eglise; e da ciò parte a credersi designato da Dio come apostolo della nuova dottrina.

J. Humphrey, o meglio Noyes (tutti costoro aman mutare il nome di nascita), fondò i perfezionisti, che reputano illecito il matrimonio, e ogni azione credono ispirata da Dio.

Dal mattoide Vane, autore del mattesco libro sul Mistero e possa di Dio, si crearono i Secker che cercano le manifestazioni sopranaturali e aspettano il millennio.

Dall’Irving, che pretendeva al dono delle lingue ignote, gli Irvingisti4.

E noi fummo a un pelo di avere i Lazzarettisti5. E grazie ad un mattoide di genio abbiamo i crematoristi, che credono sul serio di giovare all’uomo bruciandolo, dopo morte, quasi più che riscaldandolo in vita, e ciò in un paese in cui sì costoso è il combustibile! Ed a Londra han la Salvation Army col suo generale Booth e la marescialla Booth, che dispone, pei suoi stupidi e spesso osceni spettacoli, di parecchi milioni ed ha già proseliti in America ed in Svizzera.

Oh! che maraviglia se abbiamo, in un paese ed in un tempo come il nostro, in cui l’estrema barbarie teocratica si mescola cogli estremi della civiltà segnalata dal dominio popolare, uno Sbarbaro, un Coccapieller, e, quel ch’è peggio, dei Coccapielleristi?

Note

42 Giraffi, Ragguagli sulla rivoluzione del Regno di Napoli, 1655. — Amadori, Napoli sollevata; Bologna, 1650.

43 Quarterly Review, London, 1863.

44 Genio e Follia, p. 172.

45 Genio e Follia, p. 188.

46 Genio e Follia, p. 194.