18 II. Il rione della bellezza

Una delle cose più amenamente false, che si dicono, si ripetono, si sostengono, per Napoli è la profonda miseria del suo Comune, è la mancanza della lira e del soldo per tirare avanti: una di quelle leggende bizzarre, grottesche, e ingiuriose che moltissimi illustri e oscuri cittadini nostri si compiacciono, dappertutto, di confermare; che le prove più singolari e più fantastiche. Sapete? Non vi è un centesimo per aprire una scuola: il Municipio può a stento, pagare i suoi maestri e le sue maestre. Sapete? Non vi sono che quattromila lire l’anno, per ripiantare di alberi i giardini pubblici e la Villa, quìndi, deve conservare, verso il mare, quell’aspetto di orto devastato. Sapete? È impossibile che si colmino i buchi perigliosi nel basolato di via Chiaia: vi dovete rompere il collo: i basoli costano troppo, bisogna aspettare il bilancio dell’anno venturo: allora, si vedrà. Di questo passo, ogni volta che il Municipio deve cavare cinquanta centesimi, si risolleva la leggenda della mendicità cui è ridotto, accattone che nessun ospizio può ricevere, oramai, più: e, su queste bugiarde apparenze, su queste frasi fatte, da cui la folla si fa così comodamente governare, nessuno si accorge che, al Municipio, piano piano, con aria di nulla, i milioni presenti e futuri, ballano una ridda che, ogni giorno, diventa più vivace. Chi mai oserà sostenere, se ha occhi e orecchie, che il Municipio di Napoli è povero, quando ha messo in discussione, da uno o due anni, delle somme enormi, ora per una cosa, ora per l’altra? Chi mai potrà continuare a dir questo, quando, man mano, si verranno esaminando tutti i progetti che sono sul tappeto e, ognuno di essi, costa molte centinaja di migliaja di lire e qualcuno dei milioni? Chi sosterrà, ancora, che non vi sono quattrini per gli asili, per le scuole, per i giardini, per lo spazzamento, per l’innaffiamento, quando sono alle porte un sacco di castelli in aria, tutti uno più costoso dell’altro? Chi dichiarerà esservi ben pochi milionari a Napoli, per dare l’indice meschino, esiguo, della nostra ricchezza, quando il primo milionario è, appunto, il Comune, e, come tutti i milionari, è un po’ folle, cioè lesina qualche centinaio di lire, in cose necessarie e profonde il suo denaro, o s’impegna a profonderlo, nelle spese superflue? Il Municipio nostro non è, forse, nè Morgan, nè Carnegie, nè Vanderbilt, nè Rockefeller; la sua fortuna è più modesta: i suoi milioni sono in minor numero: ma esso ci gioca, oramai, come un buon piccolo milionario che fuma delle sigarette da tre centesimi, ma che ha una scuderia da corse. Ho innanzi agli occhi e io spero di potervelo comunicare, sempre che ne sia il caso, un elenco di progetti, di proposte, di cose mezze fatte o da farsi, ove la spesa, talvolta inutile, talvolta stravagante, quasi sempre imprudente, è fortissima. Io non sono il tutore del Comune, per grazia di Dio e neppure tu, amico lettore, per tua fortuna: ma qualche soldo, di questi milioni, è tuo ed è mio. Interessiamoci a questi pochi centesimi, tuoi, miei, lettore, perchè essi sono una parte di questi milioni.

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Il Rione della Bellezza Eccone uno, eccolo qua. Il suo nome è eminentemente pretenzioso: quando saprai bene che è, questo rione, amico lettore e fratello mio, lo troverai anche eminentemente ridicolo. Si tratta di quel grande deserto di Santa Lucia nuova, ove tutti gli innamorati del vecchio Napoli, preferivano, forse, vedere quel bel mare di Santa Lucia, l’antico, il nostro mare: diamogli un sospiro di rimpianto, in nome del pittoresco, consoliamo gli stranieri nella loro delusione e rinneghiamo la civiltà, tacitamente, nel nostro spirito. Quando non era stato inventato il rione della Bellezza, questo deserto malinconico, atrocemente triste, in certe ore del giorno, fiancheggiato da quella via polverosa e ineguale, doveva esser popolato così, dalla Cassa di sovvenzioni genovese: cioè dovevano sorgervi tredici grandissimi palazzi, tredici caserme enormi, simili alle due già costruite, quella ove si trova l’Hôtel Santa Lucia e la seconda che è in costruzione. Nulla di più brutto, di più goffo, di più pesante: strette, le vie, fra ogni edificio: e completamente perduta, dietro, la via di salita Lucia vecchia. Quando queste caserme orribili fossero sorte, un’altra pruova della mancanza di educazione estetica, sarebbe venuta ad affliggere il nostro spirito inquìeto: e le abbominazioni rettilinee, di cui parla Edgar Poe, avrebbero schiacciato, col loro orrendo aspetto, la nostra fantasia, amante della beltà, della grazia, della leggerezza. Ma vi è un Dio, in cielo! Dato il forte prezzo a cui la Cassa di Sovvenzioni aveva messo e tiene ancora quei suoli da cinque anni, dato che per costruire, là, dove vi è il mare, sotto, ci vuole un prezzo doppio e triplo di costruzione, nessuno volle comperare quei terreni, nessuno pensò di erigervi un palazzo o una palazzina e la società molto meno osò di costruirvi niente. Certo, la società vi ha perduto e vi perde molti denari: ma questo non ci riguarda. Noi rimpiangiamo Santa Lucia vecchia, gli stabilimenti di bagni, l’acqua sulfurea, le venditrici di acqua, gli ostricari, le trattorie e i tessitori di nasse! Noi li rimpiangeremo anche di più insieme, amico lettore, se mai il rione della Bellezza vi si debba compiere. Il nuovo progetto dunque in cui pare, quasi, che abbiano concorso Raffaello da Urbino, Michelangelo Buonarroti, Vanvitelli e Dante Gabriele Rossetti, è questo: invece di tredici caserme, esse saranno undici e saranno divise da vie più larghette, con file di alberi lungo le vie, simili a quelli da cui è contristato il Rettifilo e che, certamente, verso il mare, saranno distrutti dalle brezze marine, come si dice, sieno stati distrutti quelli della Villa. Questi undici edificî avranno, anche, attorno, un poco di verdura, una piccola fascia, verso il mare. E basta. Ma questa è dunque, la peregrina idea per cui il rione Santa Lucia, sarà chiamato il rione della Bellezza? E il progettista, diciamo cosi, sarà paragonato a Arnolfo di Lapo o a Lenôtre, architetto di Versailles? Nossignore. Nel centro del nuovo rione, verso il mare, gli edifici si divideranno in semicerchio e lasceranno uno spazio, in mezzo, di ottomila metri quadrati – non t’illudere, amico lettore, ottomila metri quadrati non sono gran che – ove vi sarà un giardino, e, in mezzo, pare impossibile, una fontana. Attorno, attorno al semicerchio sorgerà un porticato, di stile greco-romano, dove sarà fabbricato solo un primo piano, ad uso di caffè, di birrarie, di cafè chantant, forse, sempre in istile greco. E basta. Questo è il rione della Bellezza: non oltre: non altro. Un giardinetto, cioè, poco più grande di quelli di piazza Cavour, diletto ritrovo di pezzenti di San Gennaro, di cabalisti, di piccoli pensionati del governo: un giardinetto che sarà due o tre volte grande come quello di piazza Municipio, ritrovo, questi, di persone che è inutile quì menzionare, sotto i paterni occhi chiusi dei consiglieri comunali, un giardinetto, con una fontana, dove, probabilmente, vi sarà uno zampillo, basso nei giorni di lavoro e alto nei giorni di festa: e, infine, questo porticato, per rammentare nella vita moderna, l’origine di Partenope, per rifare un poco Pompei, dice il progettista. Anzi, egli voleva far tutta una passeggiata pompeiana, lì, ma questa idea parve tanto barocca, tanto sciocca, che se ne accorsero tutte le anime buone e distratte degli assessori e protestarono. Non vi sarà la passeggiata pompeiana ma un pezzetto di Pompei, col porticato, l’avremo. Chi si metterà sotto questi portici: s’ignora: neppure è certissimo che vi si costruisca il primo piano. Il rione della Bellezza, or dunque, si riassume in un giardino, con fontana e con un portico. Il suo nome, allora, non ti sembra un poco esagerato, amico lettore? Non ti pare che la parola bellezza abbia un senso diverso e profondo? E che applicarlo a sì esigua e ambigua cosa, sia una grande audacia? E che il progetto e il progettista debbano soccombere sotto il ridicolo di quest’audacia?

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Per aver questo giardino, con la fontanella e il porticato, ecco che cosa deve spendere il Municipio di Napoli. Anzitutto deve dare alla Cassa sovvenzioni di Genova la egregia somma di settecentomila lire: è vero che si pagano in trent’anni, queste settecentomila lire, ma un debito è un debito, anche se si paghi a piccole rate. Non vorrei affermare che il Comune debba corrispondere anche l’interesse, perchè non lo so: ma è probabile che per avere la fontanella nel giardinetto e il porticato, intorno, per aver ciò a credito, qualche interesse si dovrà pagare. Inoltre, il Comune concede alla società, di costruire un sesto piano a tutti gli undici edifici: calcolato, così, a occhio e croce, un piano di più, sovra undici immensi palazzi, può rendere alla società da novanta a centomila lire di maggior reddito, cioè un regaluccio di oltre due milioni di capitale, sempre per aver quel che sapete. Quanto saranno più belli, più accoglienti, più estetici questi palazzi di sei piani, invece che di cinque, lo sa il Signore!
Vi è dell’altro: la società ha il diritto di non lastricare più con pietre le vie fra i suoi palazzoni, poichè questo lastricamento costa molto: allo scopo di facilitarle ancora più la posizione, il Comune le permette di adoperare il macadam, col risultato di aver del fango in inverno, fango che macchia i vestiti e li rode; e la polvere più acre, in estate. Non basta ancora: la società ha la concessione della sorgente di acqua solfurea: non sarà gran che; ma è qualche altra cosa. Non vi pare che, per un giardino, una fontana e un porticato ciò costi molto, troppo, immensamente? E con tanti denari, tante concessioni, tante facilitazioni, il risultato sarà questo: e il rione presunto della Bellezza, sarà mortalmente brutto, se si arriva a compiere col suo anacronisma di Pompei, fra edifici di sei piani come in America; che il prezzo dei suoli, restando sempre forte e le difficoltà di costruzione essendo sempre grandi, la Cassa Sovvenzioni, seguiterà a non vendere e seguiterà a non costruire e che alla fine del salmo il rione della Bellezza consisterà in un piccolo giardino, in una fontana e in un porticato vuoto, fra un vasto deserto arido e polveroso. La società si sarà rifatta in parte dei suoi guai, con quelle settecentomila lire; il Comune dovrà pagarle e passando per Santa Lucia nuova, il cittadino inconscio creperà dal ridere, a veder quella buffonata, e tu amico lettore e io, cronista scettico e pessimista, tu ed io che non siamo inconsci, rimpiangeremo quei venticinque o cinquanta centesimi, parte tua e parte mia delle settecentomila lire!