17 Capitolo I: L’onore

Malinconicamente assiso presso un desco, nella famosa Osteria della Giarrettiera il grosso cavaliere Falstaff rumina il malizioso e audace affronto fattogli dalle allegre comari di Windsor, che lo hanno sepolto in un canestrone, sotto una montagna di biancheria sporca e lo hanno calato nel Tamigi. Con un enorme boccale di vino caldo, egli cerca di riscaldare il suo povero stomaco, gelato dalle acque del fiume: con filosofiche meditazioni, fra ciniche e dolenti, egli cerca di rinvigorire la sua anima depressa. Beve, Falstaff, un largo sorso del suo grog e dice con un sorriso amaro: «L’onore? Che cosa è mai, l’onore? È forse, un giustacuore l’onore? È un pajo di stivaloni, l’onore? Si mangia, l’onore? Si beve, forse, l’onore? Che ne fai, tu, dell’onore? Si batte, moneta, forse con l’onore? Di quale onore, tu parli? Del mio? Del tuo? Il mio è diverso dal tuo! L’onore? Una parola: un soffio, veramente, non altro che un soffio.» E crolla le pingui spalle, bevendo ancora e con la mano quadrata che posa il gotto, fa un cenno per diradare questo soffio che è l’onore, dalla sua vita di beone.
Falstaff, colui che, giovine, era stato paggio del duca di Norfolk ed era in giovinezza, tanto sottile da passare dentro un anello, colui che era stato l’amico di Harry Plantagenet, principe ereditario e poi re d’Inghilterra, Falstaff, diventato cinquantenne, obeso, calvo, poltrone, goloso, mangione, ubbriacone, dissoluto, pieno di spirito, pieno di risorse, lesto di mano, imbroglione famoso e pure piacevole, non mancante di chic, Falstaff, osa dire, in quel tempo, tutto il suo pensiero sull’onore. Egli ha tutti i vizî, salvo quello immondo della ipocrisia; egli è capace di coprirsi di tutti i crimini, ma non di fingere la virtù: egli vive di ogni porcheria, ma lo dichiara, non può fare altrimenti, che commetter frodi e ladrerie, visto che deve vivere, mangiare, bere, vestirsi, infine! Il grande William, è così sincero, così umanamente sincero e persino brutale nelle sue creature di verità o di vita! Dal momento che, con l’onore, Falstaff non può aver nè un abito, nè un pajo di scarpe, nè un boccale di claret, nè un’oca farcita, nè un vasto letto per rotolarvi la sua colossale persona, egli dichiara apertamente che ci rinunzia, all’onore e che disperde questo soffio vano della sua esistenza. Altri tempi! Chi oserebbe mai dir questo, ora, con tutte le levigature, le lustrature e i seize reflets della società moderna? Quale cinico fra i più cinici finanzieri moderni, o quale celeberrimo avventuriero farebbe mai il proclama di Falstaff? Chi mai rinnegherebbe l’onore, con tanta filosofia crudele come il ventruto cavalier di ventura inglese? Altri tempi! Tanti, probabilmente, pensano come egli pensa, anche adesso; tanti come Falstaff, nel segreto del loro spirito, sono convinti che non battendosi moneta, con l’onore, e la moneta, essendo non solo utile, ma necessaria è meglio rinunziare tacitamente a questo vano soffio dell’onore: tanti, e sono, forse, i meno numerosi ma i più temibili, hanno cominciato per fare il glaciale e mortale ragionamento di Falstaff, anche prima di entrare nella lotta della vita. Altri tempi! La superficie umana è mutata: tutta l’apparenza sociale è diversa: e Falstaff, grasso o magro, fine paggetto gentile o grosso capitano di ventura, può sempre sviluppare i suoi istinti, sotto ogni forma delle più alte e delle più basse, ma niuno gli udrà mai dire che l’onore è un soffio e che non si fa denaro col vento.

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Noi, però, abbiamo una idea solitaria. Contrariamente a quanto si agita in fondo alle coscienze attaccate dal tarlo del bisogno, minate dal desiderio di ogni ricchezza e di ogni potenza, in opposizione a questo comodo e facile cinismo segreto, noi crediamo che l’onore non sia una parola, non sia un soffio vano e che non sia nè bello nè utile fare un gesto, con la mano, e scacciarlo dalla propria vita. Noi crediamo di più: cioè che, con l’onore, si possa anche batter moneta. Ci riesce impossibile di credere che solo i furfanti, solo i ladri si possano arricchire, nella società; accade, questo è vero: accade troppo: ma, dall’altra parte, di fronte a tutta la gente di coscienza ambigua, di carattere equìvoco, di tendenze losche, di fronte a tutta la gente che farebbe ogni cosa, pur di arrivar a tutto, i nostri occhi mortali ne veggono molt’altra che, quìetamente, austeramente, compie la sua parte, nel mondo, crea la sua fortuna e quella altrui senza mancare all’onore. Di fronte a organismi finanziarî che assidono la loro sorte sovra i mille calcoli più sottilmente ingannatori e di cui ogni manifestazione economica rappresenta un marchè de dupes, di fronte a queste compagini che, ormai, si fanno sempre più rare, nel mondo, altre ne vediamo sorgere, prosperare, fra noi, in Europa, lontano, dapertutto, in cui ogni atto è regolato dalla onestà commerciale, dalla lealtà industriale. Per chi vede il minuto presente, per chi sa guardare verso l’orizzonte, verso l’avvenire, può sembrare, forse, che l’onestà sia una cattiva speculazione e che un galantuomo rimanga povero: così è: ma non per tutti: ma non per molto tempo: ma il galantuomo o finisce per vincere il suo orribile destino, o costudisce, come un tesoro, la sua perfetta reputazione. Con l’onore si batte anche moneta, per grazia di Dio! A centinaia, a migliaia ci confortano in questa fede piuttosto solinga ma salda, gli esempi particolari, gli esempi collettivi, in cui la probità, la integrità, la rigorosa scrupolosità furono la sorgente di fortune individuali e di fortune sociali veramente possenti; da ogni lato della terra, nei libri, nei giornali, nelle cronache, nella vita, germogliano queste istorie di prosperità talvolta colossali, basate solo sul lavoro, sulla volontà, sull’intelletto, ma basate, sovra tutto, sulla onestà personale o collettiva. Era naturale al pancione di Windsor, cui giovava restar seduto sotto la pergola della taverna, bevendo vino aromatizzato e giuocando a dadi, di dir che l’onore non vi porta le aune di velluto per far un giustacuore o non paga il conto dell’osteria: è comodo agli ambiziosi moderni pensare fra sè che l’onore non si tramuta in cheques, in palazzi marmorei, in equìpaggi smaglianti, in gallerie di quadri e in collezioni di giojelli. È comodo: ma è falso. Chiunque ha scritto, scrive, o scriverà la storia della ricchezza, la storia dei ricchi, dica se non è falso: e che paesi, società, uomini, mille volte, centomila volte partirono dalle più umili volontà di bene e di onestà per giungere ai più bei fastigi della fortuna, senza aver traviato, giammai.

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Pensino questo, coloro che, oggi, si adunano, non senza solennità, questi deputati di Napoli, ardentemente desiosi di fare il bene della loro città. Lo pensino: non lascino vacillare un solo istante, la loro coscienza di galantuomini: non manchi loro un solo momento la fiducia nella probità umana, su cui la loro vita si è formata e ha trovato la sua formola. Essi vogliono, i deputati napoletani, la prosperità larga della metropoli mirabile che, dotata di tutte le bellezze, è ancor povera e triste; ma vogliono la sua prosperità insieme all’alto rispetto del suo onore. Sia, sia anzi tutto, l’onore: anzi tutto che coloro i quali saranno i prescelti, per sedere sulle cose del Comune e che, prescelti, saranno additati al voto popolare, abbiano per insegna del loro nome, la specchiatezza del loro carattere: anzi tutto che, dinnanzi all’Italia, dinnanzi all’Europa, ovunque il nome di Napoli sia pronunciato, sia, oramai, per il decoro, per la coscienza di chi la rappresenta, unito a quello della più bella dignità civile: anzitutto che, per convinzione, giammai più il sospetto, l’accusa, la delazione possa colpirla: anzitutto che ovunque esso sia, l’uomo onesto, intelligente, attivo, fattivo, sia il suo lavoro dato a Napoli, giovandole con tutte le sue forze. Quando ciò sia organizzato, con sapienza, con larghezza, prendendo coloro che dovranno essere i futuri amministratori, dovunque si trovino galantuomini e uomini capaci, senza fare viete questioni di partito, di colore, roba vecchia, roba distrutta: quando ciò sia un fatto compiuto, l’onore di Napoli, che si va lentamente ricostruendo, ma con sicurezza, questo onore di Napoli servirà anche a batter moneta,. Quando i capitalisti dell’estero, del nord, sapranno che, contro ogni ostacolo, Napoli ha voluto per suoi magistrati, comunali, i migliori suoi cittadini, quando gli uomini di finanze di tutti i paesi, di tutte le regioni, sapranno che, quì, il sentimento della probità sociale si è rifatto, nelle persone, nelle cose e nei costumi: quando gli industriali di ogni dove, comprenderanno di poter avere fiducia; allora, sì, che ogni piccola o grande pianta della fortuna pubblica, nascerà, germoglierà, fruttificherà in questo suolo fecondo, in questa terra di anime belle. Tutto si farà, quì, dal momento che il buon nome napoletano, che, il decoro della sua cittadinanza, che, tutto il suo onore, infine, sia esaltato: tutto sarà così facile, così semplice, così naturale che il mondo si stupirà. E nell’onore, in questa potenza tutta morale, in questo elemento più puro e, diciamo, più etereo della coscienza sociale, Napoli ritroverà la sua vita, la sua fortuna, la sua ricchezza!