21 V. Cristo dice…

Più giusto e più opportuno, forse, è l’ignorare, il voler ignorare, noi, in questo singolare, intenso e possente dissidio di Torre Annunziata, che sia il trust degli industriali, perchè e come sia sorto, su quali patti sia stato basato e a quale ente finanziario o a quale persona vadano, divise o riuniti, i molti benefici del trust e anche i suoi molti svantaggi. Probabilmente, certo, anzi, gli industriali di Torre Annunziata non sono degli odiosi e crudeli capitalisti presi uno per uno: anche essi, forse, vengono dal popolo laborioso e debbono alla fatica e alla sorte bella dei loro genitori, debbono alle loro fatiche e alla loro bella sorte, se la fortuna li mise alla testa di una ricchezza e se così è, non può il loro memore cuore aver obbliato donde i loro padri partirono, donde partirono essi, nella loro gioventù e questa memoria incancellabile deve aver temperato, tempera, a ogni modo, la superbia e la durezza di chi si trova dalla parte del denaro e del potere. È anche certo che in questi ultimi due mesi di lotta veramente eroica, gli industriali hanno sopportato e sopportano gravi perdite di denaro, le cui conseguenze non si possono notar subito, poichè ognuno di loro aveva la sua riserva e di vari la fortuna è molto forte: è anche certo che mille energie si sono disperse, mille occasioni si sono perdute, e che questi danni sono profondi, così profondi che molto tempo, molta forza, molto lavoro e molta pazienza sono necessarî a portarvi dei rimedî. Riveriamo la giustizia, in ogni nostra parola, se vogliamo che la folla ci creda giusti e probi; e non colpiamo della gente che è al sommo della fortuna sociale, con la scusa che essa è ricca e che ciò offende il povero. Per quanto la fortuna tenda sempre più, dapertutto, a livellare la ricchezza, a imporle, sovra tutto, tali leggi, tali doveri, tali obblighi, da venirla lentamente diminuendo, quasi togliendole ogni possanza e ogni larghezza, quasi mettendole innanzi, constantemente il fantasma dei meno felici, dei più oscuri, e inducendola a guardare e a temere questo fantasma, come cosa viva, dei ricchi esisteranno sempre, nel mondo, e il vivo ingegno, la salda volontà, la tenacia ferrea, il cumolo delle circostanze che noi chiamiamo Fortuna, avranno sempre i doni della terra e del cielo; ed è ingiusto punire costoro, semplicemente perchè vi sono esseri senza mentalità, senza volontà, miseri di anima e di corpo, destinati a una vita umile, da cui nessuna legge, nessuno Stato e nessun uomo può trarli. La ricchezza ha molti giusti persecutori, quando essa è tirannica, aspra, orgogliosa e senza pietà: essa ne ha anche, perchè è la ricchezza solamente; lasciamola che si difenda come può, se può, se sa, se vuole, se le riesce!

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Ma diamo tutto il nostro cuore fraterno, pieno di un sentimento traboccante di bene a questi cinquemila operai, che, da circa settanta giorni resistono a ogni tristezza fisica e morale e da Torre Annunziata danno un esempio di fermezza, di costanza, di sacrifizio veramente ammirabile. Che gli occhi di tutti i lavoratori del mondo si fissino sulla bella cittadina che si specchia nel mare, e che un senso di rispetto grande nasca per questi operai che servono, con ogni privazione, non solo la loro causa, ma la causa di tutti quelli che lavorano. Più di due mesi di sciopero essi stanno subendo, pazienti vigili, inaccessibili: e le loro sofferenze materiali son ben grandi. Man mano, i denari per sostenere lo sciopero sono finiti ed essi si sono contentati di veder sempre più scarsi i soccorsi della loro lega, si sono contentati di pochi soldi. Ogni tanto, qualche generoso sussidio arriva, ma essi sono molti, i bisogni sono grandi e dopo qualche giorno la ristrettezza, la miseria, sì, diciamolo la miseria diventa più pesante, più lugubre più nera. Sapete che mangiano molti di essi? Patate! I contadini, i massari nelle campagne con animo misericordioso, permettono che le famiglie degli operai vadano a raccoglierle senza molestarli; e ogni mattina con i sacchi sulle spalle, i ragazzi degli operai vanno fuori, nei campi, negli orti, nelle masserie, a raccoglier queste patate: ciò non costa nulla ed è un cibo, almeno, un cibo caldo, cotto nell’acqua con cui si sfamano uomini, donne, bimbi e vecchi. Cento episodi pietosi, commoventi, si potrebbero narrare, di costoro, e in qual modo essi si sostengano scambievolmente: e come i più forti dieno forza ai più deboli: e come le donne sieno più ardenti e più ferme: e come non uno fallisca, non uno tradisca, non uno osi tradire. Cinquemila, sono, ma la volontà è una sola. Come una barra di ferro che nulla fa deviare, che nulla smuove, che nulla rompe: e intanto, spesso, le loro viscere sono corrose dalla fame: spesso, non possono dare nulla ai loro figliuoli: a poco a poco tutto quello che avevano in casa, è partito, impegnato o venduto: i loro amici, i loro compagni, i loro confratelli, li hanno aiutati, come hanno potuto, ma anche questi aiuti sono limitati, non possono consolare, sollevare una massa così enorme. Cinquemila, sono e sembrano un solo uomo a cui la volontà invincibile faccia compiere un miracolo quotidiano, da settanta giorni, quello di subire ogni privazione e di non lagnarsi e di non cedere di una linea e di credere, sì, di credere nella propria vittoria, poichè è la fede nell’ideale quella che finisce, sempre, per rifulgere! Cinquemila, sono, e si sono votati, come un uomo solo, al benessere della loro collettività al loro migliore avvenire, e in questo voto sociale che hanno fatto, danno, come antichi eroi, il migliore del loro sangue e il migliore delle loro forze. Cinquemila, sono, e, oramai, con l’alto loro coraggio, vinti tutti gli ostacoli, il sacrificio di tutti continua, sempre e non finirà senza trionfo, perchè, centosei di essi non restino nella strada, senza lavoro, senza pane!

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Il monte della Quarantena, in Palestina, sorge fra le floride pianure ove ride e corre il limpido fiume Giordano e la gran pianura deserta ove fumica il plumbeo Mare Morto, che seppellì, nelle sue acque torbide e acri Sodoma e Gomorra. Questa montagna, non alta, è rocciosa, asprissima: non vi nasce pianta, non vi nasce fiore. E Cristo vi passò quaranta giorni in preghiera, in solitudine, in penitenza, dopo che il Precursore, lo ebbe battezzato nelle acque del Giordano. Solo, era, sulla montagna: e il Maligno lo tentava. Cristo era disfatto dalle orazioni e dal digiuno. Diceva, il Maligno: Tu muori di fame; se sei fìgliuolo di Dio, fa un miracolo e cangia in pane queste pietre. Cristo taceva. Fa, fa, un miracolo, ripeteva il Maligno, e cangia in pane le pietre! e Cristo, allora, guardandolo, gli disse: l’uomo non vive solo di pane. Ah che parola voi diceste, Signore, da questa montagna e come essa è una delle più grandi, delle più alte, delle più pure, delle più fiammeggianti, in tutti i tempi, in tutte le coscienze! Duemila anni fa voi l’avete pronunziata, in un’ora sacra alla elevazione dell’anima, combattendo col Tentatore che vi offriva tutti i beni materiali della terra, sovra una montagna arida e nuda, in una solitudine senza eco, in un momento supremo: e la parola vibra nel mondo degli spiriti, come un conforto e una esaltazione. È per i poveri, per i deboli, per gli infelici, per i sofferenti, che questa parola è stata detta: è contro i ricchi, i potenti, i superbi, i malvagi, che essa è stata pronunciata: è per la guerra che sempre è stata, che mai finirà, fra i miseri e gli epuloni, che questo è stato proclamato. Che importa la povertà, se l’uomo non vive di solo pane, ma di un contenuto spirituale che rende la sua anima lucida e formidabile, e vince le sue caducità fisiche? Che importa, la sofferenza, se non il pane solo è pascolo dell’uomo, ma un conforto interiore che lo rende più forte di ogni tristezza? Che importano la privazione, lo stento, il duro sacrificio, quando per vincere queste torture, non il pane è necessario, ma un’energia morale che arriva sino all’eroismo? A migliaja, a migliaja, questi ignoti soldati dell’anima sono caduti nel mondo, decimati dalla fame, dal freddo, dalle infermità, ma essi passarono la loro idea, la loro fiamma, la loro speranza ad altri combattenti: ma questa battaglia contro tutte le tentazioni basse e ignobili, questa battaglia nel nome dello spirito trionfante sulla carne, ha già avuto mille clamorose vittorie. O minatori che soffocate nelle viscere della terra, o faticatori dei campi che vi curvate sulla vanga, o operai che vi accasciate di pesante lavoro, nelle officine, la parola del monte della Quarantena è il balsamo che vi guarisce, vi vivifica, vi esalta: siate o non siate cristiani. Colui che era povero e che amava solo i poveri, che era oscuro e che perseguitava i potenti, che era umile e che disprezzava l’orgoglio, Colui che doveva vivere e morire, per tutti gli sventurati, disse a Satana, signore delle ricchezze tutte umane: L’uomo non vive di solo pane. Ogni volta che una creatura della terra preferisce la fame all’obbrobrio, preferisce il freddo alla vergogna, preferisce la morte alla viltà, ogni volta che una creatura umana in lotta con la fortuna altrui, con la potenza altrui, con la tirannia altrui, non cede, non transige, non si piega, e talvolta vince e talvolta muore, ma muore vincendo, il grande motto ha compiuto il suo miracolo spirituale.