20 IV. Guerra ai ladri

Un cattivo odore di stantio, di cose antiche e consunte, tenute troppo tempo chiuse e tirate fuori, si è diffuso nell’aria che respiriamo, da qualche giorno. Nei primi comizî, nei primi proclami, con una certa finzione di serietà, anche, son venuti fuori dagli armadi sgangherati della rettorica amministrativa: il partito clerico-borbonico, il partito clerico-moderato, il partito socialistoide, il partito anarcoide e, persino, guarda, guarda, quella consumatissima cosa che è il partito liberale. È come un mucchio di ferri vecchi polverosi e arruginiti, tirato fuori da un camerino di sbarazzo: come un fagottello di cenci sdruciti e sporchi, disciolto, in terra. La polvere acre si distacca da tutto questo tritume: la muffa si attacca, viscida, alle mani di chi vi si accosta: e il libero aere ne è ammorbato. La gente passa, si tura il naso, alza le spalle e sorride di scherno. Per molti anni, queste parole, queste frasi, ebbero un contenuto di vita: ma il tempo è trascorso e i tempi si sono mutati: ma tutto questo è vuoto, è floscio, è senza colore, è senza sangue, è simile al palloncino di pelle che era leggiero, volava in aria, aveva i bei colori della gioja, che il bimbo ha rotto e che è, adesso, uno straccetto ignobile. Nulla di questo esiste, più: nulla di questo risponde alla rinovellata coscienza moderna: nessuna di queste formole, ha più espressione e nessuna ha più influenza. Guardate, nella vita vera, piuttosto! Osservate, nella vita vera, tutte le profonde trasformazioni che stupiscono. Vi sono dei cattolici che sono italianissimi: vi sono degli anticlericali che sono credenti, vi sono dei clericali che sono democratici: vi sono dei democratici che sono imperialisti: vi sono dei liberali che restaurerebbero la pena di morte: vi sono dei repubblicani autoritarii e assolutisti: vi sono dei socialisti che adorano il Re: vi sono dei radicali perfettamente monarchici: vi sono dei monarchici che dicono un male orrendo della monarchia: i framassoni che detestano il clero, credono all’Architetto dell’Universo: e i borbonici, infine, poichè anche di questo si parla, i borbonici si riassumono in quell’incantevole uomo d’età – egli invecchierà, più tardi – che è il duca di Regina, caro a tutti, riverito da tutti i partiti, sottopartiti, frazioni e sottofrazioni. Il travolgimento tumultuario delle idee, il turbine sempre più precipitato delle opinioni, tutto questo enorme cataclisma morale, donde escirà, domani, e già essa sorge splendente come l’aurora, la coscienza nova, ha già così capovolto ogni ordine di criteri e di concetti che, veramente, coloro che, ancora, si attaccano al funesto ciarpame del passato, coloro che tentano di brandire delle armi infrante e senza taglio, che tentano di agitare una bandiera stinta e a brandelli, destano un sorriso di ironia e di pietà!

_____

Ma in tanta bizzarra confusione, il paese nostro, questa Napoli nostra, cerca una guida nei fatti, cerca la verità nel buon senso. Dice Napoli, quietamente: ecco, io ho bisogno di risorgere. Io non solo debbo vivere, ma debbo svolgere tutte le mie forze sociali e individuali: ognuno dei miei cittadini, sia pure il più oscuro, il più ignoto deve aver lavoro, salute, protezione, educazione, e tutti i cittadini e, io, Napoli, debbo prendere il mio posto bello, nobile, forte, nella vita operosa ed efficace moderna. Non solo io voglio risorgere; ma, tutti gl’italiani che hanno cuore, vogliono la mia risurrezione: ma tutti i miei fratelli del nord mi stendono la mano affettuosa e salda, perchè io risorga: ma gli uomini del parlamento, ma gli uomini dello Stato, ma il Sovrano vogliono ardentemente la mia resurrezione. Essa, però, si deve compiere con tutte le forme più larghe, più potenti, più limpide e più pure. Perchè io risorga debbono fra me giungere i capitali stranieri e i capitali nordici e siano benedetti, purchè essi non trovino alle mie porte e fra le mie mura, chi metta loro la taglia, se vogliono entrare. Perchè io risorga debbono formarsi, quì, delle vaste imprese industriali, ove chi è lavoratore, trovi mercede onesta e aiuto sociale, ove chi è possidente trovi onesto guadagno, ove chi è capitalista, possa collocare onestamente e securamente il suo danaro, ove tutte le intelligenze belle e vivide napoletane possano trovar campo di azione, ove tutta questa forza simpaticissima d’ingegno, possa manifestarsi in opera utile, efficace: ma queste imprese industriali debbono esser fatte alla luce del sole, senza transazioni equivoche, senza concessioni losche, senza premî, senza provvigioni; e come si è fatto altrove, a Milano, a Genova, a Torino, ove centinaja di tali imprese nacquero, vivono e prosperano, senza che sia stato loro necessario di corromper nessuno, anche da me, quì, nella mia nuova atmosfera morale, questa, cosa bella l’affare onesto, l’affare semplice, l’affare in cui non vi sono guadagni illeciti o strabocchevoli, da nessuna parte, ma in cui tutti possano prosperare, l’affare deve sorgere, svilupparsi, dilatarsi, portar bene ed esser parte integrante della mia risurrezione. Perchè io risorga, completamente, debbono le banche che già sono, quì, aiutare il mio popolo, aiutare le oneste industrie, aiutare le oneste iniziative e sottrarre il popolo e gli industriali e tutti quelli che han bisogno del credito, all’usura: e altre banche si debbono fondare, ancora, con denari venuti di fuori, con denari di quì, e tutte, le nuove, le vecchie, non debbono pesare sui deboli e sui miseri, non debbono servire a scopi non bene definiti, ma avere, sì, sì, anche le banche, un criterio morale di assistenza alla popolazione mia.
Io invoco il lavoro, invoco le società, invoco le industrie, invoco le banche, che dovranno redimere la mia miseria, il mio ozio e la mia inciviltà: ma tutto questo deve esser fatto in un’altra maniera, non più in quella di prima, in una maniera schietta, leale, franca, in una forma delle più integre, con, una probità perfetta, con quel rigore di coscienza, da tutte le parti, che, in tanto rivolgimento di cose, è la via della verità e della vita
E, a proposito delle non imminenti ma prossime elezioni amministrative sapete che dice, Napoli? Napoli dice questo: A me importa poco che vadano al Consiglio Comunale dei clericali, dei borbonici, dei moderati, dei liberali, dei democratici, dei socialisti, o degli anarchici: tutto ciò mi è indifferente. Io voglio degli uomini onesti: io voglio delle coscienze secure: io voglio delle anime austere. Le loro opinioni politiche non mi riguardano: solo i loro sentimenti morali m’interessano. Non voglio ladri, io, al Comune; e per ladri non intendo solo quelli che si mettono in tasca il denaro mio, il mio povero e scarso denaro, ma tutti quelli che aiutano i ladri miei o che permettono, chiudendo gli occhi, che mi si rubi. Non voglio, al Comune, nè affaristi, nè compari di affaristi, nè rappresentanti di affaristi, nè amici degli amici degli affaristi. Vi sono, fra i liberali degli onestissimi uomini? Io lo vedrò: io avrò fede in loro, quando avrò veduto e saputo: e io manderò al Comune questi liberali onestissimi. I clericali non amano Roma capitale, non vogliono festeggiare il venti settembre, s’irritano di dover riverire il Re: ma sono onesti? Io voterò per essi, poichè la loro probità mi affida: e, più tardi, penseranno essi a non urtare i miei sentimenti d’italianità. I socialisti sono violenti, sono intemperanti, spesso utopisti: ma sono onesti e vogliono il trionfo della onestà, lo vogliono con tutte le loro forze, come io lo voglio? Io voterò per essi, come un sol uomo. Io voterò per chiunque mi risulti, in faccia al sole che egli sia un galantuomo. Un galantuomo può sbagliare, ma non può tradirmi, un galantuomo può errare, ma non può vendermi. Di fronte al mondo che conobbe le mie lunghe sciagure, di fronte all’Europa che si stupì di me, come di un covo di malfattori, di fronte all’Italia, che mi guardò dolorosamente sorpresa, io debbo, ancora una volta e, adesso, più che mai, dimostrare che le mie sciagure mi venivano da ben pochi infami miei figliuoli, che il covo non era che una piccola tana di sporchi rosicanti, che io ho migliaja e migliaja di cittadini onesti e buoni e che, fra queste migliaja, io posso, io voglio scegliere ancora una volta, gli onesti che mi debbono amministrare. Qualunque sia la veste di cui si copra l’uomo dalla coscienza infida, io lo riconoscerò: qualunque sia la maschera che copra il suo viso, io ne discioglierò i nodi: in qualunque modo mi si tenti di ingannare, non vi si giungerà più.
Troppo ho sofferto nell’onore e nella prosperità: troppo ho lagrimato di vergogna e di indignazione. Io debbo cominciare per salvarmi, se voglio esser salvata da tutto, da tutti. Nelle mie mani è la mia prima risurrezione: cioè quella della mia esistenza, morale, cioè quella del mio decoro sociale. Farò, io, veder al mondo, all’Europa, all’Italia che di tutti i doni della sorte, io sono degna, che di tutti gli aiuti fraterni, io sono degna, io, Napoli, paese di gente onesta, mandando al Comune solo gli onesti, chiedendo ad essi, che da essi si prosegua e si esalti la mia riabilitazione!