14 III. Le case del popolo

Una delle nobilissime, pietose ma fallaci utopie di tutti coloro che hanno voluto o vogliono salvare il popolo napoletano dalla miseria, dal vizio, dal delitto e dalla morte, è stata, è quella di dare a questo popolo, delle abitazioni fatte per esso. E, difatti, nessuna compassione e nessun ribrezzo più grande che il cacciar il viso a fondo in questi bassi ove vive e mal vive il popolo, in questi bassi che sono già oscuri, oppressi, angusti nelle vie più grandi e che nei vicoli, in cento vicoli, in mille vicoli diventano delle stamberghe sotterranee, quasi diventano degli antri ove si agitano e brulicano le vite umane, piccole, grandi, decrepite. Il basso è una bottega rudimentale, un terraneo, piuttosto, senza finestra, senza cesso, senz’altro sfogo che una porta, talvolta angusta che, d’inverno, deve star chiusa, che, di notte, non può stare aperta; e appena la primavera viene, chi lo abita, si trasporta nella via, sul marciapiede, vivendo sulla soglia, fuori della soglia, occupando il terreno pubblico, coi suoi figli, col suo fornello da stirare e da cucinare, con la sua macchina da cucire, quando non la occupa col suo banchetto da ciabattino, col suo banchetto di venditrice di castagne e di spighe allesse. Nel basso dormivano – dormono! – tre, quattro, sino a sette persone e nelle notti estive, due, tre di essi, soffocando di caldo, trascinano uno strapuntino fuori della porta, mettono una sedia, o addirittura si gittano sul lastrico, dormendo all’aria aperta. Non essendovi cessi ognuna di queste persone, grandi e piccole, va a scegliere un angolo remoto, vicino o lontano, di cui forma il proprio water closet e, talvolta, le madri accompagnano i piccini e le piccine, apposta, perchè non siano disturbate: così, molte strade di Napoli sono trasformate, appunto in water closet di padre in figlio, immancabilmente, senza che questa barbarie indecente, oscena possa essere sradicata. Io citerò e mi si perdoni l’insistenza brutale ma necessaria – la salita della Paggeria, le rampe di Brancaccio, e ahimè, purtroppo, l’elegantissimo parco Margherita, e le squisite traverse Partenope, donde si scopre tanto divino paesaggio di mare e di cielo, sono anche destinate a tale uso. Io ho nominato solo quattro o cinque vie, perchè esse appartengono, è triste il dirlo, ai quartieri più civili di Napoli, cioè di san Ferdinando e Chiaia, poichè, essi appartengono al famoso rione della Beltà, cioè dove abita la nobiltà e dove vengono a dimorare i forestieri. Delle viottole e viuzze ammorbate, ammorbanti dei quartieri popolari, non parlo; dovrei nominarne a centinaia. Ciò è immondo; ma è la verità. Or dunque, ogni salvatore di Napoli, tutti i salvatori di Napoli hanno pensato, hanno detto: diamo al popolo napoletano delle case al primo piano, al secondo, al terzo, al quarto, delle case piccole, pulite, con la cucinetta, col rubinetto di acqua del Serino, col cesso; diamo loro delle case ove entri l’aria, entri il sole, ove ci si possa lavorare ampiamente, bere in abbondanza, e ove la primissima decenza, la primissima igiene siano rispettate. E ciò è stato fatto; e tre o quattro grandi o piccoli quartieri di case pel popolo sono sorti, e ciò è stato fatto con tale imprevidenza, con tale ignoranza presuntuosa, con tali calcoli sbagliati, che questi quartieri non sono serviti a nulla, a nulla, e sorgono, nei sobborghi della città, sulla riva di santa Lucia, enormi, massicci, brutti, già lerci, già quasi cadenti, mentre il popolo non vi abita!

_____

Citiamo il Borgo Marinai, a santa Lucia, posto che si dovevano abbattere, sino da venti anni, tutte le case pittoresche e sporchissime dell’antico rione santa Lucia, case che, oh ironia, si vanno abbattendo solo da un anno, e si era preoccupati dove si sarebbero allogati quei pescatori di polipi, quelle venditrici di acqua sulfurea, quegli intrecciatori di nasse, quei sommozzatori o palombari, si pensò e si costruì, sulla lingua di terra che parte dalla sinistra, di Castel dell’Uovo, un gruppo di casette a un piano, sulla riva del mare. Costavano, costano diciotto lire, una stanzetta con la cucina, e ventisette lire due stanzette con la cucina. Irrisione! Nonsenso! Non vi è pescatore, non vi è palombaro, non vi è barcaiuolo di santa Lucia che guadagni più di venticinque o trenta soldi al giorno e volete che ne spenda diciassette soldi, al giorno, solo per la casa? Non vi è venditrice di acqua minerale, di noci, di frutta fracide, di ciambellette, di spassatiempo che guadagni, quando li guadagna, più di dodici o quindici soldi al giorno e, se è sola, se è vedova, se è abbandonata dal marito, come potrebbe pagarne diciassette, al giorno, per il pigione di casa? In breve: come era naturale, non un solo luciano, non una sola luciana è andata ad abitare al Borgo Marinai. Non uno, una! Hanno preferito, ostinatamente, le loro vecchie, dirute, sudicissime case che, per diciotto anni, hanno aspettato il piccone, ove pagavano nove o dieci lire il mese, di pigione – è TUTTO ciò che può pagare il popolo napoletano NOVE o DIECI LIRE il mese! – e negli ultimi due anni, man mano si sono ritirati più indietro, nelle medesime catapecchie, e scacciati dalle demolizioni, sono rientrati, rientrano la notte ad abitare le rovine, e si gittano alle ginocchia dei demolitori, per non essere perseguitati dalle guardie, dai carabinieri, e piangono, e gridano, e urlano, non vogliono andar via, non sanno andar via, e alcuni di essi, o pietà grande, abitano, adesso, nelle grotte onde è forato il monte Echia che sovrasta santa Lucia, e talvolta una di queste grotte frana sulle teste, sui corpi di questi miseri luciani che dormono, e li uccide. Intanto dirimpetto, sotto il forte Ovo, il Borgo Marinai scintilla di lumi che si riflettono nelle acque del mare. Chi vi abita, chi vi vive, mai? Pittori che scelsero quei quartini per istudio, poichè il posto è pittoresco; qualche loro modella; delle ballerine o delle chanteuses del vicino cafè chantant dell’Eldorado, che prendono in affitto, per un mese, per quindici giorni, una cameretta con cucina; qualche donnina di facile vita e misera fortuna; e altra minuta gente, non del popolo. In quanto alle botteghe, esse in un vasto angolo, sono tutte trasformate in osterie grandi e piccole, alcune carissime, altre modeste, altre vere taverne e vi si aspira un’aria mefitica di cucine più o meno malsane, e nel piccolo porto cadono tutti i detriti di queste taverne e ciò contrista, affligge, avvilisce i due eleganti clubs dei canottieri che sono sulla riva accanto. A ogni modo il Borgo Marinai è vivido, lieto, curioso: e inutile, infine, anche al santo scopo a cui serviva. I luciani sono d’altra parte respinti di stamberga in stamberga, respinti di rovina in rovina, di grotta in grotta. E dopo, quando tutto, tutto sarà demolito dove andranno questi superbi ma poverissimi popolani, quelle fiere, ma miserissime popolane dove andranno? Lo sa Iddio!

_____

Anche le case del popolo costruite all’Arenaccia, nel Quartiere Orientale hanno fallito completamente la meta. Il minor prezzo di ognuno di questi quartini, è ventisette lire il mese; si domandano due mesate anticipate, per regolamento, cioè cinquantaquattro lire: o si domanda un garante solido. Anzi tutto, dove è mai un vero popolano che possa pagare ventisette lire il mese, di pigione? Per poter cavare questa somma, un napoletano del popolo deve guadagnare almeno due lire e cinquanta al giorno, o tre lire: e allora, qui da noi, non è più un popolano, è già un operaio, ma di quelli fortunatissimi, di opera eletta, diciamo così: è già un civile, è già appartenente alla piccola borghesia. Dove, dove è il popolano che disponga, mai, nella sua vita di cinquantaquattro lire tutte insieme? Dove, dove è il popolano che trovi un garante solido? Ah che nessuno, nessuno si convince che qui, il popolo nostro, vive di soldi e non vive di lire, che gitta la sua gioventù, la sua salute e la sua forza in fatiche compensate irrisoriamente, felice, anche, di trovarla, questa fatica; che, per istinto, poichè nessuno pensò a educarlo, preferisce spendere i suoi soldi più nel mangiare, che nell’aver una casa e delle vesti e che quando ha venti soldi, quindici, almeno, gli servono pel suo pranzo e il resto, pel resto! Ventisette lire il mese! Cinquantaquattro lire di anticipo! Un garante solido! Quale ironia insultante! Nelle case del popolo, all’Arenaccia, nel Quartiere Orientale non abitano, dunque, che gli operai eleganti, diciamo così, e tutta la piccola borghesia, piccoli impiegati, commessi, contabili, uscieri, scritturali e, persino, dei cancellieri di tribunale: non abitano che tutti coloro, il cui bilancio familiare fluttua da settantacinque lire a cento lire il mese, posizione, già molto brillante, in questo nostro paese. Borghesia, borghesia minuta, modesta, innumerevole come le stelle del cielo e le arene del mare, borghesia lavoratrice, onesta, ma, come si vede, molto povera, per la sua condizione: borghesia, non altro che borghesia, nelle case del popolo, ma niente popolo, mai! Vi è di più. Spesso, a questi operai fortunati, a questi oscuri borghesi dalla decente miseria, è impossibile pagare ventisette lire al mese, perchè vi sono spesso, cioè, non spesso, sempre, dei figli, e spesso, quasi sempre molti figli, poichè la fecondità femminile, la prolificazione, sovra tutto in certe classi, assume proporzioni assai patriarcali, ma, anche, terrificanti. E allora si trova il rimedio peggiore e migliore; sono due le famiglie che prendono in affitto la casa di ventisette lire, stringendosi, stringendosi, mettendosi in tre, in quattro in una stanza, avendo la piccola cucina comune e allora, addio aria, addio luce, addio igiene! Spesso una famiglia subaffitta una camera a studenti, a uomini soli e la vita è comune e tanto nel primo, come nel secondo caso l’agglomerazione, i contatti, il vivere gli uni sugli altri, conduce, novellamente, alla sporcizia, alla malattia, al vizio, alla corruzione e alla depravazione. In quei nuovi caravanserragli, laggiù, laggiù, in questi caravanserragli già tutti deturpati, dall’aspetto già sconquassato, dalle macchie di sudiceria trapelanti dai muri, dai vetri già appannati e dalle cui finestre, come nei quartieri antichi, pendono le biancherie di dubbio colore, mal lavate, e i mazzi di pomidoro e i mazzi di agli, in questi derisorii caravanserragli che dovevano servire alla rigenerazione fisica e morale del popolo napoletano, si svolgono, ogni giorno, drammi dolorosi venuti, appunto, dalla povertà e dalla degenerazione, si svolgono farse grottesche e si vive colà, male, malissimo, come si viveva altrove, e per una folla che, per abnegazione, per virtù naturale, per onestà natia conserva la decenza dei costumi, ve ne è un’altra che ha trasportato, colà, tutti i suoi istinti indomabili, indomati, che niuno ha cercato di domare, che ha impiantato, colà, una novella vita brulicante e scostumata come nei vecchi quartieri, che, infine, se pure non ruba, se pure non assassina, altri essendo i covi e le caverne del ladri e degli assassini, mette, accanto alla folla borghese e decente, una nota di più bassa borghesia, indecente, rumorosa, screanzata, villana, repugnante. Non popolo, non popolo! Il popolo napoletano è restato nei suoi bassi dei vecchi quartieri, nei suoi bassi dei quartieri non risanati, nei bassi purtroppo, del Vasto, dell’Arenaccia, del Quartiere Orientale; non è mai salito, in nessun posto, di Napoli antica, di Napoli nuova, al primo piano o all’ultimo piano, perchè non può pagare i prezzi, anche minimi che vi si pagano, perchè chi ha costruite quelle case non sapeva niente, ignorava tutto e, intanto, ha fatto una ottima speculazione, poichè tutte quelle case sono affittate, come ho detto; ma lo ripeto, e lo ripeterò sempre, il popolo napoletano non si è mosso dal suo basso, dovunque il basso si trovi, sia una bottega quasi pulita o sia un buco oscuro e insalubre.

_____

Così, purtroppo, tutte le grandi idee dei grandi uomini, tutti i vasti progetti, a base di milioni, tutte le intraprese colossali, che volevano il risanamento igienico e morale di Napoli, bisogna dirlo hanno fatto fiasco. E non vi è rimedio, dunque? Non vi è altro da fare? Nulla, proprio, di fronte a tante tristezze, a tanti disastri, a tanti pericoli sociali? Chi sa! Vedremo!