Il “granulare” e il “complesso”. Un dialogo.

Alcuni brevi commenti dei partecipanti alla discussione in risposta alla riflessione di Gino Roncaglia sui Dati Nielsen.

 

Francesco Pecoraro (21/03/2014, 01:36): Temo che il nocciolo sia proprio l’abbandono dei contenuti complessi.

Gino Roncaglia (21/03/2014, 01:36): Esattamente.

Paolo Gallese (21/03/2014, 00:43): Esistono analisi culturali in corso di questa “perdita” di complessità?

[…]

Gino Roncaglia (21/03/2014, 02:18): C’è moltissima letteratura sul tema, anche se spesso a sua volta semplicistica nel partire dal pregiudizio secondo cui il digitale è necessariamente o intrinsecamente ‘liquido’ e granulare. […]

Marco Ferrario (21/03/2014, 06:41): Proviamo a vederla in positivo. Parte una fase, direi obbligatoria, di innovazione dei contenuti, dove la tecnologia è sempre più commodity. Credo anche che questi numeri e queste tendenze siano comuni a molti mercati occidentali.

Maria Laterza (21/03/2014, 07:40): Non vedo niente di positivo in questo processo e penso che sia necessario per quanto possibile sostenere il valore del libro subito, prima che si perda completamente la capacità di affrontare un testo minimamente complesso.

[…]

Marco Ferrario (21/03/2014, 10:09): Maria, il valore del libro non è in discussione; è in discussione il fatto che il libro possa essere l’unico luogo dove affrontare letture complesse. Gli editori, se vogliono avere un futuro, sono obbligati anche a forme di innovazione in questa direzione.

Marco Dom (21/03/2014, 10:42): La questione, a mio modesto parere, è che ad oggi gli editori da una parte non sanno come elaborare questi nuovi contenuti; se ne hanno una minima idea, non hanno però individuato un modello di business vantaggioso, in un contesto in cui si deve necessariamente navigare a vista tra self publishing, User Generated Content e tools che permettono a chi ha idee di realizzare in modo sempre più agevole nuovi contenuti.

Giuseppe Landolfi Petrone (21/03/2014, 10:44): Non sono esperto, ma lettore sì, e anche forte frequentatore di librerie, ma in passato, perché oggi le librerie non sono attraenti. Il libro che dura sei mesi sullo scaffale non è un libro, ma un mero prodotto deperibile. Questo sistema è quello che ha impresso una sua inevitabile piega (dal mio punto di vista negativa) all’andamento del mercato. Ma non è solo questione di mercato, che francamente non mi interessa molto. Come studioso e lettore convinto che i libri non devono farci sognare o divertire ma ci devono dire e raccontare, concordo con la necessità di rendere i canali di comunicazione più seri e complessi. L’analisi di Gino mi sembra giusta ed è forse l’ora di creare social network e piattaforme “monografiche” o non so come dire, proprio per evitare dispersione e altri problemi. Poi non è detto che immessa la complessità nella rete, questa non possa tornare appetibile anche di nuovo nei libri, dove è sempre stata a suo agio.

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Marco Pozzi (21/03/2014, 21:12): Con l’avvento dei fenomeni ‘social’ il tempo a disposizione per la lettura diminuisce drasticamente e non vi possono essere dubbi in merito. Semplicemente se fai questo non fai quello. I contenuti aggiornati e raffinati per il digitale sono un argomento troppo complesso per giustificare un calo nel numero di lettori e di acquirenti di libri. Direi che la mancanza di tempo è di un ordine di grandezza decisamente superiore, almeno allo stato attuale, rispetto alla pochezza dei contenuti anche e soprattutto per quanto riguarda i giovani lettori.

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Mario De Caro (26/03/12:20): […] Sono su Facebook silente, quasi catatonico. Saltapicchio qua e là, e perdo tempo. Una volta si faceva una passeggiatina, si andava a fare pipì, raramente si telefonava alla vecchia zia. Oggi le perdite di tempo telematiche sono ubique e ineludibili. Le prossime generazioni nemmeno il nome di Tolstoi avranno mai sentito (altro che senso di colpa perché uno non ha letto I cosacchi…).