8 Lettere 211 – 240

211.

13 settembre 1931

Carissima mamma,

ho ricevuto una lettera di Teresina e una di Grazietta con alcune righe scritte da te. Ti ringrazio, ma se lo scrivere ti costa tanta fatica, detta a Grazietta o a Mea o a Teresina la lettera e poi scrivi sotto solo la tua firma. Cosí potrai scrivermi piú spesso. Risponderò in ordine alle due lettere. A Teresina: per i miei libri io avevo detto a Carlo di non darli a leggere a estranei, ma di farli leggere a quei di casa che vogliono farlo. Questo è il mio principio: non voglio che i miei libri servano a fare passare il tempo a della gente che indirettamente sono responsabili del mio incarceramento. A Teresina manderò in regalo personalmente uno dei piú bei romanzi di Leone Tolstoi, Guerra e Pace, in cui c’è la protagonista Natascia, che è molto simpatica. Ringrazio Franco della sua buona volontà di farsi aviatore quando sarà grande per venire a rapirmi e portarmi a mamma. È possibile che quando io uscirò di carcere, tra quattordici anni, ci sia veramente in Italia la possibilità di viaggiare in aeroplano come oggi in automobile, per cui la promessa di Franco può essere piú realistica di quanto pare: allora egli avrà vent’anni e a vent’anni si può essere un pilota molto bravo. Mi dispiace che Mimma si sia offesa del mio non promettere regali; potevate promettere voi stessi e farla contenta, anche perché è brutto che nascano sentimenti di invidia e di gelosia tra bambini. Quindi prometto un regalo anche a lei e vedrete che manterrò la parola appena mi sarà possibile. Bisogna che abbiano pazienza e voi dovete spiegare ai bambini che essere in carcere significa appunto non poter fare tutto quello che si vuole o proprio quando si vuole. Credo che essi pensino che mi trovi in una specie di luogo come la torre di Ghilarza; dite loro che invece ho una cella molto grande, forse piú grande di ognuna delle stanze di casa, solamente non posso uscire. Immagina, cara mamma, e mi pare che non te l’ho mai scritto, che ho un letto di ferro, con rete metallica, un materasso e un cuscino di crine e un materasso e un cuscino di lana e ho anche un comodino. Non è di prima qualità, ma insomma per me è utile.

Le cose che mi ha scritto Grazietta mi hanno molto interessato. Se la malaria dà facilmente luogo alla tubercolosi, significa che la popolazione è denutrita. Vorrei che Grazietta mi informasse di ciò che mangia in una settimana: una famiglia di zorronaderis, di massaios a meitade, di piccoli proprietari che lavorano essi stessi la loro terra, di pastori con pecore che gli occupano tutto il tempo e di artigiani (un calzolaio o un fabbro). Se vivesse zia Maria Culcartigu, si potrebbe sapere presto, ma con un po’ di pazienza si potrà sapere (domande: in una settimana quante volte mangiano carne e quanto? oppure non ne mangiano? con che fanno la minestra, quanto olio o grasso ci mettono, quanti legumi, pasta ecc.? quanto grano macinano o quanti chili di pane comprano? Quanto caffè o surrogato, quanto zucchero? quanto latte per i bambini ecc. ).

Carissima mamma, abbraccio tutti e tu abbiti un abbraccio affettuoso.

Antonio


212.

13 settembre 1931

Carissima Tatiana,

ho ricevuto il pacchetto dei medicinali e ti ringrazio. Non so a che mi servano le sigarette e la polvere d’Abissinia contro l’asma. Accessi d’asma non ne ho mai avuti, neanche in quest’ultima circostanza: posso avere di tanto in tanto un po’ d’affanno e certo non posso correre o stare troppo tempo inchinato per scopare ecc., ma non mi pare necessario perciò prendere qualcosa di speciale. D’altronde faccio le inalazioni di trementina, che mi fanno tossire ma non provocano nessun genere di espettorazione; in realtà non ho espettorazione, ho invece una insolitamente abbondante salivazione. Non so come ti maravigli perché non sono stato neanche un giorno a letto. Vuol dire che non hai creduto alle mie lettere. In realtà ho sofferto un po’ di debolezza, ma non molto sensibile; non c’è paragone con la debolezza che mi colpí dopo l’attacco di acidi urici del dicembre 28; allora per quasi tre mesi non potevo camminare e passavo le ore del passeggio sempre seduto o passeggiavo un po’ al braccio di un altro carcerato; cosí mi sento piú debole ad ogni inizio di primavera. In questa settimana sono ancora migliorato perché il Sedobrol mi fa dormire un po’. Ho però sempre un po’ di febbre: al mattino misuro 36.1 o 2. Dopo mangiato un po’ d’uva la temperatura sale a 36.9 e dopo preso mezzo litro di latte sale [a] 37.2. Qualche giorno che ho mangiato l’uva e ho mangiato qualche biscotto e della marmellata la temperatura è salita a 37.6, cioè di 1 grado e ½ dal mattino. La temperatura decresce dopo l’ultimo pasto che faccio ora alle 5 e talvolta si abbassa a 36.6 o al massimo 36.9. Prenderò i fermenti lattici con tanto piú piacere in quanto il libretto spiega che si tratta di Joghurt o di Gioddu e non accenna al pane (ossia al lievito di birra) per prepararlo. Il pane, o lievito di birra, dà al latte una fermentazione putrida e non antiputrida e tutta la tua raccomandazione per fare coagulare il latte non è altro che superstizione ed empirismo da donnicciola e non «Scienza»! – In una tua cartolina, quella dove mi parli delle tue visite al cinematografo e specie della film Due Mondi certe tue affermazioni mi hanno fatto strabiliare. Come puoi credere che esistano questi due Mondi? Questo è un modo di pensare degno dei Centoneri, o del Klu-klux-klan americano o delle croci uncinate tedesche. E come puoi dirlo proprio tu che hai avuto l’esempio vivente in casa: è mai esistita una frattura di questo genere tra tuo padre e tua madre o non sono ancora essi strettamente uniti? La film è certamente di origine austriaca, dell’antisemitismo del dopoguerra. A Vienna abitavo presso una vecchia piccolo-borghese superstiziosa, che prima di assumermi a inquilino mi domandò se ero ebreo o cattolico romano; essa vivacchiava con l’affitto di due camere speculando sul fatto che nel 18, nel breve periodo sovietico fu emanata una legge che nel pagamento ai proprietari di casa non riconosceva l’inflazione; pagavo 3 milioni e ½ di corone al mese (cioè 350 lire) mentre la dozzinante pagava al massimo 1000 delle stesse corone al padrone di casa; quando partii, un segretario d’ambasciata la cui moglie doveva rimanere a Vienna per una scarlattina del figlio, mi pregò di assicurare la mia stanza alla moglie e al pomeriggio io ne parlai e la signora assentí. Al mattino presto, la signora bussa alla mia porta e dice: «Ieri mi sono dimenticata di domandare se la nuova inquilina è ebrea, perché non affitto agli ebrei». La nuova inquilina era appunto un’ebrea ucraina. Come fare? Ne parlai a un francese che mi spiegò che esisteva una sola risoluzione: dire alla dozzinante che non potevo decentemente domandare alla nuova inquilina se era ebrea, ma che sapevo che era una segretaria di ambasciata, perché tanto le piccole borghesi odiano gli ebrei quanto strisciano dinanzi alla diplomazia. E infatti fu cosí: la signora mi sentí e mi rispose: «Se è diplomatica certo le do la stanza perché ai diplomatici non si può domandare se sono ebrei o no». Ora tu vorresti sostenere di avere lo stesso mondo con questa viennese? Ti abbraccio teneramente.

Antonio


213.

20 settembre 1931

Carissima Tatiana,

ti scriverò brevemente sulle cose personali, perché oggi voglio cercare di compilare lo schema sul canto X da inviare, per averne dei consigli dal mio vecchio professore d’Università; se non lo faccio oggi non lo farò piú. Le mie condizioni di salute si stabilizzano: la febbre non è, in questa settimana, salita a piú di 37.2 ma c’è stata già un’intera giornata in cui non ha oltrepassato 36,9: in generale la temperatura segna questa curva parabolica: 36,2 al mattino, 36,9 alle 11, 37,2 alle 14, 36,9 alle 16, 36,8 e anche 36,7 alle 18. Il massimo è sempre verso le 2. È curioso che mentre diminuisce la media della temperatura, mi ritorna il mal di capo che era completamente sparito quando la temperatura era piú alta. Non credere che abbia mai abusato del Sedobrol: ho cominciato da un cachet, e da due sono passato a tre (sempre una sola volta al giorno, verso le 7 e ½ del pom.) per ridiscendere a due. L’avvertenza dice che in una volta sola si possono prendere due-tre cachets e cinque nell’intera giornata. D’altronde fra qualche giorno cesserò di prenderlo del tutto (me ne rimarranno 60 cachets) perché l’effetto dopo un mese e mezzo di cura mi dura anche due tre mesi. Ho ricevuto le fotografie ma non te ne scrissi, perché non mi piacque quella di Delio e Giuliano e l’altra è scolorita troppo, sebbene si capisca che deve essere stata molto bella. Sai cosa dovresti fare? Dovresti fare l’ingrandimento della tua figura nel gruppo di studenti universitari di medicina: mi pare che la tua figura fosse abbastanza isolata nel gruppo da poterla ritrarre indipendentemente. Ti prego di scrivere a Carlo che ho ricevuto la sua lettera e che gli risponderò la volta prossima: i due libri che vuol comprare per i suoi studi, anche se mal tradotti, sono utili. Cercherò di riassumerti adesso il famigerato schema. Cavalcante e Farinata. 1. Il De Sanctis nel suo Saggio su Farinata nota l’asprezza che caratterizza il decimo canto dell’Inferno dantesco per il fatto che Farinata dopo essere stato rappresentato eroicamente nella prima parte dell’episodio, diventa nell’ultima parte un pedagogo, cioè, per dirla con termini crociani, Farinata da poesia diventa struttura. Il decimo canto tradizionalmente è il canto di Farinata, perciò l’asprezza notata dal De Sanctis è sempre parsa plausibile. Io sostengo che nel decimo canto sono rappresentati due drammi, quello di Farinata e quello di Cavalcante e non il solo dramma di Farinata. – 2. È strano che l’ermeneutica dantesca, pur cosí minuziosa e bizantina non abbia mai notato che Cavalcante è il vero punito tra gli epicurei delle arche infuocate, dico il punito con punizione immediata e personale e che a tale punizione Farinata partecipa strettamente, ma anche in questo caso «avendo il cielo in gran dispitto». La legge del contrappasso in Cavalcante e in Farinata è questa: per avere voluto vedere nel futuro essi (teoricamente) sono privati della conoscenza delle cose terrene per un tempo determinato, cioè essi vivono in un cono d’ombra dal centro del quale vedono nel passato oltre un certo limite e vedono nel futuro oltre un altrettanto limite. Quando Dante si avvicina a loro, la posizione di Cavalcante e di Farinata è questa: essi vedono nel passato Guido vivo, ma lo vedono morto nel futuro. Ma nel momento dato Guido è morto o vivo? Si capisce la differenza tra Cavalcante e Farinata. Farinata sentendo parlar fiorentino ridiventa l’uomo di parte, l’eroe ghibellino; Cavalcante invece non pensa che a Guido e al sentir parlare fiorentino si solleva per sapere se Guido è vivo o morto in quel momento (essi possono essere informati dai nuovi giunti). Il dramma diretto di Cavalcante è rapidissimo, ma di una intensità indicibile. Egli subito domanda di Guido e spera che egli sia con Dante, ma quando da parte del poeta, non informato esattamente della pena, sente «ebbe», il verbo al passato, dopo un grido straziante «supin ricadde e piú non parve fuora». – 3. Nella prima parte dell’episodio il «disdegno di Guido» divenne il centro delle ricerche di tutti i fabbricanti di ipotesi e di contributi, cosí nella seconda parte, la previsione di Farinata sull’esilio di Dante assorbí l’attenzione. A me pare che l’importanza della seconda parte consiste specialmente nel fatto che essa illumina il dramma di Cavalcante, dà tutti gli elementi essenziali perché il lettore lo riviva. Sarebbe perciò una poesia dell’ineffabile, dell’inespresso? Non credo. Dante non rinunzia a rappresentare il dramma direttamente, perché questo è appunto il suo modo di rappresentarlo. Si tratta di un «modo d’espressione» e penso che i «modi d’espressione» possono mutare nel tempo cosí come muta la lingua propriamente detta. (Solo il Bertoni crede di essere crociano rimettendo fuori la vecchia teoria delle parole belle e delle parole brutte come una novità linguistica dedotta dalla Estetica crociana).

Ricordo che nel 1912 seguendo il corso del professor Toesca di Storia dell’Arte conobbi la riproduzione del quadro pompeiano in cui Medea assiste all’uccisione dei figli avuti da Giasone; assiste con gli occhi bendati e mi pare di ricordare che il Toesca dicesse che questo era un modo di esprimersi degli antichi e che il Lessing nel Laocoonte (cito a memoria da quelle lezioni) non riteneva ciò un artifizio da impotenti ma anzi il modo migliore di dare l’impressione dell’infinito dolore di un genitore, che rappresentato materialmente si sarebbe cristallizzato in una smorfia. La stessa espressione di Ugolino: «Poscia piú che il dolor poté il digiuno» appartiene a questo linguaggio e il popolo lo ha capito come un velo gettato sul padre che divora il figlio. Niente di comune tra questi modi di espressione di Dante e qualcheduno del Manzoni. Quando Renzo pensa a Lucia dopo aver varcato il confine veneto, il Manzoni scrive: «Non ci proveremo a dire ciò che sentisse: il lettore conosce le circostanze: se lo figuri». Ma il Manzoni aveva già dichiarato che per riprodurre la nostra riverita specie, di amore al mondo ce n’era piú che a sufficienza perché se ne dovesse parlare anche nei libri. Il Manzoni realmente rinunziava a rappresentare l’amore per motivi pratici e ideologici. Del resto che il trattato di Farinata sia strettamente legato al dramma di Cavalcante lo dice lo stesso Dante quando conclude «Or direte dunque a quel caduto, che il suo nato è coi vivi ancor congiunto» (anche con la figlia di Farinata, che però, tutto preso dalle lotte di parte, non ha dato segno di turbamento per la notizia detratta dall’«ebbe», che Guido era morto; Cavalcante era il piú punito e per lui l’«ebbe» significava la fine dell’angoscia del dubbio se Guido in quel momento fosse vivo o morto). – 4. Mi pare che questa interpretazione leda in modo vitale la tesi del Croce su la poesia e la struttura della Divina Commedia. Senza la struttura non ci sarebbe la poesia e quindi anche la struttura ha un valor di poesia.

La quistione è legata a quest’altra: che importanza artistica hanno le didascalie nelle opere per il teatro? Le ultime innovazioni portate all’arte dello spettacolo con processo di dare sempre maggiore importanza al direttore dello spettacolo, pongono la quistione in modo sempre piú aspro. L’autore del dramma lotta con gli attori e col direttore dello spettacolo attraverso le didascalie, che gli permettono di caratterizzare meglio i personaggi: l’autore vuole che la sua divisione sia rispettata e che l’interpretazione del dramma da parte degli attori e del direttore (che sono traduttori da un’arte in un’altra e insieme critici) sia aderente alla sua visione. Nel Don Giovanni di G. B. Shaw, l’autore dà in appendice anche un manualetto scritto da John Tanner, il protagonista, per precisare meglio la figura del protagonista e ottenere dall’attore piú fedeltà alla sua immagine. Opera di teatro senza didascalie è piú lirica che rappresentazione di persone vive in un urto drammatico; la didascalia ha in parte incorporato i vecchi monologhi ecc. Se nel teatro l’opera d’arte risulta dalla collaborazione dello scrittore e degli attori unificati esteticamente dal direttore dello spettacolo, la didascalia ha nel processo creativo un’importanza essenziale, in quanto limita l’arbitrio dell’attore e del direttore. Tutta la struttura della Divina Commedia ha questa altissima funzione e se è giusto per la distinzione, occorre essere molto cauti volta per volta. (Ho scritto di getto, avendo presso di me solo il Dantino hoepliano). Posseggo i saggi del De Sanctis e il Dante del Croce. Ho letto nel «Leonardo» del ’28 una parte dello studio di Luigi Russo pubblicato nella rivista del Barbi e che accenna (nella parte letta) alla tesi di Croce. Possiedo il numero della «Critica» con la risposta del Croce. Ma questo materiale non lo vedo da molto tempo, cioè da prima che concepissi il nucleo principale di questo schema, perché in fondo a una cassa tenuta nel magazzino. Il professor Cosmo potrebbe dirmi se si tratta di una nuova scoperta dell’ombrello, o se nello schema c’è qualche spunto che potrebbe essere svolto in una noticina, per passare il tempo.

Ho ricevuto or ora la tua lunga lettera del 19 settembre. Credo che avresti dovuto capire da tempo che quando non tratto certe cose o non ti rispondo a tono è perché voglio io proprio far cosí e non voglio impiantare delle quistioni. Tu sei sempre dell’opinione che il carcere sia una specie di pensionato per orfanelle, invece è proprio un carcere e nulla di piú. Tutto ciò che il medico mi ha detto e prescritto io accuratamente te lo ho riferito. Anche nel ’28-’29 hai saputo del mio malessere perché eri qui per il colloquio nel dicembre proprio quando io stavo male. In ogni caso sii certa che io tengo conto dei tuoi consigli e se ti scrivo sulla «Scienza» ecc. lo faccio per farti arrabbiare a vuoto giacché tu non vuoi persuaderti che ciò che scrivo lo voglio scrivere per non scrivere altro.

Ti abbraccio teneramente.

Antonio


214.

28 settembre 1931

Carissima Tatiana,

ho ricevuto questa settimana due lettere, ambedue scritte da te il 23 settembre. Nella lettera da me scritta lunedí scorso rispondevo, un po’ seccamente, a una tua lettera molto lunga (10 pagine) che mi era stata consegnata proprio all’ultimo momento; spero che non te la sia presa a male. Mi dispiace di dovere qualche volta litigare con te. Ma bisogna anche dire che tu, nonostante che io sia in carcere da quasi 5 anni, sei rimasta ancora d’un candore e d’una ingenuità sorprendenti. Non hai ancora capito che quando io non insisto su un determinato argomento o sorvolo è perché credo di dover far cosí dopo le mie esperienze carcerarie. Potrei scrivere un volume sui medici che ho conosciuto in carcere: a Milano, il capo sanitario, sebbene mi avesse dovuto visitare per ordine del Capo del governo, non mi ordinò nulla, e d’altronde non mi fece fare alcune prove che avrebbero dimostrato che avevo degli attacchi uricemici che mi facevano vomitare il cibo appena dopo ingerito; mi trovò solo deperito e mi concesse, su mia domanda, di essere posto, durante il passeggio, in un cortiletto dove ci fosse il sole. La sola visita seria fu quella fattami da un medico console della Milizia per ordine del Tribunale speciale e dopo la quale fui mandato a Turi e non a Portolongone; durò un’ora, fu minuziosissima e da ciò che il medico mi disse, senza domandarmi nulla, compresi che aveva capito la malattia di cui soffrivo. Durante i transiti mi capitarono dei medici molto allegri: uno non volle darmi neanche la garza per fasciarmi la ferita dell’erpes Zosti, per la ragione che al fronte i soldati erano rimasti anche 6 giorni senza poter avere le ferite fasciate. In realtà avviene in carcere ciò che avviene nelle caserme; c’è troppa simulazione da parte dei carcerati per avere cibi speciali perché i medici non divengano scettici per mentalità permanente, e c’è reciprocamente troppo scetticismo da parte di una parte dei carcerati che comprendono come i medici debbano diventare scettici per forza ecc. ecc. Ricevo in questo momento una tua cartolina, dove mi riparli del mugolio: ricordo di aver ricevuto nel passato da te del mugolio (e l’ho ancora) e di essermi domandato cosa diavolo potesse essere. Esternamente non ha indicazioni sufficienti, oppure io non mi sono mai curato di osservarlo. Ho tenuto per lungo tempo una fialetta di Aspirina ma siccome non era Bayer e non poteva adoperare il nome Aspirina, io non sapevo cos’era, fino a quando per caso ho letto in una istruzione Bayer che anche l’altra fiala sconosciuta era aspirina. Mi dispiace che non mi abbia ancora scritto il tuo punto di vista sugli ebrei e sui «due mondi» e mi dispiace che ti sia entrata in testa questa ubbia, tanto piú che in Italia da parecchio non esiste piú antisemitismo; gli ebrei possono diventare ministri (e anche presid. del consiglio come Luzzatti) e generali nell’esercito: i matrimoni tra ebrei e cristiani sono molto numerosi specialmente nelle grandi città e non solo nelle classi popolari ma anche tra signorine dell’aristocrazia e intellettuali ebrei. In che cosa un ebreo italiano (eccettuata una piccola minoranza di rabbini e di vecchie barbe tradizionaliste) si differenzia da un altro italiano della stessa classe? Si differenzia molto di piú da un ebreo polacco o galiziano della stessa classe. Un po’ di antisemitismo politico c’è stato contro Toeplitz, direttore della Banca Commerciale, e nel 19 fu fondata a Milano la «Rivista di Milano» tanto antisemita quanto poco diffusa. Io penso al proverbio italiano (o francese): «grattate il russo e troverete il cosacco»; e molti cosacchi credevano come articolo di fede che gli ebrei avessero la coda. – Le notizie sulla mia salute le potrai leggere nel foglio dedicato a Carlo. – Quanto allo schema dantesco credo che ti interesserà ben poco, tanto piú che è molto schematico e forse tu non comprenderai alcune allusioni a libri di eruditi. Ti abbraccio teneramente.

Antonio

(che tu sia stata a Turi nel Natale del 28 non è affatto un’affermazione gratuita, e che tu sapessi che fui molto debole in seguito risulta dai molti ricostituenti che mi hai spedito).


215.

28 settembre 1931

Carissimo Carlo,

ho ricevuto la tua lettera del 12 settembre. Non devi maravigliarti se non ti ho risposto la settimana scorsa, come avrei potuto; devo distribuire lo spazio tra i diversi miei corrispondenti. – I due libri che mi hai indicato sono ambedue degni di essere comprati, li conosco e posso indicarti le loro deficienze interne ed esterne. La Storia di Roma credo sia quella scritta non solo dallo Hartmann, ma anche dal Kromayer. È buona, quantunque sia antiquata e tradotta coi piedi (almeno la prima edizione). Un’altra deficienza grave è che inizia la storia da quando esistono documenti e quindi tace completamente sui primi secoli detti «leggendari». La storiografia piú moderna non è cosí rigorosa e bigotta a proposito dei documenti materiali: del resto già Goethe aveva scritto che bisognava insegnare tutta la storia di Roma, anche la leggendaria, perché gli uomini che avevano inventato quelle leggende erano degni di essere conosciuti anche nelle leggende inventate. Ma la verità è che molte leggende si sono dimostrate, piú modernamente, non essere affatto leggende o avere almeno un certo nucleo di verità, per le nuove scoperte archeologiche o per i ritrovamenti di documenti epigrafici ecc. Il libro di Wells è anch’esso molto male tradotto nonostante la serietà della Casa Laterza. È interessante perché tende a spezzare l’abitudine invalsa di pensare che sia esistita storia solo in Europa specialmente nei tempi antichi; il Wells parla della storia antica della Cina, dell’India e di quella medioevale dei Mongoli con lo stesso tono con cui parla della storia europea. Dimostra che dal punto di vista mondiale l’Europa non deve essere più una provincia che si crede depositaria di tutta la civiltà mondiale. Altra novità introdotta dal Wells, che mi è meno simpatica, è la storia della terra prima dell’apparizione dell’uomo; cosí come deformata è la storia della Chiesa Cattolica e della sua influenza nello sviluppo della civiltà: si sente che il Wells è antipapista anglicano e non storico spregiudicato.

In quest’ultima settimana mi sono rimesso quasi del tutto; la temperatura è normalizzata. Per quasi tutta la settimana non ho mai passato il 36.6-7. Un giorno solo, ho voluto provare a mangiare del pane e la temperatura è subito risalita a 37.6. Certo non riesco a combinare una dieta che mi tolga la fame e non sia nociva alla digestione. L’uva qualche giorno non si ha e allora resto con un po’ d’appetito. D’altronde, non voglio mangiare ancora ciò che mi provoca disturbi intestinali, non mi lascia dormire e quindi mi stanca piú che se mangio poco. La mia impressione generale è che sto rimettendomi definitivamente.

Nell’apprendimento delle lingue che intendi incominciare, ti consiglio di non perderti troppo nelle grammatiche, ma di leggere, leggere, sfogliando piú il dizionario che la grammatica. La grammatica, secondo me, deve accompagnare la traduzione e non precederla. Molti iniziano lo studio dalle grammatiche e non ne cavano piú i piedi per quanto logorino la memoria. Devo finire. Ti abbraccio. Scrivi a casa.

Antonio


216.

5 ottobre 1931

Carissima Tania,

non mi è piaciuta la fotografia di Delio e Giuliano per la stessa ragione per cui ti ho pregato di farmi avere la tua fotografia da studentessa. Mi pare che sia chiaro: una sola fotografia dà un’immagine fissata una volta per sempre. Una serie di fotografie permette di ricostruire, in certi limiti, una personalità in isviluppo, cioè la reale personalità. La fotografia dei bambini non si «inserisce» con le precedenti, oltre ad essere tecnicamente infelice, cioè è mal riuscita in due modi: come arte, cioè come scelta dell’atteggiamento che rispecchi meglio, nel momento dato, la personalità, e come tecnica materiale. Con questo non voglio dire che non sia giusto e doveroso di lodare e incoraggiare Volia, tutt’altro. Capisco che specialmente per i bambini occorre un fotografo specialista: ma il fatto non muta e la mia impressione rimane. – Le attenuazioni che hai portato alla quistione che ti sei posta dei cosí detti «due mondi» non muta l’erroneità fondamentale del tuo punto di vista e non toglie nessun valore alla mia affermazione che si tratta di una ideologia che appartiene sia pure marginalmente a quella dei Centoneri ecc. Capisco benissimo che tu non parteciperesti a un pogrom, tuttavia perché un pogrom possa avvenire è necessario che sia molto diffusa l’ideologia dei «due mondi» impenetrabili, delle razze ecc. Questo forma quell’atmosfera imponderabile che i Centoneri sfruttano facendo trovare un bambino dissanguato e accusando gli ebrei di averlo assassinato per il sacrificio rituale. Lo scoppio della guerra mondiale ha dimostrato come le classi e i gruppi dirigenti sappiano sfruttare queste ideologie apparentemente innocue per determinare le ondate di opinione pubblica. La cosa mi pare cosí sorprendente nel caso tuo, che mi parrebbe di non volerti bene se non cercassi di liberarti completamente da ogni preoccupazione della quistione stessa. – Cosa vuoi dire con l’espressione «due mondi»? Che si tratta come di due terre che non possono avvicinarsi ed entrare in comunicazione tra loro? Se non vuoi dire questo, e si tratta di una espressione metaforica e relativa, essa ha poco significato, perché metaforicamente i «mondi» sono innumerevoli fino a quello che si esprime nel proverbio contadino: «Moglie e buoi dei paesi tuoi». A quante società appartiene ogni individuo? E ognuno di noi non fa continui sforzi per unificare la propria concezione del mondo, in cui continuano a sussistere frantumi eterogenei di mondi culturali fossilizzati? E non esiste un processo storico generale che tende a unificare continuamente tutto il genere umano? Noi due, scrivendoci, non scopriamo continuamente motivi di attrito e nello stesso tempo non troviamo o riusciamo a metterci d’accordo su certe quistioni? E ogni gruppo o partito, o setta, o religione, non tende a creare un proprio «conformismo» (non inteso in senso gregario e passivo)? – Ciò che importa nella nostra quistione è che gli ebrei sono stati liberati dal ghetto solo dal 48 e sono rimasti nel ghetto o in ogni modo segregati dalla società europea per quasi due millenni e non per loro volontà ma per imposizione esterna. Dal 48 in poi il processo di assimilazione nei paesi occidentali è stato cosí rapido e profondo, da far pensare che solo la segregazione imposta ha impedito la loro completa assimilazione nei vari paesi se fino alla Riv. francese la religione cristiana non fosse stata la «cultura statale» unica che domandava appunto la segregazione degli ebrei religiosamente irriducibili (allora; ora non piú perché dall’ebraismo passano al deismo puro e semplice o all’ateismo). In ogni caso, è da notare che molti caratteri che passano per essere dovuti alla razza, sono invece dovuti alla vita del ghetto imposta in forme diverse nei vari paesi, per cui un ebreo inglese non ha quasi nulla di comune con un ebreo di Galizia. Gandhy oggi pare che rappresenti l’ideologia indú; ma gli indú hanno ridotto allo stato di paria i Dravida che prima abitavano l’India, sono stati un popolo bellicoso e solo dopo l’invasione mongola e la conquista inglese, hanno potuto esprimere un uomo come Gandhy. Gli ebrei non hanno uno stato territoriale, un’unità di lingua, di cultura, di vita economica da due millenni; come si potrebbe trovare un’aggressività ecc. in loro? Ma anche gli arabi sono semiti, fratelli carnali degli ebrei e hanno avuto il loro periodo di aggressività e di tentativo di impero mondiale. In quanto poi gli ebrei sono banchieri e detentori di capitale finanziario, come si fa a dire che essi non partecipino all’aggressività degli stati imperialisti?

Ricevo in questo momento la tua lettera del 2 ottobre e mi accorgo di aver fatto male a continuare questa discussione, che si potrebbe solo fare in una conversazione in cui e il tono della voce e la possibilità di correggere e chiarire immediatamente ciò che si è detto impediscono malintesi e asprezze. D’altronde non voglio non scriverti questa settimana e perciò ti mando la lettera cosí com’è. Voglio chiarire però un piccolo fatto. Pare che tu sia convinta che nel 28-29 io abbia avuto chissà quali mali e te li abbia nascosti. La crisi la ho avuta verso i giorni di Natale del 28 e proprio il giorno di Natale e ancora per altre due volte in seguito ho avuto il colloquio con te. Non sono stato a letto. Ho avuto uno strascico di debolezza per cui al passeggio preferivo star seduto e camminare solo 15-20 minuti perché mi stancavo a camminare. È possibile che non ti abbia scritto questi particolari, perché non davo loro nessuna importanza o perché tu eri informata dai colloqui avuti. Naturalmente ciò capiterà anche altre volte, perché non voglio trasformare le mie lettere in bollettini medici (!) pieni di strafalcioni e di corbellerie. Quando non scrivo nulla sulla salute, vuol dire che tutto è normale nell’ambito carcerario. Certamente non studierò patologia generale o altra scienza medica. So questo: che non esistono malattie ma malati e che nel singolo malato tutti gli organi sono solidali nel caso che uno sia ammalato. Mi basta per capire che il medico deve essere una specie di artista, cioè che nell’arte sua ha molta importanza qualcosa di simile all’intuizione, oltre alla conoscenza scientifica. Ogni lettura parziale non serve quindi a nulla, se pure non diventa pericolosa come i manuali popolari sul «Medico per tutti» e le «Cure in caso di urgenza».

Ti abbraccio teneramente

Antonio

Credo che tu possa abbonarmi al «Corriere della Sera» dal 1° ottobre al 31 dicembre, da ricevere direttamente a Turi, naturalmente. Dovrò fare ancora domani la domandina e se non mi fosse accordata perché non ritenuto meritevole, l’abbonamento potrai sempre farlo mutare per te.


217.

12 ottobre 1931

Carissima Tania,

ho ricevuto la tua cartolina del 10 ottobre, che non ha attenuato per nulla l’effetto determinato dalla tua lettera del 2. Essa non era aspra, ma offensiva per me. Cosa poteva significare che io gioco con te a «mosca cieca» e che cerco di «incantonarti»? Dovrei rispondere con parole dure, ma mi pare sia meglio di evitare per l’avvenire ogni ripetizione di questi incidenti spiacevoli, per non dir peggio. Cosí non è che «imbelle telum sine ictu», per adoperare una espressione pomposa, un tuo accenno precedente alla mia qualità di ex-giornalista. Io non sono mai stato un giornalista professionista, che vende la sua penna a chi gliela paga meglio e deve continuamente mentire, perché la menzogna entra nella qualifica professionale. Sono stato giornalista liberissimo, sempre di una sola opinione, e non ho mai dovuto nascondere le mie profonde convinzioni per fare piacere a dei padroni o manutengoli. Scrivi che ti ha fatto dispiacere avere io scritto che tu abbia attenuato la tua concezione sugli ebrei. Hai ragione nel senso che tu non hai attenuato nulla perché in questa tua concezione c’è un po’ di tutto, ma ogni cosa in una diversa lettera. C’era in principio un punto di vista che conduceva diritto all’antisemitismo, poi una concezione da nazionalista ebreo e da sionista e infine dei punti di vista che sarebbero stati condivisi dai vecchi rabbini che si opposero alla distruzione dei ghetti, prevedendo che il venir meno di quelle comunità a territorio segregato avrebbe finito collo snaturare la «razza» e coll’allentare i vincoli religiosi che la mantenevano come una personalità. Certo ho fatto male a discutere; sarebbe stato meglio scherzarci su e contrapporre la teoria della «flemma» britannica, della «furia» francese, della «fedeltà» germanica, della «grandezza» spagnola, dello «spirito di combinazione» italiano e infine del «fascino» slavo, tutte cose che sono utilissime per scrivere romanzi d’appendice o film popolari. Ovvero ti avrei potuto porre la quistione di sapere chi è il «vero» ebreo o l’ebreo «in generale» e anche l’uomo «in generale» che non credo si trovi in nessun museo antropologico o sociologico. E anche cosa significhi oggi per gli ebrei la loro concezione di dio come «dio degli eserciti» e tutto il linguaggio della Bibbia sul «popolo eletto» e la missione del popolo ebreo che rassomiglia al linguaggio di Guglielmone prima della guerra. Marx ha scritto che la quistione ebrea non esiste piú da quando i cristiani sono diventati tutti ebrei assimilando ciò che è stata l’essenza dell’ebraismo, la speculazione, ossia che la risoluzione della quistione ebrea si avrà quando tutta l’Europa sarà liberata dalla speculazione ossia dall’ebraismo in genere. Mi pare l’unico modo di porre la quistione generale, a parte il riconoscimento del diritto per le comunità ebraiche dell’autonomia culturale (della lingua, della scuola ecc.) e anche dell’autonomia nazionale nel caso che una qualche comunità ebraica riuscisse in un modo o nell’altro, ad abitare un territorio definito. Tutto il resto mi pare misticismo di cattiva lega, buono per i piccoli intellettuali ebrei del sionismo, come la quistione della «razza» intesa in altro senso che non sia quello puramente antropologico; già al tempo di Cristo gli ebrei non parlavano piú la loro lingua, che si era ridotta a lingua liturgica, e parlavano l’aramaico. Una «razza» che ha dimenticato la sua lingua antica significa già che ha perduto la maggior parte dell’eredità del passato, della primitiva concezione del mondo e che ha assorbito la cultura (con la lingua) di un popolo conquistatore; cosa significa dunque più «razza» in questo caso? Si tratta evidentemente di una comunità nuova, moderna, che ha ricevuto l’impronta passiva o addirittura negativa del ghetto e nel quadro di questa nuova situazione sociale ha rifatto una nuova «natura». – È strano che tu non ti serva dello storicismo per la quistione generale e poi vorresti da me una spiegazione storicistica del fatto che alcuni gruppi cosacchi credevano che gli ebrei avessero la coda. Si trattava di una barzelletta, raccontatami da un ebreo, commissario politico di una divisione d’assalto dei cosacchi di Oremburg durante la guerra russo-polacca del 1920. Questi cosacchi non avevano ebrei nel loro territorio e li concepivano secondo la propaganda ufficiale e clericale come esseri mostruosi che avevano ammazzato dio. Essi non volevano credere che il commissario politico fosse ebreo: «Tu sei dei nostri, – gli dicevano, – non sei un ebreo, sei pieno di cicatrici delle ferite toccate dalle lance polacche, combatti insieme a noi; gli ebrei è un’altra cosa». Anche in Sardegna l’ebreo è concepito in vari modi: c’è l’espressione «arbeu» che significa un mostro di bruttezza e di cattiveria, leggendario; c’è il «giudeo» che ha ammazzato Gesú Cristo, ma ancora c’è il buono e il cattivo giudeo, perché il pietoso Niccodemo ha aiutato Maria a discendere il figlio dalla croce. Ma per il sardo «i giudei» non son legati al tempo attuale; se gli dicono che un tale è giudeo, domanda se è come Niccodemo, ma in generale crede che voglia dire un cristiano cattivo come quelli che vollero la morte di Cristo. E c’è ancora il termine «marranu» dall’espressione marrano che in Ispagna si dava agli ebrei che avevano finto di convertirsi e in sardo ha espressione genericamente ingiuriosa. Al contrario dei cosacchi i sardi che non sono stati propagandati, non distinguono gli ebrei dagli altri uomini. – Cosí ho liquidato, per conto mio, la quistione, né mi lascerò piú indurre a iniziarne delle altre. La quistione delle razze fuori dell’antropologia e degli studi preistorici non mi interessa. (Cosí è senza valore il tuo accenno all’importanza dei sepolcri per ciò che riguarda le civiltà; ciò è vero solo per i tempi piú antichi, per i quali i sepolcri sono il solo monumento non distrutto dal tempo e perché dentro i sepolcri accanto al defunto venivano messi gli oggetti della vita quotidiana. In ogni caso questi sepolcri ci danno un aspetto molto limitato dei tempi in cui furono costruiti: della storia del costume o di una parte dei riti religiosi. E ancora essi si riferiscono alle classi alte e ricche e spesso ai dominatori stranieri del paese, e non al popolo). Io stesso non ho nessuna razza: mio padre è di origine albanese recente (la famiglia scappò dall’Epiro dopo o durante le guerre del 1821 e si italianizzò rapidamente); mia nonna era una Gonzalez e discendeva da qualche famiglia italo-spagnola dell’Italia meridionale (come ne rimasero tante dopo la cessazione del dominio spagnolo); mia madre è sarda per il padre e per la madre e la Sardegna fu unita al Piemonte solo nel 1847 dopo essere stata un feudo personale e un patrimonio dei principi piemontesi, che la ebbero in cambio della Sicilia che era troppo lontana e meno difendibile. Tuttavia la mia cultura è italiana fondamentalmente e questo è il mio mondo: non mi sono mai accorto di essere dilaniato tra due mondi, sebbene ciò sia stato scritto nel «Giornale d’Italia» del marzo 1920, dove in un articolo di due colonne si spiegava la mia attività politica a Torino, tra l’altro, con l’essere io sardo e non piemontese o siciliano ecc. L’essere io oriundo albanese non fu messo in gioco perché anche Crispi era albanese, educato in un collegio albanese e che parlava l’albanese. D’altronde in Italia queste quistioni non sono mai state poste e nessuno in Liguria si spaventa se un marinaio si porta al paese una moglie negra. Non vanno a toccarla col dito insalivato per vedere se il nero va via né credono che le lenzuola rimarranno tinte di nero.

Hai scritto che volevi mandarmi dei medicinali. Ti prego di non mandarmi però piú Mugolio né polvere d’Abissinia. Credo che l’unica cosa utile veramente siano i fermenti lattici che ho quasi finito; ne ho ancora per quattro giorni. Ti prego veramente di far cosí. Ti abbraccio teneramente

Antonio

Cosí mi aveva fatto bene l’Uricedina Stroschein di cui mi avevi mandato due saggi tanto tempo fa e che ho preso recentemente: essa regolava abbastanza bene le funzioni intestinali.


218.

19 ottobre 1931

Carissima mamma,

ho ricevuto la tua lettera del 14 e sono stato molto contento nel sapere che ti sei rinforzata e che andrai almeno per un giorno alla festa di San Serafino. Come mi piaceva, da ragazzo, la valle del Tirso sotto San Serafino! Stavo ore e ore seduto su una roccia ad ammirare quella specie di lago che il fiume formava proprio sotto la chiesa, per il nesserzu costruito piú a valle, a vedere le gallinelle che uscivano dai canneti tutto intorno a nuotare verso il centro, e i salti dei pesci che cacciavano le zanzare. Forse adesso è tutto cambiato, se hanno incominciato a costruire la chiusa progettata per raccogliere le acque del Flumineddu. Mi ricordo ancora come una volta vidi un grosso serpe entrare nell’acqua e uscirne poco dopo con una grossa anguilla in bocca e come ammazzai il serpe e gli portai via l’anguilla, che poi dovetti buttare via perché non sapevo come fare a portarla al muristene, si era irrigidita come un bastone e mi faceva puzzare le mani troppo.

Come ti è potuto venire in testa che io stessi male e che te lo nascondessi? Certo non posso ballare su una gamba sola, ma qualche volta io stesso mi maraviglio di essere tanto resistente. Adesso non ho piú denti per masticare e perciò devo mangiare solo certe cose e non certe altre. Mi dispiace specialmente perché tra breve metteranno in vendita della carne di agnello e non la potrò mangiare, mentre mi piace tanto.

Non ricordo Maria Porcu; eppure devo averla conosciuta se è vissuta novantasette anni. Scrivimi qualche volta della famiglia di zia Margherita: come sono finiti Giovannino, Igino, Natalina e l’altro di cui non ricordo adesso il nome? I figli di Giovannino devono essere già grandetti. E Nennetta Cuba? ecc. ecc. Mi dovresti una volta passare in rassegna tutte le mie vecchie conoscenze. Ti ricordi il figlio maggiore del macellaio Tanielle su re? Una volta, per caso, lo incontrai in un caffè di Milano: era stato messo fuori dal giornale di Farinacci a Cremona (non so veramente cosa potesse fare in un giornale, perché aveva la stessa aria stupida e melensa di quando era ragazzo) e mi parlò molto umilmente, domandando che gli trovassi un posto nel giornale del mio partito. Mi sembrò ridotto molto male anche finanziariamente e mi fece ridere con la sua domanda da incosciente. – Aspetto la lettera che Teresina mi promette.

Abbracci a tutti, specialmente ai bambini e a te, cara mamma, il piú teneramente possibile. Antonio


219.

19 ottobre 1931

Carissima Tania,

ho cominciato a ricevere il «Corriere della Sera» e ti ringrazio. Cosí la volta scorsa mi sono dimenticato di ringraziarti per il vaglia che mi hai spedito qualche tempo fa. Anche a Turi è incominciato un po’ di freddo, ma finora esso mi ha giovato. La temperatura è ritornata quasi normalissima: solo verso mezzogiorno ancora, qualche volta, oltrepasso i 37, ma sempre meno. Nella sera, che dicono è l’ora delle temperature malsane, misuro 36.6 e qualche volta anche 36.5. Mi sono fatto modificare il vitto e spero che mi giovi; nel passato il vitto era stato anch’esso indicato dal medico, e mi giovò per molti mesi, ma si vede che di tanto in tanto occorre cambiare per vincere l’atonia dell’intestino oltre che l’acidità che si rinnova ogni tanto. Come ti ho scritto la volta scorsa, e a quest’ora avrai ricevuto la lettera, ho deciso di limitare la cura ai fermenti lattici e all’Uricedina Stroschein. Ai bronchi non ho piú avuto nulla dall’agosto in poi e credo che bisogna mettere un po’ a posto la digestione per non soffrir piú neanche di altri mali. – La volta prossima vorrei scrivere a Giulia tutta la lettera, possibilmente: se sarà necessario, scriverò per te una breve nota. Perciò non pormi delle quistioni complicate. – Ho visto molto lodato dal De Ruggero nella «Critica» del Croce il libro di Salvador de Madariaga: Anglais, Français, Espagnols, ed. della «Nouvelle Revue Française». Il Madariaga è un funzionario spagnolo alla Società delle Nazioni e per qualche tempo ha insegnato in una Università inglese. Perciò pare che sia specialmente competente per fissare i tratti differenziali dei tre popoli, senza cadere nei pregiudizi soliti in queste opere. Perché non lo leggi e poi me lo spedisci? Mi faresti un piacere. Non che il giudizio del De Ruggero sia una buona ragione, perché anche il De Ruggero tende a concepire l’umanità come gruppi nazionali di intellettuali; tuttavia anche da questo punto di vista (quando sia criticamente conosciuto) il libro può essere interessante, specialmente per i francesi e gl’inglesi. Non tanto per gli spagnoli, perché il Madariaga è spagnolo anche se spagnolo intelligente e il Vico in una sua «degnità» (o assioma) della Scienza Nuova scrive che la «boria delle nazioni» è uno dei piú gravi ostacoli per scrivere la storia. Al tempo di Crispi, un pubblicista francese (mi pare si chiamasse Ballet) scrisse un libro L’Italie qu’on voit et l’Italie qu’on ne voit pas. Questo titolo potrebbe darsi a ogni libro sui caratteri nazionali, e ciò che si vede di solito sono gli intellettuali e ciò che non si vede sono specialmente i contadini che pure, come la maggioranza della popolazione, sono essi proprio la «nazione», anche se contano poco nella direzione dello Stato e se sono trascurati dagli intellettuali (a parte l’interesse che desta qualche tratto pittoresco). Cosí avvengono poi i fenomeni delle «grandi paure» come quella del 1789-90 in Francia, quando i contadini si sollevano: essi operano come forze misteriose, sconosciute, come forze elementari della natura e destano il panico dei terremoti o dei cicloni.

Ti abbraccio teneramente.

Antonio


220.

26 ottobre 1931

Carissima Tania,

oggi non ti potrò scrivere molto a lungo. Mi sono levato da letto con la febbre e ancora mi dura; ha fatto (e continua) un paio di giorni di scirocco che ha reso tutto fradicio. Ma spero di scriverti ciò che è indispensabile. Mi sono proprio persuaso che tutto questo malessere dipende da disturbi intestinali diventati cronici e che se non riesco a vincerli o ad attenuarli, a nulla mi gioveranno ricostituenti o altre cose del genere. Ciò che mi fa passare completamente la febbre è il non mangiar nulla, ma questa non è una cura che possa durare a lungo. Qualsiasi cibo, dopo pochi giorni, riproduce le stesse manifestazioni di quelli precedenti. Ci sono poi delle complicazioni di altro genere, determinate dal mio organismo: è certo che i dolori agli organi della respirazione sono determinati dalla pressione degli organi della digestione che si gonfiano qualsiasi cosa mangi, il latte anzi è proprio il cibo che piú produce gonfiore. Penso che occorre isolare, per lo meno, questo fenomeno e perciò mi ero fissato sull’Urecidina che, pur a piccolissime dosi, mi rimetteva a posto la digestione. Certo le acidità dimostrano, mi pare, che nei disturbi hanno una parte gli acidi urici e l’Uricedina è proprio adatta a questo scopo. Contiene il 42% di solfato di sodio. Ho preso delle purghe di 30 grammi di solfato di sodio, ordinate dal medico, e non mi hanno giovato che per 12 ore, con in piú la debolezza che la purga determina. Un cucchiaino di Uricedina presa alle 4 del pomeriggio mi assicurava una normale digestione notturna e quindi un certo benessere. D’altronde io credo che le purghe rovinano i carcerati che ne abusano troppo spesso, e finora le avevo sempre evitate sistematicamente. Credevo di avere un giovamento dalla cura dell’uva ma: 1° l’uva non poteva aversi tutti i giorni e 2° essa non è da tavola ma da vino, si può lavare solo approssimativamente, per mangiarne ½ kg ci vuole un giorno di lavoro se si buttano via la buccia e i vinaccioli e un giorno, essendo un po’ acerba o per altra ragione, mi diede 38,5 di febbre. Cosí mi sono deciso a non affaticarmi piú con tanti ingredienti che mi lasciano peggio di prima e a raccomandarti di inviarmi l’Uricedina: penso che combattendo con essa l’uricemia, con la dieta che ho adesso, potrò per lo meno isolare questa causa, sia essa la principale o solo una subordinata.

La tua ultima cartolina del 23 ottobre mi ha fatto un po’ sorridere. Mi dai troppe volte ragione e ciò mi ha fatto pensare che tu mi creda stizzito oltre misura, o addirittura adirato e incollerito contro di te. Siccome però vedo che tu dici di non ricordare di avermi scritto qualcosa di spiacevole voglio riportare un brano della tua lettera del 2 ottobre: «… debbo ripeterti che l’aggiunta fatta alla tua ultima per significare che l’aver ricordato che nel 28 a Natale sono stata a Turi non fosse un’affermazione gratuita ecc., mi sento portata a dichiararti che per mio conto considero questa notizia come una gherminella avvocatesca (ma come una notizia può essere una gherminella? sarà vera o falsa, non ti pare?) e mi maraviglia solo che sei ritornato sull’argomento allorché avresti dovuto capire quanto in fondo sia seccante il tono di poca sincerità che si debba usare talvolta trattandosi di determinati argomenti, quindi se ti rimproveravo di avermi taciuto le tue vere condizioni puoi pure essere certo che indipendentemente da tutto ciò che mi potresti scrivere in proposito, rimarrò sempre dello stesso sentimento in questo argomento». Ora vediamo: ti secca il tono di poca sincerità. Cosa vuol dire? La prima lettera che ti scrissi appena giunto a Milano nel 1927 era stata trattenuta dal giudice istruttore perché troppo sincera: il giudice però mi disse che non sarebbe stata passata agli atti, ma trattenuta in via personale da lui. Ciò in febbraio: nel settembre successivo l’avvocato militare Tei domandò al giudice istruttore che la lettera fosse invece messa agli atti contro di me e infatti essa si trova nel mio fascicolo personale del processo, con lo scambio di lettere tra giudice e avv. milit. Avrebbe dovuto aggravare la mia situazione. Sono stato «sincero» e non hai ricevuto la lettera. Tu sei stata sempre sincera con me, io credo. Ma io ho parecchie tue lettere mezzo cancellate dalla censura carceraria. La tua sincerità non mi è giovata a nulla, perché ciò che tu scrivevi mi è rimasto sconosciuto. Cosa vuol dire allora «sincerità» e cosa vuol dire che tu ti «secchi»? Anch’io da 5 anni mi secco di essere in carcere, forse piú di quanto tu ti sia seccata per questo tipo di poca sincerità. Ma, cara Tania, cosa vorrebbe dire che tu non puoi mutare i tuoi sentimenti su un argomento, qualunque cosa io possa scriverti, se non questo che non c’è piú da scrivere nulla, che cioè sarebbe meglio interrompere ogni forma di corrispondenza? – Mi pare che siamo già abbastanza tormentati da fastidi di ogni genere perché ce ne aggiungiamo degli altri reciprocamente. Ti ho voluto solo documentare il fatto. Del resto io non sono né stizzito né adirato e credo benissimo che tu non volevi offendermi.

Ti abbraccio teneramente

Antonio


221.

2 novembre 1931

Carissima Tania,

ho ricevuto fino a questo momento solo la tua cartolina del 27 ottobre, nella quale mi parli della tua visita al dott. Biocca. Lo scirocco è caduto e io mi sono un po’ rimesso, cioè non ho avuto da quattro o cinque giorni i disturbi dei dieci o quindici giorni precedenti, sebbene mi senta sempre un po’ debole. Sono sempre persuaso che l’Uricidina mi farà bene; ho però incominciato a riprendere anche le goccie di Uroclasio, di cui avevo ancora un’ampollina. Non so se tu hai avuto occasione di confrontare i due preparati dal punto di vista della loro composizione: mi pare risulti proprio che essi si riferiscono a diverse manifestazioni uricemiche, per quanto io possa giudicare. L’Uricedina mi pare specialmente dedicata alle manifestazioni viscerali, l’Uroclasio alle manifestazioni muscolari e nervose. La mia esperienza è questa: ho preso dell’Uroclasio che mi ha certamente giovato per il mal di testa e per le gengive (mi ha fatto passare completamente l’infiammazione delle gengive anche se i denti, già scossi nell’alveolo, hanno continuato a smuoversi e a cadere – ciò che non poteva non avvenire per le stesse scosse meccaniche che sopportavano per il mangiare) ma non mi ha giovato che forse come palliativo per i disturbi viscerali. Mentre è certo che la poca quantità di Urecedina che ho preso mi tonificava immediatamente la digestione. – Mi sono sempre dimenticato di scriverti a proposito dei ricorsi fatti da Umberto per la revisione del processo, che ho ricevuto a suo tempo e che ho studiato. I motivi di ricorso che mi risultavano, ho visto che erano a conoscenza anche di Umberto e che sono stati da lui esposti. Un altro motivo però, che pure risultava ad Umberto perché io stesso glielo avevo suggerito dopo la condanna, non è stato da lui svolto esattamente né in tutta la sua portata. Forse potrei io svolgere questo motivo, se sarà possibile attraverso l’avvocato (ma quale avvocato si occupa della quistione?) avere i dati esatti per l’esposizione, da allegare al ricorso. Ecco di che si tratta. – Uno dei capi di accusa piú importanti contro i supposti membri del Comitato Centrale del Partito Comunista, e cioè l’accusa di tentativi di insurrezione armata nel corso dell’anno 1926 e come conseguenza delle deliberazioni del Congresso di Lione, è stato un opuscolo intitolato Regolamento universale della guerra civile. Umberto giustamente ricorda che tale scritto era stato pubblicato integralmente nella rivista «Politica» diretta dallo stesso ministro di Grazia e Giustizia e dall’Accademico Francesco Coppola e afferma che l’opuscolo incriminato non è che una ristampa letterale di quella pubblicazione. A me, che non ho mai visto l’opuscolo, non consta che si tratti di una ristampa di tal genere; ciò che ha poca importanza, del resto, in confronto della verità esatta e documentabile. Lo scritto Regolamento universale della guerra civile è stato pubblicato, prima che dalla rivista italiana «Politica», dalla francese «Revue de Paris» alla fine del 25 o ai primi del 26. Ma la «Revue de Paris» non fece solo questa pubblicazione: nel 1926, non ricordo in che numero, pubblicò un articolo editoriale (o firmato da stellette, o anonimo) intitolato La guerre civile et le bolchévisme (nella copertina il titolo è La guerre et le bolchévisme, ricordo esattamente) in cui riassume la quistione in questo modo: – Lo scritto Regolamento universale ecc. è un semplice articolo di rivista, della rivista «Il pensiero militare» («Voiennii Mysl») senza nessun carattere ufficiale e di obbligatorietà per i Partiti Comunisti. Anzi, l’articolo fu aspramente criticato da tutta una serie di scrittori militari russi, che ne mostrarono il carattere pedantesco, astratto, accademico ecc. ecc. La seconda pubblicazione della «Revue de Paris» che appunto riassume questa discussione, prova precisamente che nessun Partito Comunista, e tanto meno quello italiano, poteva divulgare questo scritto, facendo del suo contenuto un obbligo da osservare dai suoi inscritti. L’opuscolo italiano pertanto non può essere considerato come un documento di Partito, la cui responsabilità debba ricadere sui membri del Comitato Centrale, che io penso dovevano conoscere la quistione e non prendere sul serio uno scritto di quel genere, ma come una pubblicazione di elementi irresponsabili, che l’avevano fatta per conto loro. Per ciò che riguarda me personalmente, esiste uno stampato, un numero del «Bollettino del Partito Comunista» uscito nei primi mesi del 1926, nella cui seconda parte è riassunto, – assai male, a dire il vero, – un mio discorso alla Commissione Politica del Congresso di Lione in cui io, a nome del Comitato Centrale uscente, e come direttiva che doveva essere approvata dal Congresso (come lo fu), affermavo perentoriamente che in Italia non c’era una situazione tale, che il lavoro da fare era quello di «organizzazione politica» e non di tentativi insurrezionali. Questo «Bollettino» non fu contestato al processo, ma penso deve trovarsi nell’incartamento processuale. – Penso che tu puoi mostrare questi elementi all’avvocato che si è occupato del ricorso e domandargli un parere. Naturalmente anche un possibile mio ricorso lascerà le cose immutate, ma tuttavia sarà utile forse che rimanga agli atti. I riferimenti della «Revue de Paris» sono facili da trovare in qualche biblioteca che sia abbonata. – Del resto l’avvocato potrebbe servirsi di questi elementi per portare avanti i ricorsi dello stesso Umberto, dato che forse è meglio che sia uno solo a condurre questa azione per la revisione. – Non ho scritto a Giulia per un accenno contenuto in una tua cartolina, in cui scrivi che pensi che io le scriverò sulle mie condizioni di salute. Tu le hai già scritto qualche cosa in proposito? Sono rimasto in dubbio e non so come fare. – Se la quistione degli ebrei ti interessa e vuoi approfondirla scientificamente ti indico due recenti scritti che ho trovato citati in una rivista: sono due rapporti al recente Congresso internazionale per gli studi sulla popolazione tenuto a Roma, e pubblicati in fascicoli separati, uno del prof. Livio Livi che riguarda l’intera massa degli ebrei e l’altro del prof. R. Bachi che riguarda gli ebrei italiani. Ambedue mi paiono, dal riassunto, molto interessanti e istruttivi. In Italia, secondo il Bachi, solo a Roma si conserva un nucleo ebraico compatto relativamente; nel resto dell’Italia il fenomeno di dispersione e di assorbimento da parte dell’ambiente generale è in progressivo sviluppo. Cosí su scala mondiale, il nucleo ebraico consistente è quello dell’Europa Orientale; intorno a questo nucleo formano un alone le altre comunità ebraiche che si lasciano assorbire dall’ambiente ecc. A Roma, dove il ghetto è durato fino al 70 e dove l’esistenza del Vaticano ha continuato una tradizione di esclusione e nell’Europa agricola orientale, dove la segregazione ebraica, anche senza ghetti, continua di fatto.

Aspetto qualche tua lunga lettera. Tu non mi informi mai della tua salute. Ti abbraccio teneramente.

Antonio


222.

9 novembre 1931

Carissima Tania,

ti scrivo proprio nel quinto anniversario del mio incarceramento. Cinque anni è pure un bel gruppetto di anni e inoltre si tratta di cinque anni dell’età piú produttiva e piú importante nella vita di un uomo. D’altronde ormai sono trascorsi e non ho nessuna voglia di fare un bilancio dei profitti e perdite né di lagrimare amaramente su tanta parte dell’esistenza andata al diavolo. Mi pare tuttavia che essi coincidano largamente con un periodo determinato della mia vita fisiologica, cioè siano stati necessari per ridurre l’organismo alle condizioni carcerarie. Il malessere che sento da tre mesi a questa parte è certo l’inizio di un periodo in cui la vita carceraria si farà sentire piú duramente, come un qualche cosa di sempre attuale, che opera permanentemente per distruggere le forze. – Credo che il pacco di medicinali che mi scrivi di aver spedito sia già arrivato e che tra qualche giorno potrò averne il contenuto. Poiché si è rinnovato lo scirocco, ho nuovamente avuto delle manifestazioni acute di sofferenza e quindi aspetto di avere a disposizione le medicine che almeno mi diano un sollievo. Mi ero dimenticato di scriverti pregandoti di mandarmi ancora delle cartine per sigarette. Forse ti fa maraviglia che io consumi tante cartine, mentre ti ho scritto che ho ridotto di molto il consumo del tabacco; non c’è contraddizione tra i due fatti, anzi essi sono strettamente dipendenti uno dall’altro. Ho imparato che riducendo le cartine, cioè ritagliandole in altezza e in larghezza, si possono fare tante piccole sigarette (tre invece di una) e quindi si può fumare tre volte un pochino, ma quanto è sufficiente per togliere il bisogno, invece di una sola volta con la stessa quantità di tabacco fresco. I carcerati fumano tre volte la stessa sigaretta (la fumano a sezioni) e poi utilizzano nuovamente le mozze; questa pratica mi è disgustosa e preferisco la mia soluzione che però domanda molte cartine, più di quelle che si possono acquistare col tabacco e coi fiammiferi. Per i fiammiferi vale la pratica carceraria di scindere, con un ago, ogni fiammifero in due parti, raddoppiandoli. In realtà dal luglio ad oggi non solo mi sono abituato a fumare solo il 40% del tabacco che fumavo prima (immediatamente prima, perché avevo già fatto altre precedenti riduzioni) ma mi pare di avere la possibilità di ulteriori riduzioni. Credo che riuscirò a fumare molto poco, se non addirittura a smettere completamente fra qualche altro tempo. È vero però che il fumare poco è legato anche al grado di intensità di lavoro intellettuale; leggo poco e penso meno, cioè non faccio che pochi sforzi intellettuali e perciò posso fumar poco. Non riesco a concentrare l’attenzione su un argomento; mi sento spappolato intellettualmente cosí come lo sono fisicamente. Credo che questa condizione di cose durerà tutto l’inverno, per lo meno, cioè che in questo periodo il mio sforzo sarà appena sufficiente per non peggiorare, non per riprendermi. – Nell’ultima tua cartolina non mi accenni neppure alle tue condizioni di salute: non mi hai scritto se ti sei levata dal letto dopo l’angina. Spero di sí.

Ti abbraccio teneramente.

Antonio


223.

16 novembre 1931

Carissima Tania,

solo poche ore fa ho ricevuto la tua cartolina del 12. Poiché non ricevevo tue notizie da piú di 10 giorni, credevo che il tuo male continuasse e che non potessi scrivermi. – Ho ricevuti i medicinali e ho già ricevuto un notevole giovamento dall’Uricedina, nonostante che lo scirocco continuasse a rendere insopportabile le giornate e le nottate. Mi sono passati i gonfiori del ventre che provocavano complicazioni agli organi respiratorii e al cuore. Tuttavia ho visto che l’Uricedina che mi hai mandato questa volta è cambiata da quella di una volta: la composizione è diversa. In questa mancano le «sostanze estrattive» ed è aumentata la percentuale del Solfato di Sodio e del Bicarbonato di Sodio. Tuttavia mi ha giovato e abbastanza rapidamente; dopo due giorni l’effetto era sensibile di già. Non so perché mi hai mandato certi medicinali che non mi servono affatto, per es. una scatoletta di non so che contro la stitichezza. Cosí non mi serve, e spero non mi servirà neanche nei prossimi tempi, il liquore contro la tosse bronchiale: in realtà non ho mai avuto tosse e neanche catarro, eccetto che per pochi giorni dopo il 3 agosto. Il mugolio non l’ho piú preso neanche; avevo fatto le inalazioni di trementina solo come precauzione, ma le abbandonai perché mi forzavano meccanicamente la tosse, senza provocare espettorazioni. Spero che l’Uricedina mi faccia passare il catarro intestinale e quindi mi permetta di mangiare un po’ di piú. – Appena avrai ricevuto il rapporto sulle condizioni di vita dei nostri cari, spero che mi informerai estesamente. – Non ti ho scritto le altre volte che nel mese di ottobre ho inoltrato una istanza a S. E. il Capo del Governo domandando mi sia concesso di poter continuare a leggere le riviste che attualmente ricevo. Ho dovuto fare l’istanza perché col nuovo regolamento il Ministero ha fissato una tabella delle riviste politiche alle quali i detenuti possono abbonarsi e in essa solo una parte delle riviste che ricevo è elencata. Nell’istanza ho domandato anche di poter avere in lettura una certa quantità di libri che mi sono arrivati ma che sono stati trattenuti. Ti informo, nel caso ti fosse possibile di fare appoggiare l’istanza. Spero di ricevere una risposta favorevole. In caso contrario, tutte le mie abitudini intellettuali saranno bruscamente interrotte e le mie condizioni saranno notevolmente aggravate da questa interruzione, come puoi immaginare. Né la lettura del giornale può essere un compenso. Davvero non credevo che il «Corriere della Sera» fosse cosí decaduto tecnicamente e intellettualmente; ciò che colpisce è l’assenza di continuità nelle notizie, per cui in un giorno si accenna ad avvenimenti che precedentemente non sono stati registrati ecc. Col primo dell’anno vedrò di abbonarmi ad un altro giornale, per es. alla «Tribuna», per vedere se può trovarsi una maggiore organicità e coerenza. Cosa mi puoi suggerire? Ti abbraccio teneramente

Antonio


224.

16 novembre 1931

Cara Teresina,

ti ringrazio di avermi scritto. Non ricevevo notizie da piú di un mese. Attendo la lettera della mamma che mi annunzi. – Se zio Zaccaria verrà a trovarmi, lo vedrò volentieri, ma credo che non verrà. Da quanto tempo non lo vedo? Non me ne ricordo piú. Ho di lui dei ricordi molto vaghi, di quando egli era molto giovane ed io un ragazzo: credo che ora debba molto rassomigliare a zio Achille, forse un po’ piú ingentilito e lisciato dalla vita di città, non so però se altrettanto simpatico. – Ma chi adesso può fare il pane in casa? La mamma no, tu neppure perché avrai molto lavoro d’ufficio; Grazietta non potrà bastare a tutto; non riesco più a immaginare come sia concretamente la vostra vita. – La frase: «Una nave che esce dal porto, ballando con passo scozzese – è lo stesso che prendere un morto e pagarlo alla fine del mese» – non è un indovinello, ma una bizzarria senza significato che serve per prendere in giro quei tipi che affastellano parole senza senso credendo di dire chissà quali cose profonde e di misterioso significato. Cosí avveniva a molti tipi di villaggio (ti ricordi il signor Camedda?) che per fare sfoggio di cultura, raccattavano dai romanzi popolari delle grandi frasi e poi le facevano entrare a dritta e a traversa nella conversazione per far stupire i contadini. Allo stesso modo le beghine ripetono il latino delle preghiere contenute nella Filotea: ti ricordi che zia Grazia credeva fosse esistita una «donna Bisodia» molto pia, tanto che il suo nome veniva sempre ripetuto nel Pater noster? Era il «dona nobis hodie» che lei, come molte altre, leggeva «donna Bisodia» e impersonava in una dama del tempo passato, quando tutti andavano in Chiesa e c’era ancora un po’ di religione in questo mondo. – Si potrebbe scrivere una novella su questa «donna Bisodia» immaginaria che era portata a modello: quante volte zia Grazia avrà detto a Grazietta, a Emma e anche a te forse: «Ah, tu non sei certo come donna Bisodia!» quando non volevate andare a confessarvi per l’obbligo pasquale. Adesso tu potrai raccontare ai tuoi bambini questa storia: non dimenticare poi la storia della mendicante di Mogoro, della «musca maghedda» e dei cavalli bianchi e neri che abbiamo aspettato tanto tempo. – Cara Teresina, ti abbraccio affettuosamente.

Antonio


225.

23 novembre 1931

Carissima Tania,

ho ricevuto due tue lettere; la terza, con quella di Giulia, è arrivata, ma non mi è stata ancora consegnata. Scriverò a Giulia la settimana ventura, necessariamente. – Ti ringrazio del tuo interessamento per trovarmi un ambiente «climatico» piú confacente, ma ti prego di non fare nessuna pratica in proposito, perché mi rovineresti completamente. Conosco le diverse condizioni dei diversi stabilimenti penali e sono quindi in condizione di giudicare. Credo che, nel complesso, starei dovunque peggio che a Turi. Una delle cose piú importanti per me è di poter rimanere isolato in una cella; la vita in compagnia mi uccide, esaltando il sistema nervoso fino alle convulsioni. Sono stato in compagnia nei transiti e poi una quindicina di giorni appena giunto a Turi e conosco ciò che mi capita: intanto non riesco a chiudere occhio per tutta la notte, perché o l’uno o l’altro coi suoi movimenti mi tiene in uno stato permanente di irritazione nervosa che peggiora di giorno in giorno fino alle convulsioni. Essere stato isolato da tre anni, aver potuto crearmi delle abitudini, senza dover venire a compromessi con coabitatori, ha certamente impedito che le mie condizioni fisiche tracollassero già precedentemente. Inoltre lo stare isolato è una condizione per aver da scrivere e quindi per poter studiare con un certo metodo. A Soriano non ci sono che camerate di almeno 10 persone, ma che possono giungere anche a 30; per me sarebbe come stare sempre in una fiera. D’altronde Soriano è ancora piú ventoso di Turi, senza contare che gli inverni vi sono molto rigidi e che si sta persino 15-20 giorni senza andare al passeggio, passeggio che normalmente è cortissimo, un terzo di quello che si può avere qui. Credi che io non faccio altro che calcoli puramente utilitari e che finora non mi è nata la volontà del suicidio; perciò se si potesse trattare di un qualsiasi miglioramento, sia pure relativo e nel complesso, io medesimo ti pregherei di fare qualcosa. – Non so cosa vuoi dire con le «rose della Palestina»; se intendi dire che vuoi spedirmi delle piante da coltivare, non farne nulla. Da parecchi mesi non si può, nei cortili, coltivare nulla; tutto è stato strappato, la vecchia rosa canina è morta e seccata da un pezzo e cosí gli altri fiori. – Cosí non è necessario che ti preoccupi delle babouches tripoline; quelle che mi avevi mandato qualche tempo fa, non potei adoperarle a lungo perché troppo rigide, mi schiacciavano le dita dei piedi. Sono state invece ottime le sovracalze di stoffa che mi hai fatto avere tempo fa, non le ultime, quelle fatte con una specie di traliccio, ma le precedenti, che mi durano ancora.

L’Uricedina mi ha giovato realmente, anche se finora non mi sono passate completamente le manifestazioni del malessere alle viscere. Mi ha fatto cessare il gonfiore del ventre e quindi le difficoltà agli organi respiratorii. Mi hai domandato cosa sentissi con esattezza: non si tratta né di stitichezza né del suo contrario, ma di uno stato generale in cui si manifestavano ambedue, se cosí può essere. Mi pare che si potrebbe dire che l’intestino era caduto in istato di atonia completa, senza movimenti peristaltici; il ventre si gonfiava in modo rilevante e si induriva, ma senza brontolii. Di notte e al mattino, sentivo forti dolori improvvisi oppure uno stato di dolore continuato, anche se non molto acuto. Ti posso dire che da quando ho iniziato a prendere l’Uricedina ho dovuto restringere la cintura di almeno 10 centimetri e ancora una volta dovrò restringerla: mi sembrava di essere idropico, sebbene non fosse questo il caso. (Appena incominciato il male, avevo dovuto farmi allargare la cintura dei calzoni, ecc.). Credo che l’effetto peggiore me lo facesse il latte; d’altronde il latte non può che essere il mio cibo principale. Adesso aspetto gli effetti della continuazione della cura; finora ho preso solo una scatola e mezzo delle 4 che mi hai mandato. – Non ho ricevuto lettere da Carlo da un pezzo; vedrò se mi scriverà come ti ha annunziato. – Questo mese non ho ricevuto il numero della rivista «Pégaso» che di solito giungeva sempre nei primi giorni del mese; ma forse si tratta di un ritardo generale, perché tutte le riviste da qualche tempo giungono con molto ritardo. Se hai voglia, puoi avvertire la Libreria, pregando nello stesso tempo che mi spediscano queste pubblicazioni: – 1° Luigi Russo, Prolegomeni a Machiavelli, Ed. Le Monnier, Lire 5.00; – 2° Federico Chabod, Dal «Principe» di Niccolò Machiavelli, Albrighi-Segati, Milano, L. 4.00; – 3° Giuseppe Toffanin, Che cosa è stato l’Umanismo?, Ed. Sansoni, Firenze. – Hai letto Heine in tedesco? o in una traduzione? Ti ringrazio però della tua buona volontà di volermene spedire qualche volume: non ho voglia di leggere Heine, in questo momento.

Ti abbraccio affettuosamente

Antonio


226.

30 novembre 1931

Carissima Tania,

ho ricevuto pochi minuti fa il pacchetto di medicinali da te speditomi. Non ricordo se lunedí ti ho scritto di aver ricevuto il vaglia di 150 lire; in ogni modo te lo scrivo ora con tutti i ringraziamenti. – Ti voglio ora descrivere la nuova fase del mio stato di salute; naturalmente te la descrivo secondo le mie impressioni e la mia logica empirica, lasciando a te di distrigare gli elementi oggettivi utili per una ricostruzione scientifica. Una settimana fa, esattamente, e cioè lunedí nel pomeriggio, la temperatura è caduta, come media, in modo notevole. Prima la temperatura saliva sempre fino a 37 dopo i pasti e piú precisamente dopo che avevo ingerito il latte (prendo del latte due volte al giorno, al mattino, verso le nove e al pomeriggio verso le 5½; a mezzogiorno mangio un po’ di pasta al burro e questa è la mia alimentazione quotidiana); da lunedí nel pomeriggio la temperatura è caduta al disotto di 36.4 come media e difficilmente raggiunge il massimo di 36.5 in qualche momento della giornata. Però lunedí stesso ebbi nuovamente un po’ di sangue dalle vie respiratorie, che aumentò il martedí mattino, ma non in forma di emorragia, bensí di grumi di catarro o tutto sanguigno o fortemente striato. Già però da ieri, pur continuando il catarro in modo noioso, non è piú apparso del sangue. Mi pare notevole il fatto che sia apparso del sangue proprio mentre cadeva ogni temperatura e che anzi i due fatti abbiano cosí coinciso. Ricordo benissimo che la domenica precedente misurai 37 verso le 11½ e di nuovo 37 verso le 5½; il lunedí ebbi lo sputo sanguigno dopo un colpo leggero di tosse, misurai la temperatura che era di 36.2. Mi pare che questo insieme di cose sia rassicurante, perché non so se si possa dedurre (a me pare di sí) che la temperatura alta era dovuta essenzialmente ai disturbi intestinali e che le perdite di sangue perciò dovrebbero avere un’origine traumatica (si può dire?) e non organica. Ho preso sinora solo due mezze scatole di Uricedina; con le due scatole intere giuntemi oggi, ne ho a disposizione ancora 6 mezze scatole, cioè due ½ scatole piú della cura indicata nelle istruzioni in tedesco (– è curioso osservare, come sintomo di una certa disorganizzazione tedesca, che nelle istruzioni in lingua italiana, si indica in 4½ scatole il quantitativo di una cura, mentre nelle istruzioni in lingua tedesca il quantitativo è di 6½ scatole). Devo aggiungere un altro sintomo: da quando è caduta la temperatura mi è passato il mal di capo e in generale mi sento meglio, quantunque sia un po’ debole. – Non so se capirai qualcosa di ciò che ti ho scritto, spero di sí. – Questa settimana non ho ricevuto tue notizie; come stai? Il pacchetto che ho ricevuto oggi mi fa credere che sei uscita di casa. Con le cartine che mi hai mandato sono provvisto per sei mesi almeno, se non di piú: ho diminuito ancora la quantità di tabacco che fumo (veramente in questi giorni scorsi ho evitato completamente di fumare) e credo di poter continuare, sebbene senta un certo nervosismo. Hai già scritto alla libreria? Il fascicolo di «Pégaso» di novembre deve essere proprio andato smarrito, perché mentre le altre riviste arretrate sono giunte, «Pégaso» non è giunto; richiedilo, per favore. Mi interessa perché deve contenere degli scritti sulla riforma scolastica Gentile. Ti abbraccio teneramente

Antonio


227.

30 novembre 1931

Carissima Iulca,

ho ricevuto la tua lettera del 13 novembre. Avevo risposto alla tua precedente lettera del 13 agosto, ma la mia risposta è andata smarrita. Avrei potuto scriverti altre volte (dal 1° luglio posso scrivere una lettera alla settimana invece che ogni 15 giorni) ma bisogna che ti dica la verità: mi riesce sempre più difficile scriverti, sempre piú difficile e anche piú penoso. Se dovessi io stesso rileggere le mie lettere dopo qualche settimana, mi pare che ne proverei un certo disgusto, perché mi apparirebbero astratte, fuori del tempo e dello spazio, come il risultato di mezz’ora di sforzo puramente intellettuale e nervoso, di sforzo che mi pare obbligato, di ordine burocratico, direi. Dalla tua ultima lettera mi pare che anche tu senti che c’è qualcosa che non va in questa nostra corrispondenza senza continuità, a pezzi e bocconi, a salti di mesi e mesi. Il peggio è che io non riesco a trovare il modo di mutare il corso delle cose. Negli intervalli lunghi del tuo silenzio rifletto a questa situazione che si è andata formando, cosí diversa da ciò che io pensavo cinque anni fa, dopo il mio arresto. Credevo che sarebbe stata ancora possibile una certa comunanza nella nostra vita, che tu mi avresti aiutato a non perdere completamente il contatto con la vita del mondo; per lo meno con la tua vita e con quella dei bambini. Mi pare invece e lo dico anche se devo farti provare un forte dispiacere, che tu hai contribuito ad aggravare il mio isolamento, facendomelo sentire piú amaramente. Tu insisti spesso, nelle tue lettere, che noi «siamo piú fortemente uniti, piú forti», ma appunto ciò mi pare sempre piú che non sia vero e che tu stessa ne dubiti e lotti col tuo dubbio nel momento stesso che ripeti questa affermazione. Mi pare che nel corso di questi cinque anni noi siamo sempre piú diventati dei fantasmi, degli esseri irreali l’uno per l’altro. Come dei fantasmi possono essere piú uniti e piú forti? Una volta, molto tempo fa, mi è stato scritto che la tua borsetta era piena di lettere tue a me, incominciate e non terminate: questo fatto mi ha colpito piú di ogni altra cosa, perché il significato di esso non è dilettevole. Voleva dire che tu non riesci a scrivermi, che c’è qualcosa che si frappone e ti impedisce di comunicare con me. In realtà non so niente di te: non so neanche se hai ripreso la tua attività di lavoro. Le tue lettere sono estremamente vaghe. Non riesco a immaginare nulla della tua vita. Tante volte ho cercato di iniziare un dialogo con te: ti ho posto delle quistioni, ti ho indicato ciò che sarebbe per me di sommo interesse. Non sono riuscito a ottenere nessun risultato e appunto sono entrato in questo stato d’animo per cui lo scriverti mi è difficile e penoso. – Questa lettera è un nuovo tentativo che faccio per riannodare le nostre vite; mi pare che ci sia ancora il modo e il tempo. Certo che non ho dimenticato la Iulca di un tempo; ma non riesco a farla rivivere nella Giulia di oggi; non riesco neppure a immaginarla la Giulia di oggi, concretamente, in modo vivente. Vorrei poterti scuotere fortemente, violentemente, anche a costo di essere ingiusto e cattivo con te, piú ancora di quanto vorrei. Vorrei farti sentire la mia ansia e il mio dolore.

Ti abbraccio teneramente

Antonio


228.

7 dicembre 1931

Carissima Tania,

ho ricevuto poco fa la tua cartolina del 4; ho ricevuto anche un avviso di una tassata che viene da Roma, non so se cartolina o lettera e penso che sia un altro scritto da parte tua. Mi dispiace di non averlo potuto avere subito. Non rispondo minutamente alla tua lettera del 30 novembre, in cui poni tutte le quistioni analitiche per avere un quadro generale delle mie condizioni di salute. Non ho voglia di farlo in questo momento; se sarà necessario lo farò ulteriormente. Per il momento mi sento molto meglio, molto piú forte. Non ho affanno ecc. Un altro cambiamento è avvenuto nella temperatura: ti avevo scritto che quasi di colpo la media della temperatura era discesa a 36.4; ora è risalita nuovamente a 36.8 e giunge in certe ore a 37.2. Continuo a prendere l’Uricedina, un cucchiaino al giorno, come è indicato nelle istruzioni, ma non posso piú prendere i Sali di Hunt perché li ho consumati. Forse è vero che il maggior beneficio l’ho risentito quando prendevo un cucchiaino di Uricedina al mattino e un cucchiaino di Sali di Hunt nel pomeriggio; allora appunto la temperatura cadde sotto i 36.6. Credi utile prendere ancora questi sali, finché non ci sia un miglioramento stabilizzato? Puoi mandarmene allora un altro po’. È vero che è stato utile che tu mi avessi mandato diversi medicinali, perché cosí ho trovato quelli che mi hanno giovato; ma una volta raggiunto l’effetto, mi pare che sia inutile continuare nel «provando e riprovando». Mandami anche qualche ago da cucire dei più robusti che si possono trovare, perché di quei medi comuni ne ho a sufficienza, e mandami un po’ di carta e buste, perché credo che tra qualche settimana le buste almeno siano per finire. – Sarò contento se mi scriverai sui nuovi metodi di educazione a cui accenni nella cartolina, perché bambini che giocano con uccellini vivi, con palline, o che portano gli oggetti preferiti a letto, credo ce ne siano sempre stati. Tutto sta a vedere se si è mutato il rapporto tra i bambini e le cose, cioè se si riesce a suscitare nei bambini un nuovo modo di concepire la natura e la vita. Mi pare molto interessante che anche nella scuola inferiore si sia introdotta l’istituzione delle brigate d’assalto. Anche in questo campo però bisognerebbe avere molti particolari oltre che sul metodo anche e specialmente sulle disponibilità in materiale didattico: un pericolo che mi pare si affacci subito è quello di creare precocemente un artificiale orientamento professionale. E poi: anche i metodi piú affascinanti diventano inerti se manca il personale capace di vivificarli in ogni momento della vita scolastica ed extrascolastica, e tu sai che proprio i migliori tipi di scuola sono falliti per le deficienze degli insegnanti.

Devo finire perché è trascorsa l’ora per la scritturazione. Ti abbraccio

Antonio


229.

7 dicembre 1931

Cara Iulca,

pochi giorni dopo che io avevo scritto l’ultima mia lettera per te, Tania mi inviò la traduzione di una tua lettera a lei. Sulle prime, al leggere questa tua lettera, quasi mi rincrebbe di averti scritto nel modo che ti scrissi. Ma ripensandoci meglio, conclusi che anzi avevo tanto piú avuto ragione a scriverti come ti avevo scritto. Perché infatti non informare anche me delle tue condizioni di salute? E del resto queste condizioni possono né spiegare né tanto meno giustificare che tu scriva tanto poco e che le tue lettere a me siano cosí vaghe ed astratte? Del resto, ciò che scrivi della tua professoressa può essere interpretato estensivamente: – se ella si rallegra quando tu le riferisci che hai avuto momenti di collera, di sfogo manifestati in parole aspre, – si può dedurre che sia utile provocare in te questi momenti, tormentandoti senza requie. La personalità e la volontà sono prodotti dialettici, di una lotta interiore che può e deve essere esteriorizzata, quando internamente l’antagonista è soffocato per un processo morboso; l’importante sarebbe che quel «tormentare» non sia un astratto tormentare, ma un concreto pungolo della coscienza mosso e vibrato razionalmente. Il motivo razionale mi pare debba esser questo: – noi siamo uniti da vincoli non solo di affetto ma di solidarietà. Quali, volta a volta, possono essere i piú forti e reattivi? L’affetto è un sentimento spontaneo che non crea obblighi perché è fuori della sfera della moralità. Può essere suscitato irrazionalmente e potrebbe esserlo, per esempio, se da parte mia, ti scrivessi lettere infiammate. Potrei scriverle, naturalmente, in tutta sincerità, ma non voglio; le mie lettere sono «pubbliche» non riservate a noi due e la coscienza di ciò mi obbliga ferreamente a limitare l’esplosione dei miei sentimenti, in quanto si esprimono in parole scritte in queste lettere. Ci sono dunque i vincoli di solidarietà su cui si può e quindi si deve far leva, e mi pare ora che io non avrei mai dovuto smettere di tormentarti in questo senso. Avrei dovuto porti spesso dinanzi a un tuo dovere oggettivo, e dico oggettivo appunto perché dipendente solo dai vincoli di solidarietà. Voglio fare l’esempio della chiesa e della religione. Per la chiesa la credenza in dio dovrebbe essere per ogni uomo la fonte della massima consolazione e la base incrollabile della vita morale, ma pare che la chiesa non si fidi troppo di questa incrollabilità e della saldezza di questa consolazione rasserenante, perché spinge i fedeli a creare istituzioni umane che con mezzi umani vengano in soccorso degli afflitti e impediscano loro di dubitare e di scuotersi nella loro fede. Pare dunque che la chiesa stessa implicitamente intenda che dio non è altro che una metafora per indicare l’insieme degli uomini organizzati per il mutuo aiuto. Ma se la chiesa, organismo spiritualista per eccellenza, ricorre ai mezzi umani per tener desta la fede nelle forze soprannaturali, cosa si dovrebbe dire di organismi laici, realistici per eccellenza, che non facessero ricorso ai mezzi umani per sostenersi? E infatti non succede: succede che singoli appartenenti a questi organismi trascurino i loro doveri in proposito, nonostante, talvolta, che essi formalmente appartengano a istituzioni specializzate per aiutare gli afflitti, scusandosi, farisaicamente, col pensiero che l’afflitto deve essere tanto forte da sostenere con mezzi propri le sue forze morali. Ma anche se ciò avviene, e avviene certamente, il dovere è compiuto da una parte sola e un richiamo all’altra parte è necessario. Naturalmente io vorrei farti passare un momento di collera e cosí farti lodare dalla tua dottoressa. Cara Iulca, ti abbraccio forte

Antonio


230.

10 dicembre 1931

Carissima mamma,

ho atteso invano la tua lunga lettera promessami da Teresina. Spero che essa non sia mancata perché la tua salute non ti permette neppure di dettare. Preferisco pensare che ti sia venuta meno la collaborazione di una amanuense di buona volontà. Ho ricevuto solo in tutto questo tempo una cartolina illustrata firmata da Teresina e dai suoi bimbi. Ma chi è Diddi? A quale nome «cristiano» corrisponde? Immagino come si debba sbizzarrire la fantasia di Teresina nell’inventare vezzeggiativi per i suoi bambini: questo Diddi potrebbe essere il nome di uno spirito folletto o di una zana. Teresina dovrebbe scrivermi una specie di dizionario con, da una parte, i nomi nella forma pedestre in cui si trovano nel calendario e dall’altra i derivativi fantastici da lei inventati; mi sarà utile perché ormai non mi so piú raccappezzare tra cosí lussureggiante fioritura poetica.

Carissima mamma, questa lettera dovrebbe essere dedicata agli auguri per il Natale e quindi bisogna che questi benedetti auguri pur te li faccia. Vorrei sapere notizie precise sulla tua salute e auguro che esse siano le migliori possibili. Carlo scrive? Dopo il suo viaggio a Turi mi ha scritto una sola volta. Ha scritto a Tatiana e le ha annunziato che avrebbe scritto anche a me, ma non ne ha fatto nulla. Pare che non abiti piú a Milano, ma in un paese della provincia. E Nannaro vi scrive? Dopo tante promesse che mi aveva fatto, non mi ha mai scritto neanche un rigo. Tuttavia tiro innanzi sempre allo stesso modo, piú sereno che mai, anche se invecchio in carcere. Ti abbraccio teneramente con tutti di casa.

Antonio


231.

14 dicembre 1931

Carissima Tania,

solo giovedí ricevetti la tua lettera del 3 dicembre che era giunta tassata non so per quale ragione ma probabilmente per eccesso di peso. Le tue fotografie, nell’insieme, mi sono piaciute moltissimo; avrei però voluto averne qualcuna di recentissima, come mi avevi promesso, perché già da circa un anno e mezzo non ci vediamo e avrei voluto avere una impressione delle tue attuali condizioni di salute. Non credere però che in ciò sia una sollecitazione implicita a che tu per Natale venga a Turi, come scrivi che ti ha proposto Carlo. Credo che faresti male a fare questo viaggio lungo e disagiato e cosí, se è possibile, sarebbe bene che tu dissuadessi Carlo. Naturalmente io sarei contentissimo di vederti, come puoi immaginare, ma non mi pare saggio di fare tante spese e sottoporsi a tante fatiche per qualche mezz’ora di colloquio. Qualche volta questi colloqui lasciano piú strascico di amarezze di ciò che non sia la breve felicità di vedersi. – Spero che a quest’ora avrai ricevuto le altre mie lettere; ti ho scritto ogni settimana puntualmente e ho scritto anche a Giulia. Forse le mie lettere a Giulia non ti saranno piaciute; non sono piaciute neanche a me, ma mi pare che fosse divenuto necessario scrivere quel che ho scritto, che corrisponde perfettamente alla verità (alla verità dei miei sentimenti, del mio stato d’animo). Tu mi scrivi, per esempio, perché non mi rivolga ai bambini ecc. La verità è che sono proprio incapace psicologicamente di mettermi in relazione con loro perché concretamente conosco nulla della loro vita e del loro sviluppo. Certo conosco meglio i figli di Teresina, che mi hanno scritto parecchie volte e sui quali Teresina mi informa abbastanza perché io, conoscendo il quadro generale della loro vita per esperienza diretta, possa corrispondere. Immagino invece che per Delio e Giuliano io debbo essere come una specie di Olandese volante, che per ragioni imperscrutabili non posso occuparmi di loro e partecipare alla loro vita: come potrebbe scrivere l’Olandese volante? e poi mi ripugna il mestiere di fantasma. – Cara Tania, ci sono alcune commissioni che ti prego di fare con molta esattezza e precisione. È giunta la risposta all’istanza da me fatta al Capo del Governo a proposito delle riviste e di una serie di libri. La risposta non è completa. Dice che per ora posso leggere le riviste italiane a cui sono già abbonato piú due – «L’Educazione Fascista» e «La Cultura» – a cui non sono abbonato ma che avevo messo in lista perché di tanto in tanto ne ricevevo qualche numero, possibilità che volevo conservare. Per le riviste estere e per i libri la risposta non ha accenni; quel per ora farebbe supporre un supplemento di risposta in proposito, che potrà essere favorevole ma potrà anche non esserlo. In questa condizione bisogna avvertire la libreria: 1° che bisogna rinnovare l’abbonamento solo per le riviste italiane già in corso; – 2° che non bisogna mandare, neanche per saggio, dei numeri di riviste né italiane e tanto meno straniere, che tanto non mi sarebbero consegnate. 3° Che, almeno provvisoriamente, è meglio non mandarmi neanche libri non italiani. – Ricorda, se non l’hai ancora fatto, che non ho ricevuto il fascicolo di «Pégaso» dello scorso novembre, e fammi mandare i fascicoli di novembre e dicembre dell’«Educazione Fascista» dove è pubblicato il resoconto del Congresso degli Istituti fascisti di cultura che desidero leggere. Manda, per piacere, la lettera raccomandata. Se le riviste straniere mi saranno concesse ci sarà tempo a fare l’abbonamento: nel dubbio è meglio astenersi. – Ti mando il modulo del servizio dei Conti correnti Postali del «Corriere della Sera» per rinnovare l’abbonamento che scade il 31 dicembre: lo puoi rinnovare per tre mesi o per sei mesi, non piú di sei mesi però. – Cara Tania, ti abbraccio affettuosamente

Antonio

Puoi mandare a Giulia anche questa parte della lettera oltre alla sua parte.


232.

14 dicembre

Carissima Iulca,

ho ricevuto il tuo biglietto del 21 novembre. Tania mi ha anche comunicato la tua lettera a lei e cosí il tuo biglietto è stato vivificato, ha perduto della sua astrattezza e vaghezza. In una tua precedente lettera mi accennavi che volevi incominciare a studiare e che avevi domandato il parere della dottoressa che non era stato sfavorevole. Permetti che, con una certa pedanteria, ti faccia una proposta pratica, ti presenti, per cosí dire, alcune mie «rivendicazioni» (credo che nel caso di un carcerato si possa parlare di «rivendicazioni» in confronto delle persone libere, perché la condizione del carcerato storicamente si ricollega alla schiavitú del periodo classico; in Italia «galera» e «ergastolo» che si adoperano per carcere indicano questa filiazione in modo evidente). Poiché intendi studiare, posso intendere parecchie cose: che vuoi approfondire un qualche tema specializzato o che vuoi acquistare l’«abito scientifico», cioè studiare per impadronirti della metodologia generale e della scienza epistemologica (senti che parole pedanti). Perché non potresti allora studiare proprio alcune cose che interessano anche me e quindi diventare la mia corrispondente per alcune materie che interessano ambedue perché sono il riflesso della attuale vita intellettuale di Delio e Giuliano? Insomma desidererei (– forma generale della prima rivendicazione –) essere informato sistematicamente del quadro scientifico in cui si svolge la scuola o le scuole che frequentano Giuliano e Delio, per essere in grado di comprendere e valutare i magri accenni che tu talvolta me ne fai. La questione scolastica mi interessa moltissimo e interessa molto anche te, perché scrivi che il 60% delle vostre conversazioni si aggira sulla scuola dei bimbi. Esporre in forma ordinata e coerente le tue impressioni in proposito è «studio»: ti rimetterà in condizione di riacquistare dopo la malattia, la padronanza della tua volontà scientifica e delle tue facoltà di analisi e di critica. Dovresti naturalmente fare un vero lavoro, e non solo scrivere delle lettere: cioè fare un’inchiesta, prendere degli appunti, organizzare il materiale raccolto ed esporre i risultati con ordine e coerenza. Io ne sarei molto felice, di una felicità da pedante, è vero, ma non perciò disprezzabile. – Mi interessa molto, per esempio, sapere come è stato inserito nella scuola primaria il principio delle brigate d’assalto e gli angoletti specializzati e quale scopo pedagogico si propone di raggiungere. Può nascere il dubbio che ciò acceleri artificialmente l’orientamento professionale e falsifichi le inclinazioni dei fanciulli, facendo perdere di vista lo scopo della scuola unica di condurre i fanciulli ad uno sviluppo armonico di tutte le attività, fino a quando la personalità formata metta in rilievo le inclinazioni piú profonde e permanenti perché nate ad un livello piú alto di sviluppo di tutte le forze vitali ecc. ecc. Potrei per esempio comunicare a Delio le mie esperienze infantili sugli esseri viventi: o gli sembreranno favole l’aver visto le lepri a danzare (o a saltare, ma il popolo ci vede la danza) sotto la luna, o la famiglia del riccio (riccio, riccia e ricciolini) andare a far provviste di mele al chiaro della luna autunnale? Cosa significa l’angoletto degli esseri viventi? Ho letto che il 70% dei bambini delle grandi città americane non sanno cosa sia una mucca e che c’è chi porta in giro delle mucche in gabbia come una volta gli orsi e le scimmie in Italia: avranno l’angoletto con la mucca nelle scuole americane?

Cara Iulca, ti abbraccio forte forte coi bambini.

Antonio


233.

21 dicembre 1931

Carissima mamma,

ho ricevuto la tua lettera del 16, scritta, mi pare con una certa malizia, da Teresina. Credo che ridevate tutte e due quando Teresina scriveva che ti piace coccolarti, che ti piacciono le cose buone, che hai appetito solo quando c’è del buono da mangiare, ecc. Adesso che al mattino prendi il caffè e latte invece del caffè nero, vorrei sapere se nel caffè ci metti l’orzo che è «rinfrescante». Inoltre Teresina non mi ha fatto sapere a che nome positivo corrisponde Diddi; una volta mi pare che la sua bambina ultima si chiamava Isa. Io non ne capisco però nulla tra tanti vezzeggiativi: sarebbe piú semplice Cunegonda, Restituta, Ermengarda, ecc. e per i maschi Baldassare, Napoleone, Nabucodonosor.

Aspetto i vostri regali di Natale e ringrazio anticipatamente i bambini, che scrivi hanno partecipato alla scelta degli oggetti. Ti abbraccio con tutti di casa.

Antonio


234.

21 dicembre 1931

Carissima Tania,

ho ricevuto recentemente i due pacchettini: uno con la carta, le buste, i pennini e l’inchiostro, l’altro con il sale di Hunt, il filo, gli aghi ecc. Pennini e inchiostro ne avevo ancora a disposizione per parecchio tempo. Parrebbe da quanto hai scritto nella tua cartolina del 14 (il solo scritto tuo che ho ricevuto negli ultimi 10 giorni) che una mia lettera non ti fosse arrivata: infatti a suo tempo ti scrissi che le rose di Gerico erano giunte, ma che da parecchi mesi ogni seminagione e coltivazione erano state proibite, e che l’aiola era stata distrutta. Forse avevi letto in fretta la lettera, o ti eri dimenticata di questo cenno, perché mi pare che tu non abbia mai accennato a mie lettere smarrite. – Gli sputi sanguigni mi sono passati dopo qualche giorno e cosí anche il catarro; non è stato nulla di grave. In questi giorni ha fatto molto freddo, con neve abbondante, ma non ho sofferto in modo notevole. Mi pare anzi di aver sopportato il tempo meglio di altri anni e anche meglio di qualche mese fa, quando tuttavia la temperatura era piú mite. Il medico mi aveva ordinato cloruro di calcio con adrenalina, come l’altra volta; io presi anche, a cucchiaini, circa la metà della bottiglietta di Sirolina che tu mi avevi mandato. La temperatura del corpo raggiunge qualche volta i 37 gradi e li supera di qualche linea, ma in generale è sui 36.8. Credo che dovrebbe essere piú bassa, cioè non oltre i 36.4, ma l’anormalità è dovuta ai disturbi intestinali che continuano, quantunque in forma attenuata. – Mi ha scritto mia madre, raccomandandomi di ringraziarti perché hai contribuito alla confezione del pacco che dovrebbe arrivarmi per Natale: sai che mammà ogni volta che mi scrive di te ti chiama «santa creatura»? Penso che, nonostante tutto, ciò non deve dispiacerti, a prescindere dal linguaggio religioso, perché mia madre è proprio una brava mamma; e del resto, tu meriti tutto il suo affetto come hai tutto il mio. Qualche volta forse ti sembrerà che io sia poco affettuoso con te, e che anzi mi compiaccia di essere stizzoso e agro: ti prego di credere che si tratta di un modo esteriore dei miei rapporti con i familiari, dovuto a tutta una abitudine del passato; si può dire che dai 13 anni in poi io ho vissuto isolato, mentre ero portato molto alla socievolezza e alla tenerezza; per sembrare forte, piú forte di ciò che non fosse compatibile con la mia età, mi feci un abito esterno di freddezza ecc. di cui non sono poi mai riuscito a liberarmi e forse neanche ad attenuare. – Non ho ricevuto il fascicolo di settembre-ottobre della «Riforma Sociale»; vuoi scrivere alla Libreria pregando di procurarmelo? – Ti ricordi della signora Malvina Sanna, alla quale, da parte mia, scrivesti due volte nel 29 e nel 30? Mi ha scritto una cartolina postale che però non mi è stata consegnata e che perciò non so cosa contenesse. Se ricordi il suo indirizzo (deve essere Corso Indipendenza, Milano, ma non so il numero) scrivile due righe ricordandole che questa volta il suo scritto, a differenza delle altre volte, non mi è stato consegnato, e che pertanto non posso rispondere a quanto ha scritto nemmeno per tuo mezzo. Forse a suo marito permettono di scrivere e di ricevere lettere anche da parenti lontani; a me questo non è permesso. È possibile che abbia scritto anche altre volte e che ritenga che io non risponda per cattiva volontà; ciò mi dispiacerebbe molto. – Carissima, ti abbraccio teneramente

Antonio


235.

28 dicembre 1931

Carissima Tania,

ho ricevuto la tua lettera del 23 dicembre, dove mi riferisci della tua corrispondenza con Carlo a proposito del vostro viaggio a Turi. Credo che tu abbia fatto male a insistere con Carlo per indurlo al viaggio: sarebbe troppo lungo e anche un po’ difficile e imbarazzante spiegarti tutti i perché di questa affermazione. Cosí è assurdo che tu venga a Turi proprio in questa brutta stagione. Se questa lettera ti giunge in tempo, ti prego proprio di cuore di interrompere ogni preparativo, di scrivere a Carlo per fargli smettere il proposito e di attendere un’altra occasione in cui il viaggio si possa fare con piú agio.

Hai fatto bene a rifare l’abbonamento al «Corriere della Sera». Della «Gazzetta del Popolo» è inutile occuparsi; abbonarsi a due giornali credo non si possa, o almeno credo sarebbe necessario fare una pratica presso il Ministero, cosa che non voglio fare, avendo ancora una pratica in pendenza. Del resto mi sono persuaso che abbonarsi a due giornali sarebbe perfettamente ozioso. Può darsi che la «Gazzetta del Popolo» sia migliorata, tutto è relativo: deve essere migliorata specialmente per ciò che riguarda la collaborazione letteraria e di varietà; ma dal punto di vista dell’attrezzatura giornalistica (servizi, informazioni ecc.) non è certo superiore al «Corriere», i cui difetti devono essere una malattia organica di tutto il giornalismo attuale. La nessuna organicità nelle informazioni, il parlare di avvenimenti riferendosi ad antecedenti che non sono stati dati, come se il lettore dovesse conoscerli (cioè il supporre che il lettore legga parecchi giornali o legga i giornali stranieri), il non commentare fatti di importanza primaria come la trasformazione della Banca Commerciale o la creazione del Credito Mobiliare, limitandosi a riprodurre i commenti e le informazioni dei giornali stranieri, non possono essere deficienze del solo «Corriere». Allora a che gioverebbe avere un altro giornale che sarebbe solo una copia peggiorata e scorretta del «Corriere»? Solo per leggere qualche articolo di terza pagina? Non varrebbe la pena.

Mi dispiace di non poter scrivere a mia madre. Essa mi aveva annunziato che per la vigilia di Natale avrei ricevuto un pacco per ferrovia, ma il pacco non è giunto neppure oggi, sebbene siamo già al 28. Ti dico che avevo già pensato che non sarebbe giunto a tempo, quando lessi che ci si erano messi d’impegno e volevano fare le cose in grande e avevano addirittura fissato che sarebbe giunto per la vigilia di Natale. Dovresti davvero conoscere come sono quei di casa mia: fanno sempre un mucchio di progetti, di ipotesi, di grandi preparativi e poi dimenticano qualche cosa di essenziale che fa fallire tutti i progetti ben costruiti. Ciò anche nelle piccole cose; se ne parla a lungo tanto tempo prima, in «idea» tutto viene analizzato, pesato, discusso come si trattasse di affari di stato, si domandano dei pareri, si consultano orari, cataloghi ecc. Quando io ero ragazzo mi divertivo a canzonare questo modo di fare e di operare e facevo arrabbiare tutti: finivo col litigare con tutti. Ti potrei raccontare delle storie molto amene. Mio padre e i miei fratelli credevano di avere grandi capacità commerciali, per gli affari; facevano sempre dei gran castelli in aria e criticavano la mancanza di spirito di iniziativa degli altri Sardi. Naturalmente non ne riusciva mai bene una delle loro iniziative e la colpa era sempre degli altri, come se questi «altri» non fossero esistiti anche prima e non avessero dovuto essere presi in considerazione prima di incominciare. Tuttavia mi dispiace di non poter scrivere di aver ricevuto il pacco per il giorno di Natale; se avessi saputo cosa c’era, avrei scritto di aver ricevuto e di aver molto gustato questo e quello, sicuro di renderli felicissimi, perché mi sarei rappresentato il quadro. Chissà la mamma come sarà disillusa quando saprà che il suo piano non è riuscito. Tanto piú che ti aveva pregato di rinunziare e di lasciar fare a lei per questa volta.

Carissima Tania, ti abbraccio teneramente

Antonio


236.

4 Gennaio 1932

Carissima mamma,

il tuo pacco natalizio è giunto solo per capo d’anno, ma l’importante è che sia giunto in buono stato e senza che nulla del contenuto sia andato a male. A dir il vero, io credevo sarebbe giunto anche piú tardi, date le tempeste che hanno infuriato sul Tirreno e che devono aver ritardato la navigazione tra la Sardegna e il continente; e poi mi pare che tu e gli altri abbiate avuto soverchia fiducia nei «treni che ora vanno in orario» pensando che un collo spedito il 19, sarebbe arrivato a Turi il 24; ci son voluti sette giorni in piú. Ringrazio dunque tutti quelli che hanno collaborato alla confezione del pacco, dai piú anziani fino a Diddi, i cui regalucci sono stati molto graditi e che metterò ogni sera sotto il cuscino per poter giocare quando non avrò sonno e non saprò come passare le lunghe notti. Non mi sono accorto che il pane non fosse ben lievitato, ciò che ha fatto disperare Teresina; mi è sembrato che fosse ottimo anche se duro come il macigno: dunque sono dispostissimo a credere che Teresina sia diventata una massaia perfetta, quantunque da ragazza non mi pare di ricordare che ne avesse molta tendenza. Chissà se ha imparato a cucinare il fricò e il fricandò! ho mangiato finora solo qualcosettina, perché soffro di viscere e devo essere molto regolato e prudente, ma piano piano consumerò tutto. Mi ha fatto maraviglia che alla Tanca Regia maturino i mandarini; chi coltiva la Tanca Regia? Gli ex combattenti? E i mandarini sono abbastanza buoni, a mio gusto. Tatiana mi ha scritto che forse in questi giorni verrà a Turi insieme con Carlo. Io non sono contento che Carlo spenda tanti quattrini per un viaggio cosí lungo: è stato qui in agosto e mi pare un’esagerazione fare un altro viaggio in gennaio. Se verranno, spedirò all’indirizzo di Teresina un collo di libri; vi sarà anche la scatola coi dodici pastelli che avevo promesso a Mea e che non ero riuscito mai a spedire. Spero che sarà contenta anche se si tratta di una cosettina da poco. Carissima mamma, ti faccio già da oggi gli auguri per la tua festa; le lettere arrivano sempre in ritardo e forse solo scrivendoti oggi farò a tempo a farti ricevere gli auguri per il 19. Spero che ti sia rimessa in salute e che vada sempre meglio per l’avvenire. Ti abbraccio teneramente.

Antonio

Ti prego di spedire a Tatiana l’altra metà del foglio.


237.

4 gennaio 1932

Carissima Tania,

ho ricevuto la tua lettera del 31 dicembre. Non mi accenni al tuo proposito di venire a Turi; spero che, seguendo il mio consiglio, rimanderai a un’altra volta e sia riuscita a distogliere Carlo. Nel dubbio che tu possa metterti in viaggio e che questa lettera non ti trovi a Roma, ti scrivo poche righe per dirti qualche cosa sulla quistione posta da Piero.

Credo che non si possa parlare di una trascrizione «scientifica» dei nomi russi in italiano. «Scientifico» in questo caso significherebbe una sola cosa: conformarsi alle regole, con le sue lettere e con tutti i segni diacritici connessi, stabilite dall’«Archivio Glottologico Italiano» per riprodurre i suoni delle diverse lingue e dialetti in modo uniforme non solo per gli scienziati italiani che per quelli degli altri paesi. Ma si tratta di un tale apparato, e cosí difficile per i profani, che una tale soluzione complicherebbe enormemente le cose. Si tratta dunque di trovare una trascrizione convenzionale che sia la piú comprensibile per il maggior numero di lettori. Nel passato il «Corriere della Sera» aveva un suo modo di trascrizione, che, data la diffusione del giornale, avrebbe potuto diventare popolare; ma oggi anche nel «Corriere» non c’è nessun metodo e quindi il riferimento non vale. Se l’iniziativa fosse una grande iniziativa e con caratteri di continuità, si potrebbe domandare all’editore di stabilire una regola di trascrizione e di «imporla». Altrimenti mi pare che il meglio sia adattarsi al modo di trascrizione della «Slavia» che ha il beneficio di essere il piú diffuso e conosciuto, anche se molto imperfetto (l’imperfezione maggiore è quella di adoperare lettere latine con altro suono da quello tradizionale). Se si volesse introdurre una nuova «convenzione» bisognerebbe tener conto della nota di Bruno Migliorini pubblicata nel numero speciale della «Cultura» dedicato a Dostoievski nel 1931. La difficoltà maggiore consiste nel fatto che l’alfabeto italiano è troppo povero di segni e che nell’ortografia italiana per lo stesso fenomeno si usano mezzi diversi. Il segno h che serve per il chi, che non serve invece per il gni, gne ecc. e non serve per il sci, sce a differenza del portoghese che scrive nh e dell’inglese che scrive sh. Cosí è del suono j francese; per riprodurre in ortografia italiana il suono j che esiste in sardo meridionale si è adoperato il x, ma con l’effetto che tutti pronunziano cs il j (come Simaxis, che viene pronunziato Simacsis e non Simajis). D’altronde la «Slavia» e altre case fanno un tale abuso di j italiane per trascrivere le i russe che fissare l’uso mi pare impossibile. – L’importante mi pare, dato che bisogna ricorrere a una convenzionalità, di prendere quella che ha già una tradizione e quindi una diffusione e un uso conosciuto.

Ti abbraccio affettuosamente

Antonio


238.

11 gennaio 1932

Carissima Tania,

lunedí scorso ho inviato la lettera direttamente a mia madre. Dovevo informarla dell’arrivo del pacco e inoltre non ero sicuro che tu, nei giorni in cui essa avrebbe dovuto giungere, ti fossi trovata a Roma, poiché le tue ultime lettere potevano lasciar prevedere che invece potevi trovarti a Turi o in viaggio. In questo frattempo ho ricevuto da te: una cartolina del 29 dicembre, una lettera del 31 e una lettera del 5 gennaio. Poiché mi scrivi che ti sono rincresciute alcune mie osservazioni o espressioni, cercherò di spiegarmi meglio e di giustificarmi, sebbene credo che tu non abbia pensato che io volessi procurarti qualsiasi dispiacere. Cosí non c’era irritazione alcuna da parte mia, o desiderio di pungerti, quando osservai, a proposito delle cosí dette «rose di Gerico», che forse avevi dimenticato una mia precedente lettera o l’avevi letta affrettatamente. Ciò capita anche a me. Siccome devo scrivere a giorno fisso ed entro un orario fisso, anche se proprio in quel momento non ne ho voglia o mi sento indisposto, mi capita di dimenticare, proprio allora che occorrerebbe ricordare, delle cose che prima avevo pensato di scrivere ecc. Anzi ti prego sempre di tener conto di questo fatto: che appunto scrivo a orario fisso e talvolta devo accelerare la scrittura a rotta di collo per finire in tempo; tutto ciò determina uno speciale stato di nervosismo che si riflette nelle lettere e nella loro forma frettolosa e incoerente. – Cosí a proposito delle ultime sopracalze che mi hai mandato. In realtà io le ho appena viste e non le ho neppure prese in mano quando arrivarono. Devi tener presente che in cella si può tenere pochissima roba, il puro necessario. Quando giunge qualche pacco o pacchetto, si è chiamati per assistere all’apertura e per controllare che tutto sia in ordine. Si porta via qualche cosa con sé, se si dimostra di averne bisogno immediatamente; la regola è che si riporta il «vecchio» e si prende il nuovo. Perciò mi capita qualche volta di «scoprire» nel magazzino degli oggetti che mi ero dimenticato di possedere ecc. (certo devo avere del cioccolato di un anno fa almeno, perché ne mangio pochissimo e mi dimentico di riprenderne dopo aver consumato la «razione» ricevuta, ecc.). Avendo dunque appena visto le sopracalze ti scrissi che mi sembravano di «traliccio»; perché? Le sopracalze servono non solo per proteggere le calze dall’attrito con le scarpe, ma anche per proteggere la pelle dall’umidità, poiché le scarpe, anche se nuove, sono mal confezionate e l’acqua filtra dalla suola e dalle cuciture. Ecco allora che io mi ricordavo (mi era rimasto impresso) solo del fatto che questo nuovo tipo di sopracalze, se erano buone contro l’attrito non lo erano contro l’umidità, per il tessuto largo, non compatto, che io espressi con la parola traliccio. Le precedenti sopracalze invece riunivano le due qualità e perciò ti scrissi di preferirle. Forse avrei dovuto spiegarti già allora tutti questi particolari: un’altra volta cercherò di essere piú diligente e motiverò accuratamente tutte le mie affermazioni; dovrò essere lungo perché non conosco i titoli merceologici e perciò dovrò ricorrere a perifrasi ecc. – L’ultima tua lettera, quella del 5, è quasi completamente dedicata alla quistione del viaggio di Carlo. Tu scrivi: «Non so spiegarmi da che cosa tu abbia potuto pensare che io avessi insistito presso Carlo per indurlo a fare il viaggio a Turi. Niente di simile! ecc.» La mia osservazione, anche in questo caso, non aveva nessuna intenzione di rimprovero e non meritava nessuna reazione e giustificazione da parte tua: essa era collegata a questa informazione contenuta nella tua lettera del 23 dicembre e che ti trascrivo: «ho ricevuto stasera una lettera da Carlo, in cui egli scrive che dato che il doppio stipendio che deve prendere all’occasione delle feste, non lo potrà avere prima del 31, egli potrebbe farti la visita verso il 9 o il 10 gennaio, perché non può assentarsi proprio i primi giorni del mese, dato che non ci sarà chi potrebbe supplirlo. Io gli ho risposto che potrei prestargli i denari necessari per il viaggio ecc., affinché egli possa approfittare dell’occasione della licenza per le feste natalizie e del capo d’anno per partire e non essere costretto a chiedere una licenza estra». Mi riferivo a questo fatto e credo che si potesse parlare di un tuo insistere o sollecitare per il viaggio di Carlo, perché la tua offerta di un prestito può ben dirsi un insistere o sollecitare. Il tuo «Niente di simile!» è troppo veemente e ingiustificato. – Mi riferisci le impressioni di Carlo dopo il suo viaggio a Turi nell’agosto scorso; non voglio discutere le impressioni e le illazioni relative. In ogni modo ci sono stati dei fatti nuovi. Quando Carlo venne a trovarmi, gli parlai molto francamente sul suo modo di comportarsi nella corrispondenza con me. Gli dissi che quando non si risponde alle mie lettere, io posso anche essere autorizzato a pensare che in realtà, sotto le apparenze, convenzionali talvolta, dell’affetto e della cortesia, si nasconda la sostanza, piú o meno esplicita e anche piú o meno consapevole, della volontà di trovare un modo per rompere una relazione che può essere (ed è senz’altro) un peso. Perciò, alle sue proteste ecc., risposi che se ancora, dopo questa franca chiarificazione, egli avrebbe interrotto senza una ragione, la sua corrispondenza, io ne avrei tratto le necessarie conseguenze. Ciò che appunto ho fatto. Quando tu scrivi: «Che egli non ti scriva non significa nulla in un determinato senso», poiché non conoscevi questo episodio, sottolinei senza saperlo un determinato senso. Del resto non voglio insistere su questo argomento. Solo ti prego cordialmente di non fare nessun atto che possa sollecitare Carlo a venire a Turi, anzi di fare tutto il contrario, di fargli sapere che un tale viaggio lo ritengo inutile e fuori luogo.

Ho esaurito questi argomenti piú o meno litigiosi e non ho piú voglia di scrivere.

Ti abbraccio teneramente

Antonio

Anche questa volta stavo per dimenticare qualcosa. Tempo fa, ti pregai di mandarmi qualche informazione sulle operazioni per il colon discendente e sui progressi fatti dalla chirurgia in proposito. Allora tu eri ammalata e mi dimenticai di ripresentarti la domanda quando saresti stata in grado di rispondermi. Ti ripeto alcune circostanze: l’ammalato che vorrebbe sottoporsi all’operazione è in uno stato abbastanza grave. Ha avuto le scrofole, l’intestino gli ha procurato una psoriasi che in certe circostanze ricopre di espulsioni e di croste due terzi della pelle del corpo ed ha una sifilide ereditaria sia pure non grave. Tuttavia è molto «volontario» ed ha una «vitalità» notevole.


239.

18 gennaio 1932

Carissima Tania,

ho ricevuto la tua cartolina del 9 e la lettera del 12, Avrai ricevuto a quest’ora la mia lettera di lunedí scorso e anche quella del 4 che Teresina mi ha scritto di averti inviato subito. – Sono contento che abbia cambiato di casa, se ciò ti può rendere meno affliggente la piccola vita quotidiana. Il vecchio Isacco era già qualche anno fa un uomo completamente demoralizzato, un vero «cadavere vivente», ma senza che ne avesse coscienza, anzi, con delle pretese e delle vanità che facevano piú stomachevole il tanfo cadaverico: penso che dopo la morte della signorina Lidia debba essere diventato ancor piú insopportabile, ancor piú «mort qui saisit le vif». Ti ricordi di ciò che ti dissi nel 24, poco dopo che ci eravamo conosciuti? Una volta Genia mi raccontò che tu avevi creduto si fosse trattato di una mia invenzione, non molto spiritosa invero; ma non era per nulla una invenzione, era la verità, forse attenuata e addolcita, se ben ricordo. Perché poi avrei dovuto inventare una cosa cosí turpe? – Del resto, dopo aver appena parlato con lui, ebbi subito l’impressione del carattere dell’uomo, che non era da prendere sul serio e da considerare come alcunché di consistente. Devo dire anche che per un po’ di tempo l’impressione avuta dal padre si estese meccanicamente sul figlio, e fu ingiustizia, come ebbi occasione di accorgermi quasi subito. Credo che Valentino tra breve debba ritornare a casa: forse ricorderai che egli ha una certa quantità di miei libri che mi dispiacerebbe di perdere, anche perché non so esattamente di quali libri si tratti, sebbene egli me ne abbia parlato a Roma. Te ne potrai occupare a suo tempo? – In tutto questo tempo non ho avuto nessun malessere acuto o semiacuto. Anzi, relativamente, mi pare di vivere abbastanza bene. È vero che sono sempre svogliato, ora molto nervoso, ora invece in preda allo snervamento e all’apatia; ma credo che questo stato di semiebetimento sia una forma di difesa dell’organismo psicopsichico contro il logorio permanente che si subisce in carcere a causa di tutte le piccole cose e i piccoli fastidi. Si finisce per diventare micromani (e forse io lo sono già diventato piú di quanto io stesso creda) a sentirsi limare continuamente i nervi da tante piccolezze e piccoli pensieri e piccole preoccupazioni. D’altronde vedi ciò che avviene: – Prometeo in lotta con tutti gli dei dell’Olimpo ci appare un tragico titano; Gulliver legato dai lillipuziani ci fa ridere. Se Prometeo invece di avere il fegato quotidianamente divorato dall’aquila, fosse stato rosicchiato dalle formiche, avrebbe fatto ridere anche lui. Giove non è stato molto intelligente al tempo suo: la tecnica per disfarsi degli avversari non si era ancora molto sviluppata. Un novelliere moderno (non mi ricordo, ma mi pare sia Guelfo Civinini) immagina che un marito, per rovinare un bellimbusto di cui la moglie incomincia a infiammarsi, lo rinchiuda per una notte in una capanna abbandonata, infestata di pulci affamate: si immagina il bocchino della signora allo spettacolo dello spasimante crivellato di poco simpatiche punture pulcesche! – Carissima, ti abbraccio teneramente.

Antonio

Ho letto, nel giornale, delle truffe commesse da usciti del carcere ai danni delle famiglie di persone ancora carcerate. Non ricordo di averti mai avvertito in proposito e non credo inutile farlo, conoscendo il tuo buon cuore e l’inclinazione tua a non sospettare dell’altrui scelleratezza.


240.

18 gennaio 1932

Carissima Teresina,

ho ricevuto la tua lettera del 14, con la lettera di Franco, i suoi disegni a colori e la letterina di Diddi e Mima. Ringrazio tutti i tuoi bambini e non so proprio immaginare che cosa possa fare per dimostrare il mio affetto per loro. Ci penserò e vedrò di inventare qualche cosa che venga da me per loro, perché altrimenti non ci sarebbe gusto e non avrebbe nessun significato. Forse farò cosí. Ho tradotto dal tedesco, per esercizio, una serie di novelline popolari proprio come quelle che ci piacevano tanto quando eravamo bambini e che anzi in parte rassomigliano loro, perché l’origine è la stessa. Sono un po’ all’antica, alla paesana, ma la vita moderna, con la radio, l’aeroplano, il cine parlato, Carnera ecc. non è ancora penetrata abbastanza a Ghilarza perché il gusto dei bambini d’ora sia molto diverso dal nostro d’allora. Vedrò di ricopiarle in un quaderno e di spedirtele, se mi sarà permesso, come un mio contributo allo sviluppo della fantasia dei piccoli. Forse il lettore dovrà metterci un pizzico di ironia e di compatimento nel presentarle agli ascoltatori, come omaggio alla modernità. Ma questa come si presenta? Ci saranno i capelli alla garçonne immagino, e si canterà su «Valencia» e sulle mantiglie delle donne madrilene, ma ancora sussisteranno tipi all’antica come tia Alene e Corroncu e le novelline avranno ancora un ambiente adatto. Del resto, non so se ricordi: io dicevo sempre, da bambino, che avrei desiderato di vedere tia Alene in bicicletta, ciò che dimostra che ci divertivamo a mettere in contrasto i trogloditi con la modernità relativa d’allora, ciò pur essendo già piú oltre del nostro ambiente, questo non cessava d’esserci simpatico e di destare sensazioni piacevoli in noi. – Mandami ancora delle notizie della mamma che abbraccerai tanto insieme con tutti di casa.

Antonio