9 Lettere 241 – 270

241.

25 gennaio 1932

Carissima Tania,

ho ricevuto la tua cartolina del 20 gennaio. Ti ringrazio per gli auguri che mi hai fatto per l’onomastico prima e ora per il compleanno: questo anno non ti sono giunti i miei auguri per il 12 gennaio perché inviai a casa la lettera scritta verso i primi giorni dell’anno e perché la lettera successiva non sarebbe giunta piú in tempo; avrei potuto accennartene lo stesso, ma in verità me ne sono dimenticato all’ultimo momento, all’atto di scrivere.

Non credo che la libreria abbia tenuto conto degli avvertimenti che ti avevo pregato di comunicarle. Ho visto che sono giunte ancora alcune riviste estere del nuovo anno, mentre avevo scritto di disdire l’abbonamento. La risposta del Ministero non è ancora giunta e mi pare che ormai ci sia da sperar poco in un accoglimento dell’istanza. È avvenuto anche questo fatto nuovo: mi sono giunti direttamente dall’amministrazione della rivista i primi due numeri della «Critica Fascista», ciò che fa credere che la libreria abbia, quest’anno, rinnovato gli abbonamenti dando il mio indirizzo direttamente e non seguendo le modalità degli anni precedenti. È stata forse dimenticata la ragione per cui queste modalità erano state stabilite; nei primi tempi, quando ero ancora a Milano, gli abbonamenti diretti, per una ragione o per l’altra, non funzionavano, nel senso che andava perduto o disperso circa il 30% del materiale. In seguito a questi inconvenienti fu ritenuto migliore di centralizzare gli arrivi nella libreria che poi mi spediva le riviste in pieghi raccomandati; certo il servizio costava di piú, ma il materiale giungeva. Ciò era meglio anche per il fatto che io non posso scrivere alle diverse amministrazioni per reclamare i fascicoli perduti ecc. Ti prego di scrivere al direttore della Libreria domandando chiarimenti e spiegando questi motivi. – Cosí non ho ricevuto il fascicolo ottobre-novembre 1931 della «Riforma Sociale» che ti avevo pregato di domandare perché non giunto a suo tempo. Poiché scrivi, domanda anche che mi siano spediti i seguenti libri: 1° Almanacco letterario Bompiani per il 1932 – 2° R. Morandi – Storia della grande industria in Italia – Ed. Laterza – Bari – 3° B. Croce – La Rivoluzione del 1848. – Il compimento del moto liberale-nazionale e la crisi del 1870 – Laterza, Bari – 4° B. Croce – Punti di orientamento della filosofia moderna: Antistoricismo – Laterza – Bari – 5° Harold J. Laski – La libertà nello Stato moderno – Laterza, Bari – 6° Emilio Zanella – Dalla barbarie alla civiltà nel Polesine – Ediz. dei «Problemi del Lavoro», Milano – 7° Silvio Benco – Il «Piccolo» di Trieste – Ed. Treves-Treccani-Tumminelli. – Ti prego di scrivere questa lettera con molta chiarezza. Ti riepilogo i punti: 1° Ricordare che devono essere disdetti gli abbonamenti alle riviste estere. – 2° Avvertire che non mi siano mandati libri in lingua non italiana, a meno che io stesso non li abbia domandati. – 3° Domandare chiarimenti sulle modalità degli abbonamenti per quest’anno, pregando che si continui come negli anni passati, unico modo, dato il funzionamento del servizio postale, di ricevere realmente le riviste e di non essere abbonati che di nome. – 4° Insistere per il fascicolo della «Riforma Sociale» dell’ottobre-novembre 1931. – 5° Mandare la lista dei nuovi libri domandati. – Per ciò che riguarda il servizio postale puoi ricordare il fatto che le riviste bibliografiche tedesche che la Libreria mi inviava fuori piego, con la posta ordinaria, mi arrivavano saltuariamente, nella proporzione forse del 30% se non meno. Sai che questo affare delle riviste mi sta molto a cuore. In questo ultimo tempo le mie possibilità di lettura sono sempre piú andate restringendosi; ho sempre paura che per una disorganizzazione qualunque anche ciò che mi resta disponibile vada in malora e la mia vita si immeschinisca ancora di piú. – Nella tua cartolina a un certo punto scrivi: «Potevo io, in realtà, dopo la tua penultima, mettermi senz’altro in viaggio per Turi? Certo per me ed anche per te naturalmente avrei dovuto farlo, ma in tal caso partire sola, senza aver risolto la quistione con Carlo, non seppi farlo, perché credevo che Carlo avrebbe reagito in qualche modo e sono rimasta!» Non capisco per quale associazione di idee tu abbia scritto cosí; pare che tu ti scusi di non essere partita per Turi dopo la mia penultima lettera. Hai fatto benissimo a non partire ed io stesso ciò ti raccomandavo. Probabilmente in questa «penultima lettera» io accennavo al fatto che ti sospettai in viaggio mentre scrivevo, ma ciò perché tu mi avevi scritto quasi perentoriamente che saresti assolutamente venuta ecc. e io non ero sicuro che la lettera ti avrebbe trovato a Roma; ma in questo caso, che poi fu il caso reale, ti raccomandavo di non farne nulla e di non insistere presso Carlo. Qualche volta, nelle tue lettere, tu ti abbandoni al flusso di pensieri che non si sono fissati ancora nella tua coscienza (almeno mentre scrivi) e ciò dà una certa nebulosità alle tue lettere. Sarebbe bene scrivere le cose già ben fissate dallo stato vaporoso e non fissarle (in ogni caso) senza prima averle discusse con me, quando mi riguardano da vicino. Tu non hai ancora capito bene quale sia la reale psicologia di un carcerato. Ciò che piú fa soffrire è lo stato di incertezza, l’indeterminazione di ciò che deve avvenire da parte delle persone che non sono gli agenti di custodia, perché si aggiunge (ma con una ben diversa portata) allo stato di incertezza e di indeterminazione che è propria dell’essere carcerati. Ci si abitua dopo molta sofferenza e dopo molti sforzi di inibizione a essere un oggetto senza volontà e senza soggettività nei confronti della macchina amministrativa che in ogni momento ti può spedire a destra e a mancina, farti cambiare abitudini radicate ecc. ecc.; se a questa macchina e ai suoi sussulti irrazionali si aggiunge anche l’attività irrazionale e caotica dei propri familiari, il carcerato si sente addirittura schiacciato e stritolato. Non bisogna mai fare progetti e promesse vaghe e nebulose, non bisogna limare i nervi, altrimenti avviene anche a me, che pure sono molto paziente e capace di ogni inibizione, di irrigidirmi nell’affermazione della «mia propria volontà» e di farla contare anche se non ne vale la pena, per dimostrare a me stesso di essere ancora vivo.

Ti abbraccio teneramente.

Antonio


242.

1° febbraio 1932

Carissima mamma,

ho ricevuto la lettera di Grazietta del 15 gennaio. Le notizie che mi manda non sono troppo abbondanti e precise, ma almeno mi assicurano che nelle condizioni generali della tua salute non c’è nessuna novità spiacevole. Non so come sia organizzata la scuola di avviamento a Ghilarza e quali siano esattamente le materie di studio per tutto il corso. Ho letto nel «Corriere della Sera» la discussione svoltasi in parlamento a proposito di questo tipo di scuola, ma gli argomenti trattati erano troppo generici e vaghi per farsi delle idee precise. La sola cosa importante che se ne poteva ricavare era che la scuola d’avviamento non è fine a se stessa, ma lascia la possibilità di una ulteriore carriera scolastica; quindi anche per Mea l’ultima parola non è detta e questi anni non saranno completamente perduti. Ciò che mi pare essenziale nel caso suo e che deve servire a voi tutti nella condotta da seguire nei suoi confronti, è la necessità di farle sentire che dipende da lei e dalla sua volontà se saprà impiegare questo tempo per studiare per conto suo, oltre che i programmi della scuola, per essere in grado, se le condizioni mutano, di fare un balzo in avanti e intraprendere una carriera scolastica piú brillante. Tutto sta che ella abbia della buona volontà e dell’ambizione, nel senso nobile della parola. Del resto, non crollerà il mondo se ella finirà la sua vita a Ghilarza, facendo la calza, per non aver voluto tentare di riuscire a fare qualcosa di meglio e di piú brillante. Non so se ella è iscritta fra le giovani italiane. Penso di sí, quantunque non me ne avete mai scritto, e immagino che per queste cose di parata ella abbia dell’ambizione. Cosí seguirà la sorte delle altre giovani italiane, quella di diventare delle buone madri di famiglia, come si dice, dato che trovino l’imbecille che le sposi, ciò che non è sicuro, perché gli imbecilli vogliono come mogli delle galline, ma galline con contorno di terre al sole e di risparmi alla posta.

Ringrazia il figlio di zia Maria Domenica del suo ricordo e dei suoi saluti.

Ti abbraccio affettuosamente.

Antonio


243.

1 febbraio 1932

Carissima Tania,

ho ricevuto la tua lettera del 28 gennaio. Ti ringrazio delle informazioni sull’operazione chirurgica; esse mi sono state sufficienti ed erano conformi allo scopo per cui servivano. – Non so se hai già scritto la lettera alla Libreria, di cui ti ho pregato nella mia ultima. Se non hai ancora scritto, tieni conto di una variazione, questa: che ho ricevuto l’Almanacco letterario Bompiani e che pertanto esso deve essere tolto dalla lista dei libri. Gli altri punti sono ancora d’attualità.

Ti abbraccio teneramente

Antonio


244.

8 febbraio 1932

Carissima Tania,

ho ricevuto la tua raccomandata del 2, con le lettere di Giulia. Risponderò a Giulia lunedí prossimo. Spero di ricevere nel frattempo la tua traduzione della lettera di Delio; a questo proposito vorrei avvertirti di mettere, tra parentesi, il nome russo degli uccellini e dei pesciolini di cui egli parla, perché non avvenga per le mie lettere ciò che è avvenuto per la lettera di Delio, che cioè Giulia non sappia ritradurre i termini italiani. Non è escluso anche che si tratti di varietà locali con nome intraducibile in altre lingue; perciò non scervellarti troppo coi dizionari e accontentati, quando la trovi, dell’indicazione generica di specie; l’importante è di non confondere gli ordini di grandezza, parlare, cioè, di uno scricciolo come se fosse un’aquila e viceversa. Sono ansioso di leggere la lettera di Delio: riuscirò a intavolare una corrispondenza seguita, a introdurmi tra gli interessi concreti e vivi della sua esistenza?

Ho letto con interesse il brano di Piero sulla nostra un po’ sconnessa e poco amabile discussione sui cosí detti «Due Mondi» (mi fa ricordare l’Eroe dei Due Mondi e avvicinamenti simili del periodo romantico ottocentesco: anche la «Rivista dei Due Mondi» fu fondata nel 1830!). Poiché risulta che gli hai mostrato le mie lettere e quindi lo hai informato dei termini generali della nostra controversia, ti sarò grato se mi comunicherai la sua opinione in proposito. Non credo che egli sia d’accordo né coi vecchi rabbini né coi giovani sionisti, ma sembrerebbe che accetti l’esistenza, almeno in certi limiti, dei famosi «Due Mondi». Le sue osservazioni, quantunque obbiettivamente interessanti, non mi paiono esatte completamente. Non credo che sia giustificata l’illazione che ci sia «evidentemente» la tendenza a «fare di nuovo degli ebrei una comunità isolata»; questa tendenza pare sia piuttosto quella «soggettiva» dei vecchi rabbini e dei giovani sionisti. Obbiettivamente gli ebrei, in seguito al concordato, vengono a trovarsi nelle condizioni dei protestanti, ma esiste o esisterà una categoria sociale che si troverà in una condizione ben triste, a paragone degli ebrei e dei protestanti, e sarà (o è già) quella dei preti spretati e dei frati sfratati, i quali perciò saranno esclusi dagli impieghi statali, cioè saranno degradati come cittadini: che sia stato possibile istituire giuridicamente una tale categoria di paria civili, mi pare ben piú importante che non la situazione giuridica degli ebrei e dei protestanti, ai quali sono date delle prerogative giuridiche tutt’altro che degradanti, nello spirito della legge. Io non escludo che una tendenza antisemita possa ancora nascere; non vedo che esista oggi. Gli indizi in contrario possono essere spiegati con altre ragioni e d’altronde sono equilibrati da altri fatti non meno significativi. Ma il fatto che secondo me è importante è questo: che una parte degli ebrei approva determinate misure contro altri ebrei. Il prof. Levi-Civita dell’Università di Roma ha avuto dei dispiaceri perché non frequentava le solennità religiose ufficiali, ma i dispiaceri gli sono stati procurati dal rettore Del Vecchio, anch’egli ebreo: si trattava dunque non di quistione di razza, ma di quistione politica: un membro della classe dominante deve rendere omaggio al cattolicismo «instrumentum regni», non importa quale fede egli abbia. Cosí non è conclusivo l’indizio preso dall’Accademia o dal Parlamento: ne sono fuori e ne rimarranno fuori scienziati di fama mondiale non ebrei. La posizione assunta da Teodoro Mayer nel Credito Mobiliare mi pare sia anch’essa significativa. Io credo che in molti casi non sia l’ebraismo che conti, ma l’ebraismo-massoneria, cioè il fatto che la massoneria era certamente un’istituzione in cui erano molti ebrei. Carissima, ti abbraccio teneramente.

Antonio


245.

15 febbraio 1932

Carissima Tania,

ho ricevuto una tua cartolina del 12, ma non ho invece ricevuto l’altra cartolina alla quale accenni. Non scrivo neanche questa settimana a Giulia, per parecchie ragioni: perché mi sento poco bene e non riesco a concentrare come vorrei il corso dei miei pensieri e perché non riesco a trovare l’atteggiamento piú opportuno e piú proficuo nei confronti della sua posizione e del suo stato psicologico. Tutto ciò mi pare terribilmente difficile e complicato; cerco il bandolo della matassa, ma non so trovarlo e non sono sicuro di trovarlo. Voglio un po’ discorrere con te di queste cose, perché cerchi di aiutarmi. È vero che dovrei scriverti un intero volume per raccogliere tutti gli elementi (ricavati, però, solo dalle mie impressioni e dalle mie esperienze che non possono essere che parziali), necessari ma si farà ciò che si potrà. La mia impressione centrale è questa: che il sintomo piú grave delle condizioni di squilibrio psichico di Giulia non sono i fatti, molto vaghi, ai quali ella si riferisce e che sarebbero la ragione per la cura psicanalitica, quanto il fatto che ella sia ricorsa a questa cura e abbia tanta fiducia in essa. Non ho certo vaste e precise conoscenze sulla psicanalisi, ma da quel poco che ho studiato mi pare di poter concludere almeno su alcuni punti che possono essere ritenuti saldamente acquisiti dalla teoria psicanalitica, dopo averla sfrondata di tutti gli elementi fantasmagorici e anche stregoneschi. Il punto piú importante mi pare questo: che la cura psicanalitica possa essere giovevole solo per quella parte di elementi sociali che la letteratura romantica chiamava «umiliati e offesi» e che sono molto piú numerosi e vari di quanto non appaiano tradizionalmente. Cioè di quelle persone che prese nei ferrei contrasti della vita moderna (per parlare solo di attualità, ma ogni tempo ha avuto una modernità in opposizione a un passato) non riescono con mezzi proprii a farsi una ragione dei contrasti stessi e quindi a superarli raggiungendo una nuova serenità e tranquillità morale, cioè un equilibrio tra gli impulsi della volontà e le mete da raggiungere. La situazione diventa drammatica in determinati momenti storici e in determinati ambienti, quando cioè l’ambiente è surriscaldato fino a una tensione estrema, quando vengono scatenate forze collettive gigantesche che premono sui singoli individui fino allo spasimo per ottenerne il massimo rendimento di impulso volitivo per la creazione. Queste situazioni diventano disastrose per i temperamenti molto sensibili e affinati, mentre sono necessarie e indispensabili per gli elementi sociali arretrati, per esempio i contadini, i cui nervi robusti possono tendersi e vibrare a un piú alto diapason senza logorarsi. Forse ti ho raccontato qualche volta lo stupore provato al Sanatorio di Serebriani Bor, dove conobbi Genia e Giulia, allo spettacolo di ammalati che giungevano in condizioni di estremo deperimento e che dopo 3-4 mesi di un nutrimento mediocre, ma superiore al livello normale della loro esistenza, e di riposo, aumentavano di 16-18 chili di peso, rifiorivano, ridiventavano capaci di una nuova alta tensione vitale. Ma queste persone non avevano in sé neanche un briciolo di fanatismo romantico, o almeno di una certa specie di fanatismo romantico: erano moralmente sani ed equilibrati, non si creavano problemi insolubili per poi disperarsi di non poterli risolvere e quindi disperare di se stessi e delle proprie forze, credersi inetti, abulici, senza personalità, insomma «sputarsi addosso» come si dice in Italia. Giulia appunto, mi pare, soffre di «problemi insolubili», irreali, combatte contro fantasmi suscitati dalla sua fantasia disordinata e febbrile, e siccome, come è naturale, non può risolvere da sé ciò che non ha soluzione possibile per nessuno, ha bisogno di appoggiarsi ad una autorità esterna, ad uno stregone o a un medico psicanalitico. Io credo, dunque, che una persona di cultura (nel senso tedesco di questa parola), un elemento attivo della società, come è certamente Giulia e non solo per ragioni ufficiali, perché nella sua borsetta ha una tessera che la suppone socialmente attiva, debba essere e sia il solo e migliore medico psicanalitico di se stesso. Cosa significa, per esempio, ciò che ella scrive, che cioè deve studiare ecc. Ognuno deve, sempre, studiare e migliorare se stesso teoricamente e professionalmente, come esplicatore di una attività produttiva; perché credere che questo sia un problema personale, un indice della propria inferiorità? Ognuno elabora e sgomitola ogni giorno la propria personalità e il proprio carattere, lotta con istinti, impulsi, tendenze deteriori e antisociali e si conforma a un sempre superiore livello di vita collettivo. Non c’è in ciò nulla di eccezionale, di individualmente tragico. Ognuno impara dai suoi prossimi e affini, cede e acquista, perde e guadagna, dimentica e accumula nozioni, tratti e abitudini. Giulia scrive che oggi non si difenderebbe piú contro un mio possibile influsso intellettuale e morale e perciò si sente piú unita. Ma io non credo che anche nel passato si sia difesa nella misura e nel modo drammatico che ella crede. E, d’altronde, forse che io non mi sono difeso dal suo influsso e nello stesso tempo non ho acquistato e modificato me stesso a contatto con la sua personalità? Io non ho mai teorizzato e non mi sono angustiato di questo processo in me stesso, ma non perciò il processo non si è verificato a mio vantaggio. – Cara Tania, ho finito di divagare. In ogni modo credo di averti dato qualche elemento per scrivermi e aiutarmi a trovare un bandolo. Se ti pare opportuno, puoi mandare questa lettera a Giulia; forse può essere una prima risposta, in questa forma indiretta. Ho ricevuto poco fa la tua lettera del 12, con la traduzione della lettera di Delio. Risponderò lunedí prossimo. La lettera mi piace.

Ti abbraccio.

Antonio


246.

22 febbraio 1932

Carissima Tania,

ho ricevuto le tue due lettere del 12 e del 16 febbraio. Rispondo anche a Delio, come vedi. Forse mi sono dilungato troppo: occorrerà che mi faccia uno stile per scrivergli in modo da non stancarlo. – Poiché la «Critica Fascista» che ho continuato a ricevere direttamente da Roma non è stata spedita per conto della Libreria, occorrerà che la faccia respingere. Infatti, ho ricevuto anche l’esemplare dalla Libreria con le altre riviste. Chissà come è avvenuta questa spedizione: forse qualche redattore della «Critica Fascista» fa parte della Segreteria del Capo del Governo e avendo visto la mia istanza, ha pensato di farmi mandare la rivista, dato che domandavo di poter fare l’abbonamento. – Ciò che mi scrivi sul mio schema per il canto di Farinata, mi ha fatto ricordare che infatti posso averne parlato con qualcuno negli anni passati. Ricordo ora che la prima volta pensai a quella interpretazione leggendo il ponderoso lavoro di Isidoro Del Lungo sulla Cronaca fiorentina di Dino Compagni, dove il Del Lungo per la prima volta fissò la data della morte di Guido Cavalcanti. Piú recentemente e da altro punto di vita, ripensai a quello spunto, leggendo il libro del Croce sulla Poesia di Dante, dove l’episodio di Cavalcante è accennato in modo da far capire che non si tiene conto del «contrappunto» di Farinata. Ricordo anche che il Calosso ha scritto uno studio sul canto decimo dell’Inferno, pubblicato nel «Giornale dantesco», ma non ricordo piú il suo contenuto; mi pare però di poter escludere che vi si accennasse allo spunto da me accennato. Mi accorgo però di aver dimenticato parecchie cose, che la tua lettera mi ha richiamato alla memoria. Del resto la cosa ha ben poca importanza, perché non ho mai pensato di diventare un «dantista» e di fare delle grandi scoperte ermeneutiche in questo campo. Però ciò mi serve come controllo: è evidente che non devo troppo fidarmi della memoria, nella quale si sono manifestate tante lacune. Per ciò che riguarda le noterelle che ho scritto sugli intellettuali italiani, non so proprio da che parte incominciare: esse sono sparse in una serie di quaderni, mescolate con altre note varie e dovrei prima raccoglierle tutte insieme per ordinarle. Questo lavoro mi pesa molto, perché ho troppo spesso delle emicranie che non mi permettono la concentrazione necessaria: anche praticamente la cosa è molto faticosa per il modo e le restrizioni in cui occorre lavorare. Se puoi, mandami dei quaderni, ma non come quelli che mi hai mandato qualche tempo fa, che sono incomodi e troppo grandi: dovresti scegliere dei quaderni di formato normale, come quelli scolastici, e di non molte pagine, al massimo 40-50, in modo che necessariamente non si trasformino in zibaldoni miscellanei sempre piú farraginosi. Vorrei avere questi piccoli quaderni appunto per riordinare queste note, dividendole per argomento e cosí sistemandole; ciò mi farà passare il tempo e mi sarà utile personalmente per raggiungere un certo ordine intellettuale. – In quest’ultimo tempo ho avuto forti dolori viscerali, ma non si è manifestato piú alcun gonfiore, né ho avuto sbalzi di temperatura. Qui ha nevicato molto (40 cm.) e ha fatto molto freddo, ma, nonostante tutto, me la sono cavata abbastanza bene come sofferenze. Ti abbraccio teneramente.

Antonio


247.

22 febbraio 1932

Caro Delio,

mi è piaciuto il tuo angoletto vivente coi fringuelli e i pesciolini. Se i fringuelli scappano talvolta dalla gabbietta, non bisogna afferrarli per le ali o per le gambe, che sono delicate e possono rompersi o slogarsi; occorre prenderli a pugno pieno per tutto il corpo, senza stringere. Io da ragazzo ho allevato molti uccelli e anche altri animali: falchi, barbagianni, cuculi, gazze, cornacchie, cardellini, canarini, fringuelli, allodole ecc.; ho allevato una serpicina, una donnola, dei ricci, delle tartarughe. Ecco come ho visto i ricci fare la raccolta delle mele. Una sera d’autunno quando era già buio, ma splendeva luminosa la luna, sono andato con un altro ragazzo, mio amico, in un campo pieno di alberi da frutto, specialmente di meli. Ci siamo nascosti in un cespuglio, contro vento. Ecco, a un tratto, sbucano i ricci, cinque, due piú grossi e tre piccolini. In fila indiana si sono avviati verso i meli, hanno girellato tra l’erba e poi si sono messi al lavoro: aiutandosi coi musetti e con le gambette, facevano ruzzolare le mele, che il vento aveva staccato dagli alberi, e le raccoglievano insieme in uno spiazzetto, ben bene vicine una all’altra. Ma le mele giacenti per terra si vede che non bastavano; il riccio piú grande, col muso per aria, si guardò attorno, scelse un albero molto curvo e si arrampicò, seguito da sua moglie. Si posarono su un ramo carico e incominciarono a dondolarsi, ritmicamente; i loro movimenti si comunicarono al ramo, che oscillò sempre piú spesso, con scosse brusche e molte altre mele caddero per terra. Radunate anche queste vicino alle altre, tutti i ricci, grandi e piccoli, si arrotolarono, con gli aculei irti, e si sdraiarono sui frutti, che rimanevano infilzati: chi aveva poche mele infilzate (i riccetti), ma il padre e la madre erano riusciti a infilzare sette o otto mele per ciascuno. Mentre stavano ritornando alla loro tana, noi uscimmo dal nascondiglio, prendemmo i ricci in un sacchetto e ce li portammo a casa. Io ebbi il padre e due riccetti e li tenni molti mesi, liberi, nel cortile; essi davano la caccia a tutti gli animaletti, blatte, maggiolini ecc. e mangiavano frutta e foglie d’insalata. Le foglie fresche piacevano loro molto e cosí li potei addomesticare un poco; non si appallottolavano piú quando vedevano la gente. Avevano molta paura dei cani. Io mi divertivo a portare nel cortile delle biscie vive per vedere come i ricci le cacciavano. Appena il riccio si accorgeva della biscia, saltava lesto lesto sulle quattro gambette e caricava con molto coraggio. La biscia sollevava la testa, con la lingua fuori e fischiava; il riccio dava un leggero squittio, teneva la biscia con le gambette davanti, le mordeva la nuca e poi se la mangiava pezzo a pezzo. Questi ricci un giorno sparirono: certo qualcuno se li era presi per mangiarli. – Tataniska ha comprato una bella teiera grande, di porcellana bianca e ci ha collocato la bambola; ella adesso porta al collo la sciarpetta calda, perché fa molto freddo: anche in Italia ha nevicato molto. Devi piuttosto scriverle che mangi un po’ di piú, perché a me non vuole dare retta. Io credo che i tuoi fringuelli mangiano piú di Tataniska. Ho piacere che le cartoline ti siano piaciute. Ti scriverò un’altra volta sul ballo delle lepri e su altri animali: ti voglio raccontare altre cose che ho visto e sentito da ragazzo: la storia del polledrino, della volpe e del cavallo che aveva la coda solo nei giorni di festa, – la storia del passero e del kulak, del kulak e dell’asinello, dell’uccello tessitore e dell’orso, ecc. Mi pare che tu conosci la storia di Kim; conosci anche le Novelle della Giungla e specialmente quella della foca bianca e di Rikki-Tikki-Tawi? E Giuliano è anche lui un udarnik? Per quale attività? Ti bacio – papà. – Bacia per parte mia Giuliano e mamma Julca.


248.

29 febbraio 1932

Carissima mamma,

in una lettera dell’11 Teresina mi annunziava una lettera di Grazietta e forse anche una di Mea, ma non ho ricevuto nulla. Penso che anche in Sardegna il cattivo tempo deve avere imperversato, togliendo la volontà di scrivere. Qui ha nevicato molto, piú che nel ’28-’29 che sembrava già eccezionale. Ringrazia Teresina delle notizie che mi ha mandato. Vorrei sentire davvero le lunghe chiacchierate di zia Delogu e immagino che debba essere inesauribile nelle sue storielle di gioventú. Ha ancora continuato nella sua selezione di pomidori giganteschi e senza semi; chissà quanto le sarà costato dover abbandonare le sue fatiche di Urumare! Dirai anche a Teresina che ringrazio lei e i suoi bambini per l’intenzione che hanno avuto di inviarmi le violette di Chenale e i bulbi di ciclamino selvatico, ma non posso ricevere i loro doni; ciò andrebbe contro il regolamento che vuole sia mantenuto il carattere afflittivo della pena carceraria. Dunque bisogna che sia afflittivo e perciò niente violette e niente ciclamini, nessun diavoletto della natura deve stuzzicarmi le nari con effluvi e gli occhi con i colori dei fiori.

Ti abbraccio teneramente con tutti. Saluta zia Delogu quando viene a trovarti.

Antonio


249.

29 febbraio 1932

Carissima Tania,

ho letto attentamente la tua lunga lettera del 23 e sono disposto a convenire che tu puoi avere ragione. Riconosco senz’altro che gli elementi di giudizio a mia disposizione sono talmente scarsi che le probabilità di costruire edifizi in cui la fantasia possa predominare è veramente grande. Del resto ti avevo lasciato arbitra di inviare o no la mia lettera, cioè già nello scrivere quella mia lettera tenevo conto di queste limitazioni. Ti voglio anche dire che da qualche mese a questa parte si sono verificate nel mio stato d’animo modificazioni radicali; alcuni ordini di cose non hanno piú la virtú di tenermi in condizioni di ansia e di nervosismo: la mia sensibilità si è attutita o io sono divenuto piú paziente, indulgente o indifferente. Scrivi: «Tu sai che Giulia è stata dispensata dalla quotidiana fatica in un ufficio, ecc.»; in verità è la prima volta che vengo a saperlo, nonostante che spesse volte abbia domandato informazioni in proposito. Sono proprio queste notizie concrete, positive, empiriche, che mi sono sempre mancate da cinque anni a questa parte e mi hanno lasciato, per la loro assenza, in un’atmosfera ondeggiante e fallace di nebbiosità, di generalità inconsistenti e metafisiche. Le ho domandate spesso, non le ho ricevute e non le domanderò piú perché sono tediose e io stesso sono diventato tedioso a me stesso. Ti voglio ora informare delle mie condizioni di salute, che sono fondamentalmente buone. Soffro sempre di disturbi viscerali, ma non credo si tratti di cose gravi. Poiché non ho piú del «Sale di Hunt» che giova molto per questi disturbi, ti sarei grato se, avendone, me ne puoi ancora inviare. Sarebbe bene se i disturbi cessassero, perché sono molto noiosi e fastidiosi e mi impediscono di organizzare la vita fisica nel modo più opportuno alle mie condizioni generali. Mangio secondo una dieta piú rigorosa, ma non mi giova affatto per evitare i malesseri, che si manifestano di notte specialmente (ma talvolta anche durante la giornata) con sfitte agli intestini e dolori prolungati; se nel pomeriggio ho preso i «Sali» questi disturbi non si verificano o sono attenuati. Ho ancora in magazzino la maggior parte del contenuto del pacco ricevuto per Natale e anche molte delle cose che tu mi avevi mandato precedentemente: debbo evitare di mangiare oltre una piccolissima quantità. Perciò ti prego per Pasqua di non inviarmi nulla: sarebbe proprio un gettar via i denari. Se vuoi, puoi inviarmi direttamente i denari che spenderesti in acquisti. Adesso spendo poco, relativamente, ma voglio cercare di spendere anche meno, di arrivare addirittura a non aver bisogno di spendere nulla o quasi. Ma purtroppo devo tenere un certo «gradualismo» per abituarmi senza troppe scosse. Ho ridotto le mie spese da qualche mese, a un terzo di ciò che spendevo precedentemente, ma per un errore di addizione nel libretto, mi sono trovato ad avere meno di quanto credevo, cioè ad avere sbagliato il ritmo delle restrizioni. Certo riconquisterò il tempo nel prossimo futuro e mi metterò a posto definitivamente.

Ti abbraccio teneramente.

Antonio


250.

7 marzo 1932

Carissima Tania,

ho ricevuto la cartolina del 3 marzo. Da essa pare che tu abbia scritto precedentemente, ma non è sicuro. Tu dici: «Ti ho già scritto a proposito della autorizzazione che vorresti avere per la lettura delle riviste estere, ecc.». Di proposito non me ne hai scritto in quest’ultimo tempo; ricordo solo un accenno, ma molto fuggevole e vago. Si tratterebbe allora di una qualche tua lettera o cartolina ultima che è andata smarrita? Tu speri che la quistione sarà risolta favorevolmente, io invece ci spero poco. In ogni modo, se la decisione fosse favorevole, ti prego di attendere mie istruzioni prima di scrivere alla libreria per dare ordinazioni. Qualche tempo fa ti inviai una lista di libri da ordinare; tra l’altro c’era anche il reclamo per il fascicolo settembre-ottobre della «Riforma Sociale», andato smarrito. Non mi hai accennato finora a questo affare: hai scritto? o non hai potuto scrivere, per una ragione qualsiasi? Ti prego di informarmi in ogni caso, perché sappia come regolarmi. Ti avrei voluto già scrivere di fare iniziare l’abbonamento anche alla rivista «La Cultura» (Soc. Editrice «La Cultura» Via Cappellini, 14, Milano), per la quale ho l’autorizzazione, ma non te ne ho scritto finora, appunto perché non avevo avuto riscontro alle ordinazioni cui ho accennato. Se si tratta solo di una tua dimenticanza, puoi scrivere ora.

Voglio precisare meglio una mia affermazione a proposito della psicanalisi, che non è stata da me spiegata sufficientemente perché ha determinato un equivoco, come appare dalla tua lettera del 23 febbraio. Io non ho detto sia accertato che la cura psicanalitica non si adatti che ai casi di elementi cosí detti «umiliati e offesi»; non so nulla in proposito e non so se qualcuno abbia finora posto la quistione in questi termini. Si tratta di alcune mie riflessioni personali, non controllate sulla critica piú attendibile e scientificamente concepita della psicanalisi, che io ho presentato per spiegarti il mio atteggiamento verso la malattia di Giulia: questo atteggiamento non è poi cosí pessimistico come ti è sembrato e specialmente non è basato su fenomeni di ordine cosí primitivo e cosí basso come ti ha indotto a credere l’espressione «umiliati e offesi» che ho adoperato per brevità e solo come riferimento generico. Ecco il mio punto di vista: – Io credo che tutto ciò che di reale e di concreto si possa salvare dall’«échaffaudage» psicanalitico si possa e debba restringere a questo, all’osservazione delle devastazioni che determina in molte coscienze la contraddizione tra ciò che appare doveroso in modo categorico e le tendenze reali fondate sulla sedimentazione di vecchie abitudini e vecchi modi di pensare. Questa contraddizione si presenta in una molteplicità innumerevole di manifestazioni, fino ad assumere un carattere strettamente singolare in ogni individuo dato. In ogni momento della storia, non solo l’ideale morale, ma il «tipo» di cittadino fissato dal diritto pubblico è superiore alla media degli uomini viventi in un determinato Stato. Questo distacco diviene molto piú pronunziato nei momenti di crisi, come è questo del dopoguerra, sia perché il livello di «moralità» si abbassi, sia perché piú in alto si ponga la meta da raggiungere e che viene espressa in una nuova legge e in una nuova moralità. Nell’un caso e nell’altro la coercizione statale sugli individui aumenta, aumenta la pressione e il controllo di una parte sul tutto e del tutto su ogni suo componente molecolare. Molti risolvono la quistione facilmente: superano la contraddizione con lo scetticismo volgare. Altri si attengono esteriormente alla lettera delle leggi. Ma per molti la quistione non si risolve che in modo catastrofico, poiché determina scatenamenti morbosi di passionalità repressa, che la necessaria «ipocrisia» sociale (cioè l’attenersi alla fredda lettera della legge) non fa che approfondire e intorbidare. – Questo è il nucleo centrale delle mie riflessioni, che intendo io stesso quanto sia astratto e impreciso se preso cosí alla lettera: si tratta però solo di uno schema, di un indirizzo generale, e se capito cosí mi pare abbastanza chiaro e perspicuo. Come ho detto, nei singoli individui e nei vari strati culturali, occorre distinguere gradazioni molto complesse e numerose. Ciò che nei romanzi di Dostoievsky è indicato col termine di «umiliati e offesi» è la gradazione piú bassa, il rapporto proprio di una società in cui la pressione statale e sociale è delle piú meccaniche ed esteriori, in cui il contrasto tra diritto statale e diritto «naturale» (per usare questa espressione equivoca) è dei piú profondi per l’assenza di una mediazione come quella che nell’occidente è stata offerta dagli intellettuali alle dipendenze dello Stato; Dostoievscky certo non mediava il diritto statale, ma egli stesso ne era «umiliato e offeso». – Da questo punto di vista devi comprendere ciò che io intendo dire quando ho accennato a «falsi problemi» ecc. Io penso che senza cadere nello scetticismo volgare o nell’adagiarsi in una comoda «ipocrisia», nel senso che dice l’adagio che «l’ipocrisia è un omaggio reso alla virtù», si può trovare una serenità anche nello scatenarsi delle piú assurde contraddizioni e sotto la pressione della più implacabile necessità, se si riesce a pensare «storicamente», dialetticamente, e a identificare con sobrietà intellettuale il proprio compito o un proprio compito ben definito e limitato. In questo senso, per questo ordine di malattie psichiche, si può e quindi si deve essere «medici di se stessi». – Non so se sono riuscito a farmi capire. Per me la cosa è chiarissima. Sarebbe necessaria una esposizione piú minuta e analitica, lo comprendo, per comunicare questa chiarezza, ma ciò mi è impossibile volta per volta, dato il poco tempo disponibile per scrivere e il poco spazio. In ogni caso devi avere l’avvertenza di non interpretare troppo alla lettera. – Un’altra avvertenza ti voglio fare a proposito del concetto di scienza in questo ordine di fatti psichici ed è che mi pare molto difficile accettare, in questo riguardo, il concetto troppo rigido delle scienze naturali e sperimentali. Bisognerebbe, perciò, dare molta importanza al cosí detto atavismo, alla «mneme» come memoria della materia organica ecc. Io credo che si attribuisca all’atavismo e alla «mneme» moltissimo che è meramente storico e acquisito già nella vita sociale, che, occorre ricordare, incomincia subito appena si viene alla luce dal grembo materno, appena si aprono gli occhi e i sensi cominciano a percepire. Chi potrà mai indicare dove incomincia nella coscienza o subcoscienza il lavorio psichico delle prime percezioni dell’uomo-bambino, già organizzato per ricordare ciò che vede e sente? E come allora distinguere e precisare ciò che si attribuisce all’atavismo e alla «mneme»? – Carissima, non devi credere che io mi sia sentito o mi senta molto male: in realtà me la sono cavata abbastanza bene quest’inverno, non ho avuto, per esempio, nessun dolore alle reni, che negli inverni precedenti mi avevano fatto molto soffrire.

Ti abbraccio teneramente.

Antonio


251.

14 marzo 1932

Carissima mamma,

ho ricevuto la lettera di Grazietta del 3 marzo. Ti avevo già scritto qualche tempo fa, per il tramite di Tatiana: non ricordo esattamente quando, ma non mi pare sia da troppo tempo. Non vorrei che questa mia lettera sia andata smarrita.

Le mie condizioni sono sempre le stesse. L’inverno è stato qui molto freddo, ha nevicato molto, ma io l’ho trascorso abbastanza bene. Ho ricevuto recentemente notizie di Giulia e dei bambini e anche in questo settore non vi sono novità molto importanti. Non sempre ho scritto di Giulia e dei bambini perché una volta Teresina mi scrisse che ricevevate notizie in proposito da Tatiana. – Comprendo che Grazietta ha molto da fare e quindi non sempre può scrivermi, però credo che con un pochino di buona volontà potrà scrivermi un po’ piú spesso. Vorrei conoscere con esattezza il programma scolastico della classe che frequenta Mea; se poi è possibile, e credo si potrà avere ricorrendo a qualche insegnante maschio o femmina, vorrei avere la copia del programma per i tre anni della scuola d’avviamento. Di’ a Franco che mi scriva del suo meccano e delle costruzioni che riesce a fare. Sono persuaso che diventerà un gran matematico e ingegnere. Speriamo che questo tempaccio, veramente eccezionale, sia passato del tutto e che tu riesca a riacquistare un po’ di forze.

Ti abbraccio teneramente con tutti di casa.

Antonio


252.

14 marzo 1932

Carissima Tania,

ho ricevuto la tua cartolina del 5, il vaglia di 400 lire e il pacchetto dei Sali di Hunt e dell’Uricedina. Ti ringrazio di cuore. Di Uricedina ne avevo ancora parecchio (due scatole grandi) e per adesso non ne prendo. Ho ricominciato a prendere i Sali e mi hanno giovato immediatamente: i dolori viscerali sono cessati e cosí in parte altri disturbi noiosi. Sembra, dalla tua cartolina, che tu abbia creduto io mi trovassi senza soldi: non era cosí e il mio consiglio era proprio connesso a tutto un indirizzo che ho intrapreso. Non è vero che io abbia sempre speso poco (a me pare anzi d’aver speso molto), perché non c’era da comprare nel bettolino del carcere. Ci sarebbe da comprare, ma si tratta appunto di generi che non posso mangiare. E le cose che non posso mangiare vanno aumentando. Negli anni scorsi compravo sempre, due volte alla settimana, della carne d’agnello arrosto; dall’anno scorso non posso piú comprarla perché ho perduto gli ultimi denti che mi permettevano una masticazione sia pure sommaria e paziente. Dopo essere stato male nel mese di agosto, essendomi molto indebolito per il digiuno forzato, provai a comprare qualche volta delle galline. Le facevo lessare e facevo tritare la polpa nella macchinetta per preparare le polpette; ma non riuscivo a digerire neppure il brodo e perciò dovetti smettere dopo due o tre tentativi fatti a distanza perché fossero piú conclusivi. Per curiosità ho fatto, sui vecchi libretti della spesa, il conto del denaro speso e le medie annuali e mensili. Te le voglio riportare: nel 1928 (sono giunto a Turi il 17 luglio 28) ho speso 784 lire, cioè 144 lire al mese; – nel 1929 L. 1552, cioè 130 lire al mese; nel 1930 L. 1498, cioè 125 lire al mese; – nel 1931 L. 1418, cioè 118 al mese; nei primi due mesi di quest’anno ho speso 121 lire cioè 60,50 al mese. Avrei voluto fare altri calcoli, ma mi è stato impossibile, perché non è facile distinguere i vari generi di spesa, poiché essi non sono segnati partitamente, ma in blocco. Il calcolo mi ha mostrato che, nello scriverti la lettera alla quale hai risposto con la tua cartolina, io partivo da impressioni mnemoniche alquanto false ed esagerate, perché credevo di aver speso di meno di ciò che era realmente.

Se ti capita di scrivere a Piero, digli da parte mia, che avrei desiderio di sapere se esistono pubblicazioni sulle opinioni economiche e di politica economica del Machiavelli e se gli è possibile di procurarmi, senza suo fastidio, la memoria pubblicata sull’argomento, qualche anno fa, dal prof. Gino Arias negli «Annali d’Economia» dell’Università Bocconi. Si può dire che il Machiavelli sia stato un «mercantilista», se non nel senso che egli abbia pensato consapevolmente da mercantilista, nel senso almeno che il suo pensiero politico corrispondeva al mercantilismo, cioè egli diceva in linguaggio politico ciò che i mercantilisti dicevano in termini di politica economica? O non si potrebbe addirittura sostenere che nel linguaggio politico del Machiavelli (specialmente nell’Arte militare) spunti il primo germe di una concezione fisiocratica dello Stato e che perciò (e non nel senso esteriore del Ferrari e magari del Foscolo) egli possa ritenersi un precursore dei giacobini francesi?

Mi sono dimenticato la volta scorsa di scriverti per ricordarti di rinnovare l’abbonamento al «Corriere della Sera» che scade il 31 marzo. Potrei farlo io stesso, ma date le pratiche necessarie, arriverei troppo tardi.

Ti abbraccio teneramente.

Antonio


253.

21 marzo 1932

Carissima Tania,

ho davanti a me quattro tuoi scritti: la lettera del 9 marzo, la cartolina del 13, le lettere del 14 e del 18. Un vero record, con mia grande gioia, sebbene mi dispiaccia che la mia gioia sia, in questo caso, legata a una tua fatica. Cercherò di rispondere con ordine, per non dimenticare nulla di essenziale. – Ho letto le osservazioni del prof. Cosmo a proposito del Canto dell’Inferno dantesco. Lo ringrazio dei suggerimenti e delle indicazioni bibliografiche. Non credo però che valga la pena di acquistare i fascicoli di rivista che egli indica: a quale scopo? Se volessi scrivere un saggio per la pubblicazione, questi scritti non sarebbero sufficienti (o almeno non mi sembrerebbero sufficienti, determinando uno stato d’animo di raffrenamento e di insoddisfazione); e per scrivere qualcosa per conto mio, per passare il tempo, non val la pena di disturbare cosí solenni monumenti come gli «Studi danteschi» di Michele Barbi, che, magari poi, a leggere, non danno nessuno spunto necessario o indirettamente utile. La letteratura dantesca è cosí pletorica e prolissa, che l’unica giustificazione a scrivere qualcosa in proposito mi pare sia quella di dire qualcosa di veramente nuovo, con la maggiore precisione e col minimo di parole possibili. Lo stesso prof. Cosmo mi pare soffra un po’ della malattia professionale dei dantisti: se i suoi suggerimenti fossero seguiti alla lettera, bisognerebbe scrivere un volume intero. Sono soddisfatto di sapere che la interpretazione del Canto che ho abbozzato sia relativamente nuova e degna di trattazione; per la mia umanità da carcerato questo è sufficiente per farmi distillare qualche pagina di appunti che a priori non mi sembrino una superfetazione. – Ho letto anche con interesse ben giustificato le ultime note sulla quistione dei «due mondi» ovverossia del «leone di Caprera». Posta la quistione come risulta da esse, cioè nei suoi giusti limiti e sterilizzata da ogni bacillo di romanticismo razzista e di sionismo piú o meno confuso, la cosa è degna di attenzione. E i dati offertimi sono interessanti, perché a me ignoti del tutto. Ciò che mi importava fissare è che in Italia da un pezzo non esiste un antisemitismo popolare (che è l’antisemitismo classico, quello che ha provocato e provoca tragedie e ha un’importanza nella storia della civiltà) e che gli ebrei in nessun senso rappresentano una speciale cultura, abbiano una qualche missione storica particolare nel mondo moderno, siano, di per sé, un fermento di sviluppo nel processo storico. Questa è stata l’origine del nostro dibattito e occorre ricordarlo, perché ora si parla di altre cose. I casi particolari di ebrei italiani relativamente sacrificati in confronto ai «cristiani» non mi pare possano costituire una «quistione» di rilievo. Casi analoghi si potrebbero citare per altre differenziazioni storico-sociali: per esempio, nel settembre 1920 è stata pubblicata una circolare segreta dell’Associazione degli industriali metallurgici piemontesi con cui, durante la guerra, si disponeva che nelle fabbriche non fossero assunti operai nati «sotto Firenze», cioè dell’Italia meridionale e centrale. Però non mi pare che possa paragonarsi l’«ebraismo-massoneria» col fatto che in Polonia gli ebrei sono commercianti o usurai o non contadini. In Georgia erano usurai gli armeni e gli armeni erano gli «ebrei» della Georgia. A Napoli, quando spira aria di sommossa, la polizia piantona gli uffici popolari di pegno, perché contro di essi si rivolge la furia del popolino: se questi uffici fossero tenuti da ebrei e non da fedeli di San Gennaro, a Napoli ci sarebbe antisemitismo, come c’è in una parte del Casalese, della Lomellina, e dell’Alessandrino, dove gli ebrei sono mercanti di terra e appaiono sempre quando in una famiglia succede una «disgrazia» e occorre vendere o svendere. Ma anche qui, dove nessuno è interessato ad aizzare, questi sentimenti non oltrepassano limiti modesti. – Nella tua lettera del 14 mi fai tutta una serie di domande, alle quali non ho voglia di rispondere distesamente. Basta dire che nel mio stato d’animo non c’è nulla di drammatico o di iperteso. Tutt’altro. Quindi non devi avere nessuna preoccupazione. – Ho ricevuto i quaderni: i migliori sono quei due piccoli (per numero di pagine) che hai mandato nel secondo piego, quello raccomandato. I block-notes non possono essere utilizzati. – Non so dirti per quanto tempo mi basti una scatola di «Sali di Hunt» perché non ho mai tenuto conto di questo particolare: credo però che basti un mese circa, dato che non tutti i giorni li prendo. Mi hanno fatto molto bene. La mia dieta è molto semplice: prendo 500 g. di latte al mattino e 700 alla sera come cena, con un 250 g. di pane diviso nelle due volte. A mezzogiorno mangio un 80 g. di pasta al burro e formaggio, oppure due uova al burro. La razione è qualcosa di piú, ma non riesco a consumarla tutta. Mangio poi di tanto in tanto qualche altra cosa (un po’ di marmellata, di miele, di ovomaltina, che ho ricevuto nei pacchi postali). Negli anni scorsi mangiavo di piú: consumavo tutta la razione e qualche volta avevo ancora appetito. Però non mi sento per nulla piú debole: del resto si invecchia e si ha meno bisogno di mangiare. – Ho ricevuto il pacco di Pasqua e ti ringrazio. Certo mangerò tutto ciò che mi hai mandato, anche se lentamente. Hai fatto bene a non mandarmi del cioccolato, che non posso digerire, né cacao che è come il cioccolato. Ma perché mi hai spedito i dolciumi sardi che erano destinati a te? Devi aver diffidato, eh!, dí la verità! Sono pesantissimi, infatti. Sai che non ho mandato gli auguri a mia madre né per il suo onomastico né per Pasqua. Quest’anno non ho nessun calendario e quindi non ho potuto vedere a tempo che il giorno di S. Giuseppe avanzava a gran passi; inoltre quest’anno non c’è piú la lettera straordinaria per Pasqua e cosí mi sono trovato completamente a terra. Vedrò di scusarmi la volta prossima. – A Giulia scriverò una delle prossime volte; forse è meglio attendere che ella stessa scriva ancora o che Delio risponda.

Ti faccio tanti auguri e ti abbraccio teneramente.

Antonio

Nella tua cartolina del 13 scrivi, a proposito di ciò che ti ho scritto sulla psicanalisi: «non saprei perché tu credi Giulia malata in quel tale modo. Io non so nulla di ciò!». Naturalmente neanche io so nulla di preciso, ma questa è la mia impressione, che si è formata per tutto un cumulo di piccoli fatti e di ricordi del passato, ognuno dei quali, preso a sé, sembrerebbe un’inezia. Credo poi che a te fosse impossibile notare certe cose, perché ti manca completamente l’esperienza dell’ambiente dato. La cosa è poi molto piú complessa di quanto appaia dal mio schema semplificatore e molto generico. In ogni caso puoi capire perché io abbia dato tanta importanza agli accenni di Giulia agli «studi» da fare, e alla ricerca di una «personalità» che ella crede di non essersi creata prima. Cara, ti abbraccio

A.

Ho mangiato già due dei tuoi aranci che sono straordinariamente gustosi e profumati.


254.

28 marzo 1932

Carissima Tania,

come vedi ho risposto a Giulia, ma è avvenuto che mi sono lasciato prendere la mano e forse non sono riuscito, anche per lo spazio, a scrivere come avrei voluto e tutto quello che avrei voluto. La cartolina del tuo papà mi ha molto interessato: rappresenta una vita concreta, reale, che si può «vedere» fisicamente, direi. Ti assicuro che da qualche settimana la mia salute va abbastanza bene; riesco a dormire tutte le notti, senza interruzione, in modo soddisfacente e digerisco molto meglio: i dolori alle viscere mi sono completamente passati. Non devi metterti in testa, adesso, di mandarmi ricostituenti e altri pasticci del genere, perché non ne ho proprio bisogno e non devi fare tanti castelli in aria sulla mia alimentazione. – Ho visto dalle riviste che il Ministero degli Affari Esteri ha annunziato una grande pubblicazione su L’opera del Genio italiano all’estero di cui è uscito il programma con l’elenco della materia che sarà svolta. Credi che ti sarà possibile procurarti questo programma e inviarmelo? Esso non è in vendita, ma credo sia possibile averlo attraverso qualche senatore o deputato. Mi faresti un gran piacere a ricercarlo, senza però perderci la testa se domanda molto fastidio. L’argomento è connesso con la storia degli intellettuali italiani, che mi interessa e intorno a cui sto scrivendo note e osservazioni a mano a mano che le mie lettere o le mie riflessioni me ne danno lo spunto. Cara, devo finire in fretta perché l’ora è trascorsa.

Ti abbraccio teneramente.

Antonio


255.

28 marzo 1932

Cara Iulca,

ho ricevuto a suo tempo la tua lettera del gennaio e qualche giorno fa quella del 16 marzo. Non ti ho scritto prima, perché, come ho già accennato altra volta, sento un certo imbarazzo, un certo ritegno nel cercare di mettermi in comunicazione con te. A suscitare questo stato d’animo sono stati vari elementi; è possibile che uno dei piú importanti sia la speciale psicologia che nasce durante una lunga carcerazione e un lungo isolamento da ogni forma di società congeniale al proprio temperamento, ma è certo che anche due altri elementi predominano: 1° il timore di nuocerti, interferendo maldestramente nel tuo metodo di cura; 2° la coscienza che io stesso ho di essere, in questi anni, diventato piú «libresco», di assumere talvolta un tono predicatorio e da maestro elementare, che fa ridere me stesso di me stesso con la conseguenza spiacevole che tale autocritica mi pare trascinarmi a dire delle sciocchezze. Ciò significa che mi accorgo di un certo marasma e mi sento raffrenato. – Del resto, dalle tue lettere appare che alcune mie osservazioni sono andate oltre il segno e hanno avuto «troppo successo», cioè un effetto deleterio. Tu insisti troppo nel ricordare le mie osservazioni a proposito della tua personalità non ancora sviluppata, della necessità per te di dipanare il tuo vero essere ecc. Certo tu hai preso alla lettera le mie osservazioni e non le hai collocate nella loro sfera appropriata. Un elemento che certo ti è sfuggito è come io spesso abbia insistito per indurti a dedicare una parte del tuo tempo alla musica (credo che ti abbia impressionato male il fatto che una volta io o sia andato via o abbia fatto mostra in qualche modo di non poter sopportare la musica: e certo quella certa volta io soffrivo realmente, ma ero in condizioni nervose deplorevoli e la musica mi limava i nervi in modo da farmi venire le convulsioni). Io ho sempre creduto che la tua personalità si è in gran parte sviluppata intorno all’attività artistica e che abbia subito come un’amputazione per l’indirizzo meramente pratico e di interessi immediati che tu hai dato alla tua vita. Direi che nella tua vita c’è stato un errore «metafisico», con conseguenze di disarmonie e squilibri psico-fisici. Una volta io ho sostenuto, con un certo tuo scandalo, che gli scienziati, nella loro attività, sono «disinteressati». Tu hai ribattuto, molto brevemente, che essi sono sempre «interessati». Naturalmente io parlavo in termini «italiani» e nella cultura italiana avevo presente le teorie filosofiche del prof. Loria, che ha interpretato il termine e la nozione di «interesse» in un certo senso deteriore che nelle Tesi su Feuerbach è qualificato come «schmutzig jüdisch», sordidamente giudaico. Ebbene, mi pare che tu abbia indirizzato la tua vita in questo senso «sordidamente giudaico», senza esserne intimamente convinta, come non potevi essere e giustamente. Per me appunto la tua personalità aveva bisogno di uscire da questa «fase» primordiale, di dipanarsi, di sgomitolare molti elementi della tua precedente esistenza di artista «disinteressata» (che non vuol dire campata nelle nuvole, evidentemente), ossia «interessata» nel senso non immediato e meccanico della parola. Non voglio lasciarmi andare a una predica libresca. Cara, spero che ti sentirai sempre piú di essere e poter essere libera con me di manifestare tutti i tuoi pensieri e i tuoi sentimenti. Da molto tempo non ricevo una tua fotografia: credo che mi sarà molto utile (oltre che cara) per giudicare delle tue condizioni fisiche; dovresti anche scrivermi il tuo peso. Cosí per Delio e Giuliano dovresti inviarmi delle fotografie migliori delle ultime ricevute, con i dati della statura e del peso. Ti abbraccio teneramente.

Antonio

N. B. Spero che non farai equivoco sull’espressione «sordidamente giudaico» che ho impiegato piú sopra. Osservo questo perché ho avuto recentemente con Tania una discussione epistolare sul sionismo e non vorrei esser creduto «antisemita» per queste parole. Ma l’autore di esse non era ebreo?


256.

4 aprile 1932

Carissima mamma,

ho ricevuto la lettera di Mea e mi ha molto divertito la storia del signor Sias che interpreta con l’aiuto di vari dizionari le lettere delle galline. Bisogna consigliargli di fare la fotografia dell’uovo, di ingrandirla e di spedire l’ingrandimento al prof. Taramelli presso il Museo di Cagliari. Può darsi infatti che la lingua impiegata dalla gallina per scrivere la sua missiva sia il punico, se la gallina discende dalle galline del tempo dei cartaginesi e che riveli il posto dove è nascosto qualche tesoro in monete del tempo «antigoriu» e chissà perciò quanto preziose. Le notizie che Mea mi ha mandato sulla scuola d’avviamento sono troppo scarse. Vorrei sapere di piú: qualche cosa sui libri di testo, sui componimenti d’italiano, sul contenuto del programma, sugli orari ecc. Aspetto la lettera di Franco, che spero mi voglia informare dei suoi lavori d’ingegneria col meccano.

La mia vita è sempre uguale e ugualmente noiosa. Vorrei che facessi cercare tra i libri della famosa scansia, se c’è un opuscolo intitolato La quistione meridionale.

Ti abbraccio teneramente con tutti.

Antonio


257.

4 aprile 1932

Carissima Tania,

ho ricevuto ieri la tua lettera del 31 marzo; credevo, questa settimana di non ricevere tuoi scritti e supponevo ti sentissi poco bene. Ho ricevuto i medicinali che mi hai spedito e che, devo dirlo, non mi saranno molto utili. Tu hai colto al balzo un accenno contenuto in una mia passata lettera e subito hai pensato di inviarmi quei sei o sette pacchetti di fiocchi d’avena, pastine glutinate ecc. Come vuoi che possa utilizzarle? E in tanta quantità? Mi basteranno per sette od otto anni, almeno, cioè avranno tutto il tempo di avariarsi, poiché, sí e no, potrò farne preparare un pochettino ogni quindici o venti giorni. Anche il «Somatose» non lo prenderò per ora, non ne ho proprio bisogno; ma è possibile che mi sia utile quando incomincerà il caldo e l’appetito diminuirà ancora. Invece mi sarà utile quell’estratto peptonizzato preparato dalla Società per il latte condensato lombardo: ho provato a metterne una punta di cucchiaio nella pasta e l’ha di molto migliorata. – Non desidero avere tabacco né macedonia né d’altro genere: sono riuscito, come ti ho scritto altra volta, a diminuire il consumo notevolmente; mi sono stabilizzato su un pacchetto di tabacco macedonia ogni 5 giorni, ma dopo aver consolidato questa quota, cercherò di diminuire ancora progressivamente. – Cosí non mi serve a nulla il caffè senza caffeina: non posso utilizzarlo. Si può avere qualche volta dell’acqua calda, ma buona solo per farsi i pediluvii, non potabile, perché è servita a riscaldare delle grosse caldaie a bagnomaria, e non certamente in ebollizione, ma solo a 60-70 gradi. Tu, come ti ho scritto altre volte, ti lasci andare a fare dei castelli in aria troppo facilmente. – Mi dispiace e mi addolora molto che Giacomo sia morto; la nostra amicizia era molto piú grande e intensa di quanto tu non abbia potuto avere occasione di accorgerti, anche perché Giacomo era esteriormente poco espansivo e di poche parole. Era un uomo raro, ti assicuro, sebbene negli ultimi anni fosse molto cambiato e deperito incredibilmente. Quando lo conobbi, nel dopoguerra, era di forza erculea (era un sergente di artiglieria da montagna e portava a spalla dei pezzi di cannone di peso rilevante) e di un coraggio temerario sebbene senza rodomontate. E tuttavia era di una sensibilità sentimentale incredibile, che giungeva fino ad accenni melodrammatici, che però erano sinceri, non di posa. Sapeva a memoria una grande quantità di versi, ma tutti di quella letteratura romantica deteriore che piace tanto al popolo (sul tipo dei libretti d’opera, che sono scritti per lo piú in uno stile barocco curiosissimo e con sdolcinature patetiche disgustanti, ma che pure piacciono in modo sorprendente) e gli piaceva recitarli, sebbene diventasse rosso come un bambino sorpreso in fallo, ogni volta che io mi infilavo nel pubblico per ascoltarlo. Questo ricordo è il tratto piú vivo del suo carattere che mi ritorna insistente: quest’uomo gigantesco che declama con passione sincera dei versi di cattivo gusto ma che esprimono passioni elementari robuste e impetuose e che si interrompe e arrossisce quando è ascoltato da un «intellettuale» anche se amico.

Ti abbraccio.

Antonio


258.

11 aprile 1932

Carissima Tania,

questa settimana ho ricevuto solo una tua cartolina (del 6). Certo hai ricevuto anche la mia lettera di otto giorni fa e quindi hai visto che ho ricevuto a suo tempo i tuoi medicinali. Spero che terrai conto delle osservazioni che ho fatto. Che il regime di vitto che io seguo non sia troppo felice è possibile, ma è il migliore che posso seguire (da qualche giorno ho cambiato la pasta col riso e mi pare migliorato). Una minestrina al giorno, secondo i tuoi consigli, sarebbe una buona cosa, ma poiché non si può fare, è inutile pensarci; tutt’al piú, come ti ho scritto, potrò procurarmela ogni quindici giorni, perché ogni volta ci vuole una pratica ufficiale. Tuttavia, come ti ho anche già scritto, impiego l’estratto peptonizzato che è utile anche col riso.

Forse a quest’ora hai già potuto vedere Valentino. Come ti ho scritto tempo fa, devi ricordargli dei miei libri che si trovano in sue mani. Sarei molto contento se questi libri potessi farli pervenire a Giulia. Devi scrivermi quanti volumi sono perché abbia un’idea della mole. Tra di essi c’è un volume di Rodolfo Mondolfo stampato nel 1912 in una collezione filosofica del Formiggini? Se c’è, dovresti trattenerlo e spedirmelo. Avevo a Roma anche un volume del prof. Francesco Ercole sul Machiavelli, che non avevo ancora letto: se anche esso era stato preso da Valentino e ti viene consegnato, spediscimelo. Vedrai ancora Piero? Dovresti parlare a lui dell’ordinazione fatta alla Libreria e di cui non ho ancora saputo nulla, perché passando da Milano possa occuparsene. Cosí dovresti dirgli se può farmi procurare un libro di Nino Daniele su D’Annunzio politico stampato a S. Paolo del Brasile qualche anno fa da un editore italiano (Tissi, mi pare). Il libro è stato molto lodato dai giornali e dalle riviste e deve essere molto interessante perché il Daniele fu per molti anni (fino a quando l’organizzazione dei legionari fiumani visse di vita indipendente) fiduciario del D’Annunzio per il Piemonte e consigliere politico del D’Annunzio stesso a Fiume prima e a Gardone in seguito.

Carissima Tania, ti abbraccio teneramente.

Antonio


259.

11 aprile 1932

Cara Iulca,

voglio ancora aggiungere qualche osservazione alla mia precedente lettera, che forse ti è sembrata un po’ sconnessa e non molto conclusiva. Immagino che ciò possa accadere, perché questa impressione le mie lettere fanno a me stesso appena le ho scritte. Devo scrivere a orario fisso, in un giorno determinato: l’ossessione di non fare a tempo a scrivere tutto ciò che vorrei, produce il risultato che finisco per scrivere ellitticamente, per accenni, innestando i pensieri che germinano al momento della scritturazione nell’abbozzo della lettera pensato prima di mettermi a scrivere, ottenendo cosí per risultato un pot-pourri, almeno a mia impressione. – Ciò che ti volevo scrivere è questo: – che le tue preoccupazioni mi sembrano ingiustificate per tutta una serie di aspetti della quistione che ti poni e che specialmente ingiustificata, perché male interpretata, è la mia testimonianza in proposito. Nel valutare te stessa e il tuo contributo alla vita, tu non tieni conto che a un certo punto hai dato alla tua personalità un indirizzo nuovo, abbandonando l’attività artistica per una attività piú immediatamente pratica. Inoltre mi pare che tu abbia sempre dato al concetto e al fatto dell’«utilità» e della «praticità» un contenuto troppo angusto e meschino (errore teorico che ho definito con l’espressione di «sordidamente ebraico»), ricavandone la conseguenza ossessionante di essere troppo poco «utile», di essere «incapace» ad essere «utile» come erroneamente pensi si dovrebbe essere. Io mi sono fatto l’impressione che in ciò sia il germe della tua malattia, di un «complesso di inferiorità» che logora la tua sensibilità affinata dagli avvenimenti di questi ultimi sei anni ma che era già acuta in modo eccezionale già prima. D’altronde adesso credo di essere anch’io, almeno in parte, responsabile di queste tue condizioni, perché nel passato, inconsapevolmente, mi divertivo a stuzzicarti e a provocarti, credendo di ottenere cosí di meglio conoscerti. Ho incominciato nel 1922, poco dopo che ci eravamo conosciuti e ti ho fatto piangere, in un modo cosí stupido che solo adesso ne sento tutto il rimorso, perché solo ora capisco che non si trattava di una cosa superficiale, ma che per te aveva una maggiore importanza di quanto io pensassi: e non ho avuto il coraggio di asciugarti le lacrime come pure mi sentivo spinto a fare, perché ti volevo bene ed è vero che certe cattiverie si fanno solo a chi si vuol bene. Carissima, ti stringo forte forte.

Antonio


260.

18 aprile 1932

Carissima Tania,

ti ringrazio di avermi trascritto la lettera in cui Giulia ti ha dato piú particolari informazioni sulle condizioni di salute di Delio. – Il «Somatose» lo prenderò, come ti ho già scritto: non è necessario che tu me lo esalti troppo a lungo, perché sono già convinto, almeno quanto basta perché lo prenda. – Quando avrò letto il libro del Croce sarò molto contento di esserti utile, scrivendoti qualche nota critica in proposito, non una recensione compiuta, come tu desideri, perché sarebbe difficile da buttar giú cosí all’impronto. Del resto ho già letto i capitoli introduttivi del libro, perché già apparsi in opuscolo indipendente qualche mese fa, e posso già da oggi incominciare a fissarti alcuni punti che ti potranno essere utili, per fare delle ricerche, e informarti meglio, se vuoi dare al tuo lavoro una certa organicità e qualche ampiezza. La prima quistione da porre potrebbe, a mio parere, esser questa: – quali sono gli interessi culturali oggi predominanti nell’attività letteraria e filosofica del Croce, se essi sono di carattere immediato, e di portata piú generale e rispondenti a esigenze piú profonde che non siano quelle nate dalle passioni del momento. La risposta non è dubbia; l’attività del Croce ha origini lontane e precisamente dal tempo della guerra. Per comprendere i suoi ultimi lavori occorre rivedere i suoi scritti sulla guerra, raccolti in due volumi (Pagine sulla guerra – 2a ediz. accresciuta). Non ho questi due volumi, ma ho letto questi scritti a mano a mano che furono pubblicati. Il loro contenuto essenziale può essere brevemente riassunto cosí: lotta contro l’impostazione data alla guerra sotto l’influenza della propaganda francese e massonica, per la quale la guerra divenne una guerra di civiltà, una guerra tipo «Crociate» con lo scatenamento di passioni popolari a carattere di fanatismo religioso. Dopo la guerra viene la pace, cioè al conflitto deve succedere una ricollaborazione dei popoli non solo, ma ai raggruppamenti bellici succederanno raggruppamenti di pace e non è detto che i due coincidano; ma come sarebbe possibile questa ricollaborazione generale e particolare, se un criterio immediato di politica utilitaria diventa principio universale e categorico? Occorre quindi che gli intellettuali resistano a queste forme irrazionali di propaganda e, pur non indebolendo il loro paese in guerra, resistano alla demagogia e salvino il futuro. Il Croce vede sempre nel momento della pace il momento della guerra e nel momento della guerra quello della pace e rivolge la sua operosità a impedire che sia distrutta ogni possibilità di mediazione e di compromesso tra i due momenti. – Praticamente la posizione del Croce ha permesso agli intellettuali italiani di riannodare i rapporti con gli intellettuali tedeschi, cosa che non è stata e non è facile per i francesi e i tedeschi, quindi l’attività crociana è stata utile allo Stato italiano nel dopoguerra quando i motivi piú profondi della storia nazionale hanno portato alla cessazione dell’alleanza militare franco-italiana e a uno spostamento della politica contro la Francia per il riavvicinamento alla Germania. Cosí il Croce, che non si è mai occupato di politica militante nel senso dei partiti, è diventato ministro dell’Istruzione Pubblica nel governo Giolitti del 1920-21. – Ma è finita la guerra? Ed è finito l’errore di innalzare indebitamente criteri particolari di politica immediata a principii generali, di dilatare le ideologie fino a filosofie e religioni? No, certamente; quindi la lotta intellettuale e morale continua, gli interessi permangono ancora vivaci ed attuali e non bisogna abbandonare il campo. – La seconda quistione è quella della posizione occupata dal Croce nel campo della cultura mondiale. Il Croce già prima della guerra occupava un posto molto alto nella stima dei gruppi intellettuali di tutti i paesi. Ciò che è interessante è che, nonostante l’opinione comune, la sua fama era maggiore nei paesi anglosassoni che in quelli tedeschi: le edizioni dei suoi libri, tradotti in inglese, sono numerosissime, piú che in tedesco e piú che in italiano. Il Croce, come appare dai suoi scritti, ha un alto concetto di questa sua posizione di leader della cultura mondiale e delle responsabilità e dei doveri che essa porta con sé. È evidente che i suoi scritti presuppongono un pubblico mondiale di élite. – Occorre ricordare che negli ultimi anni del secolo scorso gli scritti crociani di teoria della storia hanno dato le armi intellettuali ai due massimi movimenti di «revisionismo» del tempo, di Edoardo Bernstein in Germania e del Sorel in Francia. Il Bernstein ha scritto egli stesso di essere stato indotto a rielaborare tutto il suo pensiero filosofico ed economico dopo aver letto i saggi del Croce. L’intimo legame del Sorel col Croce era noto, ma quanto fosse profondo e tenace è apparso specialmente dalla pubblicazione delle lettere del Sorel, il quale si mostra spesso intellettualmente subordinato al Croce in modo sorprendente. – Ma il Croce ha portato ancora piú oltre la sua attività revisionistica e ciò specialmente durante la guerra e specialmente dopo il 1917. La nuova serie di saggi sulla teoria della storia incomincia dopo il 1910 con la memoria Cronache, storie e false storie e giunge fino agli ultimi capitoli della Storia della storiografia italiana nel secolo XIX, ai saggi sulla scienza politica e alle ultime manifestazioni letterarie, tra le quali la Storia dell’Europa, come appare almeno dai capitoli che ho letto. Mi pare che il Croce tiene piú di tutto a questa sua posizione di leader del revisionismo e che in ciò egli intenda essere il meglio della sua attuale attività. In una breve lettera scritta al prof. Corrado Barbagallo e pubblicata nella «Nuova Rivista Storica» del 1928 o 29 (non ricordo con esattezza) egli esplicitamente dice che tutta l’elaborazione della sua teoria della storia come storia etico-politica (e cioè tutta o quasi la sua attività di pensatore di circa 20 anni) è rivolta ad approfondire il suo revisionismo di quaranta anni fa. – Carissima Tania, se cenni simili a questo ti possono essere utili per il tuo lavoro, scrivimelo e cercherò di fissarne qualche altro.

Ti abbraccio teneramente.

Antonio


261.

25 aprile 1932

Carissima mamma,

non ricevo notizie da un mese giusto; la lettera di Mea e di Grazietta è partita da Ghilarza appunto il 24 marzo. Voglio sperare che, come dice il proverbio, «nessuna notizia, buona notizia» o almeno avvenimenti senza importanza. Qualche giorno fa ho ricevuto una cartolina di Teresina coi baci di Diddi. – A Teresina dirai che ho finalmente mangiato la selvaggina sott’olio che mi aveva mandato nel pacco di Natale e che l’ho trovata squisita; la confezione era perfetta e la carne ben macerata nell’olio, era diventata come il burro, tanto che potei mangiarla senza inconvenienti, sebbene non abbia piú dei denti servibili. Bisogna anche dire che si trattava di uccelli scelti, veramente eccezionali per grossezza e grassezza; immagino che siano stati cacciati da Paolo e quindi estendo anche a lui i miei complimenti e ringraziamenti. Anche nella mia esistenza non c’è stata novità alcuna; e come, del resto, potrebbero essercene? Sempre la stessa vita, lo stesso rosario di ave maria dei giorni che si succedono uguali e ugualmente noiosi.

Ti abbraccio affettuosamente.

Antonio


262.

25 aprile 1932

Carissima Tania,

ho ricevuto le tue cartoline del 17 e del 22 aprile. Ho anche ricevuto qualche libro, come mi avevi annunziato. Come mai ti è venuta la tosse? Qui il tempo continua ad essere molto variabile; forse è stato cosí anche a Roma, e tu avrai avuto poca cura della tua salute. Sono contento che la mia lettera a Delio sia giunta; vedremo se risponderà e se sarà possibile, pur con tante peripezie, di annodare una corrispondenza. – Non so ancora se le note che ti ho scritto sul Croce ti abbiano interessato e se sono conformi alle necessità del tuo lavoro: credo che me lo dirai e cosí io potrò regolarmi meglio. Del resto tieni conto che si tratta di accenni e di spunti che andrebbero svolti e completati. Ti scrivo un paragrafo anche questa volta; tu poi riordinerai secondo che ti parrà piú opportuno. – Una questione molto interessante mi pare quella che si riferisce alle ragioni della grande fortuna che ha avuto l’opera di Croce, ciò che non avviene di solito ai filosofi durante la loro vita e specialmente non si verifica troppo spesso fuori della cerchia accademica. Una delle ragioni mi pare da ricercare nello stile. È stato detto che il Croce è il piú grande prosatore italiano dopo il Manzoni. L’affermazione mi pare vera, con questo avvertimento: che la prosa di Croce non deriva da quella del Manzoni, quanto invece dai grandi scrittori di prosa scientifica e specialmente dal Galilei. La novità del Croce, come stile, è nel campo della prosa scientifica, nella sua capacità di esprimere con grande semplicità e con grande nerbo insieme, una materia che di solito, negli altri scrittori, si presenta in forma farraginosa, oscura, stiracchiata, prolissa. Lo stile letterario esprime uno stile adeguato nella vita morale, un atteggiamento che si può chiamare goethiano di serenità, compostezza, sicurezza imperturbabile. Mentre tanta gente perde la testa e brancola tra sentimenti apocalittici di panico intellettuale, Croce diventa un punto di riferimento per attingere forza interiore per la sua incrollabile certezza che il male metafisicamente non può prevalere e che la storia è razionalità. Bisogna tener conto inoltre che a molti il pensiero di Croce non si presenta come un sistema filosofico massiccio e di difficile assimilazione come tale. Mi pare che la piú grande qualità di Croce sia sempre stata questa: di far circolare non pedantescamente la sua concezione del mondo in tutta una serie di brevi scritti nei quali la filosofia si presenta immediatamente e viene assorbita come buon senso e senso comune. Cosí le soluzioni di tante quistioni finiscono col circolare divenute anonime, penetrano nei giornali, nella vita di ogni giorno e si ha una grande quantità di «crociani» che non sanno di esserlo e che magari non sanno neppure che Croce esista. Cosí negli scrittori cattolici è penetrata una certa somma di elementi idealistici da cui essi oggi cercano di liberarsi senza però riuscirci, nel tentativo di presentare il tomismo come una concezione sufficiente a se stessa e sufficiente alle esigenze intellettuali del mondo moderno.

Ti abbraccio teneramente

Antonio


263.

2 maggio 1932

Carissima Tania,

ho ricevuto tre lettere, del 23, del 25 e del 27 aprile. Ho letto e riletto la lettera di tuo papà e le tue lunghe considerazioni, che in generale sono esatte, a mio parere. Certamente esistono altri elementi della quistione che a te necessariamente sfuggono e che forse sono quelli predominanti e decisivi nel determinare lo stato di confusione e di dolorosa impotenza in cui un po’ tutti si dibattono. Ma la difficoltà maggiore consiste nel fatto che non si sa da che parte incominciare per reagire energicamente alla situazione e bonificarla. Tu parli di energia, ancora energia, sempre energia. Ma a Roma, pensandoci ora, anche applicando tutta la tua energia, cosa avresti potuto ottenere? Ti saresti urtata non in qualcosa di solido e ben piantato che si può rovesciare nettamente, ma in uno stato di cose, per dir cosí gelatinoso, che non resiste ma si riforma continuamente ed è invincibile. Una volta mi hai rimproverato di non avere a Roma posto a te la quistione e di non aver cercato, per cosí dire, di fare un’alleanza fra noi due per unire le forze. Forse hai avuto ragione e questo avrebbe dovuto essere il mio dovere. Ma allora a tante cose non davo la stessa importanza che dò ora e poi avveniva come a chi è in mezzo a un bosco, che appunto vede i singoli alberi e non vede l’insieme. Molte cose mi apparivano piuttosto come tratti pittoreschi, interessanti esteticamente, non come sintomi di uno stato malaticcio. Vedi che sono molto franco con te, e ti dò gli elementi per giudicarmi in modo anche severo. Credo di avere delle attenuanti, tuttavia e la piú importante, secondo me, è quella che ho sempre vissuto isolato, fuori della famiglia e anzi ho sempre avuto una certa insofferenza alla vita famigliare. Cosí mi ero convinto di essere un ipercritico, di vedere la pagliucola nell’occhio del vicino e non la trave nel mio occhio e che quindi fosse necessario da parte mia di non intervenire ma di lasciare che ognuno svolga la sua vita indipendente. Ora non so cosa fare e da che parte incominciare. Ti sono grato per ciò che mi hai scritto, perché almeno posso orientarmi concretamente, ciò che finora non era possibile. Per lo meno d’ora innanzi non tirerò sassi nel buio, ciò che forse è accaduto in questi ultimi tempi. – Non so se ti manderò mai lo schema che ti avevo promesso sugli «intellettuali italiani». Il punto di vista da cui osservo la quistione muta talvolta: forse è ancora presto per riassumere e sintetizzare. Si tratta di materia ancora allo stato fluido, che dovrà subire una elaborazione ulteriore. Non metterti in testa di ricopiare il «programma» per la pubblicazione sugli italiani all’estero: non mi pare che ne valga la pena, tanto piú che il «Marzocco» ne ha dato un riassunto assai preciso. Se puoi averne un esemplare, bene; altrimenti, pazienza. Cosí non ho bisogno, certo, delle opere di William Petty per la quistione su le idee economiche del Machiavelli. Il richiamo è interessante, ma basta il richiamo. Piuttosto, tra qualche tempo, domanderò le opere complete del Machiavelli stesso, che, ti ricordi forse, avevo domandato quando ero ancora a Milano, ma la pubblicazione non era ancora avvenuta. – Ti posso ancora fissare qualche punto di orientamento per un lavoro sul libro del Croce (che non ho ancora letto nel volume); anche se queste note sono un po’ scucite, penso che ti potranno essere utili lo stesso. Penserai poi tu a organizzarle per conto tuo, ai fini del tuo lavoro. – Ho già accennato alla grande importanza che il Croce assegna alla sua attività teorica di revisionista e come, per sua stessa ammissione esplicita, tutto il suo lavorio di pensatore in questi ultimi venti anni sia stato guidato dal fine di completare la revisione fino a farla diventare liquidazione. Come revisionista egli ha contribuito a suscitare la corrente della storia economica-giuridica (che, in forma attenuata, è ancora oggi rappresentata specialmente dall’accademico Gioachino Volpe); oggi ha dato forma letteraria a quella storia che egli chiama etico-politica, di cui la Storia d’Europa dovrebbe essere e diventare il paradigma. In che consiste l’innovazione portata dal Croce, ha essa quel significato che egli le attribuisce e specialmente ha quel valore «liquidatore» che egli pretende? Si può dire concretamente che il Croce, nell’attività storico-politica, fa battere l’accento unicamente su quel momento che in politica si chiama dell’«egemonia», del consenso, della direzione culturale, per distinguerlo dal momento della forza, della costrizione, dell’intervento legislativo e statale o poliziesco. In verità non si capisce perché il Croce creda alla capacità di questa sua impostazione della teoria della storia di liquidare definitivamente ogni filosofia della praxis. – È avvenuto proprio che nello stesso periodo in cui il Croce elaborava questa sua sedicente clava, la filosofia della praxis, nei suoi piú grandi teorici moderni, veniva elaborata nello stesso senso e il momento dell’«egemonia» o della direzione culturale era appunto sistematicamente rivalutato in opposizione alle concezioni meccanicistiche e fatalistiche dell’economismo. È stato anzi possibile affermare che il tratto essenziale della piú moderna filosofia della praxis consiste appunto nel concetto storico-politico di «egemonia». Mi pare perciò che il Croce non sia up to date con le ricerche e con la bibliografia dei suoi studi preferiti o abbia perduto la sua capacità di orientamento critico. A quanto pare le sue informazioni si basano specialmente su un famigerato libro di un giornalista viennese, il Fülöp-Miller. Questo punto dovrebbe essere svolto estesamente e analiticamente, ma allora sarebbe necessario un saggio molto lungo. Per ciò che ti può interessare, mi pare che bastano questi accenni, che non mi sarebbe agevole svolgere diffusamente.

Cara, ti abbraccio teneramente.

Antonio


264.

9 maggio 1932

Carissima Tania,

ho ricevuto una tua cartolina del 30 aprile e una lettera del 6 maggio. Il fascicolo della «Riforma Sociale» del settembre-ottobre 1931 non l’ho ricevuto e cosí non ho ricevuto nessuno dei libri allora ordinati. Successivamente mi sono giunti quattro volumi: l’edizione del Principe di Machiavelli curata da Luigi Russo, l’Autobiografia di Gandhi con pref. del senatore Gentile, la Storia d’Europa del senatore Croce, e un volumetto di storia locale genovese di Mario Bettinotti, ma di essi finora mi è stato consegnato solo il Principe. – Il libro di Benco è la Storia del Piccolo di Trieste edito da Treves-Treccani-Tuminelli – di Emilio Zanella: Dalla barbarie alla civiltà nel Polesine, edito dai «Problemi del Lavoro». Di altri libri avverti che non mandino assolutamente nulla. D’ora in avanti bisogna attenersi assolutamente a questa norma; che se ho bisogno di qualche libro, lo indicherò io stesso. In quest’ultimo tempo i libri speditimi non mi sono stati consegnati; per ognuno dovrei fare un’istanza al Ministero, cosa assurda oltre che tediosa. Ti pare? Ti avevo scritto di fare l’abbonamento alla «Cultura», per la quale avevo già ottenuto il permesso; non so se è stato fatto. Adesso ho visto che viene pubblicata in 4 fascicoli all’anno e che il primo fascicolo del 1932 è già uscito. Da casa non ricevo notizie da oltre un mese e mezzo: ho ricevuto quindici giorni fa una cartolina di Teresina coi soli saluti. – Poiché non ho ancora letto la Storia d’Europa non posso darti nessuno spunto sul suo reale contenuto. Posso però ancora scriverti qualche osservazione che non è esteriore che in apparenza, come vedrai. Ti ho già scritto che tutto il lavoro storiografico del Croce negli ultimi 20 anni è stato rivolto a elaborare una teoria della storia come storia etico-politica in contrapposizione alla storia economico-giuridica che rappresentava la teoria derivata dal materialismo storico dopo il processo revisionistico che esso aveva subito per opera del Croce stesso. Ma la storia del Croce è poi etico-politica? Mi pare che la storia del Croce non possa essere chiamata che storia «speculativa» o «filosofica» e non etico-politica e in questo suo carattere e non nell’essere etico-politica è la sua opposizione al materialismo storico. Una storia etico-politica non è esclusa dal materialismo storico, in quanto essa è la storia del momento «egemonico», mentre è esclusa la storia «speculativa» come ogni filosofia «speculativa». Nella sua elaborazione filosofica il Croce dice di aver voluto liberare il pensiero moderno da ogni traccia di trascendenza, di teologia, e quindi di metafisica in senso tradizionale; seguendo questa linea egli è giunto fino a negare la filosofia come sistema, appunto perché nell’idea di sistema è un residuo teologale. Ma la sua filosofia è una filosofia «speculativa» e in quanto tale continua in pieno la trascendenza e la teologia con un linguaggio storicistico. Il Croce è cosí immerso nel suo metodo e nel suo linguaggio speculativo che non può giudicare che secondo essi; quando egli scrive che nella filosofia della praxis la struttura è come un dio ascoso, ciò sarebbe vero se la filosofia della praxis fosse una filosofia speculativa e non uno storicismo assoluto, liberato davvero e non solo a parole, da ogni residuo trascendentale e teologico. – Legata a questo punto è un’altra osservazione che piú da vicino riguarda la concezione e la composizione della Storia d’Europa. Può pensarsi una storia unitaria dell’Europa che si inizi dal 1815, cioè dalla Restaurazione? Se una storia d’Europa può essere scritta come formazione di un blocco storico, essa non può escludere la Rivoluzione francese e le guerre napoleoniche, che del blocco storico europeo sono la premessa «economico-giuridica», il momento della forza e della lotta. Il Croce assume il momento seguente, quello in cui le forze scatenate precedentemente si sono equilibrate, «catartizzate» per cosí dire, fa di questo momento un fatto a sé e costruisce il suo paradigma storico. Lo stesso aveva fatto con la Storia d’Italia: incominciando dal 1870 essa trascurava il momento della lotta, il momento economico, per essere apologetica del momento puro etico-politico, come se questo fosse caduto dal cielo. Il Croce, naturalmente con tutte le accortezze e le scaltrezze del linguaggio critico moderno ha fatto nascere una nuova forma di storia retorica; la forma attuale di essa è appunto la Storia speculativa. – Ciò si vede meglio ancora se si esamina il concetto «storico» che è al centro del libro di Croce, cioè il concetto di «libertà»; il Croce, in contraddizione con se stesso, confonde «libertà» come principio filosofico o concetto speculativo e libertà come ideologia ossia strumento pratico di governo, elemento di unità morale egemonica. Se tutta la storia è storia della libertà, ossia dello spirito che crea se stesso (e in questo linguaggio libertà è uguale a spirito, spirito è uguale a storia e storia è uguale a libertà), perché la storia europea del secolo XIX sarebbe essa sola storia della libertà? Non sarà dunque storia della libertà in senso filosofico, ma dell’autocoscienza di questa libertà e della diffusione di questa autocoscienza sotto forma di una religione negli strati intellettuali e di una superstizione negli strati popolari che si sentono uniti a quegli intellettuali, che sentono di partecipare a un blocco politico di cui quegli intellettuali sono i portabandiera e i sacerdoti. Si tratta dunque di una ideologia, cioè di uno strumento pratico di governo, e occorrerà studiare il nesso pratico su cui si fonda. La «libertà» come concetto storico è la dialettica stessa della storia e non ha «rappresentanti» pratici distinti e individuati. La storia era libertà anche nelle satrapie orientali, tanto vero che anche allora c’era «movimento» storico e quelle satrapie sono crollate. Insomma mi pare che le parole mutano, le parole sono magari dette bene, ma le cose non sono neanche scalfite. – Mi pare che la «Critica fascista» in un articolo, seppure non esplicitamente, abbia scritto la critica giusta, osservando che tra vent’anni il Croce, vedendo il presente in prospettiva, potrà trovare la sua giustificazione storica come processo di libertà. Del resto, se ricordi il primo punto che ti ho scritto, cioè le osservazioni sull’atteggiamento del Croce durante la guerra, comprenderai meglio il suo punto di vista: come «sacerdote» della moderna religione storicistica, il Croce vive la tesi e l’antitesi del processo storico e insiste nell’una o nell’altra per «ragioni pratiche» perché nel presente vede l’avvenire e di esso si preoccupa quanto del presente. A ognuno la sua parte: ai «sacerdoti» quella di salvaguardare il domani. In fondo c’è una bella dose di cinismo morale in questa concezione «etico-politica»; è la forma attuale del machiavellismo. – Ti abbraccio teneramente.

Antonio


265.

16 maggio 1932

Carissima Tania,

ho ricevuto le tue lettere del 7 e del 12 e la cartolina del 13. Qualche ora fa ho avuto il colloquio con Carlo e sono stato ben contento di vederlo. Penso che adesso dovrai rimandare la tua venuta di qualche tempo. Ti confesso che non ho molta voglia di scrivere. Sono molto nervoso, come succede sempre quando qualche novità interrompe la monotonia della fastidiosa vita quotidiana. – Ti voglio solo dire che la mia espressione «tirare sassi nel buio» di qualche lettera fa non avrebbe dovuto addolorarti; significava solo che se avessi potuto avere prima certe informazioni, nelle mie lettere a Giulia avrei adoperato diverse espressioni ecc. Invece per un certo tempo c’è stato come un gioco di mosca cieca. Del resto ciò coincide con le tue osservazioni a proposito dell’atteggiamento reciproco di quei di casa nostra. Non ti pare che essi giochino tra loro a mosca cieca, e si comportino reciprocamente come chi tira sassi nel buio? Una volta io dissi queste cose a Giulia, la quale si spaventò realmente all’idea che si dovesse dare a Genia la notizia della morte di Nadine; mi disse che Genia poteva morirne, e ne era convinta fino alle lacrime. A me parve invece che Genia fosse convinta che Nadine era morta (qualche cosa in proposito mi deve avere accennato nel 1922) e perciò mi maravigliò molto ciò che accadde a Roma. Non riuscivo a comprendere come non si comprendesse che la mancanza prolungata di notizie deve necessariamente provocare dei sospetti, a meno che non si creda all’assoluta insensibilità dell’altra parte (ciò che non si crede, perché anzi si esagera morbosamente la sensibilità stessa) e che si ottiene solo di creare una catena interminabile di tragici equivoci. Ma io sono un sardo senza complicazioni psicologiche e mi costa una certa fatica comprendere le complicazioni degli altri. Forse dovrei dire che «ero» un sardo senza complicazioni, perché forse ora non lo sono piú; una certa dose di complicazioni deve avere turbato anche la mia psicologia, perché ogni tanto tu reagisci in modo che mi maraviglia e mi sorprende.

Carissima, ti abbraccio teneramente

Antonio


266.

23 maggio 1932

Carissima mamma,

ho ricevuto la lettera di Grazietta del 13 maggio. Carlo mi ha detto lunedí scorso che le tue condizioni di salute sono un po’ migliorate. Da Carlo avrai ricevuto certamente le sue impressioni sul nostro colloquio, poiché mi aveva promesso che ti avrebbe scritto subito. Dirai a Mea che finalmente riceverà i famosi pastelli promessi da quasi un anno. Carlo li ha presi con sé e ha promesso di spedirli subito. Cosí anche Teresina riceverà Guerra e Pace di Tolstoi che le avevo promesso. Carlo ha preso con sé il collo di libri che avevo preparato e mi ha promesso di spedirlo, dopo di averli letti lui, immagino. La difficoltà per la spedizione di questi colli consiste nel fatto che alla stazione di Turi non ricevono spedizioni ferroviarie per la Sardegna: bisogna che qualcuno li porti fino a Bari per inoltrarli di là. Ecco perché non ho potuto finora mantenere la promessa fatta a Mea a suo tempo.

Ho letto la notizia mandatami da Grazietta, della morte di Giampietro Sanna. Ma Titino cosa fa e dove abita? Penso che in questo tempo si sarà completamente istupidito: era sulla buona strada da quando era a Torino. Allora pareva che fosse affetto da una grave malattia, una forma epilettoide. Almeno avveniva che ogni volta che gli dicevo che doveva ripartire per Ghilarza, date le sue condizioni economiche e poiché io non potevo indefinitamente dargli da mangiare, si rovesciava per terra con la schiuma alla bocca in preda a convulsioni. Qualche volta mi nacque il dubbio che simulasse per indurmi a compassione, ma al dubbio contrastava l’osservazione che per simulare occorre una certa dose di intelligenza e di forza di volontà e non mi pareva che Titino avesse né l’una né l’altra. Può darsi che si sia ripreso e che si sia applicato a lavorare, perché era molto buono d’indole e allora per me si sarebbe fatto fare a pezzi: mi scortava per la strada, veniva a svegliarmi con grande puntualità e credeva cosí di fare delle grandi cose. Per il suo grande daffare io avevo sempre l’impressione che gli avrebbero rotto la testa da un momento all’altro.

Carissima mamma, fa’ in modo che mi scrivano un po’ piu spesso.

Ti abbraccio teneramente con tutti di casa.

Antonio


267.

23 maggio 1932

Carissima Tania,

ho ricevuto la tua cartolina del 17 e la lettera del 19. Le notizie che ti ha dato Carlo sulle mie condizioni di salute sono poco chiare; non ho avuto attacchi gravi di acidi urici, sebbene certamente la continuazione del catarro intestinale sarà connessa a soverchia acidità. Da qualche tempo invece soffrivo d’insonnia se cosí si può dire; piú esattamente non dormo non perché non abbia sonno, ma perché il sonno è interrotto da cause esterne, e ciò mi ha prodotto una condizione di grande stanchezza ed esaurimento, che apparivano anche esteriormente se Carlo se ne è accorto. La quistione è complessa e te ne potrò parlare se verrai a colloquio. Sulla data della tua venuta io non ho particolari desideri; devi scegliere tu il momento che ti è conveniente da ogni punto di vista. Ho letto con grande interesse la lettera del tuo papà: è molto attraente e piena di osservazioni stimolanti alla meditazione. Per ciò che tu dici che io potrei scrivergli, non sono del tuo parere. Mi sarebbe difficile spiegarti esaurientemente il perché; certe cose mi dispiace scriverle in una lettera carceraria. – Non mi hai detto il tuo parere sulle note che ti ho scritto a proposito del Croce; nel complesso ti sono state utili? In ogni modo devi tener presente che esse non possono essere complete e non potevano toccare alcuni punti che pure sarebbe necessario trattare; e che anche cosí come sono, hanno subito una mutilazione volontaria. Ho ricevuto finalmente i libri ordinati tanto tempo fa. Non ho però ricevuto il numero della «Riforma Sociale» del settembre-ottobre 1931; cosí mi è mancato il numero di aprile 1932 dei «Problemi del Lavoro», che mi farai il piacere di richiedere. (Non ho neppure ricevuto il 1° fascicolo dell’anno della «Cultura»). Se ti capita di scrivere a Piero riferiscigli che in un brano di un capitolo del recente libro di Silvio D’Amico Certezze, capitolo dedicato allo Spielberg si parla di una domanda di grazia inviata da Federico Confalonieri all’Imperatore d’Austria che sarebbe appunto conservata nel Museo italiano dello Spielberg stesso. Il D’Amico non ristampa questa supplica, ma ne dà accenni esteriori come dello scritto di un uomo ridotto al massimo grado di avvilimento e di abbiezione. Piero forse sa se questo scritto del Confalonieri è stato già stampato in qualche pubblicazione sul Confalonieri. A me pare di non averne mai inteso accennare. Carissima, puoi ancora inviarmi dei Sali di Hunt? Non posso piú fare a meno di prenderli e ho quasi esaurito la scorta. Ho provato a interrompere l’uso, ma subito si sono riprodotti i disturbi.

Ti abbraccio teneramente.

Antonio


268.

30 maggio 1932

Carissima Tania,

ho ricevuto una tua cartolina del 25 e il vaglia del 28. Ti ringrazio di cuore, ma ti assicuro che non c’era nessuna urgenza. Come ti ho scritto qualche mese fa, le spese che faccio sono relativamente piccole e oltre che non è possibile comprare qualcosa di appetibile, in realtà è meglio che non oltrepassi una dieta rigorosa, per non stare peggio. Ogni variazione e ogni tentativo di aumentare la quantità del cibo ingerito mi procurano disturbi tali che ormai preferisco evitare anche i tentativi. Del resto ciò per ora non è preoccupante, né mi sento piú debole del solito. Non devi credere che sia diventato fatalista, né che mi sia abbandonato al filo della corrente come un «chien crevé»; tutt’altro, arzigogolo di continuo in cerca di soluzioni piú razionali, ma il campo della scelta è ben ristretto e si restringe sempre piú dopo ogni tentativo che si dimostra inutile. Ma parliamo di cose piú interessanti intorno alle quali mi sia possibile di sfogare un po’ la mia mania di infilare quattro chiacchere. Ti voglio riferire una serie di osservazioni, perché, se del caso, le riscriva a Piero domandandogli qualche indicazione bibliografica che mi permetta di allargare il campo delle meditazioni e di orientarmi meglio. Vorrei sapere se esiste una qualche pubblicazione speciale, anche in lingua inglese, sul metodo di ricerca nelle scienze economiche proprio del Ricardo e sulle innovazioni che Ricardo ha introdotto nella critica metodologica. Penso che specialmente intorno al centenario della sua morte, dieci anni fa, sia uscita una ricca letteratura in proposito e che ci sia una qualche probabilità di trovare ciò che precisamente fa al caso mio. Il corso delle mie riflessioni è questo: – si può dire che Ricardo abbia avuto un significato nella storia della filosofia oltre che nella storia della scienza economica, dove è certo di primo ordine? E si può dire che Ricardo abbia contribuito a indirizzare i primi teorici della filosofia della praxis al loro superamento della filosofia hegeliana e alla costruzione del loro nuovo storicismo, depurato di ogni traccia di logica speculativa? A me pare che si potrebbe tentare di dimostrare questo assunto e che varrebbe la pena di farlo. Prendo lo spunto dai due concetti, fondamentali per la scienza economica, di «mercato determinato» e di «legge di tendenza» che mi pare siano dovuti al Ricardo e ragiono cosí: – non è forse da questi due concetti che si è preso motivo per ridurre la concezione «immanentistica» della storia, – espressa con linguaggio idealistico e speculativo dalla filosofia classica tedesca, – in una «immanenza» realistica immediatamente storica, in cui la legge di causalità delle scienze naturali è stata depurata del suo meccanicismo e si è sinteticamente identificata col ragionamento dialettico dell’hegelismo? – Forse tutto questo nesso di pensieri appare ancora un po’ torbido, ma mi importa appunto che sia compreso nel suo insieme, sia pure approssimativamente, per quanto basta per sapere se il problema è stato intravisto e studiato da qualche studioso di Ricardo. Occorre ricordare come lo stesso Hegel abbia, in altri casi, visto questi nessi necessari tra diverse attività scientifiche, e anche tra attività scientifiche e attività pratiche. Cosí, nelle Lezioni di storia della filosofia, egli ha trovato un nesso tra la Rivoluzione francese e la filosofia di Kant, di Fichte e di Schelling, e ha detto che «solo due popoli, i tedeschi e i francesi, per opposti che siano tra loro, anzi appunto perché opposti, hanno preso parte alla grande epoca della storia universale» della fine del secolo XVIII e dei primi del secolo XIX, poiché il nuovo principio in Germania «ha fatto irruzione come spirito e concetto» mentre in Francia si è esplicato «come realtà effettuale». Dalla Sacra Famiglia si vede come questo nesso posto da Hegel tra l’attività politica francese e quella filosofica tedesca sia stato fatto proprio dai teorici della filosofia della praxis. Si tratta di vedere come e in che misura all’ulteriore sviluppo della nuova teoria abbia contribuito l’economia classica inglese, nella forma metodologica elaborata dal Ricardo. Che l’economia classica inglese abbia contribuito allo sviluppo della nuova filosofia è comunemente ammesso, ma si pensa di solito alla teoria ricardiana del valore. A me pare che si debba vedere piú oltre e identificare un apporto che direi sintetico, cioè che riguarda l’intuizione del mondo e il modo di pensare e non solo analitico, riguardante una dottrina particolare, sia pure fondamentale. Piero, nel suo lavoro per l’edizione critica delle opere del Ricardo, potrebbe raccogliere un materiale prezioso in proposito. In ogni modo, veda se esiste una qualche pubblicazione che tratti questi argomenti o mi sia di aiuto nelle mie condizioni carcerarie, mentre cioè non posso fare ricerche sistematiche di biblioteca. – Carissima Tania, ti abbraccio teneramente.

Antonio


269.

6 giugno 1932

Carissima Tania,

ho ricevuto la tua lettera del 30 maggio. Ho avuto anche i campioni raccomandati coi medicinali. Ho già preso la Sedosine, ma devo dire che non mi produce nessun effetto rilevante. Ho preso qualche volta il «Somatose», ma ancora non regolarmente: in realtà non so come fare, perché il cibo che ricevo non si presta a essere mescolato con tale preparato. Cercherò di ingoiarlo semplicemente sciolto nell’acqua fredda, ma non sono sicuro che in tal modo sia efficace: è forse necessario immetterlo in liquidi caldi? Ti assicuro che non ho nessuno scrupolo a chiamare le cose per il loro nome: le chiamo come so e posso. Il catarro intestinale non so chiamarlo in altro modo che cosí. Cosí è giusto che non sia insonnia «organica» ciò che non mi lascia dormire; credo che il non aver dormito, anche se si chiama «insonnia», non sia da curarsi sempre come insonnia. Mi pare che è meglio non fare quistioni di parola; l’importante è capire e mi pare che tu abbia capito di che si tratta. – [Ti prego anche per questo trimestre che incomincia col 1° luglio di fare tu l’abbonamento al «Corriere della Sera». Questa volta però ti prego di inviare 17 lire invece di 14,50 e di specificare che si desidera anche il numero del lunedí. Leggendo meglio il prospetto degli abbonamenti che mi hanno inviato in vista della scadenza trimestrale, ho visto che si può fare l’abbonamento anche per il numero del lunedí, ciò che dalla testata del giornale non appariva. Ti spedisco il modulo del bollettino di contocorrente, col quale da Roma si può spedire la somma senza spese di porto].

Cercherò di rispondere alle altre quistioni che mi poni a proposito del Croce, quantunque non ne capisco bene l’importanza e forse credo di avere già risposto ad esse nei cenni precedenti. Rileggi il punto in cui ho accennato all’atteggiamento mantenuto dal Croce durante la guerra e vedi se implicitamente non si contenga la risposta a una parte delle tue domande attuali. La rottura col Gentile è avvenuta nel 1912, ed è il Gentile che si è staccato dal Croce, che ha cercato di rendersene filosoficamente indipendente. Non credo che il Croce abbia mutato orientamento da quel tempo in poi, sebbene abbia definito meglio le sue dottrine; un mutamento piú notevole è quello avvenuto dal 900 al 910. La cosí detta «religione della libertà» non è una trovata di questi anni, è il riassunto in una formula drastica del suo pensiero di tutti i tempi, dal momento in cui abbandonò il cattolicismo, come egli stesso scrive nella sua autobiografia intellettuale (Contributo alla critica di me stesso). Né in questo il Gentile mi pare in disaccordo col Croce. Credo che tu dia una interpretazione inesatta della formula «religione della libertà» poiché le presti un contenuto mistico (cosí potrebbe credersi dal fatto che tu accenni a un «rifugiarsi» in questa religione e quindi a una specie di «fuga» dal mondo ecc.). Niente di questo. Religione della libertà significa semplicemente fede nella civiltà moderna, che non ha bisogno di trascendenze e rivelazioni ma contiene in se stessa la propria razionalità e la propria origine. È quindi una formula antimistica e, se vuoi, antireligiosa. Per il Croce ogni concezione del mondo, ogni filosofia, in quanto diventa una norma di vita, una morale, è «religione». Le religioni nel senso confessionale sono anch’esse «religioni» ma «mitologiche», quindi in un certo senso «inferiori», primitive, quasi corrispondenti a una fanciullezza storica del genere umano. Le origini di tale dottrina sono già in Hegel e nel Vico e sono patrimonio comune di tutta la filosofia idealistica italiana, sia del Croce che del Gentile. Su questa dottrina è fondata la riforma scolastica gentiliana per ciò che riguarda l’insegnamento religioso nelle scuole, che anche il Gentile voleva limitato alle sole elementari (fanciullezza vera e propria) e che in ogni caso, neanche il Governo ha voluto che fosse introdotta nell’insegnamento superiore. – Cosí io credo che tu forse esageri la posizione del Croce nel momento presente, ritenendolo piú isolato di quanto sia. Non bisogna lasciarsi ingannare dall’effervescenza polemica di scrittori piú o meno dilettanti e irresponsabili. Una bella parte delle sue attuali concezioni il Croce l’ha esposta nella rivista «Politica» diretta dal Coppola e dal ministro Rocco e non solo il Coppola, io credo, ma molti altri sono persuasi dell’utilità della posizione presa dal Croce, che crea la situazione in cui è possibile l’educazione reale alla vita statale dei nuovi gruppi dirigenti affiorati nel dopoguerra. Se studi tutta la storia italiana dal 1815 in poi, vedi che un piccolo gruppo dirigente è riuscito metodicamente ad assorbire nel suo circolo tutto il personale politico che i movimenti di massa, di origine sovversiva, esprimevano. Dal 60 al 76 il Partito d’Azione, mazziniano e garibaldino, fu assorbito dalla Monarchia, lasciando un residuo insignificante che continuò a vivere come Partito Repubblicano ma aveva piú un significato folcloristico che storico-politico. Il fenomeno fu detto del «trasformismo» ma non si trattava di un fenomeno isolato; era un processo organico che sostituiva, nella formazione della classe dirigente, ciò che in Francia era avvenuto nella Rivoluzione e con Napoleone, e in Inghilterra con Cromwell. Infatti, anche dopo il 1876 il processo continua, molecolarmente. Assume una portata imponente nel dopoguerra, quando pare che il gruppo dirigente tradizionale non sia in grado di assimilare e digerire le nuove forze espresse dagli avvenimenti. Ma questo gruppo dirigente è piú «malin» e capace di quanto si poteva pensare: l’assorbimento è difficile e gravoso, ma avviene nonostante tutto, per molte vie e con metodi diversi. L’attività del Croce è una di queste vie e di questi metodi; il suo insegnamento produce forse la maggior quantità di «succhi gastrici» atti all’opera di digestione. Collocata in una prospettiva storica, della storia italiana, naturalmente, l’operosità del Croce appare come la piú potente macchina per «conformare» le forze nuove ai suoi interessi vitali (non solo immediati, ma anche futuri) che il gruppo dominante oggi possieda e che io credo apprezzi giustamente, nonostante qualche superficiale apparenza. Quando si gettano in fusione corpi diversi da cui si vuole ottenere una lega, l’effervescenza superficiale indica appunto che la lega si sta formando e non viceversa. Del resto, in questi fatti umani la concordia si presenta sempre come discors, come una lotta e una zuffa e non come un abbracciamento da palcoscenico. Ma è sempre concordia e della piú intima e fattiva. – Carissima, ti abbraccio teneramente.

Antonio


270.

13 giugno 1932

Carissima Tania,

ho ricevuto questa settimana solo una tua cartolina del 4. Ho ricevuto anche il tuo pacco e ti ringrazio di quanto mi hai mandato. Può darsi che la frutta che mi hai mandato mi giovi, ma ci conto poco. Nel passato, realmente il mangiare della frutta secca mi faceva bene; per qualche giorno digerivo regolarmente, ecc. Ma da qualche tempo, anche questi palliativi hanno perduto ogni loro efficacia.

– Anche questa volta ti voglio dare qualche incombenza fastidiosa. Ti prego di scrivere a mio nome, cioè indicando il mio indirizzo, perché mi mandino il catalogo generale delle loro pubblicazioni a queste case editrici (basta mandare una cartolina – oppure passando dall’editore Formiggini puoi acquistare un certo numero di cedole librarie stampate che si spediscono, credo, con soli 10 cent. di affrancatura): – «La Nuova Italia», Editrice, via Fiesolana 38, Firenze. Licinio Cappelli editore, Bologna. Vallecchi Editore, Firenze. Editori Zanichelli, Bologna. Fratelli Bocca, editori, Torino.

Cosí ti sarò molto grato se in qualche libreria di Roma (forse sarà piú facile alla Libreria del Littorio, o da Loescher) acquisterai i fascicoli della rivista «Il Selvaggio» (diretta da Mino Maccari), in cui sono stampate delle Lettere aperte di Camillo Pellizzi allo stesso Maccari. Nel fascicolo di maggio è stata certamente pubblicata una di queste lettere aperte, ma credo che due altre siano state stampate in fascicoli precedenti. Questi numeri di rivista se riesci a rintracciarli, tienili presso di te: ti scriverò poi se e quando potrai inviarmeli, poiché «Il Selvaggio» non è compreso nella lista delle riviste di cui mi è stata concessa la lettura e sarà necessario fare una pratica speciale. Ma conviene acquistare ora questi numeri, perché quanto piú diventeranno arretrati e tanto piú sarà difficile rintracciarli.

Carissima, ti abbraccio teneramente

Antonio

Ricevo in questo momento la tua lettera dell’8, dove mi descrivi le peregrinazioni per cercare un appartamento. Ma se non stai tanto bene perché ti affatichi in queste ricerche che devono essere snervanti?