12 Lettere 331 – 360

331.

20 febbraio 1933

Carissima Teresina,

ho ricevuto la tua lunga lettera del 6 e devi permettermi di dire che tu hai enormemente drammatizzato la mia quistione con Carlo. Ti assicuro che io non nutro nessun rancore per Carlo e che non è neanche da dire che tra noi esista un dissidio. Perciò io non ho niente da perdonargli, né ho da attendere spiegazioni da lui o io da dargliene. Non devi neanche credere che il telegramma che egli mi ha spedito ai primi di novembre mi abbia incollerito oltre misura e in modo permanente. La quistione è diversa; può essere piú grave e piú leggera a seconda dei punti di vista. Per dirla in breve la quistione è questa: non vedo come sia possibile che tra me e Carlo ci siano dei rapporti permanenti e continuati, ecco tutto. Non escludo che la causa di ciò sia io stesso, ma siccome non si tratta di ricerca di cause passate, ma di cercare di organizzare una vita possibile al presente e nell’avvenire, la quistione delle cause mi importa poco. Dico questo per mostrarti come io sia calmo e tranquillo e come nel mio modo di pensare e nelle mie decisioni non abbiano influsso sentimenti inferiori come sarebbero il rancore, la collera, l’ira ecc. D’altronde non mi piace neppure essere ipocrita, cioè dire delle cose che non sento. Preferisco tacere e lasciar perdere. So anche che il carcere, per le condizioni di vita che crea, inasprisce e rende impazienti. È vero. Non ti ho finora scritto, che da qualche tempo le mie condizioni di salute sono scosse. Quasi un anno e mezzo fa (precisamente il 3 agosto 1931) ho avuto una crisi un po’ forte, e dopo non sono riuscito piú a rimettermi in carreggiata. Mentre prima il tempo mi passava con una certa facilità, anzi mi pareva a me stesso che passasse senza che me ne accorgessi, da allora tutto è cambiato: sento le settimane le ore e i minuti e tutto mi grava e mi pesa come se qualcuno mi limasse i nervi. Questo lo scrivo per te, per spiegarti la mia vita. Sono come un meccanismo guasto: cause futili producono effetti sproporzionati, e magari cause che sembrerebbero gravi non producono nessun effetto. Sono diventato insensibile per tutta una serie di cause e invece mi pare di essere scorticato vivo per le piccole cose. Se dovessi dire quale sia l’ideale che vagheggio sarebbe questo: di non aver rapporti con nessuno, di essere dimenticato da tutti e dimenticare tutto e fare la vita di una bestia nel suo covile. Ma forse se cosí avvenisse non sarei neppure soddisfatto. – Cara Teresina, ti ringrazio delle cose gentili che mi scrivi nella tua lettera. In ogni caso ti prego di non preoccuparti di tutte queste cose che ti scrivo. Penso che la cosa migliore sia di dare tempo al tempo; nonostante tutto, il tempo passa. Carlo mi ha scritto due cartoline illustrate in questo frattempo. Non credere che io voglia proibirgli di scrivermi. Non credo però che, almeno per ora, io gli risponderò. D’altronde non so neppure dove stia adesso. Quando da Milano si è trasferito a Cesano Maderno non me lo fece sapere. Adesso mi scrive da Milano. Non so se sia ritornato ad abitare a Milano. Abbraccia tutti di casa per me. Fraternamente

Antonio


332.

27 febbraio 1933

Carissima Tania,

credo sia inutile, dopo quello che ti ho detto a voce, ripeterti le solite tiritere sui miei malanni fisici. Credo che, nelle condizioni in cui si svolge il nostro dialogo, ogni prolungamento di esso, invece di apportare elementi di chiarezza, apporterebbe solo elementi di confusione. Voglio invece discorrerti un po’ della mia situazione morale, per dir cosí, cioè della somma di sentimenti che mi occupano normalmente e di quelli specialmente che tra gli altri predominano e danno il tono generale. Credo di potere assicurare che, almeno finora, l’elemento psichico non determina quello fisico e neppure viceversa; però è vero che in determinate condizioni fisiche, determinati sentimenti si fanno piú imperiosi e talvolta diventano ossessionanti. Si può perciò dire che quando il corso dei pensieri assume una certa direzione, o si intensifica in quella direzione, ciò corrisponde a una determinata situazione fisica e ne indica un aggravamento. Nel mio caso particolare, è certo che in tutti questi anni ho sempre pensato a certi fatti (nel caso specifico alla serie di fatti che possono simbolicamente riassumersi nella famosa lettera di cui mi parlò il giudice istruttore a Milano e sulla quale anche recentemente ti intrattenni), ma è anche certo che in questi ultimi mesi questi pensieri si sono venuti, dirò cosí; intensificando, forse perché diminuiva in me la fiducia di potere personalmente chiarirli, di potere occuparmene «filologicamente», risalire alle fonti e venire a una spiegazione plausibile di essi. Quello che oggi ti voglio dire è questo: che a questa serie di fatti collego le manifestazioni dei miei rapporti con Iulca. Cioè che a questa serie di preoccupazioni erano collegate certe lettere che ti scrissi molto tempo fa e che forse non hai dimenticato, fino all’ultima che tu talvolta chiami «famigerata» e che non è molto lontana nel tempo. In ogni modo anche oggi sono persuaso che nei miei rapporti con Iulca c’è un certo equivoco, un doppio fondo, una ambiguità che impedisce di veder chiaro e di essere completamente franchi: la mia impressione è di essere tenuto da parte, di rappresentare, per cosí dire, «una pratica burocratica» da emarginare e nulla piú. Guarda che io per il primo sono persuaso di aver commesso degli errori, ma l’impressione è che non si tratti di questi errori, ma di altro che mi sfugge e non riesco a identificare con precisione. D’altronde, come puoi pensare, sebbene viva in carcere, isolato da ogni fonte di comunicazione, diretta e indiretta, non devi pensare che non mi arrivino ugualmente elementi di giudizio e di riflessione. Arrivano disorganicamente, saltuariamente, a lunghi intervalli, come non può non accadere, dai discorsi ingenui di quelli che sento parlare o faccio parlare e che di tanto in tanto portano l’eco di altri ambienti, di altre voci, di altri giudizi, ecc. Non ho ancora perduto tutte le qualità di critica «filologica»: so sceverare, distinguere, smorzare le esagerazioni volute, integrare ecc. Qualche errore nel complesso ci deve essere, sono pronto ad ammetterlo, ma non decisivo, non tale da dare una diversa direzione al corso dei pensieri. Inoltre altre cose non credo opportuno scrivertele. Conosci il mio modo di pensare: ciò che è scritto, acquista un valore «morale» e pratico che trascende di molto il solo fatto di essere scritto, che pure è una cosa puramente materiale… La conclusione, per dirla riassuntivamente, è questa: io sono stato condannato il 4 giugno 1928 dal Tribunale Speciale, cioè da un collegio di uomini determinato, che si potrebbero nominalmente indicare con indirizzo e professione nella vita civile. Ma questo è un errore. Chi mi ha condannato è un organismo molto piú vasto, di cui il Tribunale Speciale non è stato che l’indicazione esterna e materiale, che ha compilato l’atto legale di condanna. Devo dire che tra questi «condannatori» c’è stata anche Iulca, credo, anzi sono fermamente persuaso, inconsciamente e c’è una serie di altre persone meno inconscie. Questa è almeno la mia persuasione, ormai ferreamente ancorata perché l’unica che spieghi una serie di fatti successivi e congruenti tra loro. Non so se ho fatto bene a scriverti queste cose, ci ho pensato molte volte, ho esitato, poi mi sono persuaso per il sí. Non credere neanche che il mio affetto per Iulca sia diminuito. Da ciò che posso giudicare io esso mi pare piuttosto aumentato, in un certo senso almeno. Conosco per esperienza l’ambiente in cui vive, la sua sensibilità e il modo come può essere avvenuto in lei un mutamento. Ho creduto di doverti scrivere perché mi pare di essere giunto a uno svolto decisivo nella mia vita, in cui occorre, senza più dilazioni, prendere una decisione. Questa decisione è presa. La linea di condotta che ti ho indicato negli ultimi colloqui e nelle ultime lettere, è solo una parte condizionale di queste decisioni. Certe volte ho pensato che tutta la mia vita fosse un grande (grande per me) errore, un dirizzone. Mi persuade ancora che ciò non è perfettamente vero l’atteggiamento tuo e specialmente quello dell’avvocato. (Non offenderti se metto l’avvocato prima di te; ci sono le ragioni plausibili e che non sono offensive per te e tu stessa le puoi capire). Ma questo non è sufficiente. – Riepilogando: – voglio persuaderti che le mie condizioni psichiche, se sono collegate alle condizioni fisiche, non ne sono però la causa e l’origine. Ne sono tutto al piú il sintomo esterno, o la forma: per cui anche se, per ipotesi, esse sparissero, non perciò sparirebbero i mali fisici: cambierebbe la forma, ecco tutto, il che non mi pare gran cosa. Presi a sé, i mali psichichi sono abbastanza gravi (nel senso che la mia forza di volontà riesce sempre meno a dominarli e a controllarli) e questo aggravamento è un sintomo di stanchezza fisica, cioè appunto di indebolimento della volontà nel senso fisico della parola: sento anche un disgregamento delle forze intellettuali in sé e di ciò devi aver avuto tu stessa l’impressione in alcune mie lettere. Da tutto l’insieme sento che sto attraversando la fase più critica della mia esistenza e che tale fase non può durare a lungo senza determinare, fisicamente e psichicamente, risultati e complicazioni da cui non si può tornare piú indietro perché decisive. Questo che ti scrivo è riservato per te e per l’avvocato che si occupa dei miei affari. Non vorrei che fosse riservato per Iulca, ma ti dirò: con lei non credo bastano le affermazioni formali, come quelle che finora ho fatto. Occorrerebbe trattare il merito della quistione in forma ampia e ciò non si può fare (almeno io non so farlo) per lettera. E ancora le parole non basterebbero da sole; dovrebbero essere accompagnate da fatti. Credi che ciò mi preoccupa. Ho l’impressione che Iulca un po’ soffra del mio stesso male, che almeno una parte del suo malessere derivi dalle stesse cause da cui deriva il mio malessere psichico. Non so se a te sia possibile intervenire in qualche modo. Vedo la cosa molto difficile, perché conosco certe condizioni e certi precedenti che a te sfuggono necessariamente e senza la conoscenza dei quali, d’altronde, mi pare che ogni intervento debba apparire superficiale e convenzionale. Pensa che a tali cose penso da quattro o cinque anni e che pertanto le ho analizzate in ogni minimo aspetto e in tutte le combinazioni possibili. Non c’è conclusione a quanto ti ho scritto. Praticamente mi pare che la conclusione sia la solita: proseguire con fermezza nelle linee fissate, senza fare cose inutili o superflue, in modo che tutto ciò che è possibile realizzare con la nostra volontà sia realizzato esattamente; il resto, in quanto non può entrare nel conto, non deve preoccupare. Ringrazia l’avvocato di quanto ha fatto per me e vorrà ancora fare. Con lui parlare di gratitudine mi pare ozioso. Ti abbraccio teneramente.

Antonio


333.

6 marzo 1933

Carissima Tania,

ho ancora vivo il ricordo (ciò non sempre mi capita piú in questi ultimi tempi) di un paragone che ti ho fatto nel colloquio di domenica per spiegarti ciò che avviene in me. Voglio riprenderlo per trarne alcune conclusioni pratiche che mi interessano. Ti ho detto su per giù cosí: – immagina un naufragio e che un certo numero di persone si rifugino in una scialuppa per salvarsi senza sapere dove, quando e dopo quali peripezie effettivamente si salveranno. Prima del naufragio, come è naturale, nessuno dei futuri naufraghi pensava di diventare… naufrago e quindi tanto meno pensava di essere condotto a commettere gli atti che dei naufraghi, in certe condizioni, possono commettere, per esempio, l’atto di diventare… antropofaghi. Ognuno di costoro, se interrogato a freddo cosa avrebbe fatto nell’alternativa di morire o di diventare cannibale, avrebbe risposto, con la massima buona fede, che, data l’alternativa, avrebbe scelto certamente di morire. Avviene il naufragio, il rifugio nella scialuppa ecc. Dopo qualche giorno, essendo mancati i viveri, l’idea del cannibalismo si presenta in una luce diversa, finché a un certo punto, di quelle persone date, un certo numero diviene davvero cannibale. Ma in realtà si tratta delle stesse persone? Tra i due momenti, quello in cui l’alternativa si presentava come una pura ipotesi teorica e quella in cui l’alternativa si presenta in tutta la forza dell’immediata necessità, è avvenuto un processo di trasformazione «molecolare» per quanto rapido, nel quale le persone di prima non sono piú le persone di poi e non si può dire, altro che dal punto di vista dello stato civile e della legge (che sono, d’altronde, punti di vista rispettabili e che hanno la loro importanza) che si tratti delle stesse persone. Ebbene, come ti ho detto, un simile mutamento sta avvenendo in me (cannibalismo a parte). Il piú grave è che in questi casi la personalità si sdoppia: una parte osserva il processo, l’altra parte lo subisce, ma la parte osservatrice (finché questa parte esiste significa che c’è un autocontrollo e la possibilità di riprendersi) sente la precarietà della propria posizione, cioè prevede che giungerà un punto in cui la sua funzione sparirà, cioè non ci sarà piú autocontrollo, ma l’intera personalità sarà inghiottita da un nuovo «individuo» con impulsi, iniziative, modi di pensare diversi da quelli precedenti. Ebbene, io mi trovo in questa situazione. Non so cosa potrà rimanere di me dopo la fine del processo di mutazione che sento in via di sviluppo. La conclusione pratica è questa: occorre che per un certo tempo io non scriva a nessuno, neppure a te, oltre le nude e crude notizie sui fatti dell’esistenza. Questo tempo lo si può fissare all’ingrosso nel periodo che è necessario perché si svolga la pratica dell’avvocato di cui abbiamo tanto parlato. Se la pratica si svolge favorevolmente, tanto meglio; ci sarà, entro certi limiti, un passato da dimenticare (dato che certe cose possano essere dimenticate, cioè non lascino tracce permanenti). Se la pratica si svolgerà sfavorevolmente, si vedrà ciò che c’è da fare. Nel frattempo, nessuna parola che in qualche modo turbi o complichi la difficile successione delle ore. – Ho ricevuto una lettera di Grazietta; non ho voglia di risponderle. Scrivile tu, ti prego, descrivendole, nel modo che ti parrà migliore, il tuo viaggio a Turi. – Voglio ancora dirti qualche cosa, a proposito di alcuni tuoi accenni, nel colloquio di domenica, alla mia precedente lettera. Non devi credere, in nessun modo, che io abbia (anche a torto) pensato di fare dei rimproveri a Iulca. Nel mio atteggiamento verso Iulca non c’è stato mai altro che tenerezza, e questa tenerezza è forse venuta aumentando in questi ultimi tempi, non certo diminuendo (e dico forse perché non so se essa poteva aumentare). Mi dispiace persino che una tale quistione possa essere posta e discussa. Cosí hai avuto torto di interpretare in malo modo un accenno di una mia lettera (credo sia la lettera che da Roma ti è stata rispedita a Turi): non ho mai pensato che tu potessi avermi voluto dirmi delle bugie e infatti avevo usato la parola «imbarazzo» che in italiano non solo non ha rapporto con la bugia, ma neppure con la reticenza. Veramente avevo pensato che tu, dopo avermi annunziato una lettera di Iulca, avessi cercato di farmi dimenticare l’accenno, perché nella lettera erano contenute notizie che potevano dispiacermi fortemente, nel momento dato. Niente di piú. Anche per queste ragioni preferisco per qualche tempo di non scrivere altro che le nude notizie, senza commenti, valutazioni ecc. Poi vedremo. Forse è bene ti dica ciò che ho pensato: se l’avvocato, dopo che gli avrai parlato, riterrà opportuno che io sia visitato dal medico, secondo il permesso avuto dal Ministero, dò il mio consenso preventivo: cioè lascio che la quistione sia risolta dall’avvocato, secondo il criterio di maggiore utilità che egli riterrà da applicare. Carissima, ti abbraccio teneramente

Antonio

PS. Mi hai detto, nel colloquio di domenica, che solo in questi ultimi giorni ti è stato comunicato ufficialmente a casa che dal Ministero era stata concessa la visita di un medico di fiducia. Dato che l’avvocato lo ritenga utile e che la visita sia decisa, permetti che ti dia alcuni consigli: 1° Avere il permesso scritto per il medico, in modo che non sorgano all’ultimo momento delle difficoltà burocratiche, 2° Se è nel costume e nelle abitudini, fare in modo che in questo permesso sia specificato che il medico può interrogarmi ed io posso rispondere (e parlargli) di tutte le quistioni che riteniamo necessarie del caso. Cioè il medico non deve solo venire per un consulto personale, per indicarmi un metodo di cura personale, ma essere messo in grado ufficialmente di fare dei rapporti alle autorità superiori sull’andamento generale delle cose in quanto influiscono o possono influire sulla condizione di salute dei carcerati. Questo punto mi pare fondamentale. Tu capisci che prendere una medicina e fare una cura quando continuano a sussistere le condizioni che determinano la malattia è una burletta, vuol dire spendere inutilmente i soldi. Il mio malessere dipende proprio da ciò e da ciò dipende l’inefficacia dei medicamenti. Forse è troppo tardi «formalmente» per mutare le cose o per ottenere che il mutamento delle cose determini un mutamento nelle condizioni di salute. In ogni modo, solo questo punto rende la possibile visita di un medico comprensibile e razionale. Perciò, decidendomi a una iniziativa, non posso staccare la decisione dalla condizione che rende l’iniziativa razionale e utile. Affettuosamente

Antonio


334.

14 marzo 1933

Carissima Tania,

ti scrivo solo poche parole. Proprio martedí scorso, di primo mattino, mentre mi levavo dal letto, caddi a terra senza piú riuscire a levarmi con mezzi miei. Sono sempre stato a letto tutti questi giorni, con molta debolezza. Il primo giorno sono stato con un certo stato di allucinazione, se cosí si può dire, e non riuscivo a connettere idee con idee e idee con parole appropriate. Sono ancora debole, ma meno di quel giorno. Ti prego di venire al colloquio appena ti sarà concesso dopo questa mia lettera perché vorrei parlarti di un progetto di cui ho accennato al dottor Cisternino che non l’ha trovato di impossibile realizzazione, sebbene difficile. Voglio parlare con te di ciò, anche perché ho la testa confusa e tu potrai aiutarmi a connetterne le parti con esattezza. Ti abbraccio teneramente.

Antonio

Credo di ricordare che il dottor Cisternino ha qualificato di anemia cerebrale e di debolezza cerebrale la mia crisi.


335.

21 marzo 1933

Carissima Tania,

credevo che ti avrei potuto vedere prima di scrivere questa lettera e che avrei potuto dirti a voce alcune cosettine. Ti informo un po’ dettagliatamente del decorso del mio malessere e delle previsioni che io faccio, in base all’esperienza del passato, che però non coincide perfettamente con quella del presente. Ho sofferto di esaurimenti nervosi almeno 4 volte prima dell’attuale: la prima volta nel 1911-12, la seconda nel 1916-17, la terza nel 1922-23, la quarta nel 27. Non avevo però mai avuto deliqui o altre forme patologiche come quelle attuali. Attualmente, queste manifestazioni sono completamente scomparse (esse furono forti nei primi cinque giorni, poi andarono attenuandosi un po’ per giorno, finché dopo una decina di giorni erano sparite). Mi rimane ancora la debolezza che si manifesta in questo modo: la temperatura cade e risale da 35.8 a 36.9 e 37 senza ragioni apparenti per me. Di notte ho due accessi di freddo (io li chiamo di febbre alla rovescia), uno verso le 9, l’altro verso le 4 del mattino; la temperatura cade, come ti ho detto (una volta anche a 35,6) e il corpo è percorso da guizzi, da tic improvvisi in parti del corpo le piú varie ma specialmente nelle gambe e sulle braccia, da stiramenti, da raggricciamenti; mi pare di essere «elettrizzato», per cosí dire e ogni movimento brusco o inaspettato provoca un susseguirsi rapido di guizzi e di tuffi al sangue (il «cuore va in gola», come si dice). Le gambe però riacquistano rapidamente una certa stabilità. Già cammino da solo, senza bisogno di appoggiarmi a un braccio altrui, almeno nella mia stanza. – Come ti ho scritto, ho avuto nei primi giorni alcune manifestazioni patologiche curiose che in parte ricordo e in parte mi furono descritte da chi era presente. Per es., parlai lungamente in una lingua che non era compresa e che certo è il dialetto sardo, perché ancora fino a qualche giorno fa mi accorsi che inconsciamente mescolavo all’italiano parole e frasi in sardo. Le finestre e le pareti della stanza apparivano agli occhi come popolati di figure, specialmente di faccie, senza però nulla di spaventevole, anzi nelle pose piú diverse, sorridenti ecc. Invece sembrava di tanto in tanto che si formassero nell’aria delle masse compatte ma fluide che si accumulavano e poi si precipitavano su di me, facendomi arretrare con un tonfo nervoso nel letto. Cosí la retina manteneva le immagini passate a lungo ed esse si soprapponevano alle piú recenti ecc. Anche all’udito ebbi delle allucinazioni. Se chiudevo gli occhi per riposare, sentivo, delle voci chiare che domandavano: «Ci sei?» «Dormi?» ecc. o altre parole staccate. – Nel passato la manifestazione piú grave fu quella della temperatura bassa, della debolezza, cioè le piú comuni e generali delle anemie cerebrali. – Carissima, non ho più voglia di scrivere. Ho forse già scritto troppo a lungo e ciò mi ha stancato. Tuttavia, sono contento di averti scritto cosí, perché mi pareva che non ne sarei stato capace per un pezzo. Carissima Tania, ti abbraccio teneramente

Antonio


336.

27 marzo 1933

Carissima Tania,

spero che tu abbia fatto un buon viaggio e non ti sia affaticata troppo. Ti raccomando di riposarti per benino e di tener molta cura della tua salute. Per ciò che mi riguarda non ci sono molte novità: sono uscito al passeggio una volta ma mi ha stancato molto e mi ha determinato un ritorno di accessi nervosi (tic, guizzi impulsivi ecc.). La temperatura non è ancora mutata nei massimi e nei minimi, però il cuore è meglio regolato e non ho piú avuto colpi al cranio. Aspetto tue notizie. Ti abbraccio teneramente

Antonio


337.

27 marzo 1933

Carissima Iulca,

non ho ricevuto tue lettere, né notizie dei bambini da un pezzo. In questo frattempo io ti ho scritto parecchie volte. Credo che neanche Tania abbia ricevuto notizie e lettere. Ti prego di scrivermi e di rassicurarmi. Ti abbraccio teneramente

Antonio


338.

3 aprile 1933

Carissima Tania,

ho ricevuto una tua lettera del 27 marzo e una cartolina del 30. Sono molto lieto che il viaggio non ti abbia stancato. Le mie condizioni di salute sono le stesse, con oscillazioni continue. Sono sempre molto debole. L’unico dato obbiettivo che ti posso dare è quello della temperatura. La notte scorsa mi sono sentito un po’ peggio del solito e perciò ho voluto fare delle rilevazioni. Sentivo, verso le due del mattino, una certa insufficienza cardiaca, con oppressione (non palpitazioni, né sfitte, ma come se il cuore fosse stretto da una mano) e ondate di freddo; la temperatura era di 35.6. Verso le 6 del mattino la temperatura era di 36.3. Non mi sono levato che alle 11½, perché mi sentivo debole e avevo un certo tremito alle braccia e mani e alle gambe. Dopo mezz’ora che ero in piedi, la temperatura si elevò a 37.2. Come ti ho già scritto, questi sintomi sono uguali a quelli che si manifestavano nel 1922, solo che allora il male si verificò nell’estate e perciò nell’ora in cui la temperatura si elevava, avevo dei veri bagni di sudore che mi indebolivano maggiormente, ciò che adesso non avviene. È vero però che allora avevo 10 anni di meno e una riserva di energie nervose che ormai è stata consumata o quasi, perciò avevo degli scatti quasi feroci (e non è una semplice metafora, perché ricordo che alcune molto gentili persone che venivano ad assistermi e a farmi compagnia mi dissero piú tardi che avevano avuto paura, sapendomi sardo, che io talvolta volessi accoltellare qualcuno!!!); oggi invece mi pare di essere diventato una marmellata. – Ho ricevuto una lettera di Carlo; ti sarò grato se vorrai scrivergli una cartolina per dirgli che ho ricevuto il suo biglietto e che non deve certo proporsi di venire a Turi. La lettera di Iulca non mi pare che si riferisca alle mie lettere; non capisco come tu abbia fatto questa deduzione. Ti abbraccio affettuosamente.

Antonio

Ti prego di scrivere alla libreria perché mi spedisca il recente volumetto del prof. Michele Barbi: Dante – Vita. Opere. Fortuna, editore G. C. Sansoni, Firenze 1933. Non so resistere alla tentazione di avere questo lavoro, anche se non sarò in grado, ancora per qualche mese, di studiarlo.


339.

3 aprile 1933

Carissima Teresina,

ho ricevuto la tua lettera del 26 marzo. Prima che mi dimentichi, occorre che ti avverta di fare tanti auguri da parte mia a mammà per le feste di Pasqua. Quest’anno mi sono dimenticato di farle gli auguri per il suo onomastico e ciò mi dispiace molto. Non credere che io abbia neanche per un momento perduto un briciolo della mia serenità, come tu dici. Tutto al piú, quando mi sento fisicamente debole, perdo la voglia di occuparmi di qualsiasi cosa che sia estranea alla mia preziosa persona fisica; avviene come quando si deve fare un grande sforzo per sollevare un certo peso, che si stringono le labbra e non si parla per concentrarsi tutto nella fatica immediata. Tutti piú o meno, per un tempo piú o meno lungo, si sono trovati in condizioni simili o si troveranno. Mi pare che devi spiegare questo concetto a Mea perché non perda il coraggio e continui a studiare in tutti i modi; potrà perdere qualche anno, per dannata ipotesi, come tempo materiale in una certa carriera scolastica, ma non li perderà del tutto se migliorerà ogni giorno la sua cultura, la sua preparazione generale, se allargherà l’orizzonte delle sue cognizioni e dei suoi interessi intellettuali. A dire il vero, io non riesco piú a ricostituire quale sia ora il suo studio scolastico, perché da tanto tempo nessuno mi ha scritto su questo argomento. Ti abbraccio con tutti di casa. Abbraccio tanto la mamma.

Antonio

Ho ricevuto un biglietto da Carlo.


340.

10 aprile 1933

Carissima Tania,

ho ricevuto la tua lettera del 4, col biglietto di Delio e la cartolina illustrata. – Non hai fatto male, mi pare, a scrivere che le mie condizioni di salute erano migliorate (dato che il telegramma di Genia si riferisse a me e non a te stessa). Non è esatto che nella mia lettera di quindici giorni fa ti abbia scritto che le condizioni erano peggiorate; almeno non volevo scrivere cosí. Volevo dire che le condizioni erano (e sono ancora) oscillanti, con degli alti e dei bassi; cioè non è esclusa, secondo me, una ricaduta, ma in realtà questa non c’è stata. Cosa vorrebbe dire «condizioni peggiorate»? Peggiorate in confronto a quale momento? Alla crisi del 7 marzo, no certamente, perché non so cosa significherebbe peggiorare in questo senso. In realtà le allucinazioni sono completamente passate e anche è diminuita la contrazione o rattrazione degli arti, specialmente delle gambe e dei piedi. Le mani sono ancora sempre indolorite e non posso fare sforzi o sostenere pesi anche piccoli. Se cerco, per prova, di fare un piccolo sforzo, perdo nuovamente il controllo del movimento: le mani e le braccia, cioè, scattano per conto proprio impulsivamente e bruscamente e le dita scricchiolano e si deformano per stiramenti morbosi dei tendini. Penso che tali condizioni dureranno ancora a lungo; nel 1922-23 durarono circa 8 mesi e mi potevo curare nel modo migliore; anche allora non ebbi le contrazioni agli arti né le complicazioni cardiache come ora. – È vero che la letterina di Delio dimostra molta sicurezza nel tracciare le lettere e nell’ideazione, che è semplice e rettilinea: mi pare ci sia un solo sbaglio (ha dimenticato una i in «primula»). Ti dico cosí perché nel 1916 feci ripetizione d’italiano a un ragazzo di 3a ginnasiale e non riuscii mai a ottenere che scrivesse con semplicità dei piccoli bozzetti di poche linee come quello scritto da Delio. Come ti sei ricordata del volume su Hegel da mandare a Julca? Mi pare che te ne parlai nel 1930; allora aveva un significato perché si stava svolgendo nella stampa una polemica sulla dialettica, ma oggi che significato potrebbe avere? A Giulia sembrerà una stranezza.

Ti abbraccio affettuosamente.

Antonio

È stato comunicato che per l’occasione delle feste di Pasqua si può ricevere dalla famiglia «generi alimentari». Non mi fu possibile scriverti lunedí scorso questo avviso, perché al momento della comunicazione, la lettera era già partita.


341.

10 aprile 1933

Carissimo Delio,

ho ricevuto la tua lettera del 28 marzo con le notizie sui pesciolini, la rosa, la primula, gli orsi e i leoni. Ma che leoni hai visto? Leoni africani o del Turkestan? Avevano la criniera o il pelo del collo liscio? E gli orsi erano come quelli che avevi visto a Roma? – Non mi hai scritto se hai ricevuto il libro di Pinocchio e se le avventure dell’illustre burattino sono piaciute a Giuliano. Mi piacerebbe e credo piacerebbe anche a te di leggere la storia della foca bianca, della mangusta Rikki-Tikki-Tawi e del bambino Mowgli allevato dai lupi; nel 1922 alla Libreria di Stato ne preparavano una bellissima edizione con disegni originali, che ebbi occasione di vedere mentre gli operai litografi li trasportavano sulla pietra. Domanda alla mamma o a Genia se questa edizione si può ancora trovare: altrimenti ti manderò il libro in italiano o in francese.

Ti bacio con Giuliano.

Antonio


342.

10 aprile 1933

Carissima Iulca,

Tania mi scrive di averti mandato a mio nome un volume sulla filosofia di Hegel criticato da un moderno filosofo italiano e vorrebbe sapere se il libro ti è giunto. Avevo incaricato Tania di spedirti questo volume (che avevo in doppio esemplare) qualche anno fa, e precisamente quando nella stampa si svolse una polemica filosofica sul valore e sul significato della dialettica. Mi sembrava allora che avrebbe potuto interessarti l’impostazione che del problema aveva fatto il filosofo italiano, specialmente lo svolgimento che egli ha dato alla quistione dei «distinti» in relazione agli «opposti». Non so se ciò ti interessa ancora e neanche se hai ricevuto il libro che, pare, Tania deve averti mandato recentemente.

Ti abbraccio teneramente.

Antonio


343.

17 aprile 1933

Carissima Tania,

ho ricevuto una tua lettera dell’8 e una cartolina del 12. Ieri ho ricevuto il tuo pacco pasquale; tutto era in buonissimo stato e di mio gradimento, come tu scrivi. Ti ringrazio di cuore. Il proprietario del negozio ha confezionato il collo secondo la tua ordinazione; non mancava nulla di ciò che hai annunziato nella cartolina.

Non so se ti sei ricordata di scrivere alla Libreria, secondo quanto ti dissi al colloquio. In ogni modo non ho ricevuto neanche il secondo fascicolo della «Critica» di B. Croce, uscita il 20 marzo. Forse si sono dimenticati di rinnovare l’abbonamento o è avvenuto qualche altro disguido. In definitiva, della «Critica» devo ricevere i fascicoli del 20 gennaio e del 20 marzo. – Ho continuato a ricevere due esemplari della «Critica Fascista», uno dalla libreria e uno direttamente dall’Amministrazione del periodico, che ha spiccato una tratta di 33 lire a mio nome presso l’Ufficio Postale di Turi. Ho respinto la tratta, perché non intendo pagare due volte l’abbonamento, ma occorre avvertire l’amministrazione della «Critica Fascista» (Via del Gambero N° 37, Roma) che, essendo già abbonato al periodico attraverso la Libreria Sperling e Kupfer di Milano, ne ricevo due esemplari e non è giusto che paghi due quote: pertanto devono interrompere la spedizione di un esemplare e precisamente di quello inviato direttamente al mio indirizzo al Penitenziario di Turi. Ti prego di inviare una cartolina in questo senso in via del Gambero. Puoi scrivere cosí: – Antonio Gramsci, detenuto nel Pen. di Turi di Bari, avverte questa spett.e Ammin. ecc. con la filastrocca suddetta. Speriamo che sia sufficiente.

Se scriverai alla Libreria per la «Critica» di B. Croce, ti prego di farmi spedire questi due volumetti: 1° Giovanni Gentile, Saggi Critici, serie seconda, editore Vallecchi, Firenze; 2° Giovanni Papini, Il sacco dell’orco, presso lo stesso editore Vallecchi di Firenze. –

Le mie condizioni sono un po’ migliorate, ma basta ben poco per farmi ancora star male. Da un giorno all’altro per un nonnulla ricado in grave prostrazione ecc. Del resto, non c’è nessuna novità. Carissima, ti abbraccio teneramente

Antonio


344.

30 aprile 1933

Carissima Tania,

ho ricevuto la tua lettera del 29. Sono stato anch’io molto lieto di aver visto che tu stai meglio di qualche tempo fa, nonostante le fatiche che hai fatto in questi ultimi mesi. Attribuisco anch’io quel certo miglioramento che ho risentito al fatto che mi nutro meglio non solo, ma anche che assimilo meglio il nutrimento. Purché duri! Purtroppo il caldo che tra breve sopraggiungerà, non permetterà che duri e non permetterà altre combinazioni che invece finora sono state possibili. E d’altronde non sono riuscito a vincere l’insonnia che è la causa massima di ogni disturbo. – Hai ragione a proposito del pacco: non si trattava di marmellata, ma di frutta sciroppata e perciò potrò mangiarla senza nausee. – Mi avevi domandato tempo fa il cognome di mia sorella Teresina da maritata: è Paulesu, ma basta Gramsci perché la lettera giunga. Ti abbraccio teneramente

Antonio


345.

30 aprile 1933

Carissima Teresina,

ho ricevuto due cartoline con gli auguri tuoi, di Grazietta e di tutti i bambini. Non mi avete piú mandato notizie di mammà e non ho visto il suo ricordo nelle cartoline[1]. Ti prego di scrivermi in proposito o di pregare Grazietta che mi scriva.

Ti abbraccio affettuosamente.

Antonio


346.

8 maggio 1933

Carissima Tania,

ho ricevuto una tua lettera del 6 e alcune cartoline. Cercherò di rispondere a tutte le quistioni che accenni.

1° Credo che non valga la pena di mandarti gli indumenti di lana che dovrò smettere per il cambiamento di stagione. Non si tratta di gran cosa e ti assicuro che è possibile farli lavare accuratamente (almeno una volta tanto) anche qui dentro. Ho ricevuto gli indumenti che mi hai mandato e il resto. Ti ringrazio. Credo che tutto vada bene. Ti sei sbagliata se hai creduto che io non indossi la camicia. È vero che da qualche tempo indosso le camicie del governo che vanno benissimo, dato che non devono toccare la pelle. Non adopero invece le mutande che mi irriterebbero la pelle.

2° Ho ricevuto a suo tempo i Colloqui del Ludwig e li ho già letti. Non posso studiare come nel passato (sebbene anche allora fosse uno studio molto relativo), tuttavia non riesco a non fare completamente nulla. Credo anzi che il non fare nulla mi nuocerebbe allo «spirito», secondo la terminologia in voga. Ti indico alcuni libri che desidero leggere: 1° Luigi Einaudi, La condotta economica e gli effetti sociali della guerra italiana, Bari, Laterza; 2° Nello Rosselli, Carlo Pisacane e il Risorgimento italiano, Torino, Bocca ed.; 3° Alberto Cappa, Cavour, Bari, Laterza; 4° Adolfo Omodeo, Gesú il Nazareo, ed. «La Nuova Italia», Firenze. – Ti sarò grato se manderai una cartolina alla Casa Ed. G. C. Sansoni, Viale Mazzini 26, Firenze, domandando che mi sia inviato il catalogo. – Mi sono dimenticato di dirti finora che del thermos è stata perduta una piccola vite; potrai procurarne una? L’assenza di questa vite fa sí che il latte penetri nell’involucro ed è da supporre che finirà col provocare un deposito di materia in decomposizione, male odorante. Per una curiosità: quanto costa ora un thermos? (Credo non sia difficile procurarsi la vite, perché una certa quantità di apparecchi andrà sfasciata, e sarà possibile utilizzare i rottami).

Mi dispiace sapere che stai a Turi ad annoiarti. D’altronde, perché non hai pensato a Roma a farti rilasciare un permesso per avere qualche colloquio in piú del regolamentare? Nei casi di malattia, ciò non è impossibile, tutt’altro. Certo avrei avuto molto piacere di rivederti, anche perché la mia memoria funziona a sbalzi, a onde. Molto spesso mi pare che non sarò piú capace a far nulla di utile nella vita. – Le tue letture mi interessano e sarei contento di leggere Elmer Gantry di Sinclair Lewis, sebbene non sia disposto a credere che si tratti di un gran libro. Mi pare di ricordare che il Lewis fa un quadro, in questo libro, della decomposizione morale delle sette protestanti degli Stati Uniti. Ma questi libri americani mi paiono, in generale, meccanici, stereotipati, di un verismo di maniera, un verismo da reporters di giornali a grande tiratura. Il difetto maggiore del Lewis e del gruppo di scrittori a cui egli appartiene, mi pare consista in ciò che manca in loro un forte interesse etico-politico o nazionale-popolare. Upton Sinclair è ancora piú in basso: è un mediocre sacrestano della cultura. Recentemente ho letto un suo articolo sull’Orlando Furioso, incredibilmente cretino: egli sembra persuaso che l’Ariosto sia una specie di Giorgio Ohnet del poema cavalleresco e cosí mostra di essere egli stesso della levatura intellettuale dell’Ohnet. Carissima, ti abbraccio teneramente

Antonio


347.

16 maggio 1933

Carissima Tania,

ho ricevuto la lettera di Giulia e alcune tue lettere e cartoline. Non mi sento in grado di rispondere a Giulia e non vedo, dato il mio modo di comprendere e di concepire la mia situazione, quando sarò in grado di farlo. La lettera di Giulia è l’espressione di uno stato d’animo assurdamente ottimistico, stato d’animo che appare anche in alcune espressioni delle tue lettere e che io sono ben lungi dal condividere. Non solo, ma ogni mia collaborazione a mantenerlo mi sembrerebbe criminale. Devo dirti che la nostra conversazione ultima mi ha rafforzato in questa convinzione. Nel grado in cui ciò mi è possibile nelle condizioni di atonia fisica e morale in cui mi trovo, sono stato esasperato nell’apprendere da te che ancora una volta le mie indicazioni per la trattazione degli affari che riguardano la mia stessa esistenza fisiologica sono state, in modo stolto e capriccioso, trascurate e disprezzate, senza una ragione plausibile o di qualsiasi genere. Sono profondamente persuaso che tu in altra forma, ma con leggerezza corrispondente, hai ripetuto la stessa catena di pasticci che si è verificata nel 1927-28 e per la quale il giudice istruttore ebbe ragione di dirmi che pareva proprio i miei amici collaborassero a mantenermi il piú a lungo possibile in carcere. Queste mie affermazioni ti daranno dispiacere, ma mi è impossibile non dirle. Quando nel gennaio scorso, ti parlai al colloquio, ti pregai con tutta la forza di cui ero capace, di attenerti scrupolosamente alle mie indicazioni. Dopo ciò che era avvenuto nel settembre precedente mi pareva impossibile che tu mancassi alle tue assicurazioni. Ti dissi che mi sentivo stremato (e il 7 marzo mi pare abbia confermato l’esattezza di questa mia impressione) e che non avevo l’energia per lunghe discussioni. Ciò che mi esaspera è il vedere come la mia vita sia diventata un giocattolo di decisioni impulsive e irragionevoli e con quale facilità tu ti sia assunta la responsabilità di determinare in me la persuasione che se i fatti non si svolgeranno secondo una certa linea ciò potrà essere avvenuto perché le mie indicazioni non sono state seguite. Quando poi leggo in una tua cartolina che il mio «lavoro avrà sempre un valore eccezionale», a parte la convenzionalità dell’affermazione, non posso trattenermi dal pensare all’ironia implicita in essa, quando vedo che i miei consigli, che sono il risultato di una elaborazione accurata e compiuta col massimo di esperienza personale, sono semplicemente disprezzati per iniziative cervellotiche, che non tengono neanche conto delle ripercussioni che esse avranno su di me, molto facili da immaginare dopo ciò che era successo in settembre. – In queste condizioni non vedo cosa potrò scrivere a Giulia, quale atteggiamento potrò assumere nei suoi riguardi per consolarla e rafforzare gli elementi di ripresa nella vita attiva che ella segnala. Dopo il colloquio del gennaio mi era veramente parso che qualche piccolo spiraglio si potesse schiudere sul mio avvenire e sebbene questo stato d’animo non abbia potuto evitare nel marzo un crollo delle mie forze fisiche, tuttavia non è da escludere che senza di esse il crollo non potesse essere piú grave. Tu non hai capito che realmente io sono stremato, che dopo piú di due anni di logorio lento ma implacabile, che continua, tutte le mie riserve sono esaurite e che a una persona schiacciata da un peso insopportabile non bisogna mettere ancora addosso neanche un fuscello, per cosí dire. D’altronde l’eccesso stesso del male, stroncando ogni reattività, ha provocato un genere di calma che è quella delle sostanze gelatinose. […]. (Ho cancellato una proposizione, che quantunque non creda nel mio intimo esagerata, tuttavia preferisco non metterti sotto gli occhi). – Ti prego di non rispondere a questa mia lettera con affermazioni generiche sul tipo del «valore eccezionale del mio lavoro» che sono irritanti o su speranze generiche sulla mia salute. Non rispondere affatto, perché non c’è risposta possibile. Cosa fatta capo ha, e ogni commento è oziosità che rende piú odioso ciò che è successo. Ciò che è avvenuto mi persuade che sono diventato inetto a qualsiasi cosa, anche a vivere. Bisognerà trarne le conclusioni e mettersi l’anima in pace, come si dice, poiché ogni mia iniziativa per reagire alla situazione viene annientata dall’incapacità di esecuzione di quelli che dicono di volermi aiutare. Ti abbraccio

Antonio

Ho riletto dopo averci ancora riflettuto, quanto è scritto sopra, per controllare ulteriormente le mie convinzioni e vedere se potevo correggerle o modificarle in qualche modo. Ma non mi è stato possibile. Per quanto abbia cercato di distillarmi il cervello non sono riuscito a trovare un qualche motivo che potesse deviare il corso dei miei pensieri. Del resto non pensare che io sia eccitato; quasi quasi desidererei di esserlo, perché ciò sarebbe una prova di un contrasto interno, di un dubbio, e quindi di un residuo di ottimismo ragionevole. Ho anche riletto la lettera di Giulia, ma ciò ha solo aumentato la mia amarezza. Ti prego di non volermi scrivere di questi argomenti. Lascia passare un po’ di tempo e lasciami dimenticare. Sarà la cosa migliore. Neanche devi credere che sia troppo in collera con te; mi sono ormai abituato a pensare che di tutto ciò che mi succede devo ricercare la causa in me stesso e nella mia inettitudine […] a vivere, come ho già scritto. Forse sono giunto troppo tardi a questa forma di saggezza. Ma meglio tardi che mai, non ti pare?

Antonio


348.

22 maggio 1933

Carissima Tania,

ho ricevuto due tue lettere e in quella del 17 la traduzione del bigliettino di Delio. L’originale e il disegnino non mi sono stati consegnati per ora. – Non so se sia il caso di mandare a Delio il libro della Beecher Stowe. Ne avrà sentito parlare genericamente come di un gran libro e non nego che alle vecchie generazioni tale possa ancora apparire, poiché il ricordo della lettura si mescola necessariamente al ricordo di un mondo di sentimenti che un tempo furono vivi e operanti, ma oggi mi pare siano ben morti perché diventati anacronistici. Io stesso non sono mai riuscito a gustare da ragazzo questo polpettone rugiadoso e di una sentimentalità da quacqueri della Capanna dello zio Tom; ho provato a leggerlo parecchie volte, ma sempre senza interesse vivo, e oggi non mi ricordo niente del suo intreccio, ricordo solo che mi annoiava mortalmente. Non so se tu pensi allo stesso modo. Sarei contento invece se Delio potesse leggere i due Libri della Jungla di Rudyard Kipling, in cui sono contenute le novelle alle quali egli accenna: quella della foca bianca, che riesce a salvare dalla distruzione il popolo delle foche, quella di Rikki-Tikki-Tawi, la giovane mangusta che lotta vittoriosamente contro i serpenti di un giardino indiano, e la serie delle novelle di Mowgli, il bambino allevato dai lupi. In queste novelle circola una energia morale e volitiva che è agli antipodi di quella dello «zio Tom» e ciò mi pare sia il caso di far gustare a Delio, come a ogni altro bambino del quale si voglia irrobustire il carattere ed esaltare le forze vitali. Di queste novelle esistono quattro o cinque edizioni in italiano; una dell’editore Sonzogno costa poco (credo 4 lire al volume e i volumi sono due), ma la traduzione è fatta dal francese. Un’edizione migliore, fatta direttamente dall’inglese, è quella dell’editore Corticelli di Milano. Ma migliore di tutte è l’edizione francese edita dal «Mercure de France» (naturalmente la migliore edizione sarebbe il testo inglese, ma in casa nessuno potrebbe tradurlo a Delio). – In queste ultime settimane sono andato nuovamente indebolendomi, fino al punto che devo stare a letto per evitare la febbre e il capogiro. È vero che a letto la temperatura si abbassa, fino sotto i 36, ma lo stare levato porta la temperatura a 37.5 con complicazioni spiacevoli di estrema debolezza, di forti emicranie e di capogiri. A letto posso stare con gli occhi chiusi e non vedere le pareti che mi girano intorno.

Ti abbraccio

Antonio


349.

29 maggio 1933

Carissima Tania,

ho ricevuto finora tre tue cartoline; penso che qualche altra deve essere ancora negli uffici e che forse mi sarà consegnata oggi. Avevo molta ansia di vederti e di parlarti e pensa quanto sono stato spiacente nel sapere il tuo malessere. Ho pensato che forse anch’io avevo contribuito, dandoti dei dispiaceri, a determinare una minore resistenza del tuo organismo ai mali. Bisogna che ti spieghi quale è l’attuale mio stato d’animo e come si formano i miei atteggiamenti immediati. È vero che il corso dei miei pensieri non fluisce piú normalmente sotto il freno di punti di riferimento critici, si forma invece per ingorghi emozionali che per giorni e giorni mi tengono in uno stato come di ossessione psichica da cui non riesco a liberarmi in nessun modo; i tentativi anzi, in questo senso, (poiché si vede che non ho ancora perduto completamente l’equilibrio) aumentano l’ossessione fino alla frenesia. Avviene come se una mano inesperta tenta di frenare una emorragia; con i suoi atti incomposti e malsicuri accresce l’emorragia stessa. Ciò mi scoraggia sempre piú. Significa che ho perduto ogni reattività in senso razionale e che mi avvicino a una fase in cui le corbellerie saranno il contenuto dei miei atti (a dire il vero non sono persuaso che una tale fase non sia già cominciata). – Mi ha sconvolto, nella lettera di Giulia, quel senso di ottimismo che vi circola e che culmina nella conclusione. Scrivere a Giulia mi era già prima molto difficile; oggi mi è diventato quasi impossibile. Mi ripugna fare con lei delle commedie e fingere di avere delle convinzioni che non ho assolutamente. Perciò ti avevo tanto espressamente e con tutto il cuore pregato di non immischiare Giulia nei tentativi da fare per cercare di alleviare la mia situazione, di non comunicarglieli neppure. Tu non hai capito che questa condotta era un modo di difendere Giulia, di preservarla, nelle sue condizioni di salute, da ogni stato di orgasmo e da ogni forte delusione. Era una cosa molto importante anche per me, perché non rendeva difficile la mia corrispondenza con lei, mentre oggi essa è diventata quasi impossibile. La condotta di preoccuparsi solo del momento immediato e non dell’avvenire, di suscitare sentimenti di ottimismo passeggero ed effimero senza pensare che essi dovranno o potranno (con la piú grande possibilità) essere distrutti dalla ferrea realtà, mi pare repugnante ed estremamente pericolosa. Non solo, ma mi pare che essa corrisponda, in chi l’attua, a una tal quale faciloneria che è già un sintomo di volontà disordinata e caotica, per cui, non prospettandosi le reali difficoltà di una iniziativa, non se ne tiene conto, non si fa nulla per rimuoverle e quindi si manda tutto in malora. La bontà disarmata, incauta, inesperta e senza accorgimento non è neppure bontà, è ingenuità stolta e provoca solo disastri. Fino a qualche tempo fa io ero, per cosí dire, pessimista con l’intelligenza e ottimista con la volontà. Cioè, sebbene vedessi lucidamente tutte le condizioni sfavorevoli e fortemente sfavorevoli a ogni miglioramento nella mia situazione (tanto generale, per ciò che riguarda la mia posizione giuridica, come particolare, per ciò che riguarda la mia salute fisica immediata), tuttavia pensavo che con uno sforzo razionalmente condotto, condotto con pazienza e accortezza, senza trascurare nulla nell’organizzare i pochi elementi favorevoli e nel cercare di immunizzare i moltissimi elementi sfavorevoli, fosse stato possibile di ottenere un qualche risultato apprezzabile, di ottenere per lo meno di poter vivere fisicamente, di arrestare il terribile consumo di energie vitali che progressivamente mi sta prostrando. Oggi non penso piú cosí. Ciò non vuol dire che abbia deciso di arrendermi, per cosí dire. Ma significa che non vedo piú nessuna uscita concreta e non posso piú contare su nessuna riserva di forze da esplicare. Lo schema che mi si presenta agli occhi è questo: – Immagina che io sia partito da una posizione 100, con 100 di forze e 100 di pesi da sopportare. C’è una prima crisi: dalla posizione 100 si crolla a 70, con 70 di forza e sempre 100 di pesi. C’è una reazione; si risale ma non piú fino a 100, fino a 90 solamente con 90 di forze. Cosí si procede di crisi in crisi, con reazioni che diventano sempre piú difficili, perché il peso da sopportare aumenta, in senso assoluto e relativo e le forze distrutte non si ricostituiscono piú. Oggi credo, con una gran fatica, di essere risalito a una posizione 60 (dopo il 7 marzo), e forse sono troppo ottimista, ma sono persuaso che la prossima volta e non credo debba essere molto lontana, (perché l’estate mi ha sempre prostrato anche se non accompagnato da altre condizioni sfavorevoli) il crollo sarà tale che non riuscirò piú a evitare di rimanere permanentemente invalido (d’altronde già oggi non ho piú riacquistato l’uso facile delle mani). Credi pure che tutte le parole generiche non possono mutare né la condizione di fatto né la mia convinzione: queste parole generiche le so pensare, io stesso, dirmele io stesso, e per due anni le ho pensate e me le sono dette. Non so piú se oltre le parole generiche, ci sia la possibilità di fatti concreti. Non vedo piú che ci sia gran che da fare, ormai. Ciò che poteva essere fatto è stato fatto, ma non bene e non con l’accortezza e la precisione che erano necessarie. Questa è la mia convinzione. Come farò a scrivere a Giulia? Cosa le potrò scrivere? Credi che ci ho pensato molto e non sono riuscito a trovare una via. Questo piú di tutto mi dispiace, che si sia creata questa situazione in cui la corrispondenza diventa cosí difficile e assurda, mentre era una delle poche cose che ancora tenessero a contatto con la vita. – Ho ricevuto il memoriale e l’ho letto con molto interesse, sebbene non abbia molta tendenza ad afferrare i ragionamenti dei giuristi. Non posso dare nessuna indicazione in proposito di carattere giuridico né di altro genere. Posso ricordare solo che nel discorso al Senato sulla legge del Tribunale Speciale, il ministro Rocco escluse tassativamente ogni potere retroattivo della legge stessa e perciò pare strana l’obbiezione del Procuratore generale. Mi pare anche di ricordare che il Rocco o nel discorso sul codice o nella relazione al Re abbia egli stesso sostenuto che uno dei pregi della nuova compilazione consisteva nel fatto che aveva introdotto con l’art. 305 una figura di reato che non esisteva nel codice del 1889 (si tratta certamente della relazione generale) apprestando cosí una nuova arma di difesa della personalità dello Stato (il brano corrispondente è forse a p. 98 dell’edizione del Codice dovuta alla Libreria dello Stato). – Ho ricevuto il testo del biglietto di Delio e il disegno che non mi pare dimostri molte attitudini. Ti abbraccio teneramente

Antonio


350.

5 giugno 1933

Carissima Tania,

ho ricevuto tre tue cartoline. Mi dispiace che i disturbi all’orecchio non ti siano ancora passati e temo che essi ti inducano a trattenerti ancora a Turi. Mi pare che ti sia trattenuta anche troppo e non so proprio comprendere perché non abbia preso una decisione già da parecchio tempo. La tua indecisione finisce col comunicarsi anche a me, lasciandomi in uno stato vaporoso di attesa nebulosa, di dubbi, di incertezza. Mi pare che sia tempo di porre fine a tale condizione. Ti prego di essere veramente energica, come hai detto l’ultima volta che ci siamo parlati e di fare in modo che si giunga a una conclusione. La mia vita è una tale tortura che qualsiasi mutamento è preferibile a questo quotidiano logorio senza prospettive. Ho ricevuto gli effetti di biancheria che mi hai inviato, ma li ho appena contati al momento della registrazione. Credi davvero che mi interessi tanto di calze e di mutande? Mi pare che tutto ciò neppure mi riguardi e in realtà non so vedere in che cosa mi riguardi: tutto ciò che mi scrivi in proposito mi è parso una canzonatura. Ti prego davvero appena credi di essere in condizioni di viaggiare, di deciderti a rientrare a Roma e di volermi subito informare della decisione che a quest’ora sarà stata presa o che potrà essere sollecitata. Cosí potrò anch’io decidermi prima di perdere ogni controllo fisico su me stesso. Ti abbraccio affettuosamente

Antonio

Carissima, ti prego proprio di cuore di essere piú energica e di porre un termine, in qualsiasi modo, a questo periodo che mi pare una semplice perdita di tempo. Sono diventato completamente ottuso e non so dirti altro. Credo che tu non ti renda conto della mia situazione con esattezza; altrimenti non saresti rimasta tanto tempo in questo paese, dove tu stessa finirai col logorarti fisicamente. Ti assicuro che a me ormai interessa solo di finirla e di essere messo in grado di prendere una mia decisione.

Ti abbraccio

Antonio


351.

11 giugno 1933

Carissima Tania,

ho ricevuto stamane una tua cartolina. Sono lieto delle tue migliorate condizioni di salute. Mi pare che l’avvocato abbia ragione di desiderare che lo si avverta di ogni iniziativa che si deve o si vuole prendere. Del resto io non ti ho mai consigliato, se ben ricordi, niente che debba intralciare l’attività dell’avvocato. So bene che è sempre dannoso modificare una linea di condotta mentre essa è in via di svolgimento. La mia opinione anzi è ancora più recisa. Penso che una linea di condotta, per cattiva che sia, è sempre migliore dell’imbroglio che risulterebbe se si volesse interromperla per iniziarne una nuova, anche se questa razionalmente sembra migliore in sé. Poiché la situazione è compromessa, non può infatti piú essere migliore «in sé». Il mio consiglio si riferiva al «tempo» o ritmo, se ben ricordi. Del resto da una tua altra cartolina mi è sembrato di capire che tu mi hai esposto molto sommariamente ciò che si sta facendo e che pertanto mi sfuggono elementi forse essenziali. Ti raccomando anzi di ringraziare l’avvocato per tutto ciò che ha fatto finora per me. Cosí devi specialmente congratularti con lui per l’impostazione data alla questione che egli ha prospettato al Tribunale Speciale. La quistione avrà la fine che avrà: mi pare in ogni modo che sia stato un buon successo l’aver ottenuto che si discuta e si prenda in considerazione. Ti prego di scrivere a Teresina, dicendole che tempo fa ho ricevuto una sua lettera con una fotografia; poiché mi annunziava altre fotografie ho aspettato a risponderle e cosí è passato il tempo. Attenderò ancora sue notizie e risponderò tutto in una volta. Ti abbraccio teneramente

Antonio


352.

11 giugno 1933

Carissimo Delio,

riceverai un nuovo esemplare di Pinocchio. Cosí riceverai il libro in cui sono contenute le novelle della «Foca bianca», di «Rikki-Tikki-Tawi» e di Mowgli. Non capisco perché tu voglia leggere La capanna dello zio Tom che ormai è un libro senza interesse, noioso e inutile. Esso era un libro interessante per i bambini di novanta anni fa, quando tutti avevano le tasche piene di lacrime e di sospiri. Oggi credo che i bambini sono un po’ cambiati e che sia meglio leggere la storia della «Foca bianca». Però se tu proprio lo desideri ti manderò anche la Capanna dello zio Tom e tu stesso ti convincerai che si tratta di un libro scritto per commuovere i bottegai americani del Nord di tanti anni fa e che a te interessa poco.

Ti bacio forte forte

Antonio


353.

18 giugno 1933

Carissima Tania,

ho ricevuto la tua cartolina del 16. Non so se sia proprio vero che le tue condizioni sono migliorate in pochi giorni. Quando ti vidi all’ultimo colloquio mi sembrò che avessi perduto tutto il buon aspetto che avevi appena giunta a Turi. – Non so cosa hai scritto all’avvocato, perché non ricordo neppur io ciò che ti dissi qualche giorno fa. Sto subendo un nuovo processo di deperimento come quello che finí con la crisi del 7 marzo. Ma ora mi tormenta in piú un continuo mal di capo acutissimo. Carissima, credo che sia proprio giunto il momento che io prenda una decisione energica. Questo continuo lamentarmi ha stuccato anche me in modo incredibile. Poiché pare ormai accertato che non si può fare nulla, il meglio sarà di lasciare andare tutto per la sua china. Proprio oggi sono due mesi che sono stato visitato dall’ispettore sanitario. Quanto rumore per nulla! Ossia non per nulla, ma per peggiorare le cose, perché mentre prima c’era la prospettiva di poter fare qualche cosa, ora anche questa prospettiva non c’è piú e io non ho piú forze. Credo che questa sarà l’ultima volta che ti scriverò di tali argomenti e poiché non saprò di che scriverti, sarà bene che per qualche settimana non ti scriva del tutto. Poi vedremo. Ti prego proprio di rientrare a Roma appena potrai viaggiare. Se avrai bisogno di riposo potrai recarti in qualche paese del Lazio, dove avrai un ambiente migliore di qui. Credi che il vederti cosí deperita e sofferente aumenta il mio scoraggiamento e la mia depressione. Puoi dire all’avvocato che lo ringrazio di quanto ha fatto per me e che sono persuaso che egli ha fatto tutto il fattibile nella linea che egli ha creduto la migliore. Ma ormai è necessario trarre la conclusione che tanto tempo passato aspettando è esso stesso una conclusione chiara. Spero che prima che tu parta potrò vederti ancora una volta, sebbene ormai non so cosa dirti. Avrai almeno avuto la possibilità di mutare la strana opinione che una volta avevi e che purtroppo ha pesato tanto su tutti gli ultimi avvenimenti: che cioè io non facessi nulla per evitare di star male, che fossi abulico, che non volessi domandare ecc. Ciò mi ha molto amareggiato nel passato, perché ce n’è voluta perché si distruggesse in te (e non so se ancora sia completamente distrutta) la concezione idilliaca e arcadica che ti eri formata dello stato delle cose. Come hai visto, non voler vedere le difficoltà e gli ostacoli, è proprio ciò che ha impedito di superare le difficoltà e rimuovere gli ostacoli, non solo, ma probabilmente ha contribuito ad aggravare le difficoltà e creare nuovi ostacoli. – Forse sarebbe stato bene se tu avessi acconsentito subito a ciò che ti scrissi, mi pare nel novembre scorso; io sono ritornato a quello stesso stato d’animo, che del resto non mi ha mai completamente abbandonato. Giulia avrebbe subito un dolore, ma il tempo avrebbe già cominciato a guarire la piaga. Invece siamo nuovamente al punto di partenza. E io non ho piú la forza che allora ancora avevo. Carissima, è meglio che smetta di scrivere, invece di seguire tutti i calabroni che mi ronzano nel cervello. Ti abbraccio teneramente

Antonio


354.

2 luglio 1933

Carissima Tania,

ricevo in questo momento la tua cartolina di ieri. Ho avuto le 200 lire e i due tubetti di Elastina. A proposito della tua cartolina devo dirti che non voglio piú essere una cavia per fare esperimenti di nuovi preparati. Non so se tutto questo ti diverta; io sono giunto al limite estremo della pazienza. Non so, e non mi pare, se tu ti sei accorta che molte cose sono cambiate in me radicalmente. Devo confessare il mio torto di aver lasciato che le cose si trascinassero cosí a lungo. Spero, tra breve, di essere maturo a sufficienza per porre un termine a tutte queste tiritere sconclusionate e senza senso comune. Ti prego di ricordare ciò che ti dissi a gennaio quando venisti a colloquio e di rileggere, se ancora le hai a portata di mano, le lettere che ti scrissi dopo di allora. Cosí ti persuaderai che non si tratta di un colpo di testa, ma della fase terminale di un lungo processo, fase necessaria, che solo una incredibile cecità ti ha impedito di prevedere e di apprezzare convenientemente. Sono immensamente stanco. Mi sento distaccato da tutto e da tutti. Ieri al colloquio ne ho avuto la riprova. Devo dirti che il colloquio mi pesava come un supplizio e che non vedevo l’ora che finisse. Voglio dirti la verità con tutta franchezza e brutalità, se la parola è piú adatta. Non ho niente da dirti e da dire a nessuno. Sono svuotato. L’ultimo tentativo di vita, l’ultimo sussulto di vita l’ho avuto in gennaio. Non hai capito. O non mi sono fatto capire, nelle condizioni in cui devo muovermi e parlare. Non c’è ora piú nulla da fare. Credi pure, se qualche altra volta ti capiterà nella vita di avere esperienza come quella che hai avuto con me, che il tempo è la cosa piú importante: esso è un semplice pseudonimo della vita stessa. Ti abbraccio

Antonio

Forse è bene che rilegga la mia lettera del settembre 1932, perché da allora è cominciato questo periodo. Potrai convincerti che da parte mia tutto è stato fatto per darti un concetto esatto delle mie condizioni sia fisiche che psichiche. Se hai creduto che si trattasse di letteratura, hai avuto torto. Del resto io sono sempre stato abituato a pagare di persona, anche quando, per mia inettitudine, non sono riuscito a farmi capire o a farmi prendere sul serio abbastanza perché le mie indicazioni fossero seguite. Proprio per questo sono in carcere da sette anni e ho sacrificato la mia esistenza.


355.

2 luglio 1933

Carissima Teresina,

ho ricevuto ciò che mi hai mandato e ti ringrazio della buona intenzione. Non maravigliarti se scrivo poco, anche per l’avvenire. Vedrò di scrivere di tanto in tanto. Sono sempre molto stanco e non so cosa scrivere.

Ti abbraccio con tutti di casa

Antonio


356.

6 luglio 1933

Carissima Tania,

ho domandato di poterti scrivere questa lettera straordinaria. Credo che a quest’ora avrai già ricevuto la lettera da me scritta domenica e sarai rimasta addolorata. Sono diventato mezzo pazzo e non sono sicuro di non diventarlo completamente tra breve. Ti supplico di seguire scrupolosamente quanto ora ti scriverò. Sarà forse il solo mezzo perché appunto non diventi pazzo del tutto. 1° Vedi se ti concedono un colloquio, appena ricevuta questa lettera. Poiché ti devo pregare di partire immediatamente per Roma, e siccome consentono sempre un colloquio di saluto, è probabile che sia possibile parlarci a viva voce. 2° Se il colloquio non ti viene concesso, ti prego di partire immediatamente per Roma, senza aspettare per nessuna ragione e senza lasciarti distogliere o deviare da frivolezze o cose secondarie. Devi fare una pratica d’urgenza perché io sia trasferito nel piú breve tempo possibile dal carcere di Turi nell’infermeria di un altro carcere dove ci siano specialisti che possano sottopormi a un esame sufficiente per stabilire da quale complesso di mali io sia affetto e possano farmi la radioscopia del polmone che risolva i dubbi sia del prof. Arcangeli sia dell’ispettore carcerario dott. Saporito. Ti prego di credere che non posso piú resistere. Il dolore al cervelletto e alla scatola cranica mi fanno uscire da me stesso. Cosí è aggravata e si aggrava progressivamente la difficoltà nell’uso delle mani, ciò che non può essere semplicemente dovuto all’arteriosclerosi. – È venuto oggi a visitarmi un ispettore dell’amministrazione carceraria, il quale mi ha dato la piú ampia assicurazione che d’ora innanzi sarò curato e che le condizioni disastrose d’igiene nervosa in cui mi sono ammalato e aggravato verranno rimosse. Non ho nessuna ragione per dubitare che si abbia tutta la buona intenzione di aiutarmi. Ma credo, per una esperienza di due anni, che ciò sia insufficiente, prima che un esame serio stabilisca con esattezza ciò che mi fa soffrire in un modo cosí torturante e ormai insopportabile e che indicazioni precise su una cura siano date da medici competenti e coscienziosi. Se non fosse venuto l’ispettore avrei fatto la domandina per inviare io stesso un’istanza al Capo del Governo, poiché tu hai lasciato passare ben 4 mesi senza deciderti a fare ciò che io subito ti avevo detto di fare, e cosí hai contribuito a prolungare questo periodo di atroce agonia in cui ho vissuto finora. L’ispettore mi ha assicurato che il Ministero vuole interessarsi del mio caso: spero cosí che una cosa tanto semplice, come quella di essere inviato in una infermeria carceraria organizzata modernamente non sia difficile da ottenere. È una cosa che succede spesso. Non posso darti indicazioni, perché ignoro: ho sentito parlare delle infermerie di Roma e di Civitavecchia, ma mi interessa poco il luogo. Mi interessa di essere tolto da questo inferno in cui muoio lentamente. Se ti domandano se il trasferimento da Turi deve essere definitivo o meno, credo non debba rispondere tassativamente. L’importante è di essere subito allontanato, visitato seriamente e metodicamente, messo in grado di superare l’anemia cerebrale con un po’ di riposo. Poi decideranno, anche in base al certificato dei medici, dove mandarmi. Credo di averti spiegato ciò che devi fare. Ti prego di farlo subito, senza titubanze o esitazioni o mezze misure. – Ti darò qualche spiegazione per la lettera precedente. Ero in un continuo stato d’animo di aspettazione per la tua partenza da Turi; se appena giunta, mi avessi avvertito che saresti rimasta tanto tempo, io avrei preso le mie decisioni subito e non avrei lasciato passare tanto tempo inutilmente. Ma ciò che mi ha esasperato è stato il tuo accenno al prof. Fumarola e ai sonniferi: ti avevo spiegato di che si trattava, mi avevi persino detto di essere stata «stupida» a non capire, e poi mi ritorni a parlare di Quadro Nox e di altri preparati che non mi giovano a nulla se non forse ad aggravare il mio male rendendo piú brusco e sconcertante il risveglio sforzato. Ho ricevuto ieri la tua cartolina dove riporti ciò che ti ha scritto l’avvocato; ma a che si riferisce? Del resto non mi importa se il Tribunale Speciale mi possa o no diminuire di qualche anno la pena. Tu mi fai l’impressione di uno che assiste ad un annegamento e invece di trarre dall’acqua il pericolante, si preoccupa prima di acquistargli un nuovo corredo e magari di trovargli un’altra professione in cui non corra il rischio di cadere in acqua. E intanto l’altro affoga. Del resto ti prego, appena ricevuta questa lettera, e se non ti accordano il colloquio, di telegrafarmi se sei disposta a fare quanto ti ho scritto e immediatamente. Se non sei disposta, lo farò io stesso appena mi sarà possibile date le formalità d’uso. Se non fossi caduto nello stato di ebetudine in cui mi sono trovato nei mesi scorsi avrei fatto da me alla bella meglio e sarebbe stato meglio. È una lezione per l’avvenire. E pensare che io stesso ho scritto a Giulia l’apologo dell’uomo caduto nel fosso! Aspetto una tua risposta. Ti abbraccio

Antonio


357.

10 luglio 1933

Carissima Tania,

mi è sembrato che una delle conseguenze degli avvenimenti di questi ultimi mesi sia stata quella di farti diminuire la fiducia in te stessa e di tenerti sotto l’incubo di commettere errori. Perciò voglio scriverti alcune osservazioni e darti qualche indicazione che ti mostri almeno l’indirizzo generale da seguire. – 1° Nel fare la pratica (scritta o a voce) per il mio trasferimento in una infermeria dove possa essere sottoposto a un esame razionale e sistematico, devi fare notare che questa pratica ha solo un carattere immediato e di urgenza, dato il fatto che per quattro mesi nulla si è fatto per curarmi (oltre alla quistione del dubbio sull’apicite al polmone destro e dei fenomeni morbosi alle mani). Quindi la pratica iniziata nel marzo, sulla base del certificato del prof. Arcangeli, deve intendersi ancora in piedi e sempre d’attualità. – 2° Non devi metterti in testa che per scrivere a S. E. il Capo del Governo occorrano chissà quali attitudini letterarie o giuridiche. Mi pare che sia sufficiente esporre con semplicità ciò che ti consta, basandoti per le richieste, sul certificato del prof. Arcangeli. Puoi riferire sull’istanza già fatta alla Direzione generale e sulla necessità di una soluzione più rapida. Su questo, del resto, puoi aver consigli dall’avvocato. Se si risolvesse la quistione piú urgente del mio invio ad una infermeria dove si possa riposare e quindi impedire che il male si aggravi e si complichi e dove si sia curati, l’altra pratica potrebbe anche attendere un po’, se l’avvocato crede che l’attendere ancora non sia nocivo. Io sono sempre persuaso, come ti ho detto riferendoti le parole del giudice istruttore e dell’avvocato militare, che tutto ciò che mi riguarda di una certa importanza, non sarà mai deciso senza una risoluzione del Capo del Governo. Perciò ritengo indispensabile la pratica. Se, come mi hai detto, ti è possibile avere un’udienza ed essere accompagnata da persona amica a te ed autorevole, lo riterrei molto utile. In ogni modo dovresti cercare che un tuo memoriale preceda l’udienza. Se tu esporrai per iscritto i fatti che ti constano in modo perspicuo e convincente, non è escluso che il Capo del Governo decida di prendere dei provvedimenti, e tu potresti dire che io potrei fare una memoria circostanziata. La verità è che mi esaspera l’idea di aver subito una minorazione permanente come l’arteriosclerosi alla mia età e che ciò debba passar liscio. Poiché è possibile dimostrare che le condizioni in cui ciò è avvenuto sono contemplate dal regolamento generale carcerario e sanzionate e poiché innumerevoli volte i Direttori della Casa Penale di Turi hanno dato disposizioni perché tali condizioni fossero rimosse, non è difficile identificare amministrativamente i responsabili. Carissima, credo che tu farai volentieri quanto ti scrivo, perciò ti dò tanto lavoro. Ti prego inoltre di credere che se le mie sofferenze non fossero diventate insopportabili e torturanti, avrei avuto pazienza come ne ho avuta tanto in questi anni. – Nel caso che il mio trasferimento fosse deciso nei modi che ti ho scritto l’altro giorno, si porranno alcune quistioni che sarà bene esaminare fin d’ora. Ho qui presso di me una certa quantità di libri e riviste. Una parte ha valore secondario e potrebbe essere buttata via senza grandi rimpianti. Ma una parte considerevole ha un certo valore e mi dispiacerebbe buttarla ai cani. D’altronde non posso tirarmi dietro tutto questo bagaglio. Sarà possibile mandarla a te a piccola velocità? Oppure come dovrò fare? Se il trasferimento fosse deciso, puoi informarti di come la Direzione Generale risolve questi problemi? Io potrei fare una scelta dei libri di studio da portare con me e il resto vorrei mandarlo a te perché lo custodisca. Ma sarà possibile farlo? Nel caso fa osservare che, relativamente, si tratta di una quantità considerevole e che costerebbe troppo far fare a dei libri dei viaggi e controviaggi. – Ti voglio ancora ricordare e raccomandare le due lettere da scriversi di cui ti avevo parlato fin dal gennaio. Non capisco perché l’avvocato, che non aveva respinto l’idea, abbia poi tanto ritardato. Io credo che, proprio in questo periodo, l’iniziativa da me suggerita, avrebbe avuto possibilità di riuscire. A meno che io non sia diventato completamente imbecille (ciò che però potrebbe anche essere). Per concludere ti ripeto ciò che ti ho detto a voce: non si può domandare a nessuno di riuscire tassativamente in una impresa difficile, ma si può domandargli di fare tutto ciò che è necessario per riuscire e rimproverarlo se appunto non ha fatto ciò che era necessario e logico fare. Forse a quest’ora ti sarai persuasa (nel senso che ne avrai capito le ragioni) che io avevo molta ragione nel settembre dell’anno scorso quando mi sono tanto incollerito perché tu non ti eri attenuta alla lettera delle mie indicazioni. Da allora infatti la mia situazione è diventata catastrofica. Ma speriamo che tutto ciò sia diventato davvero cosa passata.

Ti abbraccio teneramente

Antonio

Ti ricordo che ho la temperatura sempre anormale; superiore ai 37, fino a 37,5.


358.

17 luglio 1933

Carissima Tania,

dopo la tua cartolina dell’ 11 non ho ricevuto altre tue notizie. Spero che il viaggio non ti abbia troppo affaticato; l’ultima volta che ti ho visto mi è sembrato che tu fossi meno bene della penultima volta. Io non so cosa scriverti. Mi era parso fino a due giorni fa di sentire un qualche beneficio dall’Elastina e dal fatto che di notte, se non dormo ancora, almeno sono meno agitato. Ma tutto è precario: ieri e oggi mi pare di avere degli spilli nelle mani e se voglio scrivere devo fare della calligrafia a disegno, poiché sono pieno di scatti improvvisi e automaticamente impulsivi. Eppure mi pare che dovrei stare meglio. Mi è stato consegnato il biglietto di Giuliano, ma esso è stato scritto da Giulia; solo l’intestazione è del bambino. Carissima, ti abbraccio affettuosamente.

Antonio


359.

24 luglio 1933

Carissima Tania,

ho ricevuto la tua lettera del 20 corr. con la lettera di Giulia. Non mi sento ancora in grado di scrivere a Giulia, non so da dove incominciare e cosa dirle. Dalla sua lettera pare che ella sia informata della mia malattia. Le hai scritto tu e come? Credo di poterti dire, nonostante abbia visto come siano precarie queste constatazioni, di stare un po’ meglio. Il cambiamento di cella e quindi di alcune delle condizioni esteriori della mia esistenza, mi ha giovato nel senso che ora posso almeno dormire, o almeno non ci sono le condizioni che mi impedivano il sonno anche quando ero assonnato e mi risvegliavano bruscamente mettendomi in agitazione e in orgasmo. Non dormo regolarmente ancora, ma potrei dormire; in ogni caso, anche quando non dormo, non sono molto agitato. Credo che ci sia da accontentarsi; dato che l’organismo sconquassato non può certo riabituarsi alla normalità subito e inoltre ora la sopraggiunta pressione arteriosa deve produrre di per sé una certa insonnia. Naturalmente per dormire un po’ devo prendere dei calmanti; cosí ho ripreso a consumare quelli che avevo prima del marzo, anche il Quadro Nox, al quale tu davi tanta importanza e che ora mi è realmente utile. Ecco dunque che il parere del prof. Fumarolo non era campato in aria e anche la tua coscienza scientifica può tranquillizzarsi. Tra giorni inizierò una cura ricostituente di iniezioni a base di stricnina e fosforo. Il nuovo medico che mi ha visitato mi assicura che mi gioverà molto. Egli mi ha detto che alla base del mio malessere è un esaurimento nervoso e che le altre manifestazioni sono di carattere funzionale e non organico. A quanto pare occorre curare anche la mia psiche. Tutto questo, per quanto io possa giudicare, è verosimile. Non so se l’arteriosclerosi possa esser detta una manifestazione funzionale e non organica; in ogni modo sia per effetto dell’Elastina, sia per il fatto che per quattro o cinque notti ho dormito un po’, mi pare di sentire meno la pressione e certamente sono diminuiti (attenuati) la palpitazione e il dolore al cuore; solo le mani mi dolgono continuamente e non posso sostenere nessun peso e stringere con una qualche energia. Per ciò che riguarda la psiche non posso dire molto di preciso: è certo che per molti mesi sono vissuto senza alcuna prospettiva, dato che non ero curato e non vedevo una qualsiasi via d’uscita dal logorio fisico che mi consumava. Non posso dire che questo stato d’animo sia cessato, che cioè mi sia persuaso di non essere piú in condizioni di estrema precarietà, tuttavia mi pare di poter dire che questo stato d’animo non è ossessionante come nel passato. D’altronde esso non può cessare con uno sforzo di volontà; intanto dovrei essere in grado di fare questo sforzo, o di sforzarmi di sforzarmi, o di sforzarmi di sforzarmi di sforzarmi ecc. A parole è semplice, nei fatti ogni sforzo conseguente diventa subito un’ossessione e un orgasmo. Adesso che sto meglio, quelli che stavano con me quando mi trovavo nel punto critico della malattia mi hanno detto che nei momenti di vaneggiamento c’era una certa lucidità nei miei sproloqui (che poi erano intramezzati di lunghe tirate in dialetto sardo). La lucidità consisteva in questo: che ero persuaso di morire e cercavo di dimostrare l’inutilità della religione e la sua inanità ed ero preoccupato che approfittando della mia debolezza il prete mi facesse fare o mi facesse delle cerimonie che mi ripugnavano e da cui non sapevo come difendermi. Pare che per una intera notte ho parlato dell’immortalità dell’anima in un senso realistico e storicistico, cioè come una necessaria sopravvivenza delle nostre azioni utili e necessarie e come un incorporarsi di esse, all’infuori della nostra volontà, al processo storico universale ecc. Ad ascoltarmi era un operaio di Grosseto che cascava dal sonno e che credo abbia creduto che io impazzissi, secondo l’opinione anche della guardia carceraria di servizio. Tuttavia ricordava i punti principali del mio sproloquio, punti che io ripetevo continuamente. Carissima, come vedi, il fatto stesso che ti ho scritto queste cose dimostra che un po’ meglio mi sento. Forse non ti dispiacerà di mandarmi un po’ di Quadro Nox che qui non si trova. Ti abbraccio teneramente.

Antonio


360.

[luglio 1933]

Carissima Iulca,

ho riletto piú volte la tua lettera. Mi pare che da molti anni non leggessi piú le tue lettere e che abbia ricominciato da questa. Ho molto studiato la fotografia di Iulik. Mi piace molto la posa del nostro ragazzo, ma mi pare che egli abbia tanto cambiato dall’immagine che mi ero fatta di lui. Aspetto la fotografia che mi prometti. Non so cosa scriverti, dopo aver letto la tua lettera; forse non c’è nulla da scrivere da parte mia o troppo, ma sbriciolato, polverizzato in un caos di impressioni e di ricordi.

Ti abbraccio teneramente.

Antonio


  1. La madre di Gramsci è morta il 30 dicembre 1932, ma i familiari hanno preferito non informarlo.