IL FANCIULLO

Tra le forme diverse, buone e mediocri, alcune nobili, alcune anche morbose e sbagliate che assume la moderna beneficenza una sola è santa, se con questa parola un po’ antica ma non ancora scaduta dal suo fascino vogliamo indicare il massimo dell’eccellenza: la protezione del fanciullo. Il fanciullo è veramente un deposito sacro che gli uomini si trasmettono di generazione in generazione e quando un ricco dedica parte de’ suoi averi ad uno degli Istituti dove si raccolgono i fanciulli abbandonati parmi che esso compia davvero una bella azione; meglio che a soccorrere i ciechi, i rachitici, i vecchi, perchè in queste forme ristrette della pietà l’obbiettivo è anzitutto materiale e per quanto nobilissimo non assurge alla complessività grandiosa che si raccoglie intorno al problema della protezione dell’infanzia. 

Siano dunque benedetti i ricoveri dove tanti piccini derelitti sono strappati alla miseria ed all’infamia, e chi ha denari ne dia pure per una causa che racchiude in sè tutte quelle a cui metton capo i bisogni dell’umanità. Ma non basta. L’errore comune che fa credere a un miglioramento dell’uomo sotto forma di benessere materiale è pure quello che induce a pensare di aver colmato ogni lacuna dando da mangiare a chi ha fame; così molti di coloro che largheggiano in beneficenza verso i non abbienti sono così privi in casa propria di luce ideale che i loro stessi figli offrono ragione di compianto ben più dei loro beficati. 

Guardiamo un bambino. Egli nasce ed è un nuovo mistero gettato nel mondo! Il suo primo vagito è una voce che nessuno ha udito ancora; il gesto delle sue piccole mani è quello di un’angelo che schiude le porte dell’avvenire; per questo il simbolo più profondo della religione cristiana mi è sempre parso l’adorazione della culla, la divinità dell’infante. 

A chi considera la grandissima differenza che corre fra l’educazione di una volta e quella dei nostri giorni, non può sfuggire la melanconica riflessione che il progresso è quasi tutto materiale quindi egoistico ed incompleto. I bambini dell’oggi vestono meglio, mangiano carne e bevono vino a scuola invece della classica mela che nei casi più fortunati riempiva da sola i panierini dei nostri tempi, si divertono di più, sono più svegli, più disinvolti; hanno giornali e riviste; i maggiori teatri si compiacciono di riservare per loro uso alcune serate o mattinate speciali, quando non siano addirittura veglioni e balli mascherati. I concorsi di bellezza sono stati offerti alla loro precoce vanità; si sono ideate esposizioni per essi e le famiglie non hanno mai fatto tanti sacrifici come ne fanno ora per circondare di rose le picciolette esistenze. Ma quanti sono compresi dalla riverenza del mistero? quanti intendono nella culla l’altare? Quanti nell’amore per il bimbo includono il rispetto alla sua innocenza ed alla sua libertà? 

La tendenza voluttaria dell’epoca in cui viviamo e il materialismo spietato di tutte le aspirazioni fa sì che anche tra i genitori, i migliori sembrano quelli che alimentano le gracili membra dei figlioletti con ferro ed olio di merluzzo, che li conducono a respirare l’aria ossigenata dei monti e non risparmiano né un maestro né una classe, fosse pure al di là delle Alpi, perché si possa dire che essi hanno fatto di tutto per il vantaggio della loro prole. La diffusione della scienza e dell’igiene hanno pure contribuito a questa ricerca affannosa del miglioramento della razza e sta bene; ma basta? Ricordiamoci che il contatto di maestri i quali sanno solamente quello che insegnano, nel caso che lo sappiano, dà bensì al fanciullo la conoscenza di qualche ramo del sapere, ma lascia intatta la zolla feconda dell’anima, se pure non la offende e la isterilisce per le gravi deficienze dell’anima dirigente, come avviene non di rado. 

Dicendo non di rado, temo di essere stata troppo ottimista, perchè davvero la più assoluta mancanza di criterio educativo si distende qual folta gramigna dalla casa alla scuola, dai maestri elementari ai professori cavalieri, dai genitori ricchi ai genitori poveri, dagli oziosi ai lavoratori, per cui nessuna scusa va ricercata nè nell’ignoranza, nè nella miseria e neppure nelle soverchie occupazioni, ma solo in una immensa dilagante povertà del sentimento educatore. 

Infatti se le buone condizioni della vita fossero causa prima di buona educazione perchè non sono tutti onesti i ricchi? Perché abbiamo i ladri dove non c’è bisogno di pane e i delinquenti nati dove nessuna miseria strinse il concepimento? Egli è che per educare occorrono persone veramente superiori, e queste, rare sempre, non guardano quando nascono se le circondano agi o povertà ma vanno dritte per il loro cammino di luce seminando il buon germe tanto sulle vette radiose quanto nel fondo dei burroni dai quali surse tante e tante volte l’umana pianta del genio. Per educare bisogna avere un’anima ardente, chiara retta, sensibile; tutto il resto è pedanteria. 

I genitori e i maestri di una volta trovavano un alleato già pronto nella fede. La religione, come la falsariga ad uno scrittore inesperto, offriva loro un percorso di precetti sul quale non c’era altro da fare che ricalcare i piccoli passi infantili; così anche le menti meno preparate entravano senza fatica in una parte dove l’opera della creazione si presentava compiuta e non rimaneva che quella della diligenza. Se la religione non avesse altri meriti, questo basterebbe per far comprendere quanto sia difficile sostituirla. Non dico certo che elementi morali non si possano trovare anche fuori di una professione di fede; ripeto che il dover fare una ricerca propria richiede una somma di qualità infinitamente superiore alla media, e se io abbia torto o ragione decida chi di codesti problemi si interessa. 

Ma ecco precisamente il punto debole. Chi se ne interessa? Se si riformasse l’educazione si riformerebbe il mondo, lasciò scritto Leibnitz. Noi intanto prendiamo nota che di tale riforma gli indizi sono purtroppo incerti, e sarebbe pure un vastissimo e nobile agone per l’ingegno femminile questo: L’educazione per i ricchi e per i poveri, la morale per i ricchi e per i poveri, l’amore per i ricchi e per i poveri. 

Molti anni fa abitavo una casa il di cui portinaio faceva il sarto. Era un piccolino, bruno, molto ossequioso, dalla faccia enigmatica; sua moglie, una bionda lunga e magra, allattava il loro unico figlio. 

In complesso non c’era niente da dire sembravano brave persone. Dopo qualche tempo un ragazzetto di otto o dieci anni venne ad accrescere la famigliuola; chi era? Sulle prime lo dissero un parente, un garzone, che so io, ma a poco a poco si seppe la verità. Era un figlio nato loro prima del matrimonio, messo all’Ospizio dei trovatelli, dimenticato per tutti quegli anni e ripreso nel momento opportuno di sfruttarlo. Egli infatti fu subito sottoposto agli uffici più gravosi e trattato duramente, come uno straniero che si è obbligati a tenere in casa, meno utile di un domestico, meno simpatico di un cane o di un gatto; il posto peggiore per dormire, il rifiuto della cucina per mangiare, scarse le vesti, frequenti le busse… 

Ahi non posso ricordare senza fremere certe sere d’estate. Le mie finestre davano sopra un giardino e al di là del giardino il bugigattolo del portinaio nereggiava all’ombra, fatto vivo dalla lucernetta a petrolio; e nel silenzio degli alberi, del cielo stellato, veniva a volte un rumore secco che io non comprendevo: Sarà il vento! — dicevo a me stessa. Ma nelle sere afose di luglio in cui non tremava foglia il rumore si faceva udire ancora lontano, come soffocato: Sarà qualche telaio!… Mai, mi si era affacciata la terribile realtà. 

Me la dissero una volta a bruciapelo. «Sa che è un infame quel portinaio a battere suo figlio in quel modo?» 

Scesi dal portinaio, indignata e quasi incredula. Egli si difese dolcemente, con compunzione; affermò che il ragazzo aveva una indole pessima, che era stato allevato male e che bisognava correggerlo. La madre impassibile, se ne stava sulla soglia coll’ultimo nato fra le braccia e confermava tratto tratto col capo, quasi sorridendo. 

Spiai il ragazzo le poche volte che usciva per qualche commissione; con buone parole, con carezze, mi parve di vedere l’animo suo ad aprirsi. Non mi fu possibile parlargli a lungo mai; ma sentendo in me un’amica mi guardava con lunghi sguardi riconoscenti e rispondeva con un bacio innocente alle mie carezze. Vedendolo seminudo gli regalai qualche oggetto di vestiario, ma non potè metterli perchè sua madre li adattò al piccino, suo unico amore. Era venuto dalla campagna florido, bello; l’Ospizio lo aveva affidato a una buona contadina che se lo teneva come un figlio e che pianse a calde lagrime quando dovette cederlo ai legittimi genitori. In poco tempo divenne pallido, giallo, colle guancie gonfie e l’occhio spento. La contadina, non potendo darsi pace, venne colla speranza di riprenderlo e se ne partì angosciata gridando: Povero Egidio come me lo hanno ridòtto! 

Parlai allora con persone pie insistendo sulla necessità di togliere il fanciullo a quelle torture e mi risposero che non si poteva, che i genitori sono arbitri dei figli e che senza gravi motivi non è permesso ledere la paterna potestà. Chi sa, secondo loro, che cosa dovrebbero essere i gravi motivi! Il padrone di casa, al quale mi rivolsi pure, obbiettò che quel portinaio gli faceva comodo, che non aveva nessun appunto da muovergli sul servizio e che la sua vita privata non lo riguardava. 

Allora… ebbene, sono passati tanti anni, tante cose, ma oggi ancora nel rammentare il povero Egidio non so darmi pace di essermi così facilmente rassegnata, di non avere fatto più nulla per lui. Lasciai la casa è vero, e non lo vidi più, ma questa scusa farisaica non acqueta la mia coscienza. Essa mi rimorde sopratutto quando odo fatti atroci commessi da giovani. Egidio sarebbe ora appunto un giovane e qualche volta mi pare che se leggessi il suo nome tra gli accusati di un processo criminale avrei il coraggio di andare a difenderlo, di dire ai giudici e giurati: Questo reo fu un fanciullo infelice! E se mi accuso oggi in pubblico, se rendo palese il mio rimorso è nella speranza di prevenirne altri ad altri, di salvare i nuovi infelici che nacquero dopo quell’infelice che io abbandonai. 

Donna, parlo sopratutto alle donne e dico loro: Salviamo il fanciullo! L’infanzia è la parte viva della società; è il fiore che sarà frutto quando noi saremo verme. Salviamo il fanciullo!