TUTTE MADRI

In una poesia greca, credo di Simonide, la donna saggia viene paragonata all’ape: 

       «… la donna che all’ape è somigliante
                «Beato è chi l’ottiene.
                          «In carità reciproca
      «Poi che bella e gentil prole crearono
                «Ambo i consorti dolcemente invecchiano. 

 
 e per quanti secoli siano passati l’ideale della donna e per la donna è ancora questo. Così parmi di dover compendiare le mie modeste osservazioni sul movimento femminista. Tutto ciò che allontana la donna dalla casa e dalla culla, malgrado gli apparenti vantaggi promessi, non può riescire che un danno per lei e per l’umanità. Credo di averlo provato con argomenti materiali e con argomenti ideali, essendo per fortuna indissolubili nelle eterne verità queste due forze che a noi sembrano tante volte contrarie. 

Ammesse dunque tutte le circostanze particolari, i casi separati, le eccezioni, le vocazioni, e considerato che la donna ha la la sua struttura conformata in altro modo che non sia quella dell’uomo, e la sua intelligenza e la sua anima sono tanto necessarie altrove che non nel campo della attività maschile, resti donna, più che mai donna, niente altro che donna; alta, nobile, sublime, coraggiosa, forte, ma donna: e migliori i suoi interessi, ma restando donna. 

E sia madre! Poichè la maternità è la più splendida corona della vita e che la natura la offerse alla donna, a lei sola, facciano gli uomini in modo che ogni donna abbia la sua parte. Sia bandita da una società che vuole progredire la tristezza della vergine coi capeli bianchì, la tristezza di un grembo senza frutto. È questo il diritto più sacro del nostro sesso! Prepariamo il corpo e la mente alla maternità. 

Io sono fra coloro che ritengono miglior sorte per una fanciulla un modesto matrimonio, anche poco felice, ad una esistenza solitaria fra le ricchezze, i piaceri, lo studio o qualsiasi altro compenso. Nel primo caso avrà della vita le commozioni più intense e più vere e quando nel brivido meraviglioso che l’uomo ignora, dalle stesse sue viscere palpitanti ascolterà la voce del grande mistero, si sentirà così alta, così prossima all’infinito da giudicare ben meschina ogni altra opera. Nel secondo caso potrà avere dei piaceri, delle soddisfazioni, dei compensi, ma non giungerà mai ad afferrare il senso profondo della vita perchè su di lei non è passato quel fremito di un essere nuovo che entra nella luce. 

Tuttavia se il culmine di una esistenza femminile è la maternità, è pur duopo riconoscere che troppe donne ne sono prive ed in queste più facilmente fermenta la ribellione ad uno stato di cose contro natura e più agile vi guizza l’illusione di potersi in altro modo rifare. È principalmente fra le zitelle e le sterili che si accende la fiamma di conquiste e di rivendicazioni sociali; sono esse che nel morto focolare dei loro sogni rintuzzano scintille di desideri violentati, di attività represse, di aspirazioni passionali rimaste senza scopo. Ebbene, anche a queste dico: Siate madri. Se il vostro fianco non ha partorito fra i dolori il figlio delle vostre viscere, concepite moralmente. Siate con uno slancio di magnifico altruismo la madre di un orfano; e non occorre nemmeno che l’oggetto della vostra dedizione sia orfano. Fuori della famiglia il fanciullo ha ancora bisogno della donna. Siate materne per l’amico, per il dipendente, per l’ignoto che ricorre a voi, ed anche per colui che senza chiedervi nulla voi potete nobilitare e beneficare con un gesto, con una parola. È incredibile il bene che può fare una donna colla sua sola presenza; è sconfinato quello che può fare coll’esempio, colla persuasione, coll’educazione. Di scienziati, di giureconsulti, di artisti non ha bisogno il mondo. Il mondo ha bisogno di educatori. La donna che sa educare, che plasma un’intelligenza, che sviluppa un’anima, è madre anche se fanciulla; occupa quindi la prima dignità femminile. 

“Nessuna cosa vale quanto un’anima: nè terra, nè mare, nè astri„ dice il mio scrittore prediletto. Nessuna cosa è più trascurata, più profanata nel seno stesso delle famiglie e delle scuole. Quando si fossero salvati migliaia di bambini dalla fame, dalle busse, dall’ignoranza, ve ne saranno altrettanti che occorre salvare dalla leggerezza, dalla violenza, dalla vanità, da tutti i difetti che genitori e educatori vanno propagando in mezzo al più grande sfoggio di studi e di erudizione. Si colma facilmente il bambino di tenerezze, lo si sottrae ai disagi, gli si cura il sangue per renderlo robusto, ma quanti ne rispettano l’anima? quanti dinanzi al suo candore frenano i discorsi di turpitudini e di brutture intorno al fatto del giorno? quanti dòmano l’impulso dei nervi irritati e del cattivo umore? quanti si preoccupano di non dargli cattivo esempio con parole triviali, o maligne, o sciocche, ferendo così la tenera anima in ciò ch’ella ha di più sacro e di più prezioso, l’ignoranza del male? Chi semina in queste innocenti creature i primi germi dell’invidia, della cupidigia, della violenza, dell’ingiustizia, dell’impostura, della menzogna, della calunnia se non i genitori e gli educatori stessi che si mostrano così sovente invidi, cupidi, violenti, ingiusti, ipocriti e bugiardi? – Dobbiamo dunque essere santi? – odo obbiettarmi. No; ma pensate che il gesto che voi tracciate dinanzi al vostro bambino è quello che si imprimerà per sempre nella cera molle del piccolo criterio e sopra quello, il più delle volte, svolgerà la sua vita avvenire. 

Qualcuno che pur col figlio proprio sorveglia il bel gesto, non ha gli stessi riguardi in pubblico. Io soffro continuamente per tutto ciò che si fa e si dice di male intorno ai bambini e penso quanta occupazione ci sarebbe lì per la donna, per tutte le donne. Se vogliono studiare, quale campo sconfinato l’educazione! (Insisto sul vocabolo educazione da non confondersi coll’istruzione). Se hanno bisogno di amare, chi lo merita e lo implora più dell’infanzia? È sui ginocchi della donna che si forma l’umanità. 

Ma chi non educa prima se stesso si illude invano di poter educare altri; l’educazione è opera così tenue, così impercettibile, così continua e silenziosa che esige un lavoro non mai interrotto di calma, di pazienza, di dominio di se stessi. Per questo meglio è indicata la donna non distratta dagli affari e dalle cure della professione. Quando l’uomo, il padre, stanco e irritato dalla sua giornata di combattimento, coi nervi tesi e il cervello ingombro ritorna a casa, non è quasi mai nelle condizioni favorevoli per educare. Tocca alla donna l’ufficio delicato ed importante di eludere le occasioni che lo farebbero trascendere, di calmare i suoi nervi, di spiegare nel modo più confacente ai teneri bimbi lo scatto di malumori che essi non possono comprendere e che offuscano con una nube di diffidenza l’immagine di colui che dovrebbe sempre apparire il migliore dei modelli. 

La donna è in questa impresa infinitamente superiore al maschio per quelle stesse qualità di prontezza, di astuzia, di tatto che la scuola Lombrosiana le rinfaccia come suggello di inferiorità e che in altri casi meno nobili le servono di affilatissime armi. Sì, più pronta, più astuta, più agile, la donna elevata e saggia si servirà anche di queste attitudini particolari per raggiungere i suoi fini educativi, quei fini che essa sola può far trionfare per la gloria eterna della verità. Guai se tale donna venisse a mancare! 

Un professore, che è anche un critico elevato e profondo, ha avuto il coraggio di confessare. “Noi possiamo dare, sì qualche spirito solido, laborioso, ma non riusciamo ad avvivare nelle tristi aule della scuola sentimenti generosi, non sappiamo far battere dei cuori, non sappiamo sviluppare delle anime„. Questo compito sublime spetta alla donna. Se lo lascerà essa sfuggire per correr dietro a inutili fatiche? 

Proprio in questi giorni i femministi annunciano una nuova vittoria nel responso di trenta professori francesi i quali, interrogati sul risultato degli studi universitari rapporto alle donne, espressero l’opinione che detti studi le rendono mogli e madri migliori. 

In qual modo non è detto; per cui mi è lecito prendere la loro affermazione come una di quelle frasi retoriche di uso corrente nelle scuole e che in fondo non vogliono dir nulla. Domanderò invece a questi signori su quali documenti hanno fondato il loro giudizio; evidentemente sugli esami e sulle classificazioni delle loro alunne, quanto dire sopra una prova troppo lontana e troppo prematura. Che ne sanno essi delle loro scolare quando hanno abbandonato i banchi? Perchè le vedono a passeggio con una balia tenente un pargoletto basterà questo a dichiararle mogli e madri migliori? È il superlativo migliore che io contrasto, badiamo, e sostengo come donna, cioè con autorità superiore a quella dei professori di Università, che qualsiasi studio non collegato alle nozioni morali e fisiche della maternità può forse suo malgrado lasciar sviluppare i buoni istinti naturali in una donna razionalmente conformata, ma non aiuterà mai nessuna a diventare moglie e madre migliore. Per me, non i trenta professori universitari hanno ragione, sibbene colui che scrisse: “Noi possiamo dare qualche spirito solido, laborioso, ma non riusciamo ad avvivare nelle tristi aule della scuola sentimenti generosi, non sappiamo far battere dei cuori, non sappiamo sviluppare delle anime„. 

Nelle scuole si istruisce, raramente si educa; e in un gran numero di famiglie, purtroppo, nè si istruisce nè si educa. Teniamolo a mente noi donne, noi madri, e sia questa la meta di ogni nostro progresso.