VECCHIE ZITELLE

Molto prima che si parlasse di una questione femminile io avevo presa singolarmente a cuore la causa della donna dal punto di vista della sua felicità, concentrando specialmente le mie osservazioni sulle vecchie zitelle. Circostanze particolari mi offrirono occasione di conoscerne molte, di poterle studiare quindi su larga scala con abbondanza di documenti e per la pietà somma che ne ebbi le feci eroine di molti de’ miei romanzi. Ma che questa parola pietà non faccia supporre alcun sentimento di umiliazione; se così fosse ho pronta un’altra parola sulla quale non vi può essere equivoco; dirò l’interesse che mi ispirano, dirò la bellezza artistica ed umana della loro causa, dirò il bene che volli a ognuna di esse, anche a quelle che mi fecero del male — forse sopratutto a quelle. 

È una schiera interminabile che mi sfila dinanzi. Qualcuna, timida, a piccoli passi, con quei movimenti legati così caratteristici di uccelletto in gabbia; qualche altra cauta e felina, coll’andatura leggera di chi porta scarpe felpate; altre invece procedono rigide, maschili, scambiando la durezza per disinvoltura e la violenza per il potere, quasi fosse in loro un tentativo di mutar sesso per aver fallito quello che ebbero dalla natura riconoscibili al gesto, alla voce, allo sguardo, al sorriso; tutte segnate da un misterioso accenno, da un velo impalpabile che sembra isolarle dal fermento della vita e rinchiuderle nello stupore del sogno. Qualcuna pure, voglio convenirne, aiutata da qualità specialissime, creatura veramente superiore, sforza le linee generali del tipo e si presenta con un’apparenza nebulosa di vedova, dove, a studiarla bene, la tristezza è più profonda, più inconsolabile, più disperata ancora. Ed io le amo tutte: le rassegnate, le ribelli, le martiri, le maligne, le invidiose, le ipocrite, le ridicole, tutte, tutte! Le amo perchè queste sono le vere infelici, le derubate, le vittime della società qualunque sia la loro condizione di ricchezza e di coltura. Queste sono le vittime che bisogna redimere se una redenzione è possibile, se c’è un progresso da fare; e se non si può, commiserarle ed amarle infinitamente. 

Persone serie, animate dalle migliori intenzioni esclamano: “Oh! che la donna non debba far altro a questo mondo?„ Precisamente; ma scusate se è poco. Si vorrà ammettere per lo meno che non ci sarebbe stato bisogno di nascere donna se non fosse appunto per ciò. Tutte le questioncelle di sapere o non sapere, di diritti, di indipendenza, intorno alle quali si fa tanto baccano, sono men che bolle d’aria a confronto di questa questione capitale, la sola vera questione della donna. Il resto potrà essere buono o buonissimo od anche ottimo ma non è necessario. Raggruppando intorno ad esso tutte le forze si stornano dallo scopo principale, si impoverisce la pianta a furia di sbizzarrirsi nelle ramificazioni e col pretesto di giovare alla causa femminile si trascura l’essenza stessa e il perchè della donna nella creazione e nella società. 

— Non crede ella — mi obbiettava recentemente un giovane sacerdote di molta intelligenza — che vi sieno stati d’anima speciali i quali consigliano anche alla donna vie diverse che non sia la maternità? E non può la donna liberamente scegliere ciò che le conviene? 

Certo che lo può. L’eccezione è essa pure una regola od ha almeno al pari della regola diritto di vivere. Ma l’eccezione non risponde mai ad un bisogno generale. Noi tutti abbiamo veduto qualche equilibrista a reggersi sopra una lama di coltello; ma ciò non prova ancora l’utilità di una lama di coltello come passeggio pubblico. Quando si fa, come nel caso attuale, una questione di sesso bisogna vedere anzitutto quale sia la sua precipua condizione d’essere e se è appropriandosi le attribuzioni maschili che meglio può giovare a sè stesso ed agli altri o non piuttosto cercando di migliorarsi nelle attribuzioni proprie. Il problema femminista va risolto in un accrescimento di femminilità. Sieno le donne sempre più interne sempre più intime; presiedano esse all’urna della vita e versino da quella ai loro assiderati compagni la sola cosa necessaria alla felicità di entrambi: l’amore. Per la donna sopratutto sembrano scritte le parole di un nobile poeta e pensatore: “Studiate studiate, studiate e sarete piccoli; amate, amate, amate e sarete grandi„. 

Promuovere delle leggi sul lavoro della donna è certamente ottima cosa che non si collega però se non indirettamente alla felicità della donna stessa. Poichè il bisogno primo della donna risponde con bella armonia allo scopo per cui fu creata, queste leggi le saranno di giovamento, ma sempre in seguito alla legge d’amore dalla quale la allontanano invece la concorrenza all’uomo nella carriera degli impieghi la partecipazione materiale alla vita pubblica. Non a caso dico materiale perchè non è affatto mia intensione di precludere alla donna l’interessamento a queste parziali necessità della vita, così come l’uomo si interessa e prende parte al reggimento della famiglia il quale appartiene di fatto alla sua compagna, onde fondendo, non gli uffici, ma le idealità loro, si aiutano e si completano. “L’emulazione — lasciò scritto Mirabeau — non deve essere la smania di uscire dalla propria condizione, bensì di distinguervisi„ differenza sottile che ogni donna deve meditare seriamente prima di rinnegare tutte le glorie del suo passato. 

Nè inferiori, nè superiori, nè eguali, ma diversi ed equivalenti. Essendo questa la mia formula di giudizio relativa ai due sessi, mi domando perchè si debba esigere dalla donna che ella compia oltre la sua anche la parte dell’uomo, mentre non si chiede all’uomo di surrogare la donna negli uffici suoi. Non vi è nessuna ragione, nè sentimentale, nè scientifica nè economica che corrobori tale inversione dei diritti e dei doveri, perchè se per la dignità femminile basta di fronte al lavoro dell’uomo l’inimitabile ed invalutabile lavoro della maternità, il giudizio della scienza e dell’economia ha da lungo tempo proclamato il vantaggio della divisione del lavoro. 

C’è chi non fa mistero del fine a cui mira e dice chiaramente: Vogliamo la distruzione della famiglia, del nome, della legge, dell’eredità dell’amore, di tutto ciò che è fuori dalla lotta selvaggia e primitiva. C’est à prendre ou à laisser, ma questa dichiarazione ha il vantaggio della sincerità; è qualche cosa; si può almeno discutere. 

Quando però un pazzo getta un zolfanello acceso in mezzo alla folla non si sa più dove si va a finire. Nel panico, nella eccitazione, nei malintesi, si compiono eccidii miserandi e una quantità di persone muoiono asfissiate, senza sapere nemmeno chi dover ringraziare. 

Nei miei ricordi pieni di compassione e di simpatia c’è una vecchia zitella gobba. Non so chi avesse gettato lo zolfanello vicino a lei, ma la poveretta col fumo negli occhi ed annaspando girava di casa in casa per raccogliere firme ad una promulgazione sulla legge del divorzio… Non voglio entrare qui a parlare del divorzio, si capisce; la singolarità sta tutta nella persona che si faceva interprete di una questione simile. Ella ripeteva come un povero automa dalle braccia di stoppa, a cui si è posto un meccanismo in gola. L’amore, la libertà, i due coniugi, la separazione di letto e di mensa e l’amore da capo, colla intonazione sbigottita di uno che avendo viaggiato il mondo nel fondo di un baule volesse raccontare le sue impressioni del deserto, dell’oceano o delle aurore boreali. Poveretta! 

Ed una rammento, bellissima, di un ingegno che adunava ai suoi piedi tutti gli omaggi, ricca, buona, in possesso di ciò che si ritiene la felicità. La rammento in una calda sera di autunno, sotto un pergolato gonfio di grappoli, mentre toccandosi colla mano i fili d’argento della superba chioma mi diceva con un singulto spasmodico: Oh! fossi senza tetto e senza pane ma sapessi perchè germogliano queste piante, perchè questa vite porta i suoi frutti! 

Un simile grido in una bocca cotanto pura, assunse in quell’ora e in quel paesaggio, una espressione tragica che non dimenticherò mai più. Doveva aver pianto lagrime di sangue ed essere passata attraverso tutte le torture perchè le sconsolate parole trovassero il varco delle sue labbra. E quando la rividi alla luce dei doppieri colla maschera sul volto di donna felice, circondata, adulata, avendo intorno a sè le delizie del lusso e dell’intelligenza mormorai ancora: Poveretta! 

Non è il caso di accennare neppure lontanamente alla retrograda utopia del libero amore come rimedio, perchè, astrazione fatta dai riguardi di coscienza, esso risolverebbe la questione in senso puramente fisico, mentre è un complesso di diverse aspirazioni che si racchiude nell’amore ed anche coloro che inneggiano alla libertà dell’unione sessuale se vogliono informarla a un concetto elevato, devono pure annettervi una condizione di fedeltà, di responsabilità e di obblighi che ne fa una specie di matrimonio. 

Nè lo scoglio economico si allontanerebbe col duplicare il numero dei professionisti, che ove ciò accadesse non più in via di eccezione ma come fatto generale, per inevitabile legge di equilibrio verrebbero a diminuire tutte le mercedi, col solo risultato finale di guadagnare in due quello che ora l’uomo guadagna da sè — e fra quegli due chi ha tutto da perdere è la donna perchè oltre alle occupazioni, ai doveri, alle fatiche, ai dolori del suo sesso dovrà aggiungervi le occupazioni, i doveri, le fatiche, i dolori dell’uomo. E chiamano ciò fare del femminismo! 

Ma poichè la parola è pronta, accettiamola. Siamo tutti femministi! La difficoltà consiste nell’intendersi e per intendersi conviene anzitutto allontanare il pregiudizio che tale altissima questione poggi esclusivamente sulla base materialistica come vorrebbero i riformatori o negli sdilinquimenti sentimentali, facile bersaglio di un ridicolo tanto ingiusto quanto puerile. 

La peggiore sorte che possa toccare ad una donna è il celibato, non perchè l’uomo sia in sè stesso il supremo dei beni, ma perchè nell’unione coll’uomo a scopo di fondare una famiglia la donna trova la estrinsecazione completa di tutte le sue facoltà, sieno pure intellettuali fin che si vuole. Fatta la debita parte alle eccezioni, che per ciò solo trovano la loro strada, una rivoluzione di sesso, mentre non giova a queste pochissime, danneggia le altre che in vani conati consumano le forze e perdono di vista la loro meta. 

S’intende che ciascuno a questo mondo è libero di sè, tant’è vero che abbiamo i suicidi, ma quando si tratta di fare una propaganda, questa deve mirare alla vita non alla morte.