Ho letto in un recentissimo studio francese sulla questione delle nuove carriere da aprirsi alle donne una specie di dialogo che suonava così:
— La donna nasce donna e madre prima di diventare commessa, impiegata ecc.
— Ma anche l’uomo nasce uomo e padre prima di diventare commesso impiegato, ecc.
E questa parve all’autore dello studio sopradetto (che è pur fatto con serietà e onesti fini) una conclusione magistrale del grande quesito; ma la verità di essa non è che apparente. Ben diverso è l’ufficio che la natura assegna all’uomo, il quale per divenir padre non ha molto da fare e lo diventa si può dire a sua insaputa, in confronto della donna che vi espone la vita e ne subisce prima e poi una sequela di disturbi, di mali, di privazioni, di sacrifici anche, ma insieme di commozioni e di gioie che l’uomo non conosce.
Partendo dalle stesse false premesse, Bebel incita la donna a percorrere le carriere maschili per trovare in esse un equivalente di ciò a cui è tratta da natura e per acquietare, a somiglianza dell’uomo, nella foga del lavoro e dello studio la prepotenza degli istinti sessuali. Ma sono sempre uomini che parlano e parlano molto leggermente giudicando la donna dal loro stesso punto di vista, senza tener conto che la differenza che sta fra i due sessi è sostanziale e impedirà sempre l’eguaglianza desiderata dai femministi. Fin dal momento misterioso della pubertà si sviluppa nel corpo della donna un fenomeno che accaparra le sue forze e le guida allo scopo precipuo per cui fu creata, tagliandole la strada ad occupazioni che sperderebbero senza vantaggio di alcuno il capitale di energie sacre alla maternità.
I diritti e i doveri procedono dalla natura stessa delle cose. I diritti e i doveri della donna sono opposti a quelli dell’uomo; non è stata la società a stabilirli. Formati fisiologicamente in modo diverso, hanno ricevuto dalla natura stessa il compito di differenti funzioni vitali e dal momento che nessun progresso di civiltà farà mai di un uomo una madre, non c’è ragione nè materiale nè morale che le donne si assoggettino al tirocinio delle occupazioni maschili. Se la maternità abbisogna di una preparazione fisica, altrettanto — e come! — si dovrebbe preparare lo sviluppo delle qualità superiori che trasformano gradatamente la madre in nutrice, poi in educatrice e in guida. Si obbietta che non tutte le donne diventano madri. Pur troppo! Ma pieno è il mondo di bimbi abbandonati, educati male, offesi in mille modi, tratti al vizio ed alla perdizione, senza amore, senza carezze, senza dolci parole. Ecco la maternità offerta a tutte le donne. C’è da rifare il mondo, nientemeno, e si vorrebbe che la donna andasse a perder tempo in cattedra e al fòro! “L’uomo di domani non è forse colui che oggi la madre alleva? E chi per necessità di cose è destinato a tale preziosa missione, dovrà rifiutarsi dal fare ciò che tutti fanno per fini assai inferiori, dal dedicarsi cioè interamente al conseguimento del proprio scopo?„ Meditare questo periodo e meditare pure il seguente. “Altra cosa è posare la questione della capacità della donna e altra è il risolverla in presenza di un fatto brutale contro il quale si spezza ogni argomento ed ogni retorica„. Si può riconoscere la legittimità di certe aspirazioni, si può fraternizzare col desiderio di un miglioramento per tutte le donne, si possono, si devono anzi accogliere i voti in proposito, ma non perdere mai di vista lo scopo per cui la donna è nata donna, invece di nascere uomo.
Per quanto le vecchie zitelle formino una casta rispettabile alla quale io dedicai da lungo tempo viva e profonda simpatia, esse sono una minoranza per cui non si può sacrificare l’interesse vero di tutte le donne e della società futura. Se si potesse fin dalla nascita preconizzare l’avvenire di una bimba e decidere che ella rinunciando ai diritti del suo sesso potrà invadere quelli del sesso contrario, pazienza. Le Amazzoni si bruciavano una mammella; niente a maravigliarsi che coi progressi della scienza non si possa praticare alle neonate una operazioncina che le liberi per sempre dalla maternità. È un’idea. Solamente, appropriandosi i diritti dell’uomo, la donna non potrà cedergli i suoi. Sarà dunque una rapina senza compensi e senza profitto. I femministi se la meriterebbero.
Il loro profeta del resto (Bebel) ha già preconizzato che la donna futura non vorrà più seccarsi in questa funzione della maternità, nè trascorrere i più belli anni della vita o gestante o balia. La confessione è preziosa e conviene tenerne conto.
Ma noi partendo dall’assioma inconcusso che le energie della donna, pur essendo pari a quelle dell’uomo non sono simili, ed hanno altra missione nell’armonia della società, veniamo direttamente alla conclusione logica che il soverchio lavoro mentale delle classi preparatorie ai diplomi, la tensione imposta dalla importanza degli esami, il lungo soggiorno nelle aule, anemizzano per tempo la fanciulla e favoriscono lo sviluppo degli elementi nervosi a danno del deposito, per modo di dire, ch’ella deve conservare in sè per le generazioni future. Il surmenage intellettuale quasi come l’alcool avvelena il sangue della donna. Avremmo dunque in basso e in alto della scala sociale i più formidabili nemici della umanità: l’alcoolismo a cui verrà tratta la donna operaia e la nevrastenia che aspetta le laureate. Quella qualsiasi percentuale di casi che abbiamo ora in ambedue le malattie diventerebbe a regime femminista insiediato una spaventosa generalità.
Ingenuità di giudizio, osservazione superficiale ed opportunismo suggeriscono la teoria che, studiando, la donna potrà eguagliare l’uomo e far senza come lui in molti casi della vita sentimentale e dei bisogni fisiologici. Ma forse che tutti gli uomini studiano? La maggioranza di essi non è ordinariamente ignorante? È dunque un’altra la ragione che favorisce il loro adattamento; e questa ragione è precisamente il sesso. Può la donna cambiarlo? Lo possono i femministi? No. E di qui non si esce.
Lo stesso autore citato in principio di questo capitolo dice, pure in mezzo a parecchie concessioni femministe, verità preziose che mi piace raccogliere. «L’uomo deve alle sue qualità positive di ignorare gli arcani delle facoltà della donna. In lui i bisogni dell’intelligenza, l’insieme stesso delle sensazioni procedono essenzialmente da una tendenza centrifuga. I suoi rapporti colla natura e coi suoi simili sono improntati a questa caratteristica speciale ed è un movente sufficiente per fargli ricercare nella lotta e nel combattimento un elemento armonico se non necessario, contingente almeno alla sua natura d’uomo. La donna, non bisogna stancarsi dal ripeterlo, è conformata diversamente. La sua intelligenza e le sue funzioni fisiologiche si esercitano in senso centripeto; in lei nulla è determinato dal mondo esterno; il ragionamento stesso non cede che a considerazioni affatto intime. Ciò che il suo compagno domanda ai contatti della folla, la donna lo aspetta da una specie di divinazione famigliare».
Voglio aggiungere una frase deliziosa della povera Elisabetta d’Austria. «Facendo troppo caso dello studio la donna disimpara una parte di sè». Quale profondità e quanta delicatezza in tale pensiero!
Sono dunque ragioni d’ordine strettamente scientifico quelle che consigliano la donna a non invadere il campo dell’attività maschile e, come è naturale, la bellezza della verità scientifica trova il suo corollario nel sentimento unanime dei popoli, nel genio dei poeti. La storia e le matematiche, vedi pure le analisi chimiche e batteriologiche, non calmeranno mai le pulsazioni di un seno di vergine che anela a ciò che è veramente il suo diritto e la sua gioia sulla terra.
Per terminare citerò la curiosa preoccupazione di una femminista la quale ha testè proposto l’abolizione della parola mademoiselle e reclama per tutte le donne indistintamente l’appellativo di madame. Dove non giungerà, o mio Dio, la frenesia dell’uguaglianza?… Intanto però teniam conto che la donna nasce mademoiselle e che, per essere logica, una vera femminista non dovrebbe dare nessuna importanza alla trasformazione in madame.