7 4. Aspetti legali

La definizione iniziale di accesso aperto ci rimandava all’apertura di due lucchetti: i costi (gratis) e i diritti di uso (libero). C’è poco da spiegare riguardo al superare l’ostacolo del prezzo. Nel caso degli aspetti legali, invece, la complessità è maggiore. Quali sono questi diritti di utilizzo? Chi li possiede? E’ possibile un altro modello di gestione di questi diritti? Si tratta di un ambito nel quale gli autori e anche dei piccoli editori dimostrano grande ignoranza, sebbene esso sia fondamentale per lo sviluppo dell’accesso aperto, sia per incrementare l’accesso e la diffusione, sia per facilitare il riutilizzo[1].

In questo capitolo descriveremo brevemente i diritti d’autore dando particolar rilievo ai diritti di utilizzo, successivamente presenteremo le licenze libere, in particolare quelle CreativeCommons, quale strumento per la diffusione di contenuti accademici e ancora presenteremo i database che informano circa le possibilità legali di diffusione degli articoli pubblicati da case editrici commerciali. Infine, proveremo a chiarire le critiche che vertono sull’accesso aperto con riferimento al rispetto dei diritti di utilizzo.

Quali diritti?

I diritti d’autore sono l’insieme di norme giuridiche che si applicano alle opere d’autore e che permettono il loro controllo e l’utilizzo da parte degli autori stessi. Sono principalmente di due tipi: quelli morali e quelli di utilizzo.

I due diritti morali più importanti sono il riconoscimento della paternità e il rispetto all’integrità dell’opera, che non hanno scadenza. Quindi, è obbligatorio riconoscere la paternità a Isaac Newton e rispettare l’integrità dei Principi matematici della filosofia naturale (1687) sebbene siano passati più di trecento anni dalla sua pubblicazione.

I diritti di utilizzo (o di copia) (copyright, in inglese), invece, hanno una scadenza che dipende dalla legislazione del paese, ma che si aggira intorno ai 70 anni dalla morte dell’autore[2]. Questi diritti sono i seguenti:

– Riproduzione: realizzazione di copie delle opere.

– Distribuzione: distribuire le copie anche senza ottenere ricavi economici.

– Comunicazione pubblica: realizzare pubbliche esibizioni delle opere.

– Trasformazione: realizzazione di opere derivate, come traduzioni o adattamenti.

Una volta terminato questo periodo di protezione, le opere diventano di dominio pubblico, e, pertanto, si possono riprodurre, distribuire, trasformare e comunicare pubblicamente senza chiedere l’autorizzazione.

Licenze aperte

Le iniziative sviluppatesi per ottenere una struttura legale che permetta la diffusione di contenuti scientifici (o culturali, in senso più ampio) sono diverse. Due dei modelli più conosciuti sono le licenze copyleft, create dalla Free Software Foundation (Richard Stallman) e le licenze CreativeCommons, realizzata da Lawrence Lessig. Queste ultime, molto utilizzate nell’ambito della scienza, hanno dato una grande spinta alla diffusione di pubblicazioni accademiche.

Il copyleft è un tipo di licenza che deriva dall’ambito dell’informatica e che si caratterizza per il fatto che oltre a permettere la copia, la modifica, la riproduzione e la distribuzione del lavoro o opera, garantisce che si mantenga lo stesso tipo di licenza per i destinatari della copia o delle opere derivate. Si tratta di un modello molto rigido che permette di assicurare che la diffusione delle opere continuerà mantenendo le stesse libertà non restrittive. Gli si attribuisce un effetto virale, dato che tutti i lavori diffusi o derivati si propagano con le stesse condizioni.

figura 7 copyright

Figura 7. Logo delle licenze copyleft (logo del copyright rovesciato)

1)  CreativeCommons

Queste licenze si basano su quelle del copyleft e sulla filosofia di software libero per stabilire una serie di testi legali affinché gli autori possano cedere alcuni diritti sul proprio lavoro a determinate condizioni (“Alcuni diritti riservati” vs. “Tutti i diritti riservati”). Hanno avuto molto successo e un utilizzo in massa, non solo in ambito scientifico, ma anche in quello culturale, delle immagini, della musica, ecc.

CreativeCommons rientra nel quadro giuridico della proprietà intellettuale e dei diritti d’autore e il suo obiettivo è quello di permettere agli autori di esercitare liberamente questi diritti. Come vedremo, tutte le licenze includono il riconoscimento della paternità.

Le origini di queste licenze risalgono al 1998, al tempo del processo di ampliamento temporale dei diritti di utilizzo condotto dal Congresso degli Stati Uniti. Lawrence Lessig, attualmente professore di Diritto ad Harvard, e altri avvocati intervennero contro la legge, considerandola abusiva. Persero il ricorso, però crearono l’organizzazione CreativeCommons (2001) e dall’anno seguente avviarono le licenze CC,  il loro progetto più noto.

Nella presentazione del libro Cultura libera Lawrence Lessig (2005) spiega con chiarezza che la sua proposta non collide con il quadro normativo attuale, ma che ha come obiettivo quello di utilizzare la legge nella maniera più flessibile possibile per trovare un equilibrio tra autore e utente.

“Una cultura libera non è priva di proprietà; non è una cultura in cui gli artisti non vengono ricompensati. Una cultura senza proprietà, in cui i creatori non ricevono un compenso, è anarchia, non libertà. E io non intendo promuovere l’anarchia.

Al contrario, la cultura libera che difendo in questo libro è in equilibrio tra anarchia e controllo. La cultura libera, al pari del libero mercato, è colma di proprietà. Trabocca di norme sulla proprietà e di contratti che vengono applicati dallo stato. Ma proprio come il libero mercato si corrompe se la proprietà diventa feudale, anche una cultura libera può essere danneggiata dall’estremismo nei diritti di proprietà che la definiscono. Questo è ciò che oggi temo per la nostra cultura. E’ per oppormi a tale estremismo che ho scritto questo libro.” (Lessig, 2005)

Le licenze CC hanno quattro elementi fondamentali:

– Attribuzione L’attribuzione della paternità è un elemento sempre presente in tutte le sue varietà. E’ un principio generale e fisso.

– Uso non commerciale: Non è permesso commercializzare l’opera soggetta a licenza.

– Senza opere derivate: Non è possibile realizzare alcuna modifica, inclusa la traduzione.

– Condivisione allo stesso modo: Si obbliga a creare una licenza dello stesso tipo e quindi, usando questa caratteristica si eguagliano i principi delle licenze copyleft, già descritte.

La combinazione di questi elementi, in funzione all’interesse dell’autore, permette di creare fino a sei tipi di licenze diverse, che si identificano con il proprio logo nella tabella seguente, dove sono ordinate dalla maggiore apertura alla minore. In breve, l’autore che desidera utilizzare una licenza CC deve solo rispondere a due domande: se vuole permettere un utilizzo commerciale dell’opera e se permette la creazione di opere derivate (e, in questo contesto, può richiedere che si “Condivida alla stesso modo”).

CC

Tabella 3. Varietà delle licenze CreativeCommons

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Nel caso del presente libro, è stata adottata una licenza di “Attribuzione-Non commerciale-Senza opere derivate (by-nc-nd)”, con cui si permette la riproduzione, distribuzione e comunicazione pubblica ma non la possibilità di fare affari con il suo contenuto né di generare un’opera derivata, come possa essere una traduzione o adattamento, a meno che sia permessa dalla casa editrice.

Queste licenze sono interamente internazionalizzate, il che significa che sono state adattate alle legislazioni di tutti i paesi.

Come conoscere i limiti legali?

Come è stato precisato nel precedente capitolo, la conoscenza dei diritti di utilizzo e delle condizioni di auto-archiviazione delle riviste costituisce un punto chiave per il deposito dei contenuti in repositories. Il motivo è chiaro e risponde ad una necessità fondamentale per qualsiasi repository che voglia includere contenuti provenienti dalla ricerca: come possono sapere gli autori se possono depositare, o meno, gli articoli che pubblicano? E’ necessario, pertanto, verificare se le riviste tengono in considerazione il concetto di auto-archiviazione in depositi nella loro politica editoriale e quali limiti stabiliscono per questa azione.

L’autore che firma un contratto di cessione di diritti alla casa editrice che pubblica la rivista deve verificare quali portata di diffusione avrà la sua opera. Le domande principali da porsi riguardano la versione che può essere depositata (se l’originale mandata a revisione, la versione corretta o il layout editoriale), quando può farlo (subito dopo la pubblicazione o con un ritardo di n mesi) e inoltre dove può effettuare la diffusione (se nella sua pagina personale o in un repository).

A livello internazionale si dispone del database Sherpa/Romeo, dedicato allo studio delle condizioni del copyright di riviste ed editoriali, e contenente informazioni circa le condizioni di harvesting degli articoli di rivista. Si possono trovare le informazioni di circa 18.000 riviste create da quasi 1.300 case editrici scientifiche. Questa base di dati, con sede all’Università di Nottingham, fu creata nel 2002 e ha l’appoggio del consorzio Sherpa, al quale appartengono 32 università britanniche e la British Library.

Ad ognuna delle riviste si assegna un colore in funzione delle possibilità di archiviazione permesse. I colori vanno dal verde (harvesting pre-print e post-print, cioè, la versione dell’autore e quella corretta, che è quello più favorevole per l’accesso aperto, al bianco, che non permette nessun tipo di archiviazione, passando per il blu (che permette un’archiviazione post-print) o il giallo (pre-print).

La consultazione Sherpa / Romeo indica che il 70% degli editori consentono una qualche forma di auto-archiviazione, sia questa per i post-stampa e prestampa (verde, 30%), solo i post-stampa (blu, 32%) o per i pre-print (giallo, 8%), mentre il restante 30% non ha alcuna politica di auto-archiviazione (bianco). In quanto alle riviste, all’incirca il 90% dei titoli permettono qualche tipo di auto-archiviazione.

Ad oggi, Sherpa/Romeo include informazioni di solo 21 case editrici italiane e di 31 spagnole. Per ovviare a questa scarsa conoscenza delle riviste spagnole è stato creato nel 2008 il database Dulcinea, con una struttura simile, che complementa quindi Sherpa/Romeo. I punti di accesso alle riviste sono tre: per titolo della rivista o ISSN, per categoria tematica a seconda si tratti di Scienze sociali, Umanistica, Scienze della Saulte, ecc. e per colore (verde, blu, giallo, bianco) che indica le possibilità di auto-archiviazione.

figura 12

Figura 12. Dulcinea

Attualmente, Dulcinea contiene informazioni circa i diritti di utilizzo e le condizioni di auto-harvesting di 1.615 riviste scientifiche spagnole. Partendo dalla sua consultazione possiamo dire che il 68% delle sue riviste permette una qualche forma di auto-harvesting, sia con il post-print (colore blu) o con il pre-print e il post-print (verde), il 13,5% non lo permette (bianco) mentre non si hanno informazioni sul resto (19%).  Si tratta di percentuali simili a quelle presenti in Sherpa/ROMEO.

Entrambe le directory sono di grande utilità sia per gli autori (che altrimenti non sanno se possono depositare i lavori già pubblicati nelle riviste) che per i responsabili dei repositories (che vogliono aumentare i propri contenuti) e per molti editori.

La situazione più ricorrente è che gli autori cedano tutti i diritti alle case editrici. Per migliorare questo panorama è necessario ottenere, da un lato, che buona parte degli autori mantenga i propri diritti e li metta a disposizione della comunità utilizzando licenze libere (CreativeCommons, per esempio, e in particolare la licenza “by”, che è quella più aperta) e, d’altro lato, che gli editoriali  cedano alcuni diritti di utilizzo.


  1. In Spagna, Labastida e Rebollo (2006) e Vives (2005) hanno pubblicato testi interessanti al riguardo. In Italia non possiamo non citare il lavoro di Simone Aliprandi, edito da Ledizioni.
  2. Nella maggior parte dei paesi dell'Unione Europea predominano i 70 anni, anche se in Spagna si può arrivare agli 80 anni dalla morte dell'autore per quelli deceduti prima del 7 dicembre 1987. Anche in Italia il diritto d’autore scade generalmente dopo i 70 anni dalla morte dell’autore.