1 1. Nozioni di base

Il logo utilizzato per l’accesso aperto offre una chiara traccia di quali siano i suoi obiettivi. Si tratta di un lucchetto aperto che simboleggia l’eliminazione di barriere che limitano l’informazione scientifica e che impediscono l’accesso a questi contenuti in forma libera e gratuita da Internet. Il lucchetto, quindi, permette l’apertura di due porte: quella economica (gratis) e quella giuridica (libero da alcuni diritti).

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Figura 1. Logo dell’accesso aperto (Public Library of Science)

L’accesso aperto, pertanto, è un cambio di modello nel funzionamento della comunicazione scientifica che, attualmente, non è né gratis né libera, visto che si debbono pagare licenze per l’utilizzo e, inoltre, la maggior parte dei contenuti sono soggetti a diritti di licenza delle case editrici. L’accesso aperto è in realtà un cambio di paradigma, una rivoluzione che vuole modificare dalla testa ai piedi il sistema di comunicare la scienza.

Il contesto generale nel quale si articola questo movimento è anche conosciuto come “conoscenza libera”, che include anche il software libero, o la cultura libera in generale (wikipedia, musica, ecc.), essendo l’accesso libero alla scienza la parte che si occupa dei contenuti scientifici. Un movimento, questo, che reclama la costruzione di un dominio pubblico per la scienza e la cultura, che permetta la diffusione e il riutilizzo della conoscenza e, di conseguenza, un rapido progresso scientifico e culturale.

In questo paragrafo analizzeremo il concetto e le caratteristiche dell’accesso aperto, le sue origini storiche, così come i principali vantaggi che il modello apporta al funzionamento della comunicazione scientifica. Alla fine risponderemo al primo falso concetto mostrando come il cambio di paradigma da noi sostenuto mantiene senza alcun dubbio la revisione degli esperti (peer review), che è alla base della comunicazione scientifica.

Cosa vuol dire?

Una delle definizioni più conosciute sull’accesso aperto è quella di Peter Suber, uno dei principali teorici in merito.

“Open-access literature is digital, online, free of charge, and free of most copyright and licensing restrictions” (Suber, 2006, 2012).

Qui si fa riferimento alle due caratteristiche o condizioni affinchè i contenuti scientifici siano di accesso aperto: devono essere gratuiti (free of charge) e, inoltre, liberi da ogni restrizione di diritti di licenza. Vuol dire che, gli utenti possono non solo consultarli gratuitamente, ma che inoltre, possono scaricarli, copiarli, stamparli, distribuirli, ecc. Quindi, sono chiari i due aspetti del lucchetto: si deve liberare la scienza dalle barriere economiche e legali che ostacolano la sua diffusione.

E’ una definizione breve e chiara. Tuttavia, se volessimo contestualizzare meglio l’idea di accesso aperto, potremmo ricorrere alla Dichiarazione di Budapest (2002),  nella quale si spiega con molta chiarezza quali siano gli elementi essenziali che hanno facilitato il suo emergere.

“Un’antica tradizione e una nuova tecnologia convergono per rendere possibile un bene pubblico senza precedenti. L’antica tradizione è la volontà di ricercatori e accademici di pubblicare i frutti delle proprie ricerche in riviste scientifiche senza scopo di lucro, per il solo bene della ricerca e della diffusione del sapere. La nuova tecnologia è internet. Il bene pubblico che le due rendono disponibile è la distribuzione digitale a tutto il mondo della letteratura scientifica revisionata da esperti così come l’accesso ad essa, totalmente libero e senza restrizioni, per ricercatori, accademici, professori, studenti e altre persone interessate.” (Budapest Open Access Initiative, 2002)

Abbiamo già descritto il prodotto finale, il “bene pubblico”, nella sua stessa denominazione, vale a dire, la distribuzione libera e gratuita di contenuti scientifici, che equivale ad un bene comune, inteso come uno di quei beni che sono di interesse per tutta la società. Ora, spieghiamo brevemente qual è il contesto e il fattore scatenante.

1) Il contesto: la comunicazione scientifica

Il contesto in cui s’inserisce l’accesso aperto alla scienza è il sistema della comunicazione scientifica (un’antica tradizione), vale a dire, i meccanismi che i ricercatori utilizzano per far conoscere i propri progressi. La comunicazione scientifica ha origine nella seconda metà del sec. XVII con la pubblicazione delle due prime riviste accademiche, il Journal des sçavans  e Philosophical transactions of the Royal Society of London (1665), a Parigi e Londra rispettivamente, e la sua funzione è quella di contribuire allo sviluppo sociale della scienza in modo da preservare e far conoscere la paternità di questi successi scientifici, quello che Guédon (2001) chiama “registro sociale delle invenzioni e delle innovazioni”.

La base fondamentale di questo sistema è la revisione degli esperti (peer review) che continua ad esser vigente dopo più di 350 anni e ha come missione principale quella di assicurare l’affidabilità dei testi che si pubblicano. La revisione consiste nell’analisi dei testi originali da parte di specialisti nella materia (peers, sta a significare “pari” o colleghi) e nell’elaborazione di relazioni riguardanti gli aspetti da migliorare per procedere alla loro pubblicazione. Quando questo sistema è totalmente anonimo (l’autore non conosce chi ha revisionato il testo e il revisore non ha informazioni riguardo l’autore) viene chiamato “doppio cieco”. Questo è il miglior sistema di controllo qualità che si conosca.

I contenuti da diffondere sono l’informazione accademica o scientifica, ossia i documenti originati da risultati di ricerca o dall’attività accademica in generale. Questi contenuti si diffondono principalmente attraverso articoli di riviste, relazioni di ricerca, atti di congressi, tesi di dottorato, ecc.

2) Il fattore scatenante: internet

Il convergere delle sinergie generate da internet (“una nuova tecnologia”) e della digitalizzazione con il sistema della comunicazione scientifica è stato fondamentale per favorire l’emergere dell’accesso aperto. Senza la possibilità di digitalizzare i contenuti e diffonderli in maniera immediata e a basso costo su internet, non si sarebbe potuto pensare di favorire un accesso libero e gratuito alla scienza. L’edizione digitale ed internet, pertanto, hanno reso possibile l’applicazione e lo sviluppo di questo modello.

Come ottenerlo?

Per poter completare questo cambiamento di paradigma tutti gli autori dovrebbero pubblicare in riviste ad accesso aperto. Questo obiettivo è enorme al momento, visto che, come vedremo più avanti, le riviste open access non raggiungono il 20% del totale. Ecco perchè è necessario che questa misura si completi archiviando in repositories gli articoli pubblicati in riviste commerciali. Di modo che, utilizzando queste due vie o strategie complementari, si potrebbe ottenere che l’accesso aperto alla scienza sia totale.

La Dichiarazione di Budapest (2002) le indica con molta chiarezza:

a) Pubblicare in riviste a libero accesso (via “dorata”)

Si riferisce all’opzione in cui gli autori pubblicano i propri articoli direttamente in riviste ad accesso aperto. Nel direttivo DOAJ, si possono trovare esempi di riviste di tutte le discipline, per alcune delle quali è necessario che gli autori paghino la pubblicazione. La situazione delle riviste scientifiche ad accesso aperto così come la loro tipologia verrà trattata nel capitolo successivo.

b) Archiviare in depositi (via “verde”)

Gli autori depositano le proprie pubblicazioni (solitamente preprints o postprints dei loro articoli di rivista) e altri oggetti digitali in repositories ad accesso aperto. In questo modo si complementa la pubblicazione in riviste. Alcuni dei repositories più famosi sono arXiv.org per la Fisica o PubMed Central per la Medicina e si stanno creando sempre più repositories istituzionali. E’ importante notare che la maggior parte delle riviste scientifiche permette che gli autori possano depositare una copia dei lavori pubblicati in depositi o nei propri siti web personali. Queste questioni saranno ampliate nei capitoli dedicati ai depositi e agli aspetti legali.

Con l’introduzione del modello ad accesso aperto e delle due strade per conseguirlo, il sistema di comunicazione scientifica cambia. Nella tabella 1 sistematizziamo la struttura e il funzionamento di tutto il procedimento, indicando chi sono gli agenti che intervengo, la funzione che svolgono e il prodotto finale che generano. In questo schema abbiamo incluso anche le due vie complementari per conseguire l’accesso aperto: la pubblicazione in riviste aperte e l’archiviazione in depositi.

tabella 1

Tabella 1 Funzionamento del processo di comunicazione scientifica

Questo suppone l’introduzione di una nuova funzione (autoarchivio) e di due prodotti in più (la rivista ad accesso aperto e i depositi), ma non comporta l’ingresso di nessun nuovo agente né, soprattutto, l’eliminazione di nessuno di questi o delle loro funzioni.

Precedenti

I movimenti di cambiamento (che siano politici, economici o sociali) partono da esperienze pionieristiche sorte da un disallineamento con la realtà. Il nucleo iniziale si alimenta di un malessere latente che, in un determinato momento, scoppierà improvvisamente a partire da una scintilla esterna.

1)  Le prime esperienze

Le origini dell’accesso aperto hanno poco più di un decennio, sebbene le prime esperienze risalgano a vent’anni prima. Dall’inizio degli anni ’90 si vedono diversi tentativi di gestire la comunicazione scientifica con un modello diverso da quello commerciale.

arXiv.org, una piattaforma per immagazzinare i lavori di ricerca dei fisici, creata nel 1991 da Paul Ginsparg, è il primo e grande riferimento. Questo deposito di preprints (originali) nell’ambito della fisica di alte energie costituì un esempio che sembrava potesse estendersi a tutta la scienza. La creazione del protocollo OAI-PMH nel 1999 che facilitava lo scambio di informazioni tra depositi, così come lo sviluppo del software per la gestione degli archivi di informazione scientifica (denominati repositories, di cui parleremo in un capitolo specifico) da parte di utenti non esperti, costituirono notevoli sviluppi tecnologici.

Per quanto concerne le riviste, i primi titoli appaiono all’inizio degli anni ’90. Va segnalato inoltre che, nel 1997 la National Library of Medicine rese il gran database di medicina Medline ad accesso libero sotto la forma di PubMed e che, nel 2000, si creò BioMed Central, editoriale di riviste di scienze biomediche con accesso aperto.

2) Il malessere latente

Il disagio si fonda nella costatazione di un paradosso: l’edizione tecnico-scientifica si nutre del lavoro dell’accademico, delle sue ricerche, dei suoi testi, delle sue revisioni e, in cambio, lo stesso ricercatore che alimenta il sistema, quando vuole consultare queste stesse fonti per poter continuare il suo lavoro, è obbligato a pagare un plusvalore che guadagna l’editore. Se a questo aggiungiamo che una gran parte della ricerca scientifica è sostenuta da fondi pubblici e che i vantaggi vanno alle aziende private, allora il paradosso, aumenta.

Guédon descrive questa situazione come un mercato “anelastico”, vale a dire, con una domanda totalmente prigioneria, visto che non dispone di offerta alternativa di contenuti. Questo facilita la posizione dei venditori che possono fissare i prezzi liberamente. Questo processo di controllo del mercato s’incrementò dopo la  2ª Guerra Mondiale, quando apparve un gran numero di riviste scientifiche e quando nacque e aumentò l’influenza degli indici delle citazioni (Citation Index) dell’Institute of Scientific Information (attualmente Thomson Reuters).

3) La scintilla

Il detonatore, come accade nella maggior parte dei casi, fu di carattere economico. Nel decennio dei ’90 gli aumenti dei prezzi delle riviste scientifiche superavano notevolmente l’inflazione e minacciavano di superare i budget delle biblioteche (già allora congelati). I bibliotecari furono tra i primi collettivi a farsi sentire e a formulare uno studio su questa salita di prezzi conosciuta come “la crisi delle pubblicazioni periodiche” (serials crisis).  La Association of Research Libraries mostró, in uno studio molto citato (Kyrillidou, 2012), come nel periodo 1986-2011, l’aumento del costo degli abbonamenti a riviste accademiche fu del 402%, mentre l’inflazione arrivò solo al 106% (ossia, un incremento quattro volte superiore). Altri studi paralleli con dati del decennio 1990 mostrano cifre simili, con incrementi superiori a cinque volte l’inflazione (House of Commons, p.29).

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Figura 2. Trend di spesa in biblioteche ARL, 1986-2011 (Fonte: ARL)

4) Le reazioni

Una delle prime azioni rilevanti fu la lettera aperta agli editori scientifici patrocinata dalla PLoS (Public Library of Science) nel 2001. La firmarono più di 30.000 ricercatori che sollecitavano gli editori accademici a lasciare gli articoli in accesso aperto a partire dai sei mesi dalla pubblicazione e che esortavano i ricercatori a non pubblicare in riviste che non sottoscrivessero la dichiarazione. La lettera ebbe più impatto sociale che effetti pratici, contribuendo alla diffusione del significato di accesso aperto.

Nel dicembre 2001 si svolse a Budapest una riunione promossa dalla Open Society Institute (della Open Society Foundation, patrocinata da George Soros) nella qualche si approvò la Dichiarazione di Budapest (Budapest Open Access Initiative, 2002), sopra citata, che definì per la prima volta l’open access come il libero accesso, attraverso Internet, alla letteratura scientifica, rispettando le leggi di copyright esistenti, e che stabilì le due strategie per conseguire l’accesso aperto sopra descritte: la via verde (il deposito dei documenti in repositoires) e la via dorata (la pubblicazione in riviste ad accesso aperto).

Nella Dichiarazione di Bethesda (2003), inoltre, si menzionava l’archivizione immediata dei lavori per facilitare questo accesso aperto. Infine, nella Dichiarazione di Berlino (2003) furono poste in evidenza le grandi possibilità offerte da internet riguardo la diffusione del sapere, sostenendo il paradigma dell’accesso aperto, e cogliendo i termini delle due dichiarazioni precedenti. Con le tre si delineano così le caratteristiche della iniziativa OA.

Al tempo stesso nel 2010, sotto il patrocinio de FECYT, fu approvata a Granada la Dichiarazione dell’ Alhambra, che contiene consigli e un piano d’azione per far sviluppare l’accesso aperto nei paesi del sud dell’Europa.

Figura 3. Cronologia dell' accesso aperto (Fonte: NECOBELAC)

Figura 3. Cronologia dell’ accesso aperto (Fonte: NECOBELAC)

Per ciò che concerne le organizzazioni relazionate con questo movimento è necessario menzionare in particolar modo la SPARC (The Scholarly Publishing and Academic Resources Coalition), fondata nel 1997 dalla ARL, di cui abbiamo già parlato, e che ha come obiettivo principale quello di tentare di ripristinare i disequilibri esistenti nel sistema della pubblicazione accademica. Si occupa di redigere relazioni critiche alle politiche dei prezzi dei grandi editori commerciali e a promuovere campagne di diffusione dei titoli ad accesso aperto. Ha all’incirca 800 membri istituzionali tra America del Nord, Europa, Giappone, China e Australia, la maggior parte dei quali sono biblioteche.

In Italia l’Associazione Italiana Biblioteche (AIB), ha formalmente definito nel 2006 una posizione ufficiale sull’Accesso pubblico alla letteratura scientifica[1] nella quale dichiara di condividere e aderire ai principi espressi nella Berlin Declaration. Sul piano operativo il documento precisa che

«l’AIB, in tutte le sue articolazioni, è determinata ad affiancare, far conoscere, valorizzare, sostenere il movimento per l’affermazione di modelli alternativi e aperti di comunicazione, nella certezza che l’accesso pubblico alla letteratura scientifica è un diritto di tutti i cittadini ed è condizione necessaria per favorire la ricerca di qualità e lo sviluppo competitivo dell’Europa e dell’Italia».

Nello stesso anno è stato istituito nell’ambito della Commissione Biblioteche della CRUI (Conferenza dei Rettori delle Università Italiane) il Gruppo di lavoro Open Access con il compito di dare attuazione ai principi della Dichiarazione di Berlino, sottoscritta dalla quasi totalità degli atenei italiani. A tale Gruppo di lavoro, composto da oltre 70 membri tra docenti e bibliotecari delle università, si deve la pubblicazione di una serie di documenti (Raccomandazioni e Linee guida) molto rilevanti per la comunità accademica italiana.

In Spagna, REBIUN ha avuto un ruolo attivo nello sviluppo dell’accesso aperto alla scienza, manifestato con diversi workshop organizzati (2003), con il  discorso della sua riunione annuale (2004) e con alcuni obiettivi del suo piano strategico. Meritano esser menzionate anche le azioni realizzate in Catalogna dal Consorci de Biblioteques Universitàries de Catalunya (CBUC) che hanno ottenuto la partecipazione del governo catalano per l’approvazione dei mandati da parte delle università.

Come possiamo notare, i bibliotecari e loro associazioni hanno avuto un ruolo molto attivo nella spinta e la diffusione del modello ad accesso aperto. La spiegazione va cercata negli scopi della fondazione delle biblioteche, che altro non sono che la conservazione, l’organizzazione e la diffusione della scienza e della cultura. I principi dell’accesso aperto sposano alla perfezione la missione originaria delle biblioteche.

Perché?

I vantaggi di questo nuovo modello sono diversi e possiamo raggrupparli in tre grandi gruppi.

In primo luogo, il mettere a disposizione in accesso aperto i risultati delle ricerche e delle pubblicazioni scientifiche attribuisce un miglioramento notevole al funzionamento della comunicazione scientifica, dato che si incrementa l’uso e l’impatto dei contenuti, si migliora la qualità della ricerca e si possono ridurre notevolmente i costi.

a) Incremento dell’uso e dell’impatto

La pubblicazione in open access permette di raggiungere un pubblico più vasto, per cui aumentano non solo le consultazioni (uso) dei testi, ma anche il loro impatto e immediatezza. Sono stati effettuati studi riguardo i vantaggi dell’accesso aperto per le citazioni. Steve Lawrence (2001) fu uno dei primi a constatare che gli articoli più citati nell’ambito dell’informatica erano già allora, maggiormente, quelli di libero acceso e online. Anche Harnad (2004) e Hajjem (2005) rispettivamente hanno realizzato studi comparativi similari per diverse discipline scientifiche, trovando in tutti i casi una relazione positiva a favore degli articoli ad accesso libero, sebbene in percentuali diverse a seconda della materia specifica.

E’ il fenomeno chiamato Open Access Citation Advantage (OACA), i vantaggi dell’accesso aperto per le citazioni, che dipendono dall’accessibilità (apertura) degli articoli così come dalla rapida disponibilità. Wagner (2010) realizza una raccolta di articoli che analizzano la relazione tra l’accesso aperto e l’aumento delle citazioni. In 39 degli studi si evince un vantaggio notevole mentre solo in 7 di questi non si evidenza nessuna correlazione tra accesso aperto e fattore d’impatto. Alma Swan (2010) ha realizzato uno studio simile.

b) Migliora la qualità della ricerca

I ricercatori possono continuare in modo più facile e veloce le proprie ricerche dato che dispongono di accesso libero e immediato agli sviluppi dei colleghi di tutto il mondo. Riducendo il periodo di ricezione dei contenuti scientifici si facilita il trasferimento del sapere. Il modello ad accesso aperto, pertanto, è uno dei pilastri fondamentali per l’aumento qualitativo e quantitativo della ricerca e dell’innovazione.

c) Riduzione dei costi

Houghton et al. (2009) realizzarono uno studio basato sull’identificazione e quantificazione dei costi e benefici di tre modelli di pubblicazione accademica: quello con sottoscrizione, quello di accesso aperto e quello di auto-archiviazione in depositi. Sulla base dello stesso metodo, sono stati realizzati studi simili nei Paesi Bassi e in Danimarca. Tutti questi convergono sul notevole risparmio economico che l’utilizzo del modello di accesso aperto attribuisce alla scienza.

In secondo luogo, l’accesso aperto genera anche benefici diretti per la società, che si realizzano in tre aspetti:

a) Facilita un trasferimento diretto di sapere alla società.

I contenuti scientifici sono d’interesse particolare per i ricercatori, ma possono anche essere utili per la società in generale.

b) Rompe le barriere tra paesi ricchi e poveri.

Le differenze esistenti tra il primo e il terzo mondo nella maggior parte degli ambiti (educazione, cultura, tecnologia, ecc.) si possono ridurre al minimo per quanto riguarda i contenuti scientifici se il modello ad accesso aperto diventa quello predominante. I ricercatori di qualunque parte del mondo avranno a disposizione gli stessi contenuti, indipendentemente dalle risorse economiche di cui dispongano per acquisirli.

c) Mette in evidenza gli investimenti pubblici per la ricerca.

La ricerca è un settore con poca o scarsa visibilità sociale. Il suo interesse e la sua effettività sono percepiti solo da una piccola parte della società, ossia quella più vicina ad essa. La possibilità di trasferire un prodotto concreto aiuterà a rendere più visibile il suo valore.

In terzo luogo, l’accesso aperto permette il riutilizzo dell’informazione e dei dati. I contenuti vengono messi a disposizione non solo per la consultazione ma anche per poter creare prodotti o servizi derivati. Affinché questo riutilizzo sia possibile è necessario che si sblocchino le barriere legali di cui abbiamo parlato all’inizio del capitolo e, d’altra parte è necessario che siano soddisfatte determinate specifiche tecniche per facilitare l’interoperabilità tra prodotti e sistemi.  Ad ogni modo, si tratta di un aspetto ancora poco impiegato ma con una buona proiezione futura.

 


  1. Cfr. http://www.aib.it/aib/cen/open.htm. A tale documento ha fatto seguito, nel 2008, la costituzione del gruppo di lavoro su “Diritto d’autore e Open Access”, poi divenuto “Osservatorio sul diritto d’autore e open access” http://www.aib.it/struttura/osservatori/osservatorio-diritto-autore/.