3 2. Riviste scientifiche

Come già detto, la pubblicazione in riviste ad accesso aperto è una delle vie (in concreto, la via dorata) per ottenere la libera diffusione del sapere scientifico.

Le riviste scientifiche furono il primo canale di diffusione della scienza -abbiamo parlato in precedenza delle loro origini nella seconda metà del secolo XVII- e sono ancora il tipo di documento chiave per facilitare la comunicazione di contenuti accademici.

La comparsa del modello di accesso aperto alle riviste scientifiche non è avvenuta fino agli inizi degli anni ’90, con l’invenzione del web. Non è un caso che Jean-Claude Guédon e Stevan Harnad, sostenitori riconosciuti del movimento per l’accesso aperto alla scienza, siano stati i primi a creare, nel 1991, le riviste Surfaces e Psycoloquy, rispettivamente. Entrambi i titoli erano accomunati dalla gratuità dei loro contenuti in Internet mantenendo i copyright per gli autori (così come si sarebbe detto nella dichiarazione di Budapest o in quella di Berlino).

La comparsa delle riviste create dalla Public Library of Science (PLoS), in particolare la prima di queste PLoS Biology nel 2003, diede un impulso importante e grande visibilità alle riviste ad accesso aperto. Altro importante editore ad accesso aperto era BioMedCentral che disponeva di un 200 riviste per un totale di oltre 40.000 articoli pubblicati all’anno (acquisito da Springer, il secondo editore scientifico mondiale, alla fine del 2008).

A seguire, commenteremo la situazione internazionale e spagnola delle riviste prestando particolare attenzione a quelle edite ad accesso aperto; successivamente definiremo le tipologia di riviste ad accesso aperto; infine, risponderemo ai dubbi che sono stati inculcati riguardo la qualità e la sostenibilità economica.

Situazione internazionale

Le riviste scientifiche costituiscono un ambito che ha avuto un notevole sviluppo, soprattutto a partire dalla seconda Guerra Mondiale. Ogni disciplina ha i propri titoli specializzati ed esistono anche riviste con carattere multidisciplinare. Si tratta, quindi, di un settore vasto e con tematiche differenti.

Gli editori tecnico-scientifici costituiscono un settore specifico nel mondo dell’editoria. In inglese sono denominati con la sigla STM, in riferimento ai tre settori che comprendono (scienza, tecnica e medicina). Fino alla comparsa dell’accesso aperto, era un mercato dominato da aziende di commercio e società scientifiche.

Gli editori commerciali, la cui principale caratteristica è quella di ottenere rendimenti economici, godono di una vasta tradizione nel mercato, visto che alcune case editrici attuali hanno origini risalenti a più di due secoli fa. Per esempio, John Wiley fu fondata nel 1807, sebbene non si sia specializzata nell’ambito scientifico fino agli inizi del XX secolo. Reed Elsevier, uno dei maggiori gruppi di imprese, comprendente l’editoriale Elsevier, fu fondata a Rotterdam nel 1880, prende il suo nome da una famosa famiglia di tipografi olandesi del XVI secolo e comprende anche l’editoriale fondata nel 1894 da Albert Reed.

Esistono anche numerose società scientifiche che si sono convertite in case editrici di famoso prestigio e notevole influenza. Ci stiamo riferendo alla British Medical Association (che ha creato il gruppo editoriale BMJournals), alla American Psychological Association (APA), che comprende una cinquantina di riviste, alla Institution of Electrical and Electronic Engineers (IEEE), con un centinaio di riviste specializzate in ingegneria e circa 360.000 soci, o alla AMC, tra le altre. Le loro riviste si vendono a prezzi speciali per i soci e per il resto si comportano come editori commerciali.

A livello aziendale, l’editoria STM si è vista protagonista nei processi di concentrazione e globalizzazione che hanno colpito, specialmente negli ultimi anni, tutti i settori produttivi. Questo ha comportato una diminuzione del numero di editori e attualmente il mercato è dominato da un piccolo numero di aziende nelle cui mani si concentra la maggior parte degli affari (Reed-Elsevier, Springer, Taylor&Francis, Blackwell, ecc.).

La fonte più completa e affidabile per conoscere il numero di riviste scientifiche che esistono al mondo è la Ulrich’s periodicals directory, sebbene essa contenga alcune lacune e imprecisioni, principalmente per la mancanza di aggiornamento di alcuni dati (in particolare riguardo le riviste eliminate, difficili da rintracciare). Per ciò che concerne strettamente le riviste ad accesso aperto, il repertorio di riferimento è il Directory of Open Access Journals (DOAJ), mantenuto dall’Università di Lund, che include quelle riviste scientifiche che hanno controlli di qualità e che permettono l’accesso libero e gratuito al testo completo.

Da un punto di vista quantitativo, il numero totale di riviste scientifiche si aggira intorno i 101.000 titoli per tutte le discipline (prendendo in considerazione come fonte Ulrich’s). Per avere una visione un po’ più precisa di questo elevato conglomerato di titoli, si può stabilire una divisione in tre zone a seconda del livello di qualità. Tali zone sono:

a) Elite [19.000]

Le riviste di maggior prestigio e impatto sono quelle che figurano nei due principali databases scientifici: Web of Science (Thomson Reuters) e Scopus (Elsevier). Queste directory selezionate comprendono il contenuto di un piccolo elenco di riviste che soddisfa indicatori di altissima qualità. Nonostante abbiano suscitato diverse critiche, in particolare per la loro tendenza anglosassone e i deficit nelle scienze umane e sociali, sono gli indicatori principali per la valutazione di articoli scientifici. Il numero di riviste che si inseriscono in questo gruppo è tra le 10.000 di Web of Science e le 19.000 di Scopus.

b) Revisione esterna [19.000-59.000]

La revisione dei contenuti da parte di esperti esterni alla rivista costituisce il fondamento della comunicazione scientifica. Oltre al gruppo precedente, una buona parte di riviste si avvale di questo procedimento per assicurare la qualità dei contenuti. In questa situazione si trovano 40.000 titoli che non si trovano indicizzati in nessuno degli indici precedenti.

c) Senza revisione esterna [59.000-101.000]

In questo gruppo ci sono quelle riviste che diffondono contenuti scientifici, alle volte più con spirito di divulgazione che non di ricerca, ma che non hanno definito un sistema di revisione degli originali da parte di esperti.
Si tratta di un gruppo molto vasto che include le 42.000 riviste rimanenti.

nuova piramide

Figura 4. Distribuzione delle riviste scientifiche.

 Il numero di riviste ad accesso aperto si aggira intorno i 10.000 titoli (secondo il DOAJ) e i 14.000 (secondo Ulrich’s), che rappresenta il 14% del totale delle riviste accademiche che si pubblicano (le 101.000 che compongono la piramide).

Le prime posizioni per paese, come possiamo vedere dalla tabella 2 sono occupate dagli USA, seguiti da Brasile, India, Gran Bretagna e Spagna. La presenza di due stati emergenti, come Brasile e India (e Turchia all’11 posto), non è casuale e si spiega con la notevole spinta che si sta dando alla comunicazione scientifica e all’accesso aperto. L’Italia si trova al nono posto.

tabella paesi

Tabella 2 Principali paesi editori di riviste ad accesso aperto (2013). Fonte: DOAJ

 

Allo stesso tempo è opportuno evidenziare il progetto SCOAP3 (Sponsoring Consortium for Open Access in Particle Physics Publishing), un consorzio di centri di ricerca, enti di finanziamento e biblioteche che propone un modello economico per trasformare in open access tutte le riviste scientifiche del settore della fisica delle particelle. Il modello è composto da biblioteche che hanno abbonamenti alle riviste di questa disciplina e che, insieme ad enti di aiuto alla ricerca, finanziano le case editrici affinché pubblichino le riviste e le distribuiscano gratuitamente e senza costi per gli autori. Al momento già contano su numerosi sostegni in tutto il mondo e soprattutto negli USA.

Situazione in Italia

Il panorama delle riviste italiane ad accesso aperto è assai variegato. In mancanza di dati ufficiali di carattere nazionale occorre far riferimento alla Directory of Open Access Journals (DOAJ) che colloca l’Italia, come già si è indicato, al nono posto nella classifica mondiale dei paesi che pubblicano periodici ad accesso aperto.

Nello specifico, il repertorio elenca complessivamente, ad agosto 2013, 283 titoli editi in Italia e di questi risultano essere ben 60 quelli che hanno iniziato la pubblicazione proprio nell’anno 2013. Dal punto di vista diacronico si osserva una crescita molto significativa (figura 5) se si considera che i primi periodici indicizzati da DOAJ risalgono al 2003 (appena 3 titoli) e che nel 2008 le riviste italiane presenti nel repertorio erano solo 67 (figura 6).

figura 5

Figura 5. Numero dei titoli italiani aggiunti in DOAJ per anno.

 

figura 6

Figura 6. Numero totale dei titoli italiani in DOAJ (2008-2012).

Dall’analisi dei dati bibliografici dei titoli italiani elencati nel repertorio risulta una prevalenza di periodici multilingue, molto spesso con un comitato editoriale internazionale. Emerge anche una predominanza di impiego del software Open Journal System e l’adozione da parte di numerose riviste italiane OA di licenze Creative Commons.

Risulta inoltre che la gran parte delle riviste italiane ad accesso aperto è pubblicata dalle università (a mezzo delle case editrici universitarie) o da singoli dipartimenti, ovvero con il contributo finanziario di fondi universitari. A questo riguardo meritano di essere segnalate in particolare l’Università di Firenze, l’Università di Bologna, l’Università del Salento e l’Università di Milano. Alcune riviste sono pubblicate da centri di ricerca (il CNR, l’Istituto universitario europeo) o da società professionali (quali ad esempio la Società speleologica italiana, la Società italiana di pediatria). Dal punto di vista disciplinare si tratta di titoli che appartengono in prevalenza al segmento HSS (Humanities and Social Sciences). Tra queste ricordiamo in particolare nell’ambito del settore LIS (Library & Information Science) JLIS.it, la rivista ad accesso aperto dedicata alla biblioteconomia e alle discipline correlate lanciata nel 2010, diretta da Mauro Guerrini ed edita dall’Università di Firenze. Sempre nel 2010 sono state lanciate in Italia, ad opera dei consorzi interuniversitari CILEA e CASPUR,due piattaforme per la pubblicazione di riviste Open Access. Si tratta di LEO (Letteratura Elettronica Online) mantenuta dal CILEA e di CASPUR-CIBER Publishing Pubblicazioni Ecosostenibili.

Situazione in Spagna

In Spagna il numero di riviste accademiche ad accesso aperto (506 nel DOAJ e 701 nell’Ulrich’s) rappresenta il 29% del totale di riviste scientifiche (che sono secondo Ulrich’s, 2405), una cifra che raddoppia la percentuale internazionale indicata prima.

Questa proporzione maggiore può essere speigata partendo dalle origini delle aziende editoriali. A differenza di ciò che accade nei mercati avanzati (come gli Stati Uniti, il Regno Unito, i Paesi Bassi o la Germania) il numero di editori commerciali in Spagna è meno di un quarto del totale di titoli presenti. I rimanenti tre quarti sono formati da case editrici senza scopo di lucro dipendenti da università, centri pubblici di ricerca, società scientifiche e associazioni e collegi professionali, che si sposano alla perfezione con la filosofia del movimento e che si sono orientati con una certa rapidità verso questo modello.

Tipologia

Per quanto riguarda la tipologia di riviste ad accesso aperto, Melero e Abad (2008) distinguono i seguenti modelli:

1)  Libera e gratuita per lettori e autori

Permettono non solo il libero accesso (gratis) ma anche il riutilizzo e la diffusione (liberi) dei contenuti. Questo è il caso della maggior parte delle riviste ad accesso aperto e ovviamente si tratta della situazione più opportuna. In questa modalità, i costi sono direttamente ed interamente a carico dell’editore per il quale la diffusione dei contenuti prevale rispetto al beneficio economico e che funge da patrocinante. Come si può dedurre facilmente, questi editori sono in genere collegati con il settore pubblico (facoltà e dipartimenti universitari, centri di ricerca o qualsiasi altro tipo di enti pubblici) anche se possiamo incontrare casi di alcune società scientifiche. Le riviste solitamente sono dell’ambito delle scienze umane e sociali.

2)        Pagamento per la pubblicazione (a carico dell’autore)

In questo caso non esiste alcuna sovvenzione pubblica o patrocinio e i costi editoriali ricadono direttamente sull’autore, che deve pagare delle tasse per la pubblicazione. Alcuni esperti ritengono che questo sia l’unico modello economico contrapponibile e equiparabile al modello commerciale. E’ molto frequente in riviste di scienze della salute (quelle del BioMedCentral o PLoS, per citare le più famose).

Il costo per la pubblicazione di un articolo è variabile e può oscillare tra i 600 e i 2500 euro, in funzione della rivista e di alcune caratteristiche dell’articolo. Si tratta di una quantità che, in pratica, l’autore non paga direttamente di tasca propria, ma utilizzando risorse provenienti da progetti di ricerca, la maggior parte dei quali dispongono di elementi specifici per la pubblicazione. In altri casi, queste tasse di pubblicazione sono a carico diretto dell’istituzione di cui fa parte l’autore. Bisogna tenere conto che man mano che  il numero di riviste di accesso aperto aumenta, le loro biblioteche potranno risparmiare una parte del presupposto pagato per gli abbonamenti.

3)        Pagamento per la pubblicazione in riviste commerciali (modello ibrido)

E’ simile al caso precedente (l’autore paga) e la differenza sta nel fatto che si tratta di articoli inseriti in concreto in riviste commerciali (che richedono, quindi, un pagamento per la sottoscrizione). In questo modo coesistono per gli abbonati articoli aperti e articoli “chiusi”. Normalmente è richiesto all’autore il pagamento di un importo.

Una delle prime case editrici che si adattò a questo modello ibrido fu Springer, con l’opzione Open Choice offerta nelle sue riviste che permette agli autori interessati di pubblicare in open access e, in questo modo, raggiungere un pubblico più vasto e soddisfare i requisiti di bandi di ricerca che richiedono la diffusione aperta. In Spagna, la rivista El profesional de la información, offre questa stessa possibilità.

4)        Accesso gratuito

In questo paragrafo si includono le riviste commerciali (con abbonamento a pagamento, quindi) che offrono accesso gratuito ai loro contenuti anche se non in modo immediato. Questi periodi di attesa sono molto incerti (da sei mesi a tre anni) anche se stanno riducendosi in maniera progressiva. Un esempio ci è offerto dal prestigioso New England Journal of Medicine, che permetto l’accesso ai contenuti sei mesi dopo la loro pubblicazione.

In questo caso si eliminano gli ostacoli economici, visto che le riviste offrono accesso gratuito (free), ma, in cambio, non si tratta di accesso libero, perché a differenzia dei tre modelli precedenti, l’utente non ha la possibilità di copiare, distribuire o rendere pubblici i contenuti dato che non esiste nessun trasferimento dei diritti di utilizzo.