11 6. Politiche di promozione

A partire dalla definizione delle due vie per conseguire l’acceso aperto, è evidente che l’obiettivo finale di una politica per ottimizzare la libera diffusione della produzione scientifica sarà, da un lato, quello di permettere ai ricercatori di archiviare le proprie pubblicazioni in repositories e, dall’altro, quello di incentivarli affinché pubblichino in riviste ad accesso aperto.

Nel secondo capitolo abbiamo focalizzato l’attenzione sui vantaggi che l’accesso aperto apporterà alla scienza, ai ricercatori e alla società in generale.  Si tratta questo di un modello di funzionamento che aiuterà a migliorare la scienza che però non potrà svilupparsi totalmente senza che si stabiliscano strumenti di sostegno.

Chi ha la responsabilità di portare a termine queste politiche? Le istituzioni e le organizzazioni che hanno potere decisivo nell’ambito della scienza e della ricerca. Queste includono i governi (che legiferano) ma in modo particolare le università, i centri di ricerca e gli enti o organizzazioni di finanziamento della I+D.

In questo capitolo definiremo gli elementi costitutivi di una politica a favore dell’accesso aperto, focalizzandoci sui mandati, che sono la chiave fondamentale per realizzarla, analizzeremo la situazione internazionale e in Spagna e infine, daremo una risposta critica al supposto disinteresse da parte delle istituzioni nei confronti dell’accesso aperto.

Cos’è una politica?

Una politica pubblica parte da un’ “ottica”, da un modello su come dev’essere il funzionamento futuro di un settore, ed è formata da un insieme di elementi d’intervento (infrastrutture, informazione, incentivi economici, regolamenti) che incidono sulla realtà per provare ad orientarla verso questo modello od obiettivo.

Ad oggi, le fonti per conoscere le politiche esistenti a favore dell’ open access sono le directory SHERPA-JULIET, ROARMAP e Melibea, che includono le operazioni svolte dalle università e dagli enti finanziatori di tutto il mondo. Nel caso del Melibea, inoltre, si esegue un’analisi approfondita delle politiche di mandato in base alla soddisfazione di alcuni indicatori

D’altra parte, sono da evidenziare i contributi preziosi di Peter Suber (2007, 2009, in particolare), divulgati nella SPARC Open Access Newsletter e anche nelle sue relazioni annuali sull’accesso aperto.

figura 13

Figura 13. Melibea

Una politica di promozione per l’accesso aperto deve osservare un’ampia serie di meccanismi di intervento come possono essere la creazione di infrastrutture e di servizi, la comunicazione e diffusione, gli incentivi economici, il coordinamento istituzionale così come la regolamentazione (gli obblighi). La tabella seguente cerca di sintetizzarli indicando per ognuno di essi quali sono alcuni degli strumenti che si possono mettere in funzione.

tabella 4

Tabella 4. Tipologia dei meccanismi e dei principali strumenti

Tra tutti gli elementi indicati, i regolamenti o mandati di deposito costituiscono probabilmente l’azione più efficace. Si tratta di “obbligare” una determinata comunità accademica a facilitare l’accesso libero alla propria produzione scientifica (lavori accademici, pubblicazioni di ricerca, ecc.), sia utilizzando riviste ad accesso aperto che depositando questi lavori nei repositories.

La struttura di un decreto include i seguenti punti:

a) Chi è obbligato a depositare.

In generale, il personale accademico e di ricerca.

b) Quali tipi di documenti si devono depositare.

In genere, articoli di rivista, tesi, congressi. Esistono discordanze nel caso di monografie.

c) Quando si devono depositare (tempo di dilazione)

Il tempo medio richiesto è tra i sei mesi e un anno.

d) Dove si effettua il deposito.

Di norma, nel repository istituzionale.

Inoltre, di solito, tutti i mandati tendono ad includere un riferimento al compimento dei diritti d’utilizzo.

Infine, vale la pena commentare brevemente il meccanismo dell’ispezione e del controllo del mandato, che non è stato incluso nella tabella ma che conclude la serie degli strumenti indicati. E’ un aspetto che davvero poche organizzazioni hanno considerato pubblicamente, visto che al momento, danno priorità alla creazione di mezzi di sostegno alla diffusione o di mandati di auto-archiviazione. Una delle difficoltà che comporta l’ispezione è il suo costo, dato che servirebbero molte risorse per poter controllare efficacemente l’adempimento dei decreti.

Situazione internazionale

Nell’ambito universitario, il Dipartimento di Elettronica e Informatica della Università di Southampton fu nel 2003 la prima a stabilire un decreto per l’auto-archiviazione dei documenti. Fu seguita l’anno successivo dalle università di Queensland e Victoria (Australia) e, nel 2005 da altre università europee come quella di Miño, Bielefeld, Zurich o Lovaina. Per quanto riguarda i centri di ricerca il CERN fu il primo (2001) e anni dopo hanno aderito all’iniziativa l’Istituto Superiore di Sanità e il Howard Hughes Medical Institute (HHMI), tra gli altri.

Ad oggi, esistono all’incirca 204 mandati di università e centri di ricerca nel mondo (secondo Melibea). Tra i paesi spiccano gli Stati Uniti, la Finlandia (dove praticamente tutte le università hanno aderito al movimento) e il Regno Unito.

E’ rilevante il caso di Harvard e di altre università statunitensi (MIT, Yale, Princeton, Stanford, ecc.) nelle quali gli insegnanti hanno ceduto i diritti di utilizzo alle università in maniera non esclusiva. Così, non possono trasferire l’esclusività del copyright agli editori ma solo la commercializzazione. E’ una proposta che richiede un cambio nel sistema del trasferimento dei diritti di utilizzo alle case editrici, abituate ad avere in esclusiva tutti i diritti.

Nel caso degli enti di finanziamento, la Wellcome Trust, fondazione privata che finanzia progetti relativi alla salute umana ed animale, annunciò nel 2005 che nei bandi di progetti di ricerca si sarebbe inserito l’obbligo che le pubblicazioni risultato dagli stessi progetti fossero pubblicate in accesso aperto in un termine non superiore a 6 mesi. In questo stesso anno anche gli NIH (National Institutes of Health) degli Stati Uniti, che hanno tra i più alti budget destinati alla ricerca, esortavano i propri ricercatori a depositare i lavori in un termine massimo di 12 mesi dalla loro pubblicazione e da aprile 2008 questa richiesta si è trasformata in requisito. Partendo da queste, una sessantina di agenzie di ricerca si sono adeguate, con l’adozione di politiche di accesso aperto vincolate alla concessione di progetti; buona parte di queste sono del Regno Unito, Stati Uniti e Canada.

Uno dei paesi che più si è interessato a queste politiche è stato il Regno Unito, che nel 2004 dibatté in sede parlamentaria questa questione attraverso il Comitato di Scienza e Tecnologia (House of Commons, 2004), concluso con la pubblicazione della relazione intitolata “Scientific publications: free for all?”  che conteneva una serie di suggerimenti per favorire l’accesso aperto nelle pubblicazioni scientifiche.

1)  Relazione Finch

La professoressa Janet Finch, sociologa dell’Università di Manchester, fu incaricata dal governo britannico di dirigere uno studio su come far sì che la ricerca finanziata con fondi pubblici possa essere accessibile in maniera libera e gratuita. Le condizioni di partenza da rispettare erano, in primis, quella di mantenere alti livelli di qualità (revisione peer review) delle pubblicazioni scientifiche e, in secundis, il non danneggiare l’importante industria editoriale britannica.

La relazione contiene un’analisi della situazione dell’accesso all’informazione scientifica nel Regno Unito, includendo un interessante esercizio di quantificazione dei costi della ricerca e degli abbonamenti alle riviste. Per gli autori resta chiaro che la comunicazione e la diffusione dei risultati di ricerca sono parte integrante della ricerca stessa e che devono essere inclusi i costi risultanti negli stanziamenti per la ricerca.

Dopo aver individuato che l’orizzonte della comunicazione scientifica è l’open access, la relazione propone l’adozione della via dorata per tutto il sistema della comunicazione scientifica in Gran Bretagna. Si tratta quindi, di includere i costi di comunicazione e diffusione negli stanziamenti per la ricerca e, d’altra parte, definire un sistema di riviste ad accesso aperto finanziate attraverso il pagamento da parte degli autori. Questa proposta rispetta l’incarico del governo e ha anche l’appoggio degli editori scientifici britannici.

La relazione fu pubblicato il 18 giugno 2012 e un mese dopo il governo britannico annunciò che accettava i suoi consigli. Da qui anche i Research Councils, le istituzioni finanziatrici della ricerca, introdussero cambi nella loro politica di accesso aperto con il fine di seguire i consigli sopra menzionati.

Le raccomandazioni della relazione hanno suscitato molte polemiche tra gli accademici specialisti in accesso aperto perché non valorizzano la funzione dei repositories (e, quindi, si discostano dall’ortodossia del movimento OA di mantenere le due vie) e, inoltre, perché i costi dell’edizione degli articoli (chiamati appunto articoli processing charges, APC) gravano esclusivamente sugli autori.

John Houghton e Alma Swan (2013) sono d’accordo sul fatto che, in un sistema di comunicazione scientifica totalmente OA, i vantaggi netti della via dorata sarebbero superiori a quelli della via verde, ma considerano che, dato che siamo ancora in una fase di transizione, i depositi sono al momento la forma più economica e flessibile per progredire verso l’accesso aperto. Intanto, nelle ultime raccomandazioni della Budapest Open Access Initiative (BOAI, 2012)  le due vie continuano ad essere valide e si insiste per avere infrastrutture di repositories (“Every institution of higher education should have an OA repository, participate in a consortium with a consortial OA repository, or arrange to outsource OA repository services”).

D’altra parte, la presentazione del pagamento da parte degli autori come elemento fondamentale per la strategia ha sollevato anche polemiche e dubbi diversi: E’ possibile la via dorata solo in un paese? Non aumenterebbe la globalizzazione editoriale in paesi con una struttura dell’editoria debole? Oppure, come potranno sopportare i costi degli articoli quegli scrittori che non godono di finanziamenti per la ricerca? In questo senso, la Dichiarazione di Budapest, torna ad essere molto chiara e, nella sua raccomandazione 3.5, sostiene un modello di costi ragionevoli nel “author pays” e addirittura difende il finanziamento istituzionale delle riviste OA affinchè non si richiedano tasse.

La proposta del Finch Report, forse è percepita ed apprezzata meglio in paesi con un mercato editoriale potente e consolidato (come il caso della GB e anche degli USA, dei Paesi Bassi o della Germania), con solide agenzie di finanziamento, pubbliche e private, che reggono i sistemi statali di I+D e nei quali non sia difficile per gli autori ottenere risorse economiche per la pubblicazione.

Cosa succede in quei paesi e per quelle discipline che dispongo di sostegni alla ricerca piuttosto scarsi? Sembra evidente che per loro non sia possibile seguire le proposte della relazione Finch e che debbano trovare altre vie adatte alle proprie condizioni e circostanze. E’ questo il caso del Brasile e di altri paesi emergenti con cifre di accesso aperto attorno al 90% e anche dell’Italia, della Spagna e di altri stati del sud dell’Europa.

Gli stessi problemi si incontrano nelle aree umanistiche e delle scienze sociali, che dispongo di cifre basse per il finanziamento delle loro ricerche. I ricercatori di questi settori sono a favore dell’accesso aperto, ma già indicano che il sistema “author pays” è un grave inconveniente. Secondo lo studio SOAP (2011), questo problema è sollevato dal 39% dei ricercatori, che vorrebbero pubblicare in riviste ad accesso aperto ma che hanno difficoltà nel trovare risorse economiche che gli permettano di sostenere il costo della pubblicazione degli articoli.

2)        Unione Europea

La Commissione Europea è stata particolarmente attiva in questa causa. Nel gennaio 2006 ha pubblicato una relazione (Commissione Europea, 006) riguardante il mercato delle pubblicazioni scientifiche in Europa che raccomandava che i lavori derivati dalla ricerca di progetti europei fossero depositati in repositories istituzionali o tematici in un termine non superiore ai sei mesi dalla pubblicazione. Nel 2007 ha pubblicato un documento (Commissione Europea, 2007) riguardo l’accesso, diffusione e salvaguardia dell’informazione scientifica che valorizzava l’importanza dell’accesso aperto nell’ambito della ricerca ed esortava il Parlamento Europeo a stabilire raccomandazioni in questo ambito e, inoltre, invitava i paesi membri ad indirizzare le politiche e le strategie nazionali in questa direzione.

Nel 2008 la stessa Commissione Europea ha annunciato uno studio pilota con il quale il 20% del totale dei fondi dedicati al finanziamento di progetti di ricerca del Settimo programma quadro (FP7) avrebbero dovuto soddisfare il requisito di rendere le pubblicazioni risultate dagli stessi progetti ad accesso aperto in un termine non superiore a sei mesi dalla loro pubblicazione nel caso delle aree riguardanti l’energia, l’ambiente, la salute, le tecnologie dell’informazione e della comunicazione, e delle infrastrutture per la ricerca, o di 12 mesi per scienza e società, scienze sociali e umanistiche.

Recentemente è stato pubblicato uno studio (Commissione Europea, 2011) che partendo da un questionario, descrive la situazione dell’accesso aperto nei diversi stati membri mostrando le grandi linee realizzate ed evidenziando le esperienze più rilevanti per ognuno di essi.

Situazione in Italia

In Italia, seguendo la classificazione proposta da ROARMAP, ad agosto 2013 si registrano complessivamente n. 5 institutional mandates, n. 1 sub-institutional mandate, n. 1 multi-institutional mandate, n. 2 funder mandates e n. 38 thesis mandates.

La prima istituzione italiana ad adottare una policy istituzionale a favore dell’accesso aperto è stata l’Istituto Superiore di Sanità, nel gennaio del 2008. Con essa l’Istituto ha stabilito l’obbligo del deposito del post-print delle pubblicazioni prodotte dal personale dell’Ente nell’archivio digitale DSpace-ISS, nel rispetto delle politiche editoriali. A tal fine l’autore è supportato dal “Settore Attività Editoriali” dell’Istituto, che svolge un ruolo similare a quello dell’“Office for Scholarly Communication” del prestigioso ateneo di Harvard.

Venendo invece al contesto accademico, soltanto nel 2010 è stato adottato il primo mandato istituzionale da parte di una università italiana, quando nel mese di gennaio, la LUISS (Libera Università Internazionale degli Studi Sociali “Guido Carli”) ha definito la propria policy, stabilendo l’obbligo del deposito dei metadati bibliografici e di una copia elettronica di tutti i lavori scientifici prodotti dai docenti dell’ateneo nell’archivio aperto istituzionale LUISSearch. La policy prevede inoltre che l’archivio istituzionale dell’ateneo diventi nel tempo il principale strumento e punto d’accesso ai fini della valutazione del personale docente nonché dell’assegnazione di risorse finanziarie. A febbraio 2011 il Dipartimento di Scienze Sociali dell’Università di Torino ha adottato una policy (si tratta dunque di un sub-institutional mandate) che prevede il deposito obbligatorio di tutti i lavori di ricerca finanziati dal dipartimento stesso in AperTO, il repository istituzionale dell’ateneo piemontese. Nel 2012 è stata varata la prima policy istituzionale da parte di una università statale italiana, nello specifico si tratta dell’Università di Firenze[1]. Recentemente anche gli atenei di Torino e Trieste hanno adottato, a distanza di pochi mesi l’uno dall’altra (rispettivamente maggio e luglio 2013), una policy istituzionale a favore dell’accesso aperto. In entrambi i casi il testo del documento è costruito secondo il modello ID/OA (Immediate Deposit and Optional Access). Restando nell’ambito del sistema universitario, a fronte del numero ridotto di atenei italiani che hanno adottato una institutional mandatory policy, si registrano invece, ad agosto 2013, ben 38 thesis mandates in Italia. L’elenco aggiornato delle università italiane che hanno formalmente sancito l’obbligo di depositare ad accesso aperto le tesi di dottorato è disponibile sul Wiki OA Italia[2].

Per quanto riguarda le politiche varate dagli enti che finanziano la ricerca scientifica (funder mandates), in Italia si registrano la policy della Fondazione Telethon e quella della Fondazione Cariplo. Varata a marzo 2010 e attiva dal mese di luglio dello stesso anno, la policy di Telethon stabilisce[3] che tutti i risultati delle ricerche finanziate con i fondi della charity dovranno essere depositati e quindi resi liberamente disponibili attraverso l’archivio Europe PubMed Central, il più presto possibile e comunque entro i sei mesi dalla data di pubblicazione. La Fondazione Cariplo ha adottato una policy pro Open Access vincolante per tutti i bandi e le iniziative di finanziamento presentate a partire dal 1 settembre 2012, con la quale prescrive che i contenuti (sia che si tratti di articoli, sia di dati grezzi) prodotti nell’ambito delle ricerche finanziate anche parzialmente, trovino diffusione in modalità ad accesso aperto[4].

Manca ancora in Italia, invece, a tutt’oggi, una politica nazionale in tema di accesso aperto, nonostante sia trascorso ormai quasi un decennio dall’adozione della Dichiarazione di Messina, il Documento italiano a sostegno della Dichiarazione di Berlino sull’accesso aperto alla letteratura accademica[5]. Al fine di promuovere la realizzazione di iniziative cooperative per l’Open Access e proprio per favorire lo sviluppo di una specifica normativa italiana, il 21 marzo 2013, i Presidenti di CRUI (Conferenza dei Rettori delle Università Italiane), CNR (Consiglio Nazionale delle Ricerche), ENEA (Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile), INFN (Istituto Nazionale di Fisica Nucleare), INGV (Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia) e ISS (Istituto Superiore di Sanità) hanno firmato un “Position statement” sull’accesso aperto ai risultati della ricerca in Italia[6]. Con tale documento la CRUI e gli Enti Pubblici di Ricerca italiani, consapevoli dei benefici dell’accesso aperto per la ricerca nazionale, in termini di visibilità, promozione ed internazionalizzazione, si impegnano formalmente a svolgere attività coordinate per l’affermazione dell’accesso aperto e nello specifico, tra l’altro, anche:

 

  • contribuendo alla realizzazione effettiva dei principi dell’Open Access, attraverso l’adozione presso i propri enti di policy e regolamenti istituzionali che richiedano ai ricercatori il deposito nei propri archivi istituzionali e, qualora questi ultimi non esistano, in archivi istituzionali di altri enti o in archivi disciplinari ad accesso aperto di pubblicazioni e dati derivati dalle proprie ricerche;
  • adoperandosi presso gli organi di governo nazionali affinché anche in Italia, così come in altri Stati membri dell’Unione Europea, sia lanciata e sostenuta a livello governativo una strategia nazionale sull’accesso aperto, che faccia leva su precise e puntuali policy e normative.

Bisogna rilevare peraltro che sebbene il documento di Messina sia stato sottoscritto dalla quasi totalità degli atenei italiani e la CRUI abbia costituito già nel 2006 un Gruppo di Lavoro sull’Open Access in seno alla Commissione Biblioteche[7], è mancato in questi anni in Italia anche il coinvolgimento diretto del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (MIUR) in materia di Open Access. Solo recentemente, nello scorso mese di aprile, il MIUR, sulla base di quanto richiesto dalla Raccomandazione CE del 17/07/2012 sull’accesso all’informazione scientifica e sulla sua conservazione, ha provveduto alla nomina del National Point of  Reference – Open Access Policies per l’Italia nella persona del prof. Juan Carlos De Martin del Politecnico di Torino, riconoscendo al contempo la complessità dell’argomento e la necessità di assicurare un adeguato supporto e impatto allo sviluppo dell’Open Access a livello nazionale[8].

Situazione in Spagna

Nel 2008, la Comunità di Madrid approvò l’obbligo del deposito in accesso aperto delle pubblicazioni derivate da progetti di ricerca finanziati dai suoi bandi. Questo requisito coinvolgeva le sue università (Rey Juan Carlos, Politécnica de Madrid y Carlos III) e anche gli istituti del CSIC ubicati nella Comunità di Madrid.

Questo fu un primo passo culminato con l’approvazione di decreti a carattere generale che obbligano a depositare o a pubblicare in accesso aperto tutte le pubblicazioni del corpo docenti e ricercatori collegati con l’università (e non solo quelle derivate da un determinato bando).

Dal 2009 sono stati approvati undici mandati di accesso aperto che richiedono il deposito di tutte le pubblicazioni e non solamente di quelle derivate da progetti finanziati. Il primo di questi fu quello dell’Universitat Politècnica de Catalunya (2009), e a seguire si sono aggiunte fino a dieci università in più. Risalta la grande presenza delle università catalane, come consegenza dell’impulso dato dal CBUC e il Consell Interuniversitari de Catalunya (Abadal et al, 2013).

L’azione legislativa del governo spagnolo è stata positiva visto che ha stabilito un real decreto che obbliga il deposito delle tesi e ha promulgato una legge della scienza che contiene un articolo dedicato all’accesso aperto.

El “Real Decreto de las enseñanzas oficiales de doctorado” fa esplicito riferimento all’obbligo di archiviare in un deposito (articolo 14). Con questa istruzione in pochi anni si avrà che la maggior parte delle tesi spagnole saranno disponibili in accesso aperto.

Invece, la Legge della Scienza, della Tecnologia e dell’Innovazione (Spagna, 2011) include un articolo dedicato all’accesso aperto alla produzione scientifica nel quale si segnala l’obbligo di archiviazione in repositories ad accesso aperto dei risultati della ricerca finanziata dallo stato.

“Articolo 37. Diffusione in acceso aperto.

…/

2. Il personale di ricerca la cui attività sia finanziata in gran parte con fondi provenienti dai Bilanci Generali dello Stato renderà pubblica una versione digitale della versione finale dei contenuti che siano stati accettati per essere pubblicati in pubblicazioni di ricerca seriali o periodiche, il più presto possibile, ma non oltre dodici mesi dalla data ufficiale della pubblicazione.

3. La versione elettronica sarà resa pubblica in depositi ad accesso aperto riconosciuti nel settore nel quale si è sviluppata la ricerca, o in depositi istituzionali ad accesso aperto.

4. La versione elettronica pubblica potrà essere utilizzata dalla Pubblica Amministrazione nel processo di valutazione.

…/…

6. Quanto precede, si intende senza violazione degli accordi in virtù dei quali possano essere stati attribuiti o trasferiti a terzi i diritti sulla pubblicazione, e non sarà applicabile quando i diritti sui risultati dell’attività di ricerca, sviluppo e innovazione, siano soggetti a protezione.”

Questa normativa costituirà, senza alcun dubbio, un cambiamento della situazione attuale dato che incentiverà le università a intraprendere azioni e a stabilire linee guida interne per rispettare la nuova legge.


  1. Il testo del documento è in linea alla pagina http://www.unifi.it/notiziario/upload/sub/2012_2/policy_open_access.pdf.
  2. Cfr. http://wiki.openarchives.it/index.php/Applicazione_delle_linee_guida.
  3. Il testo completo della policy è disponibile all’indirizzo http://www.telethon.it/ricerca-progetti/ricercatori/open-access.
  4. Il testo completo della policy è disponibile all’indirizzo http://www.fondazionecariplo.it/portal/upload/ent3/1/policy_5.pdf.
  5. Cfr. http://www.aepic.it/conf/Messina041/viewpaper5af5.pdf?id=49&cf=1.
  6. Il documento è registrato da ROARMAP sotto la tipologia delle multi-institutional mandates ed è disponibile all’indirizzo http://wiki.openarchives.it/images/a/ad/Position_statement_OA_03052013.pdf. Il Position statement è stato sottoscritto alla data del 23/07/2013 da 13 Enti italiani ed è aperto a nuove adesioni.
  7. A tale Gruppo di lavoro si deve la pubblicazione di una serie di importanti Linee guida e Raccomandazioni in materia di accesso aperto rivolte all’intera comunità accademica italiana. Cfr. http://www.crui.it/HomePage.aspx?ref=894.
  8. Cfr. http://www.ponrec.it/notizie/2013/aprile/npr/.