8 Non avere a tavola modi violenti o noiosi o sconci; aneddoto di Messer Bandinelli

Sono poi certi altri che più oltra procedono che la sospezzione, anzi vengono a’ fatti et alle opere sì che con esso loro non si può durare in guisa alcuna, percioché eglino sempre sono l’indugio, lo sconcio et il disagio di tutta la compagnia, i quali non sono mai presti, mai sono in assetto né mai a lor senno adagiati. Anzi, quando ciascuno è per ire a tavola e sono preste le vivande e l’acqua data alle mani, essi chieggono che loro sia portato da scrivere o da orinare o non hanno fatto essercizio, e dicono: – Egli è buon’ora; ben potete indugiare un poco sì: Che fretta è questa stamane? – e tengono impacciata tutta la brigata, sì come quelli che hanno risguardo solo a se stessi et all’agio loro, e d’altrui niuna considerazione cade loro nell’animo. Oltre a ciò, vogliono in ciascuna cosa essere avantaggiati dagli altri, e coricarsi ne’ migliori letti e nelle più belle camere, e sedersi ne’ più comodi e più orrevoli luoghi, e prima degli altri essere serviti et adagiati; a’ quali niuna cosa piace già mai, se non quello che essi hanno divisato, a tutte l’altre torcono il grifo, e par loro di dovere essere attesi a mangiare, a cavalcare, a giucare, a sollazzare. Alcuni altri sono sì bizzarri e ritrosi e strani, che niuna cosa a lor modo si può fare, e sempre rispondono con mal viso, che che loro si dica, e mai non rifinano di garrire a’ fanti loro e di sgridargli, e tengono in continua tribolazione tutta la brigata: – A bell’ora mi chiamasti stamane. Guata qui, come tu nettasti ben questa scarpetta! – Et anco: – Non venisti meco alla chiesa. Bestia, io non so a che io mi tenga che io non ti rompa cotesto mostaccio. – Modi tutti sconvenevoli e dispettosi, i quali si deono fuggire come la morte, percioché, quantunque l’uomo avesse l’animo pieno di umiltà, e tenesse questi modi non per malizia, ma per trascuraggine e per cattivo uso, non di meno, perché egli si mostrerebbe superbo negli atti di fuori, converrebbe ch’egli fosse odiato dalle persone, imperoché la superbia non è altro che il non istimare altrui, e (come io dissi da principio) ciascuno appetisce di essere stimato, ancora che egli no ‘l vaglia. Egli fu, non ha gran tempo, in Roma un valoroso uomo e dotato di acutissimo ingegno e di profonda scienza, il quale ebbe nome M(esser) Ubaldino Bandinelli. Costui solea dire che qualora egli andava o veniva da palagio, come che le vie fossero sempre piene di nobili cortigiani e di prelati e di signori e parimenti di poveri uomini e di molta gente mezzana e minuta, non di meno a lui non parea d’incontrar mai persona che da più fosse, né da meno, di lui: e sanza fallo pochi ne poteva vedere che quello valessero che egli valeva, avendo risguardo alla virtù di lui, che fu grande fuor di misura; ma tuttavia gli uomini non si deono misurare in questi affari con sì fatto braccio, e deonsi più tosto pesare con la stadera del mugnaio che con la bilancia dell’orafo; et è convenevol cosa lo esser presto di accettarli non per quello che essi veramente vagliono, ma, come si fa delle monete, per quello che corrono. Niuna cosa è adunque da fare nel cospetto delle persone alle quali noi desideriamo di piacere, che mostri più tosto signoria che compagnia, anzi vuole ciascun nostro atto avere alcuna significazion di riverenza e di rispetto verso la compagnia nella quale siamo. Per la qual cosa, quello che fatto a convenevol tempo non è biasimevole, per rispetto al luogo et alle persone è ripreso: come il dir villania a’ famigliari e lo sgridargli (della qual cosa facemmo di sopra menzione) e molto più il battergli, con ciò sia cosa che ciò fare è un imperiare et essercitare sua giurisditzione; la qual cosa niuno suol fare dinanzi a coloro ch’egli riverisce, sanza che se ne scandaleza la brigata e guastasene la conversazione, e maggiormente se altri ciò farà a tavola, che è luogo d’allegrezza e non di scandalo. Sì che cortesemente fece Currado Gianfigliazzi di non moltiplicare in novelle con Chichibio per non turbare i suoi forestieri, come che egli grave castigo avesse meritato, avendo più tosto voluto dispiacere al suo signore che alla Brunetta; e se Currado avesse fatto ancora meno schiamazzo che non fece, più sarebbe stato da commendare, ché già non conveniva chiamar messer Domenedio che entrasse per lui mallevadore delle sue minaccie, sì come egli fece. Ma, tornando alla nostra materia, dico che non istà bene che altri si adiri a tavola, che che si avenga; et adirandosi no ‘l dee mostrare, né del suo cruccio dee fare alcun segno, per la cagion detta dinanzi, e massimamente se tu arai forestieri a mangiar con esso teco, percioché tu gli hai chiamati a letizia, et ora gli attristi; conciosiaché, come gli agrumi che altri mangia, te veggente, allegano i denti anco a te, così il vedere che altri si cruccia turba noi.