a cura di Francesca Bettini e Antonella Nestola
L’anno era il 2000. Era da poco scoppiata la seconda Intifada. A Roma era stata organizzata una grnde manifestazione per la Palestina. Camminavamo insieme con Marisa lungo il solito percorso stazione Termini, Via Cavour… C’era entusiasmo nel corteo, i palestinesi continuavano a lottare per la loro terra. Marisa era euforica, sprizzava energia, l’avresti detta una ragazzina e non una signora ben oltre i sett’anni … ricordo che arrancavamo per tenere il suo passo, Marisa di tntoin tanto scattava in avanti con lunghe falcate per “andare a vedere gli striscioni avanti a noi”, poi tornava e riferiva e commentava.
Poi disse “io parto”. E noi un po’ stupite: “per dove?” E lei “Vado in Palestina, con Mimma, andiamo a vedere che succede … “Ricordo ce lo disse ridacchiando, sorniona, con l’espressione che hanno i bambini colti in fallo col dito a rimestare nella marmellata. Noi restammo mute, preoccupate per un viaggio che poteva comportare dei pericoli. Ma non sapevamo con che combattenti avevamo a che fare. E le due, naturalmente, partirono.
Marisa e Mimma, legate da una solida amicizia, erano in apparenza molto diverse, fisicamente, Marisa piccola e robusta, Mimma alta e magrissima, Marisa con una voce piena e stentorea, Mimma con un tono flebile e cantilenante. Ma questa era l’apparenza perché in realtà le accomunava la stessa passione e una vita spesa per le giuste cause.
Marisa (Musu) era nata a Roma da genitori sardi antifascisti. Giovanissima, nel 1942, entrò nel PCI clandestino e l’anno seguente in piena occupazione nazista aderì ai G.A.P., entrando a far parte del gruppo romano, assieme, tra gli altri a Carla Capponi e Rosario Bentivegna. Partecipò a numerose azioni contro gli occupanti, tra cui l’attacco a via Rasella. Rischiò la fucilazione perché condannata a morte dal tribunale di guerra nazista, ma con uno stratagemma riuscì a salvarsi e alla fine della guerra fu insignita della medaglia d’argento al valor militare come partigiana combattente. E poi negli anni a seguire l’impegno per le donne delle borgate romane, il giornalismo a Paese Sera e l’Unità, i viaggi in Cina e Mozambico, la famiglia e i figli, l’impegno nella scuola (è stata a lungo presidente del Coordinamento Genitori Democratici), la Palestina, visitata negli anni ‘80 durante la prima Intifada.
Marina Rossanda, per gli amici Mimma, era nata a Pola. Studiò prima a Venezia e poi a Milano dove si laureò in medicina, specializzandosi poi in anestesiologia. Prestò servizio in ospedali pubblici fino a divenire primario del reparto di anestesia e rianimazione neurochirurgica all’ospedale Niguarda di Milano, dove avvierà la prima unità di terapia intensiva. Nel 1979, eletta senatrice della Repubblica nelle file del PCI, continuò a sostenere la resistenza palestinese, prendendo parte all’associazione di amicizia italo-araba e al Comitato nazionale di solidarietà con il popolo palestinese. Così ricorda il suo amico palestinese di lunga data Wasim Dahmash: … “il suo impegno diventò più corposo e si istituzionalizzò dopo l’invasione israeliana del Libano nel 1982. Nel luglio di quell’anno era andata a Damasco e da lì con un taxi, voleva entrare a Beirut. Il taxista damasceno, per quanto impaurito, non si era comunque tirato indietro e l’aveva condotta per sentieri di montagna fino alla città assediata dalle truppe israeliane del generale Sharon …. aveva raggiunto l’ospedale di Gaza e per tutta la durata dell’assedio aveva prestato la sua opera di medico anestesista. Così intendeva la solidarietà”.
Dopo l’esperienza libanese, dopo i massacri di Sabra e Shatila, Mimma fondò l’Associazione medico-palestinese. Tra le iniziative intraprese da questa associazione ci fu anche la pubblicazione di un giornale Balsam, che forniva informazioni sulla situazione sanitaria nei campi profughi palestinesi sparsi nel vicino Oriente e nei territori occupati.
Ma torniamo al viaggio delle nostre due amiche, perché è da quel viaggio che nascerà il progetto Gazzella, che dura ancora oggi. Così la stessa Mimma, nel ricordare poi Marisa Musu, scomparsa il 3 novembre 2002, ripercorre alcuni momenti della costruzione di Gazzella: “Con Marisa ci eravamo trovate più di una volta in Palestina dopo la prima Intifada …. nel novembre del 2000, un mese dopo lo scoppio della seconda Intifada mi chiamò per propormi di andare noi due a riprendere i contatti e farci un’idea. Ne fui felice perché mancavo da alcuni anni. Trovammo un’atmosfera tesa, ma la solita testarda resistenza degli amici palestinesi …”
All’ospedale Ahli di Hebron Marisa e Mimma visitarono una ragazzina di 14 anni, Ghazala (Gazzella) che era in coma per una pallottola israeliana in testa. Era stat ferita mentre tornava da scuola. Le sue condizioni erano gravissime. Fu al suo capezzale che a Marisa venne l’idea di lanciare, una volta tornate in Italia, la campagna “per Gazzella”, ovvero una rete di solidarietà che, attraverso l’adozione a distanza, potesse sostenere e curare i bambini palestinesi feriti da armi da guerra nella Striscia di Gaza. Ghazala di Hebron, “adottata subito da Mimma, venne operata e, a dispetto delle previsioni, guarì. Il progetto prese corpo, la rete di solidarietà si estese grazie al lavoro di Marisa, Mimma e di un gruppo di amici e compagni che non risparmiavano fatica e impegno. Già nell’aprile 2001 i bambini adottati erano sessanta. Il denaro raccolto tramite l’adozione a distanza veniva consegnato direttamente in loco alle famiglie dai volontari di Gazzella e i viaggi si facevano sempre più frequenti. In meno di un anno dall’inizio del progetto il numero dei bambini assistiti si era quasi raddoppiato: dai 60 di aprile ai 110 di agosto. Nel luglio del 2002 i bambini feriti assistiti erano 331.
Ma l’attività di Gazzella che tentava di salvare la vita a bambini destinati all’annientamento non poteva passare inosservata al governo israeliano che inizià a porre ostacoli su ostacoli: nel dicembre 2002 dei volontari partiti solo una riuscì ad entrare a Gaza, mentre gli altri due venivano bloccati all’aeroporto ed espulsi come persone non gradite. Nonostante che a partire dal dicembre 2003 per oltre due anni si impedisse ai volontari di Gazzella di entrare nella Striscia di Gaza, l’assistenza ai bambini feriti proseguì: i bambini sostenuti da Gazzella erano ormai più di 500.
Marina aveva preso il posto di Marisa come presidente dell’associazione e fino alla fine, attenta e lucida, ne aveva seguito l’attività. Ancora nei suoi ultimi giorni si preoccupava delle sorti di Gazzella. Ecco, noi che oggi portiamo avanti il loro progetto (sono passati 13 anni da quel primo viaggio), amiamo definire queste due donne straordinarie le nostre “madri fondatrici” e la rete di solidarietà da loro pensata e costruita, strutturatasi in una Onlus, continua il suo impegno anche nel loro ricordo, non solo assistendo economicamente oltre trecento bambini e le loro famiglie, ma anche finanziando centri di riabilitazione motoria, reparti di patologia neonatale e facendosi carico di casi particolari come bambini bisognosi di operazioni chirurgiche specifiche, cercando e riuscendo a volte a farli trasferire in Italia per l’intervento. E organizzando, pur se tra mille difficoltà, i viaggi dei volontari di Gazzella nella Striscia di Gaza.