Mimma Rossanda alla Cooperativa Marcella
a cura di Giuseppe De Luca
Mimma Rossanda (Pola, 1927 – Roma, 01.12.2006) medico, donna di scienza, politico prima nelle file del PCI e poi in quelle di Rifondazione Comunista approda alla Cooperativa Marcella nella fase iniziale del suo sviluppo, precisamente nel 1977 e vi rimane fino al 1985. Quando vi arriva, Mimma stava attraversando un momento particolare della sua vita professionale e scientifica poiché aveva dato un’accelerazione al suo impegno politico nel PCI, di cui divenne parlamentare per due legislature, e nei movimenti di lotta per la tutela della salute, in particolare delle donne e dei lavoratori. Era stata presentata da Laura Conti, co-fondatrice della Cooperativa Marcella, attratta anche da una idea di cooperativa che ruotava attorno ad un progetto culturale che coniugava solidarietà, scienza e sviluppo. Un luogo aperto per studiare, socializzare, promuovere cultura e politica. È questa l’epoca in cui la Cooperativa Marcella funziona come una infrastruttura cognitiva a sostegno dei suoi soci, alcuni dei quali, come Marina, erano impegnati politicamente e ricoprivano posizioni di responsabilità nelle amministrazioni locali o regionali e nelle organizzazioni politiche di sinistra. Qui voglio precisare che cosa è una infrastruttura cognitiva in un organismo cooperativo. È l’insieme delle conoscenze e delle competenze che le persone mettono in comune per aumentare la loro comprensione delle dinamiche e delle tendenze sociali e politiche, scambiando i reciproci punti di vista sui fenomeni osservati. Questi fenomeni allora erano di varia natura ed avevano un carattere innovativo ed anticipatore dei successivi cambiamenti come, ad esempio, quelli che riguardavano lo sviluppo dell’economia basato sull’ecologia, quello della società basato sulla conoscenza o quello ancora dell’integrazione della diversità delle persone nella società. Un particolare campo di osservazione era il sostegno ai movimenti politici di lotta contro regimi sanguinari e repressivi come quelli del Cile di Pinochet e di Santo Domingo e la questione palestinese. Questa infrastruttura cognitiva si basava di conseguenza su credenze, pensieri, attitudini dei singoli che credevano possibile e fattibile il cambiamento di prospettiva sia nel sistema di produzione sia in quello della politica sia in quello della società. Nel concreto essa è un laboratorio dove si apprende dall’esperienza degli altri, dove il sapere non viene idealizzato, ma è sottoposto ad una continua analisi critica che svela la non neutralità della scienza e dove il conflitto viene considerato come una risorsa indispensabile per introdurre trasformazioni nel modo di pensare, di sentire ed agire delle persone. In questo periodo, quindi, la Cooperativa prima ancora che impresa sociale, il cui carattere assumerà più tardi, era una piattaforma di sviluppo progettuale che favoriva lo scambio di idee, di problemi, di visioni del mondo tra diversi orientamenti e culture. Essa funzionava da stimolo per l’apertura di temi allora di frontiera ed oggi di interesse comune, in particolare quello della rivoluzione informatica e quello di un uso critico e democratico della scienza che trovava nella rivista Sapere, del cui collettivo redazionale facevamo parte sia Laura Conti che io, le implicazioni, il suo punto di incontro. A questo proposito voglio ricordare uno dei primi seminari italiani che la Cooperativa Marcella organizzò sulla rivoluzione informatica in via Porro Lambertenghi (1978) e i due incontri internazionali residenziali con le riviste di critica della scienza (1979-1980). Era l’epoca in cui Laura Conti, nell’estate del 1977, trascorsa alla Cooperativa, scrive il libro “Una lepre con la faccia di bambina”, sulla tremenda vicenda di Seveso. Con questo libro Laura fece uscire le problematiche ambientali ed ecologiche da un gruppo ristretto di ricercatori ed esperti e le portò verso un pubblico più vasto, verso l’opinione pubblica. Esso pose le basi per la nascita dell’ecologia in Italia e per lo studio dell’ambiente come un fattore di sviluppo economico, temi su cui la sinistra italiana tardò a comprendere la loro portata di cambiamento e a sviluppare le implicazioni sulla qualità della vita dei cittadini. Era l’epoca in cui, un gruppo di psicologici, psichiatri ed educatori, aggregati attorno alla cooperativa, affermavano la pratica della integrazione dei bambini diversi a scuola e nella società, che avevano avviato fin dal 1968. Ebbene l’ingresso di Mimma nella Cooperativa Marcella arricchì questa dimensione culturale, scientifica e sociale e rafforzò la dimensione dello sviluppo delle conoscenze del gruppo, estendendole all’ambito della sanità e dando un ulteriore senso a questa specifica forma di infrastruttura cognitiva. L’Italia stava costruendo il suo primo piano sanitario nazionale e la Regione Lombardia aveva completato da poco il piano ospedaliero. Su entrambi questi strumenti Mimma interviene con proposte di modifiche e di integrazioni, prima come medico e poi come parlamentare del PCI. Prima di entrare nel merito di questi problemi debbo dire che l’attività politica di Mimma non era confinata solo al settore della sanità. Essa ha lavorato a numerosi progetti che spaziano dal settore medico a quello assistenziale a quello agricolo, come il progetto di sostegno all’associazione di promozione delle donne, quello dell’ampliamento degli asili nido, ai programmi educativi e di sanità pubblica, alla talassemia e brucellosi in area mediterranea. Quali erano i suoi principali punti di attacco, quelli per i quali lottava con maggiore determinatezza ?
1) La nascita e lo sviluppo dei servizi territoriali e la prevenzione
Pur essendo medico ospedaliero (dirigeva il reparto di terapia intensiva dell’Ospedale Niguarda), Mimma era consapevole dell’importanza di avere sul territorio una rete di servizi sanitari pubblici che funzionasse come filtro verso il ricorso improprio alle cure ospedaliere; per la creazione e sviluppo di questa rete territoriale di servizi, essa lottava contro i baroni della medicina che avevano una visione ospedalecentrica della sanità e contro le multinazionali della sanità che alimentavano il consumismo farmaceutico. In particolare il suo interesse prevalente era per la nascita dei consultori familiari e per lo sviluppo dei servizi di medicina per gli ambienti di lavoro (Smal). La prevenzione per lei non era solo una problema tecnico, cioè disponibilità di un personale che non avesse una visione mercantile della medicina e che fosse disposto a lavorare là dove i problemi sorgono, evitando il loro spostamento verso contesti asettici (i reparti, le cliniche universitarie), dove erano privati della loro storia sociale, ma era soprattutto un problema culturale, di formazione scientifica della popolazione che le permettesse di esercitare il controllo sulla propria salute e sul rapporto corpo-psiche. La dichiarazione di Alma Ata dell’Organizzazione Mondiale della Sanità dava grande impulso a questa nuova prospettiva in sanità. La salute viene definita come uno stato di benessere fisico, psichico e sociale, (Oms, 1978) e lascia grandi spazi alla soggettività. “Se si rifiuta di definire la salute come stato di assenza di malattia, cioè di evento rilevabile con mezzi oggettivi, sull’esistenza di salute fisica e psichica solo il soggetto potrà testimoniare. Di qui si può andare molto lontano: o in direzione della medicalizzazione, più o meno autogestita, di tutti i bisogni dell’individuo oppure verso il riconoscimento con mezzi suoi che è bene restino oggettivi delle opzioni dell’individuo e dei gruppi su questioni che investono la loro salute (Mimma Rossanda: “Corpo e Salute” in “Devianza ed Emarginazione”, pag. 33 n. 5/6 giugno 1983). Prevenzione inoltre non significa avere solamente più servizi. Così Mimma si esprime su questo argomento: “espansione non significa necessariamente più salute […]. I contemporanei sembrano attendersi molte garanzie da una scienza e una tecnologia in crescita esplosiva, ma sanno poco di sé e del proprio corpo… Per parte loro la biologia e la medicina, corpi di saperi ormai giganteschi, si dibattono tra specialisti e logiche di mercato e di potere, al punto che ci si può chiedere quale sia la ricaduta di questa enorme attività umana sullo stato di salute dell’umanità”. Prevenzione significa aumentare la qualità della vita della popolazione, la sua padronanza dei processi che danno luogo ai rischi per la salute fisica e psichica.
2) Le condizioni umane dei ricoverati negli ospedali
Da medico ospedaliero, prendendo spunto dalla morte per infezioni di 4 bambini nell’ospedale di Bergamo, non esitò a mettere sotto accusa le condizioni materiali di esistenza dei ricoverati negli ospedali della Lombardia, nonostante esistesse un piano ospedaliero e un piano sanitario regionale già da alcuni anni. Per Mimma l’ospedale è un luogo di produzione, la cui organizzazione del lavoro va analizzata nei rapporti gerarchici, nei rapporti con altre categorie di lavoratori, nei rapporti tra potere e sapere, in una parola nei suoi rapporti di produzione. Questa analisi dell’organizzazione del lavoro doveva servire anche ad identificare in modo operativo ciò che l’ospedale non deve fare ed i modi secondo cui non deve operare, cosicché fare medicina attraverso l’ospedale significava sottoporre ad analisi critica i suoi modelli di funzionamento, di gestione, di rapporto con il territorio. Essa sottolineava come mancava una gestione dell’ospedale in senso epidemiologico e di valutazione della qualità della cura che tenesse organicamente conto non solo del fatto che il paziente è “un posto letto occupato o meno”, un “guarito o un deceduto”, ma anche di quello che quel paziente rappresenta con il suo problema medico e la storia di come tale problema è stato gestito in ospedale o nel territorio. Stare bene sul lavoro in ospedale equivaleva per lei a garantire una migliore qualità del prodotto salute sia attraverso un rigoroso sistema di diagnosi, sia attraverso un accurato piano di trattameno terapeutico. La produttività di un ospedale non doveva essere misurata dalla quantità numerica di interventi eseguiti (che già allora dava luogo ad un abuso di interventi chirurgici), ma dalla loro qualità rispettando, prima di tutto, la soggettività del paziente ed avendo una particolare attenzione alle condizioni igieniche degli ambienti di cura. In questa visione l’ospedale non deve essere un percorso di guerra, dove tutto può accadere, ma un luogo che produce sapere e conoscenza. Ecco come Mimma si esprime su questo problema: “Per arrivare a un risultato del genere bisogna semplicemente rivoluzionare i nostri ospedali: rompere l’assurda sproporzione tra ricchezza di strumenti e povertà di provvedimenti elementari a cominciare dal pulire bene gli ospedali. Inoltre bisogna potenziare o istituire nei molti ospedali dove mancano i servizi di microbiologia e allargare il campo di azione dei microbiologi dalla semplice identificazione dei microbi su campioni prelevati da malati, alla verifica delle condizioni igieniche e del grado di inquinamento microbico dei diversi reparti degli ospedali, con particolare attenzione alle camere operatorie, ai reparti post operatori e di rianimazione, di dialisi, per neonati, per malattie infettive” (l’Unità, 21 novembre 1977). Sull’insieme dei problemi sanitari il suo impegno, come parlamentare del PCI sia nei lavori delle commissioni parlamentari sia come responsabile della commissione sanità del PRC, si manifestò attraverso proposte, disegni di legge, interventi ufficiali che rafforzavano le basi democratiche e partecipative del servizio sanitario nazionale.
3) La formazione del personale medico-infiermeristico
Su questo tema Mimma fece molti interventi. Qui mi voglio soffermare sul problema della delega, allora dominante nel dibattito politico e sindacale. Una responsabilità nella formazione di una cultura della delega in medicina è da attribuire al processo di formazione del medico, dell’infermiere e dei tecnici. Nello schema formativo del personale sanitario il soggetto nella sua interezza non arriva mai all’osservazione e allo studio, vi arrivano pezzi frammentati del suo corpo su cui gli specialisti esercitano il potere sulle parti di loro competenza. Il soggetto intero e vivo viene per ultimo alla portata dello studente, dopo che questi si è dotato di poderosi schemi interpretativi, che non raramente gli impediscono in futuro di ascoltare e capire la voce del suo interlocutore. “Curiosamente non è più il medico a compiere la sintesi delle alterazioni dei diversi organi in un quadro globale, ma il malato che suddivide il proprio discorso con più specialisti e non di rado si trova da solo a tentare una sintesi” (Devianza ed Emarginazione, pag. 38). Da queste considerazioni Mimma parte per rivendicare una diverso modo di formare il personale sanitario, più ancorato alla realtà dei pazienti e alle loro patologie che spesso sono in continua evoluzione e non trovano posto nei libri di testo, in modo che la sofferenza individuale inquadrata nei rapporti sociali del gruppo cui appariene il soggetto (famiglia, comunità, contesto lavorativo) sia patrimonio dell’insegnamento medico e per proporne una formazione al lavoro in équipe, in modo che il personale medico possa avere una visione globale ed unitaria dei problemi del malato e si addestri all’ascolto dei suoi problemi. Ma per la formazione della cultura della delega ancora più grande è la responsabilità della componente mercantile nell’industria della salute. Fortissima è infatti la prevalenza di pressioni di mercato che si esercitano attraverso una informazione largamente inaccurata o parziale, che inducono deformazioni dei modelli di vita e dei bisogni soggettivi nel campo della salute che determinano l’espropriazione della salute ai fini di un complesso di attività economiche che coinvolgono centinaia di migliaia di persone. “L’intreccio tra interessi privati e pubblici, profitti, investimenti, occupazione, intorno all’industria della salute è così fitto che un’opera di correzione incontra infiniti ostacoli e subisce mille ricatti” (Devianza ed Emarginazione, pag. 39). È stato questo un altro terreno di lotta che Mimma condusse in parlamento, coinvolgendo le forze politiche e le organizzazioni sindacali.
4) L’uso improprio dei farmaci, in particolare gli antibiotici
Una sensibilità particolare aveva per un corretto uso dei farmaci. Combatteva contro l’abuso e l’uso improprio dei farmaci, proprio per la sua dimistichezza con questo problema che affrontava quotidianamente. Ecco la sua posizione, per esempio, su psicofarmaci e droghe “per il fisiologo e antropologo dell’800 – ma è vero anche oggi – vi è una sostanziale continuità tra spezie, psicofarmaci e droghe: siano queste legittimate da tradizione e mercato come the, caffè, alcol e tabacco, o proibite come hashish, cocaina ed eroina, sempre si tratta di sostanze chimiche estranee al metabolismo nutritivo. Chi le usa per modulare l’umore, la percezione di sé e del mondo, compie una delega, si abbandona apparentemente alla sostanza estranea, in realtà agli uomini che gliela procurano, legalmente e non. Imparando a fare a meno della sostanza estranea, il soggetto ritira la delega, e la riappropriazione è totale quando ciò non si accompagna a sofferenza, ma all’apprendimento di un metodo di controllo dell’umore e della percezione tutto autogestito, nella stupefacente riscoperta delle insospettate potenzialità del corpo e della mente, isolati e nella relazione con altri corpi ed altre menti “liberate” (Devianza ed Emarginazione, ibidem). Ma per capire meglio il suo pensiero bisogna rispolverare la sua polemica contro l’uso degli antibiotici nella vicenda dell’incidente di Seveso (fuoriuscita di diossina dagli impianti chimici dell’Icmesa). Il problema era questo: la popolazione di Seveso doveva essere sottoposta a cure antibiotiche per contrastare la riduzione delle difese immunitarie, come nel Vietnam dopo l’uso dei defolianti da parte dei militari americani, oppure no? Lei si schierò per il no, a ragion veduta. Documentò come l’uso degli antibiotici avrebbe moltiplicato i rischi per la salute, poiché essi colpivano reni e fegato che erano già aggrediti dalla diossina e come il loro uso su scala di massa favoriva gli interessi delle multinazionali farmaceutiche; propose di usare al loro posto il monitoraggio continuo dello stato di salute della popolazione attraverso la creazione di una rete pubblica di servizi sanitari territoriali. Essa avrebbe dovuto assicurare la vigilanza e la prevenzione efficace attraverso la raccolta quotidiana di informazioni epidemiologiche e la paziente opera di convincimento e spiegazione alle famiglie delle pratiche igieniche, il contatto con gli ambienti di lavoro, il controllo sulle opere e gli interventi di ordine sanitario (da l’Unità, 2 settembre 1976).
5) La medicina delle donne
Un particolare interesse Mimma l’aveva per la tutela della salute delle donne, storicamente delegate ad una funzione riproduttiva e di accudimento nel sistema familiare e sociale. Con la nascita dei consultori istituiti con la Legge 405 del 29 luglio 1975 e con la soppressione dell’Opera nazionale maternità e infanzia il 31 dicembre 1975 viene dato un grande impulso allo sviluppo dei servizi materno infantili, che costituiranno una parte significativa del sistema sanitario nazionale. La prevenzione e l’informazione che queste strutture e servizi erogano, consegnano nelle mani delle donne tutti i possibili strumenti per la conoscenza di se stesse, attraverso un lavoro individuale e collettivo, aumentano la consapevolezza e la padronanza di sé e valorizzano la funzione produttiva della donna. Esse ruotano attorno all’assunto che la maternità e paternità devono essere responsabili ed aprono una battaglia culturale contro la generazione involontaria che era quasi sempre causa dell’aborto clandestino. Il conultorio per la prima volta richiama l’attenzione sull’educazione sessuale, fornisce assistenza medica e psicologica utile al controllo delle nascite ed interventi di diagnosi precoce sia della gravidanza a rischio che della gravidanza in sé. Per la prima volta nella storia della medicina la donna si riappropria del proprio corpo e della propria salute e rivendica parità di trattamento rispetto all’uomo, lotta contro pratiche sanitarie oppressive e sottolinea la propria autodeterminazione. Ma la partecipazione di Marina Rossanda al movimento delle donne non si limita a temi specifici attinenti al rapporto tra donne, scienza e salute, ma a tutti i temi, che via via il movimento affronta, dall’ambiente, alla pace, al lavoro. Inoltre vi è in Marina un coinvolgimento più ampio di carattere teorico e politico rispetto alle elaborazioni e alle pratiche femministe, come testimoniano le raccolte complete di Orsa minore e Reti, in Democrazia e diritto, n. 3/1989. Nel saggio su I dilemmi della violenza, Marina affronta alcune questioni storiche e politiche sul tema della Palestina e delle donne palestinesi. Mimma era molto attenta a quanto promuoveva il movimento femminista, che aveva fatto del problema della salute della donna il tema di fondo della sua protesta e della sua battaglia politica condividendone lotte ed elaborazioni. Ha saputo inoltre intrecciare le sue competenze scientifiche con una visione umanistica del rapporto medicina-scienza-società. Ne emerge, leggendo alcuni suoi scritti e inquadrandoli nel contesto generale, uno sguardo di donna originale e anticipatore rispetto a tematiche complesse su cui il femminismo ha prodotto tante pratiche e pensiero quali le biotecnologie, le definizioni di vita e di morte, il ruolo dei soggetti (da Fondo R.C.). Voglio qui ricordare che il movimento femminista poneva l’enfasi sulla gravidanza desiderata e sulla legittimità dell’aborto, sostenendo che ogni donna doveva essere messa nella condizione di scegliersi e gestirsi la propria maternità o la propria contraccezione. Ecco come Mimma si esprime sul problema del corpo della donna in un articolo scritto per la rivista Devianza ed Emarginazione, che io allora dirigevo: “Ma vi fu, pochi anni dopo, un rilancio ancora più forte e diffuso di soggettività corporea da parte del movimento femminile; la volontà di riappropriazione era esplicita: il corpo non più oggetto di consumo sessuale sconosciuto a se stesso, non più contenitore di un embrione umano imposto, spesso sofferto, a volte aggressivo. Il corpo femminile cominciò a vedersi soggetto di impreviste potenzialità di godimento di sé, di gioia di vivere, oppure costruttore volontario, attento ed amante, di una vita nuova seguita passo a passo, protetta da ogni violenza nell’affacciarsi al mondo con il parto dolce” (Devianza ed Emarginazione, pag. 32). Alla base di questi punti di attacco stava una concezione della scienza medica che confutava i principi della delega della cura ai tecnici e del potere di controllo del malato da parte di un sistema sanitario amministrativo-burocratico e metteva in primo piano la valorizzazione della soggettività della persona, la non delega e l’autocontrollo. Critica della scienza e della medicina e rivalutazione di una concezione politica e culturale umanistica procedono quindi insieme. Questa concezione critica della scienza medica allora trovava alimento nelle lotte operaie per la tutela della salute nei luoghi di lavoro e in gruppi di esperti e ricercatori aggregati attorno alla rivista Sapere, a Medicina Democratica, alla collana Medicina e Potere di Feltrinelli, che avevano il loro punto di riferimento in G. Maccacaro, artefice e protagonista di questa nuova visione del rapporto tra scienza e potere. È ancora attuale quanto egli scriveva, inaugurando la nuova serie della rivista Sapere (1974): “fare scienza vuol dire, oggi ed ogni caso, lavorare pro o contro l’uomo ed ogni uomo è raggiunto dalla scienza per essere più libero o più oppresso”. Mimma ha usato il suo sapere e la scienza perché gli uomini e le donne potessero essere più liberi e potessero usare questa libertà per lottare contro diseguaglianze sociali, ingiustizie e violenze e per affermare la loro autonomia ed autodeterminazione È coerente con questa visione l’impegno che profuse nel fornire aiuto al popolo palestinese tra il 1981 e il 2000. Esso si sviluppò su due fronti: il primo, creando l’associazione medica italo-palestinese per aiutare le istituzioni sanitarie palestinesi e le associazioni di medici volontari che nei territori occupati hanno gestito e gestiscono la sanità pubblica; il secondo fondando, con Marisa Musu, l’Associazione “Gazzella”, una organizzazione onlus, per l’adozione a distanza dei bambini palestinesi.
Nota biografica su Marina Rossanda
Dopo aver completato gli studi in medicina e la specializzazione in anestesia a Milano, si trasferì per brevi periodi prima a Stoccolma, dove lavorò al Karolinska Institutet, studiando le tecniche di rianimazione nei pazienti in coma con lesioni cerebrali, poi a Palermo. Nel 1967, insieme con Maria Luisa Bozza Marubini, aprì il primo centro anti-veleni in Italia. Accanto all’attività medica, che praticò per tutta la vita, Marina Rossanda si dedicò intensamente all’attività politica. Eletta senatrice nelle liste del Partito comunista italiano nel 1979 per la circoscrizione della Lombardia, coprì tale incarico per due legislature.