IX.

Cominciò per Marianna una nuova pena. Simone non tornava e lei aveva paura di mille cose, adesso che il suo segreto non era più suo.
Sebastiano se n’era andato, quella mattina, con gli occhi pieni di disperazione; il padre non mandava notizie, di nuovo pareva che tutti si fossero dimenticati di lei, chiusa nella sua casa come in una prigione; ma Dio sa che cosa tramavano là fuori lontano i suoi uomini col pretesto di difenderla e salvarla da se stessa. Allora balzava aggirandosi nel cortile e apriva il portone come per spiare ciò che avveniva nel mondo. Ricordava le minacce di Sebastiano, e il silenzio e l’assenza di lui aumentavano i suoi timori.
Nulla le sembrava più terribile di questa sua solitudine, di questa sua impotenza a muoversi, ad andare contro il destino. Le pareva di essere veramente legata, costretta a non dibattersi; stava ore ed ore piegata con la guancia sul polso, come rodendo la catena che la avvinceva, mentre ogni tanto gli occhi di cerva prigioniera si volgevano intorno cercando il varco ove fuggire.
La primavera dolce e velata le penetrava fino al sangue e accresceva la sua smania. Ma era soprattutto un dolore ch’ella non voleva approfondire, quello che le gonfiava il cuore: era lo stesso dolore che l’aveva costretta a piangere davanti a Sebastiano.
Simone non tornava…
Un giorno, in quaresima, indossò le sue vesti più belle: tra le falde scarlatte del giubboncino si intravedeva il velluto perlato del corsetto come il chicco della melagrana attraverso la buccia spaccata; i bottoni di filograna d’argento dondolavano dall’apertura delle maniche, ciascuno con una perla cilestre nella punta, come intinti nell’azzurro di quel cielo di marzo.
Disse a Fidela che andava in chiesa: nel salire la strada da casa sua alla cattedrale si aggiustò ancora le pieghe della camicia sul petto, i lembi del fazzoletto sul mento: infine incrociò bene le mani sul davanti della cintura: pensava che loro forse erano già lassù, le cinque sorelle di lui, e voleva essere pari a loro come una loro sorella, aggiustata e leggiadra.
Quando entrò, la chiesa era ancora quasi deserta, piena solo di ombre azzurre verso oriente e di raggi di sole che attraversavano come larghi nastri d’oro la navata in fondo. Andò a inginocchiarsi al posto ove usavano mettersi loro, e la sfera dorata, sopra l’altare del Sacramento, le ricordò la notte della Serra, l’albero che il canto dell’usignuolo faceva scintillare.
I fedeli riempivano la chiesa: donne giovani, spose con bambini piccoli stretti al petto, vedove dal passo lieve, vecchi dal passo pesante.
Ogni volta che la bussola della porta si apriva uno sprazzo di luce rossa si spandeva nella penombra azzurra della navata; a poco a poco quel rosso parve allagare il pavimento, e come un chiarore di fuoco rallegrò la chiesa fredda. Le donne s’erano tutte sedute sul pavimento, immobili, ieratiche, coi loro costumi di scarlatto: la benda ingiallita con lo zafferano circondava i loro volti con una aureola d’oro.
Ma le belle fra le belle, le cinque fanciulle sole non venivano e Marianna, sola nel suo angolo riserbato alla gente in duolo, provava più che mai un senso di solitudine, di esilio dalla comunità delle altre donne.
Si sentiva dolere il cuore. Perché neppure loro venivano? Era uscita quel giorno per mescolarsi a loro, per sentire, in mezzo a loro, che il suo amore e il suo dolore non erano un sogno. Perché neppure loro venivano?
Anche dopo cominciata la predica, si ostinava ad aspettare; all’entrare di qualche ritardatario volgeva rapida gli occhi alla porta e tosto li riabbassava con tristezza; in tal modo non sentiva che qualche frammento della predica, e la voce del prete, soave e sonora, le pareva una musica vagante sull’alto della navata.
Solo quando il predicatore cominciò a spiegare la parabola del Figliuolo prodigo, ella sollevò gli occhi intenti ascoltando. Era un bel giovane, il predicatore, con le labbra rosse e gli occhi azzurri corruscanti: con le mani bianche ferme sull’estremità del pulpito si chinava ora di qua ora di là come sull’orlo d’un pozzo di marmo e i suoi capelli biondi pareva riflettessero l’oro dei raggi dello Spirito Santo sospeso sul pulpito in forma di colomba.
Le donne ascoltavano più attente del solito; e pareva davvero che sopra di loro passasse un alito misterioso, uno svolazzare dolce di colombi. Le vecchie madri che avevano figliuoli malvagi piangevano di speranza nel loro ravvedimento, le giovani madri coi loro bimbi al seno si chinavano a guardarli sollevando trepide, quasi fosse il velo dell’avvenire, il lembo del panno che li copriva. Marianna pensava che anche Simone era un figliuolo prodigo che se n’era andato per il mondo a sperperare malamente le ricchezze della sua gioventù; anche lui sarebbe tornato; le parole del sacerdote erano un segno di promessa. Ma quando la voce tacque l’incanto svanì: la gente cominciò ad andarsene, ella ricordò lo scopo che l’aveva spinta ad uscire di casa e decise di non rientrare senza aver avuto qualche notizia. Lasciò che la chiesa si sfollasse: stanca, piegata di tristezza come davanti al suo focolare, le pareva che tutto intorno a lei si smorzasse; l’aria stessa si tingeva di grigio, tutto diventava freddo. Solo qualche vecchio contadino s’indugiava nelle panche degli uomini; ed ella s’alzò e guardò meglio. Sì, il padre di Simone era là, vestito decentemente, ma come un uomo in lutto, i lunghi capelli grigi gli spiovevano di qua e di là del viso scarno scavato dal dolore e dalla malattia; la corta barba candida contrastava col colore bruciato della pelle. Rassomigliava al padre del Figliuolo prodigo come il predicatore l’aveva de-scritto.
Marianna si rimise in ginocchio sul gradino dell’altare e aspettò che egli si alzasse; poi lo seguì, piano, con passo lieve, paurosa che anche lui le si dileguasse davanti.
Egli invece camminava lento, triste, guardando lontano davanti a sé con gli occhi infossati rossi; di tanto in tanto le sue labbra violacee fra i baffi bianchi avevano un movimento di disgusto come s’egli masticasse una cosa amara; e quando Marianna lo raggiunse e gli domandò sottovoce: «Zio Franziscu, come state?», parve non riconoscerla.
Non rispose, ma la fissò bene negli occhi e d’un tratto i suoi occhi s’illuminarono. Ella arrossì: eccoli, erano ancora gli occhi di Simone, ma tanto lontani, in fondo al pozzo!
«Marianné! Sei tu?», disse il vecchio, fermandosi e piegandosi sul suo bastone. «Mia moglie sta male.»
Continuava a guardarla e tutto il suo volto si trasformava, illuminandosi; e Marianna aveva l’impressione di essergli anche lei apparsa in un momento di disperazione e di smarrimento. E un altro pensiero le dava un senso segreto di gioia: «Se la madre è malata, Simone tornerà a vederla!».
«Che cos’ha vostra moglie? sarà una cosa lieve, speriamo.»
«Speriamo!»
Egli riprese a camminare battendo lievemente il bastone per terra: Marianna lo accompagnò.
Camminava piano, giù lungo il muro del giardino del vescovo, poi su per la straducola sassosa, più su per un vicolo coperto d’erba. Finalmente, in fondo ad uno spiazzo dal quale si vedeva tutta la valle solitaria già piena d’ombre e del rumore lontano del torrente, apparve la casa di lui – la casa di Simone. Marianna guardò la piccola facciata di pietra grezza, con due finestrini circondati di una cornice nerastra e una porticina chiusa sopra uno scalino intorno al quale cresceva l’erba e l’ortica, e gli occhi le si velarono di lagrime: le pareva un viso triste, tragico, la facciata della piccola casa.
Le donne uscivano sulle porticine delle altre casupole e la guardavano fisso, salutandola con un cenno del capo, e lei aveva l’impressione che anche loro «sapessero», che il suo segreto oramai si fosse sfogliato come un fiore di cui tutti possedevano un petalo; ma sentiva il coraggio del proprio amore, e solo, in quel momento, si vergognava della gioia che invano tentava di reprimere in fondo al cuore pensando che se la madre era gravemente malata, Simone sarebbe tornato a visitarla…
Sollevò il viso, e rispose al saluto delle donne accostandosi di più al vecchio; le pareva di sorreggerlo, di averlo trovato steso per terra abbattuto da un male grave e di ricondurlo cristianamente alla sua casa. Ma a misura che s’avvicinavano al portone, egli affrettava il passo, col viso di nuovo livido e chiuso. Spinse col bastone il battente corroso e non la invitò ad entrare. Ella tuttavia si ostinava a pensare: «Bisogna che entri: forse porterò un po’ di luce in questo luogo da tanto tempo oscuro», e lo seguì attraverso il cortiletto deserto e su per la scaletta esterna che conduceva al piano di sopra. Sul ballatoio, entro un vaso di sughero legato con un giunco, tremolava un fiorellino azzurro: e le parve la salutasse. D’improvviso il vecchio, che saliva silenzioso appoggiando il bastone ad ogni scalino, chiamò una delle figliuole. La sua voce aspra tradiva talmente una irritazione interna, che Marianna si spaventò e si pentì d’essere entrata; sentì che la sua visita non era né opportuna né gradita. Infatti vide i grandi occhi dorati della figliuola minore, che si era affacciata sul ballatoio, guardarla con meraviglia e curiosità, poi con dolore e infine con ostilità che pareva odio.
E mentre il padre andava oltre, verso una seconda porticina del ballatoio, la fanciulla parve non volesse lasciar entrare Marianna nella cameretta ove la madre gemeva tormentata dalla febbre. Il viso della visitatrice era però così dolce e spaurito, pure conservando nella bocca una espressione di fierezza, che l’altra ne fu disarmata. Non era la donna ricca e prepotente che ammaliava Simone per servirsi di lui come di un servo terribile, per i suoi fini ambiziosi, per i suoi interessi di proprietaria e i suoi desideri di amante, quella che saliva con ansia le scale della povera casa e pareva rispondesse al saluto del fiorellino del ballatoio. La sorella di Simone le lasciò dunque libero il passo; ma al vederla anche le altre sorelle si alzarono ostili, e circondarono il letto della madre come per impedire a Marianna di avvicinarsi.
Ella però andò dritta verso il letto e si chinò sul viso della malata.
«Come va?», domandò sottovoce.
Sentiva che solo lei e la madre di Simone potevano intendersi; solo il loro amore poteva fondersi. La donna, infatti, mosse il viso rosso di febbre, fra i capelli umidi ancora folti e neri; le sue pupille dilatate, nuotanti in una luce torbida, fissarono le pupille di Marianna e parvero riconoscerla.
«Sei tornato, Simone?», disse piano con voce vaga, lontana. «Se vuoi la bisaccia è là…»
Marianna si sollevò, con un brivido che le saliva dalle calcagna alla nuca. La madre aveva certo veduto l’immagine di Simone ferma in fondo alle sue pupille. E la scambiava con lui.
Allora sedette accanto all’uscio: aveva l’aria di doversi giustificare di qualche cosa, davanti alle sorelle di lui che s’erano sedute anch’esse, composte, con le mani sul grembo, e la guardavano fredde come giudici: sentiva quasi paura di loro e non osava fare la domanda per cui era venuta; ma guardava il fiorellino che continuava a tremolare sul ballatoio, e le sembrava che esso solo fosse il padrone della casa e le accennasse qualche cosa in segreto.
«Simone tornerà.»
E nonostante il dolore e l’umiliazione, questo pensiero continuava a risuonarle dentro, grave e dolce come l’organo in chiesa.

Rientrando a casa trovò Fidela ad aspettarla sul portone.
«Sono qui! Credevate mi avessero rubata?»
Pareva scherzasse, ma aveva l’accento crudele dei suoi cattivi momenti; e poiché Fidela si scansava, a sua volta taciturna e ostile, passò oltre, andò nella sua camera e si spogliò, ma non ridiscese più sebbene sapesse che la cena era pronta. Si affacciò alla finestra e col viso fra le mani cercò di raccogliere i suoi pensieri.
La sera cadeva mite, dolce, piena di stelle e di odori di verzura; fin lassù arrivava il rumore lontano del torrente, tutto era silenzio e pace. Questo non bastava a calmare il suo tumulto interno. Il nome di Simone non era stato pronunziato che dalla madre malata, in delirio; eppure lei sentiva che la sua visita non era stata vana. Il silenzio e la riserbatezza delle sorelle di lui le dicevano molte cose; quali, ella non sapeva distintamente, ma sentiva ch’erano cose tristi contrarie a lei.
«Ecco perché egli non torna», pensava «perché le sorelle non vogliono. Sono della stessa razza, della stessa carne di lui. Preferiscono vederlo così, preferirebbero vederlo morto, piuttosto che cederlo alla giustizia ed a me.»
Ma in fondo sentiva che s’ingannava. No, s’egli non tornava doveva esserci una ragione più forte. Lui solo poteva spiegargliela; ma lui non tornava.
Eppure si ostinava ad aspettarlo: forse quella notte stessa… E cercava d’illudersi, piegata sul suo davanzale, ascoltando i sospiri della notte, i rumori lontani. Ecco un passo: è il passo di lui che le risuona nel cuore. Un attimo, e il cuore si rifiuta ad ingannarla: no, non è il passo di lui.
Poi tutto fu di nuovo silenzio. Gli orticelli odoravano, con le loro umide aiuole di basilico e i rosmarini fioriti; dalle casette dei poveri salivano spire di fumo, voci vaghe di bambini lattanti; la vita pallida di ogni giorno s’acquetava intorno, si distendeva come una serva stanca che non ha sogni e non ha dolori. In qualche angolo della sua anima Marianna provava un senso d’invidia, per l’umile vita intorno, un senso di stanchezza per il suo sogno vano.
Avesse almeno potuto difenderlo, il suo sogno, salvarlo dai pericoli che lo minacciavano: ma neppure lei sapeva in che consistevano questi pericoli, e le pareva d’essere davanti a un muro e di consumarsi solamente le unghie tentando invano di arrampicarsi per guardare al di là.
D’improvviso sentì come un colpo al petto: le sembrò che qualcuno picchiasse al suo portone per avvertirla che il pericolo esisteva, che era vicino a lei. Si sentivano davvero dei passi, passi eguali, pesanti, passi ch’ella riconosceva, che aveva ascoltato altre volte con ansia, in qualche luogo misterioso.
Si sollevò e socchiuse la finestra spiando dall’apertura. Due uomini, due borghesi, scendevano dalla parte della chiesa: svoltarono nel vicolo, si fermarono.
Il cuore non la ingannò neppure un momento; erano due carabinieri travestiti e spiavano il suo orto: aspettavano anch’essi l’arrivo di Simone.
Ella rimase a lungo dietro la finestra: vedeva una stella sull’alto del cielo, sentiva ancora la voce lontana del torrente. E le sembrava di rinascere alla vita, di rivedere le cose muoversi intorno a lei, poiché capiva oramai il pericolo che la minacciava e poteva combatterlo.
Fidela socchiuse l’uscio e la chiamò: non ricevendo risposta attraversò la camera coi suoi passi pesanti e si fermò accanto alla finestra.
Accanto alla finestra Marianna restava immobile, col viso pallido nell’ombra come illuminato dalla luce degli occhi che le brillavano di coraggio, di odio, anche di paura. Finalmente chiuse del tutto le imposte e nel buio afferrò le braccia della serva.
«Così va bene, dunque», disse con forza. «Mi avete tradito ancora una volta, tutti, dal padre alla serva. Ma l’inganno adesso è finito: adesso basta. Basta, hai capito?»
La donna si liberò dalla stretta.
«Marianna, ti compatisco perché soffri; ma la colpa non è mia se la tua casa è sorvegliata come una casa di ladri.»
Marianna diede un grido, a denti stretti, e la riafferrò, nell’ombra, le si aggrappò addosso come aveva fatto con Sebastiano.
«Ah, tu sapevi! Lo sapevi che la mia casa è sorvegliata?»
«Lo sapevo: non è da stanotte…»
«E allora vattene! Prepara la tua roba e vattene. E chiudilo pure, il portone, perché non aprirò più a nessuno, neppure a mio padre… neppure a mia madre… se tornasse di là…»
Fidela non rispondeva; non cercava più di liberarsi; anzi pareva si prestasse a che la padrona si appoggiasse a lei, nel buio, nello smarrimento di quella ora penosa: Marianna però la spingeva, ansando un poco, ripetendo con voce sempre più bassa e più minacciosa:
«Vattene, vattene».
Quando riuscì a cacciarla fuori chiuse a chiave l’uscio e tornò presso la finestra: tremava tutta e batteva i denti: s’appoggiò al muro e si strinse la testa fra le mani; poi ricordò la promessa fatta a Simone, di non piangere mai, né al momento del pericolo né al momento del dolore: e stette nell’ombra, dritta, ma senza poter frenare il tremito convulso che l’agitava tutta. Poi a poco a poco si calmò, d’una calma triste, cosciente. Tutto adesso le appariva chiaro come fosse giorno e la luce della realtà illuminasse ogni cosa. Era tradita; aveva cominciato a tradirsi da sé, rivelando il suo segreto: perché anche gli altri non dovevano tradirla? E Simone non tornava perché fra loro due ormai sorgeva il muro della malizia umana.