XIV.

Sebastiano intanto attraversava il bosco, ritornandosene al suo ovile. Ansava e il cuore gli batteva ancora, ma s’illudeva d’essere soddisfatto e, ad ogni modo, era pronto a tutto. Aveva tenuto la sua promessa: dopo aver mandato a dire a Simone di non riavvicinarsi a Marianna se non voleva pagare col suo sangue la sua temerità, non s’era allontanato dalla tanca. Aspettava; sapeva già quello che doveva succedere. Ed ecco Simone arrivare di corsa e dopo il colloquio con Marianna andarsene di corsa, come uno a cui il tempo non basta per compiere tutte le azioni alle quali si sente destinato; un colpo ed eccolo a terra, fermo per sempre.
Sebastiano non era certo di averlo ucciso; questo però non gl’importava; l’essenziale era di aver tenuto la promessa. E mentre camminava, nel silenzio del bosco, rotto appena dal mormorio di un torrente lontano, parlava anche lui alla sua vittima:
«Lo vedi, uomo? Tu credevi di correre e di travolgere tutto con l’impeto del tuo petto, e invece sei stramazzato sul più bello. Così imparerai! Sei giovane e imparerai. Te lo aveva mandato a dire, che Marianna, oltre quel babbeo del padre, aveva ancora qualche parente. Adesso l’hai veduto; così Dio m’assista, l’hai veduto…».
A misura che camminava l’ansia gli svaniva dal cuore.
«Perché fuggo?», si domandò. «Io non voglio nascondermi: voglio pagare, io; pagare la mia parte. No, non voglio nascondermi, non sono un vile, io!»
D’improvviso si fermò, come se la vittima, stesa bocconi ai suoi piedi, gli chiudesse la strada.
Si tirò sulla spalla il fucile, guardò a lungo per terra. La luna attraversava il cielo solitario e mandava la sua luce triste dentro la foresta; il mormorio della fiumana s’allontanava: e dai soveri grigi che parevano di pietra, cadevano gocce d’acqua che gli sfioravano il viso e le mani.
Riprese a camminare; ma non si sentiva più tanto soddisfatto; pensava a Marianna, allo spavento e al dolore di lei nel ritrovare Simone morto o ferito: e gli pareva di sentirne il grido; un grido che lo feriva alle spalle e lo spingeva in avanti nella sua fuga e in par tempo lo prendeva al collo come un nodo scorsoio lanciato di lontano e lo tirava indietro.
Marianna gli gridava:
«Vile, vile!».
Tornò a fermarsi.
«Vile, a me? a me che rischio la libertà e la vita per difenderti?»
Riprese a camminare; ma lo sdegno gli piegava le ginocchia; e sollevava la testa e la mandava indietro sul collo come se davvero quel nodo scorsoio lo tirasse, soffocandolo. Lottò così per un bel tratto, e più andava avanti più si vergognava d’essere fuggito. Tornò indietro di qualche passo; di nuovo si fermò: non sapeva più se andare avanti o indietro; si vergognava di una cosa e dell’altra. Infine si lasciò cadere seduto, con le spalle appoggiate ad un tronco, e sospirò forte: era lui il vinto, il ferito, lo sentiva bene; eppure provò un senso di sollievo ad abbandonarsi così.
Il grumo di fiele che gli si era accumulato entro il cuore, in tutto quel tempo di odio, si scioglieva, se ne colava via per la ferita. Ecco, non sapeva perché, ma non odiava più: il dolore di Marianna e il sangue di Simone saziavano il suo lungo dolore, la sua umiliazione. Era quieto, adesso, come il creditore soddisfatto.
Eppure dopo un momento di riposo la passione tornò ad investirlo. In fondo non aveva rinunziato a Marianna; credeva d’essere sincero quando pensava a difenderla contro se stessa, ed ecco adesso la vedeva curva su Simone, intenta a tirarlo su, a richiamarlo in vita. Balzò e tornò indietro.
Tutto era quieto sotto il chiarore della luna; il rumore del torrente risuonava fievole come se l’acqua si fosse addormentata e mormorasse in sogno, e nella <I>tanca</I> di Marianna l’usignuolo non smetteva di cantare.
Egli s’aggirò attorno alla fontana, illudendosi di ritrovare Simone ancora disteso sul posto dov’era caduto; e si meravigliava della quiete che lo circondava. Gli pareva che la terra avesse inghiottito la vittima, nascondendola per non turbare la pace della notte.
Più in là, però, all’uscita del bosco, vide luce alle finestre della casa colonica e qualche ombra agitarsi!
«Egli è là, vivo, più vivo che mai!»
E sentì che il suo odio e la sua vendetta non erano stati che un vano dibattersi contro il volere del destino.
Andò rapido verso la casa. Gli uomini stavano nella cucina aspettando gli ordini di Marianna; di fuori il cavallo già sellato era pronto per la partenza e il servo aveva lo sprone al piede, mentre zio Berte si torceva un po’ le mani incerto se doveva andare lui in cerca dei parenti di Simone o restare presso la figlia.
Quando vide entrare Sebastiano gli andò incontro afferrandogli con un primo moto di rabbia le falde del cappotto; ma quel viso pallido che pareva cera, e gli occhi gravi di disperazione, gl’imposero silenzio.
«È di là?», domandò Sebastiano; «è molto grave?»
Sembrava pentito, con le braccia abbandonate lungo i fianchi, la testa bassa.
«La ferita non sarebbe grave; ma la palla è dentro, bene in fondo… Sebastiano, perché hai fatto questo?»
«Perché dovevo farlo!»
«Ascoltami, allora, tu hai fatto una cosa idiota. Fra Marianna e Simone era tutto finito.»
Sebastiano spalancò gli occhi, poi li chiuse. Poi volle illudersi.
«Non è vero! Perché dite questo?»
«Lo dico perché è la verità, Marianna e Simone si erano lasciati.»
Sebastiano andò a sedersi accanto al focolare, senza togliersi il fucile dalle spalle; mise i gomiti sulle ginocchia e la faccia tra i pugni come volesse schiacciarsi le mascelle; e pugni e mascelle tremavano di rabbia.
«Non è vero, non è vero…», diceva ogni tanto.
Il servo, tranquillo, disse al padrone:
«Giacché c’è Sebastiano, uno di noi può andare».
Zio Berte entrò allora da sua figlia. Simone era appena rinvenuto e si guardava attorno, tentato di sollevare la testa: Marianna gli aveva preso la mano e la stringeva fra le sue, aspettando ansiosa ch’egli parlasse ancora; ma gli occhi di lui si velavano, la testa si riabbandonava pesante sul cuscino e il sonno mortale dal quale si era appena scosso lo vinceva di nuovo.
«Marianna», disse il padre, toccandole la spalla col dito, «bisogna decidersi sul da fare.»
Ella trasalì.
«Fate voi quello che occorre.»
E zio Berte tornò di là.
«È rinvenuto ma delira; la febbre lo brucia. Bisogna avvertire in casa sua.»
«Che ha detto la padrona?», domandò il servo, curvandosi per stringere lo sprone.
«Nulla ha detto; ma qui non occorrono ordini. Va difilato in casa di Simone e dici come stanno le cose. Su!»
Il servo esitava.
«Io vorrei… che decidesse la padrona.»
Ma per la prima volta dacché era lì a servizio vide zio Berte irritarsi.
«Il padrone sono io, qui! Cammina, e smetti di fare l’idiota. Va!»
Allora obbedì, e in breve il rumore dei passi rapidi del suo cavallo si spense in lontananza. Solo allora Sebastiano sollevò il viso e si drizzò sulla schiena: e parve voler domandare qualche cosa; poi si ripiegò di nuovo e non parlò più.
All’alba arrivò la madre di Simone, seduta in groppa al cavallo del servo. Curva, con la testa avvolta in una benda nera, pallida nel viso già da lungo tempo pietrificato dal dolore, scivolò dal cavallo ancora prima che l’uomo smontasse, e andò dritta nella stanza ov’era suo figlio. Marianna si alzò per lasciarle il posto. Non si dissero una parola; ma da quel momento la madre rimase presso Simone, con la mano di lui fra le sue, china anche lei a parlargli sottovoce, a dirgli tutto ciò che da lungo tempo non si erano detto, mentre Marianna andava e veniva in punta di piedi per la stanzetta e ogni tanto si fermava davanti al letto come aspettando qualche ordine.
Infatti la madre, accorgendosi che la febbre saliva e il ferito perdeva anche la forza di vaneggiare, si sollevò e disse:
«Ci vorrebbe un sacerdote, per somministrargli i Sacramenti».
Un sacerdote! Marianna andò per dare gli ordini: solo allora vide Sebastiano. Spalancò gli occhi, e poiché non poteva parlare, con la mano gli indicò d’andarsene; egli però non la guardava, immobile, col viso cereo e gli occhi fissi in un punto vago, ed ella chinò la testa e due grosse lagrime le rigarono il volto e caddero fino a terra.
Poi subito si scosse; le pareva di essere davanti a una montagna liscia insuperabile. Era inutile piangere, inutile gridare, inutile vendicarsi: tutto era inutile.
Ecco lì Sebastiano davanti a lei, più ferito, più vicino alla morte che non fosse Simone; ella poteva legarlo con le sue deboli mani e consegnarlo alla giustizia degli uomini; poteva anche ucciderlo, lì, ai suoi piedi, come un cane arrabbiato; il peso del suo dolore non si sarebbe alleviato d’un grammo.
Allora si avvicinò e gli toccò la spalla come aveva fatto suo padre con lei. Egli volse gli occhi e la guardò, senza parlare; le sue pupille si dilatavano, fissando quelle di lei; pareva che d’un tratto intendesse tutta la gravità del male fatto e ne provasse terrore.
«Sebastiano», ella disse piangendo, «è la seconda volta che ti prego di andartene. Vattene: intendi? E non rimettere più piede in casa mia…»
Egli si alzò, riprese il suo fucile e uscì; ma arrivato presso la fontana nel punto dov’era caduto Simone non poté andare oltre. Sedette, e ricominciò ad aspettare.
Di là vide zio Berte montare a cavallo e avviarsi verso Nuoro: tutto intorno nella tanca era quieto; l’armento pascolava, le vacche grigie immobili fra l’erba, sullo sfondo azzurro fra un sovero e l’altro, sembravano di roccia: i fischi delle gazze che imitavano quelli dei merli correvano come fili d’argento nel silenzio del bosco, e il fumo saliva dritto dalla casa colonica spandendosi in alto simile ad un grande fiore d’avena.
Tutto sembrava un sogno. Solo i cani, a volte, s’agitavano, s’alzavano frementi sulle zampe posteriori, tirati indietro dalla corda che li legava, e abbaiavano a lungo contro il gattino silenzioso che veniva a mettere il muso entro la ciotola dell’acqua.
E le ombre ridiscesero sulla terra. La madre stava sempre accanto al lettuccio e aveva raccontato già ogni cosa a Simone. Gli aveva raccontato come la notizia della sciagura non avesse sorpreso né lei, né il padre, né le sorelle.
Da lungo tempo sentivano tutti in fondo al cuore, come un male segreto, l’attesa di una notizia così; ed ecco, all’arrivo del servo di Marianna, s’erano guardati in viso, per dirsi con gli occhi:
«L’ora è giunta».
«Ci siamo guardati, Simone, e subito io ho cinto la benda per venire da te. Le tue sorelle e tuo padre sono sorvegliati; e tutti della giustizia li conoscono: se partiva uno di loro veniva seguito e si scopriva il tuo rifugio. Di me tutti hanno dimenticato il viso, poiché da molti anni, tu lo sai, non uscivo di casa… Da molti anni… da quando tu sei partito… E così son venuta, poiché toccava a me vederti: ed eccoti qui… insanguinato e senza sensi e gemente come quando sei nato.»
Marianna andava e veniva silenziosa, senza speranza: solo era gelosa della madre che era venuta a separarli ancora una volta; e spiava il momento di poter riprendere il posto accanto a lui.
Verso sera, non vedendo tornare i padre che era andato a Nuoro in cerca del sacerdote guardò a lungo dalla porta, poi si avanzò verso il bosco, giù lungo il piccolo sentiero chiaro fra l’erba già scura.
Non si vedeva nessuno. Era una sera dolce, luminosa; tutta la tanca, lavata e rinfrescata dall’uragano del giorno avanti, odorava come un mazzo di spigo; e le stelle apparivano, una dopo l’altra, una più grande e più limpida dell’altra come gareggiassero in bellezza.
Ella andava, di nuovo pallida, un poco curva, un poco invecchiata, come quella prima volta ch’era venuta alla tanca per rifarsi in salute dopo la morte dello zio. Camminò un bel tratto, fino a un’altura dalla quale si vedeva lo stradone.
I boschi dietro di lei, con le loro grandi ondulazioni verdi davano l’impressione del mare; ai piedi le si stendeva la pianura, ancora verde e azzurra al crepuscolo, coi muriccioli, le rocce, le macchie fiorite. I monti svaporavano all’orizzonte, ancora rossi ma coperti da un velo di cenere: la luna spuntava bianca sopra l’Orthobene, e tutto per l’immensità era pace.
Marianna stette lunga ora sull’altura, appoggiata a una pietra. D’un tratto si sentiva calma, lontana dalle cose che l’avevano tanto fatta soffrire: a momenti le svaniva dalla mente anche il ricordo che Simone e la madre erano là nella casa di lei, padroni di tutto. Lei era lontana; aveva lasciato tutto, era spoglia, sospesa nello spazio come la luna.
Ma i passi dei cavalli nel sentiero la richiamarono alla realtà. Ridiscese inciampando nei sassi e arrivò alla radura assieme col padre e col prete.