Parte seconda

13 Capitolo 13- Il diritto all’identità personale

13.1 Casi 13-1, 13-2: pubblicazione a fini pubblicitari e senza previo consenso di un estratto di intervista di persona nota; messa in onda di sceneggiato televisivo ispirato a fatti di cronaca nera con descrizione dei protagonisti dei fatti

Caso 13-1

L’istituto nazionale per lo studio e la cura dei tumori e il prof. Umberto Veronesi fanno causa a un’impresa produttrice di sigarette esponendo che sulla stampa periodica era stato pubblicato un inserto di pubblicità cosiddetta redazionale per promuovere la vendita delle sigarette «Milde Sorte», nel quale, tra l’altro, si leggeva che «secondo il prof. Umberto Veronesi, direttore dell’Istituto dei tumori di Milano, questo tipo di sigarette riducono quasi della metà il rischio del cancro».

Problema.

Esiste il diritto all’identità personale?

Caso 13-2

Con citazione del 30 settembre e 8 ottobre 1983, i coniugi B. e P. A. T. convenivano in giudizio la Rai-Radiotelevisione italiana e gli sceneggiatori T. S. e G. C. per ottenere la distruzione di un sceneggiato televisivo intitolato «L’appello» e relativo al «caso Re Cecconi», concernente l’uccisione del noto giocatore di calcio, della società sportiva Lazio, Luciano Re Cecconi ad opera del T., durante un falso tentativo di rapina ideato per scherzo dalla vittima all’interno della gioielleria degli attori.

Problema.

Qual è il fondamento normativo del diritto all’identità personale?

13.2 Nascita ed evoluzione del diritto all’identità personale: cenni. Cass. 22 giugno 1985 n. 3769 (Umberto Veronesi) e Cass. 7 febbraio 1996 n. 978

Adriano De Cupis nel 1949 pubblica una monografia intitolata «Il diritto all’identità personale. Parte prima: Il diritto al nome» [De Cupis 1949]. Il libro si apre con alcune affermazioni significative.

Tra i vari diritti della personalità, il diritto all’identità personale merita speciale attenzione. Invero, non solo esso ha più manifestazioni; ma le principali fra queste – il diritto al nome e il diritto al titolo – sono figure che presentano, sotto più riguardi, un interesse molto rilevante per il giurista [De Cupis 1949, 11].
Il soggetto, come unità della vita sociale e giuridica, ha bisogno di affermare la propria individualità distinguendosi dagli altri soggetti e risultando per chi è realmente. Il bene che soddisfa tale bisogno, è il bene dell’identità, il quale consiste precisamente nel distinguersi nei rapporti sociali dalle altre persone, risultando per chi si è realmente. Difficile è determininare se tale bene proceda, ovvero segua, nella gerarchia dei modi di essere morali della persona, i beni dell’onore e della riservatezza; ad ogni modo, che abbia grande importanza non c’è dubbio, perché l’uomo annette grande valore all’affermarsi non soltanto come persona, ma come una certa persona, evitando la confusione con le altre [De Cupis 1949, 13].

Scrive in proposito Vincenzo Zeno-Zencovich [Zeno-Zencovich 1983, note omesse].

Se per un verso la paternità dell’espressione «identità personale» sembra doversi senz’altro attribuire al De Cupis (anche se non va dimenticata – per l’autorevolezza dello scrittore – la teoria di Ascarelli sulla paternità delle proprie azioni) la sua fortuna si manifesta solo un trentennio più tardi a seguito di una serie di convegni e seminari specificamente dedicati alla questione, nei quali l’autonomia della figura viene esaminata sotto i più diversi aspetti (non solo civilistici, ma anche costituzionali, penali, processuali) e la allora scarsa giurisprudenza viene sottoposta ad una vera e propria dissezione. Nel giro di un breve volgere di anni – la prima metà degli ‘80 – l’identità personale approda alla Corte di Cassazione, che, con la sentenza 22-6-1985, n. 3769, ne sancisce la rilevanza […].

La giurisprudenza di merito, dunque, negli anni ’70 inizia a riconoscere, sulla scorta dell’elaborazione dottrinale, il diritto all’identità personale [Zeno-Zencovich 1983; Finocchiaro 2010].

Tra le pronunce più rilevanti vi è Pretura Roma 6 maggio 1974, in Foro it., 1974, I, 1806.

Due persone (uomo e donna) vengono fotografate e la loro immagine viene inserita nel manifesto della campagna abrogazionista in riferimento al referendum sulla legge di disciplina del divorzio.

Le due persone ricorrono davanti al Pretore di Roma, lamentando il fatto di non essere sposati e di essere a favore del divorzio.

La massima pubblicata su Il Foro italiano è la seguente.

L’ordinamento giuridico tutela il diritto di ciascuno a non vedersi disconosciuta la paternità delle proprie azioni, nel più ampio significato, e, soprattutto, a non sentirsi attribuire la paternità di azioni non proprie, a non vedersi, cioè, travisare la propria personalità individuale.

A proposito del risultato ottenuto da Pretura Roma 6 maggio 1974 Giorgio Resta rileva quanto segue [Resta 2019, 317, note omesse].

Tale risultato è stato conseguito in larga parte grazie al ricorso al rimedio della rettifica – già previsto dall’art. 8 della legge sulla stampa (l. 8-2-1948, n. 47) ed esteso nei suoi presupposti applicativi dalla l. 5-8-1981, n. 416 – e soprattutto allo strumento dei provvedimenti d’urgenza di cui all’art. 700 c.p.c.

Prima di passare alla soluzione del problema posto dal Caso 13-1 e quindi al riconoscimento da parte della Cassazione del diritto all’identità personale, occorre effettuare un intermezzo sul bilanciamento tra diritti della personalità e diritto di cronaca [v. –> Capitolo 3 sulla tecnica argomentativa del bilanciamento dei diritti]. Anche per il diritto all’identità personale, infatti, il bilanciamento risulta particolarmente delicato quando la comparazione degli interessi va fatta in riferimento al diritto di cronaca quale proiezione della libertà di manifestazione del pensiero tutelata dall’art. 21 Cost.

Nel 1984 la Cassazione ha elaborato una triade di criteri – passata alla storia come «decalogo del giornalista» – per il bilanciamento tra diritti della personalità e diritto di cronaca (Cass. 1984, n. 5259, in Foro it., 1984, I, 2711).

Ecco la massima della Cassazione pubblicata su Il Foro italiano:

Perché la divulgazione a mezzo stampa di notizie lesive dell’onore possa considerarsi lecita espressione del diritto di cronaca e non comporti responsabilità civile per violazione del diritto all’onore, devono ricorrere tre condizioni:
utilità sociale dell’informazione;
verità oggettiva, o anche soltanto putativa purché frutto di diligente lavoro di ricerca;
forma civile dell’esposizione dei fatti e della loro valutazione, che non ecceda lo scopo informativo da conseguire e sia improntata a leale chiarezza, evitando forme di offesa indiretta.

Questa triade di criteri va tenuta a mente perché fondamentale nella materia dei diritti della personalità e anche perché verrà ripresa –> Capitolo 14 sul diritto all’oblio.

Ora possiamo passare alla soluzione del problema posto dal Caso 13.1 data dalla Cassazione nel 1985 (Cass. 1985, n.3769, in Foro it., 1985, I, 2211).

Ecco la massima [soluzione al problema posto dal Caso 13.1].

Nell’ordinamento italiano sussiste, in quanto riconducibile all’art. 2 cost. e deducibile, per analogia, dalla disciplina prevista per il diritto al nome, il diritto all’identità personale, quale interesse, giuridicamente meritevole di tutela, a non veder travisato o alterato all’esterno il proprio patrimonio intellettuale, politico, sociale, religioso, ideologico, professionale ecc. (nella specie: dal testo di un’intervista resa ad un settimanale dal direttore dell’istituto tumori di Milano, era stata estrapolata, per poi esser riprodotta in un inserto di pubblicità redazionale, un’affermazione circa la minor nocività di sigarette leggere; sulla base del principio dianzi riportato, è stata confermata la condanna generica di risarcimento del danno a carico della società produttrice delle sigarette reclamizzate, nonché dell’agenzia pubblicitaria).

Qui di seguito si riportano i principali argomenti interpretativi. Gli studenti possono esercitarsi nel classificare ciascun argomento [v. –> Capitolo 2 sugli argomenti interpretativi].

Ritiene la corte che il fondamento giuridico-positivo della tutela all’interesse dell’intangibilità dell’identità personale debba individuarsi, conformemente ad un indirizzo di dottrina che va sempre più diffondendosi, nell’art. 2 Cost., il quale dispone che «la repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazione sociali, ove si svolge la sua personalità».
Tale norma costituzionale [art. 2 Cost.] non ha una funzione meramente riassuntiva dei diritti espressamente tutelati nel testo costituzionale od anche di quelli inerenti alla persona umana prevista nel codice civile; essa si colloca al centro dell’intero ordinamento costituzionale ed assume come punto di riferimento la persona umana nella complessità ed unitarietà dei suoi valori e bisogni, materiali e spirituali.
Appunto perciò la norma non può avere un compito soltanto riepilogativo; essa costituisce una clausola aperta e generale di tutela del libero ed integrale svolgimento della persona umana ed è idonea di conseguenza ad abbracciare nel suo ambito nuovi interessi emergenti della persona umana purché essenziali della medesima.
Certo, nel nostro diritto positivo non è dato qualificare i vari diritti della personalità come profili od aspetti di un unico ed onnicomprensivo diritto della personalità, essendo ciascuno di essi riconosciuto a tutela della varietà degli interessi fondamentali dell’uomo, ma, pur costituendo tali diritti distinti ed autonome situazioni giuridiche soggettive, si riconducono tutti al valore integrale ed unitario della persona umana, così come è, questa, intesa nell’art. 2 Cost.
Ciò consente e non esclude affatto la possibilità di individuare nuovi bisogni della persona umana che, se essenziali e fondamentali, possono conseguire immediata ed automatica la tutela giuridica di diritto privato mediante il ricorso all’analogia dai diritti della personalità specificamente riconosciuti.
[L’identità personale] è tutelata nella forma del diritto soggettivo, nel quadro dei diritti della personalità, con strumenti tipici del diritto privato. Pur riconducendosi all’art. 2 Cost., il diritto soggettivo dell’identità personale non si inserisce fra i diritti costituzionalmente garantiti, essendo tali soltanto quelli specificamente previsti dalle successive norme dalla Costituzione. La sua regolamentazione va dedotta, per analogia, dalla disciplina prevista per il diritto al nome (art. 7 c.c.), essendo tale figura la più affine al diritto all’identità personale.

A proposito del leading case del 1985 (caso Veronesi) Giorgio Resta sottolinea quanto segue.

Con la pronunzia del 1985 il processo di radicamento del diritto all’identità personale nell’ordinamento italiano può dirsi sostanzialmente concluso. Residuavano soltanto alcune incertezze di carattere dogmatico, concernenti il rapporto con gli altri diritti della personalità e la definizione dei limiti della tutela, ma anche queste verranno progressivamente superate nella successiva applicazione giurisprudenziale [Resta 2019, 319-320].

Il riferimento è alla soluzione al problema posto dal Caso 13.2: Cass. 1996, n. 978, in Foro it., 1996, I, 1253.

Ecco la massima.

Il fondamento giuridico del diritto all’identità personale va individuato direttamente nell’art. 2 Cost., inteso nella sua più ampia dimensione di clausola generale, aperta all’evoluzione dell’ordinamento e suscettibile di apprestare copertura costituzionale ai nuovi valori emergenti della personalità, in correlazione anche all’obiettivo primario di tutela del pieno sviluppo della persona umana, di cui all’art. 3, cpv., Cost.; pertanto, la concreta disciplina positiva del diritto all’identità personale va mutuata dalle disposizioni codicistiche sulla tutela del nome e dell’immagine, nonché dalle disposizioni sul diritto d’autore, applicabili in via diretta, e non analogica, in quanto gli indicati precetti costituzionali ne impongono un’interpretazione evolutiva ed adeguatrice.

Qui di seguito si riportano i principali argomenti interpretativi. Gli studenti possono esercitarsi nel classificare ciascun argomento interpretativo [v. –> Capitolo 2 sugli argomenti interpretativi].

La specificità di tale interesse («ad essere se stesso») è stata anche colta in parallelo od in contrappunto ad altri interessi ad esso contermini o collegati come l’interesse ai segni distintivi (nome, pseudonimo), che identificano nell’attuale ordinamento il soggetto sul piano dell’esistenza materiale e della condizione civile; all’immagine, che evoca le mere sembianze fisiche; all’onore (che ha una dimensione più spiccatamente soggettiva, rispetto al rilievo oggettivo attribuito alla «identità»); alla reputazione (che postula per la sua compromissione l’attribuzione di fatti suscettibili di causare un giudizio di disvalore e non meramente alterativi – al limite anche in positivo – della personalità, come quelli che incidono sulla «identità»); e lo stesso interesse alla riservatezza, cui si riconosce un obiettivo, per così dire, negativo alla «non rappresentazione» all’esterno (di proprie vicende personali) (cfr. Cass. 990/63; 2129/75), in luogo di quello positivo, alla fedeltà della rappresentazione, che connota l’identità personale.

Anche se la utilità, soprattutto didascalica, di tali distinzioni non deve fare velo al carattere solidale di tali interessi, confluenti in un valore unitario, che è quello della persona umana.

Quest’ultima puntualizzazione che presuppone l’adesione ad una concezione «monistica» dei diritti della personalità (da questa corte, del resto, già sostanzialmente anticipata nella citata sent. 990/63) aiuta anche a definire, senza perplessità, in termini di diritto soggettivo perfetto, la struttura della situazione soggettiva considerata.
E consente, nel contempo, di individuare con maggiore risolutezza (superando le riserve affioranti in qualche tratto della motivazione della pure già citata sentenza 3769/85) il correlativo fondamento giuridico, ancorandolo direttamente all’art. 2 Cost. (cfr. implicitamente su questa linea, anche Corte cost. 13/94, cit.): inteso tale precetto nella sua più ampia dimensione di clausola generale, «aperta» all’evoluzione dell’ordinamento e suscettibile, per ciò appunto, di apprestare copertura costituzionale ai nuovi valori emergenti della personalità in correlazione anche all’obiettivo primario di tutela del «pieno sviluppo della persona umana», di cui al successivo art. 3, cpv.
Per cui la concreta disciplina positiva del diritto in esame effettivamente può mutuarsi dalle disposizioni codicistiche e dalle disposizioni sul diritto di autore, in apertura richiamate: applicabili in via diretta – e non analogica – proprio per l’interpretazione evolutiva ed adeguatrice, di quelle norme che gli indicati precetti costituzionali consentono e, anzi, impongono.

A margine di Cass. 1996, n.978 Giorgio Resta sottolinea quanto segue [Resta 2019, 320, note omesse].

Si conclude così, con l’aperta adesione all’opzione «monistica», l’itinerario intrapreso sin dai primi anni Sessanta con la decisione Petacci c. Palazzi [Cass., 20 aprile 1963, n. 990; v. --> Capitolo 12 sul diritto alla riservatezza]. Tale adesione risulta ora tanto più convinta e consapevole, in quanto viene posta direttamente in correlazione con la concezione «aperta» dell’art. 2 Cost., nel frattempo affermatasi nell’àmbito della giurisprudenza costituzionale.
Quanto al tema dei limiti della tutela, snodo cruciale delle argomentazioni contrarie al riconoscimento di un «nuovo» diritto della personalità, la Suprema Corte richiama il modello di bilanciamento delineato nel c.d. decalogo del giornalista. Pertanto, si osserva, nel conflitto tra contrapposti valori costituzionali, l’esercizio del diritto di cronaca prevarrà sul diritto alla identità personale ogniqualvolta ricorrano le tre condizioni dell’utilità sociale della notizia, della verità dei fatti divulgati e della forma civile della loro esposizione.

13.3 Casi 13-3, 13-4: pubblicazione a fini politici dell’immagine e della battuta di un celeberrimo attore comico defunto da anni; inadempimento contrattuale e tutela dell’identità personale di un Comune

Caso 13-3

Nella città italiana di Pescaror in un manifesto politico del partito «Il pianeta della libertà» viene riprodotta l’immagine con espressione «addolorata» del notissimo attore, scomparso da tempo, Alberto Surdis, e una sua famosa frase pronunciata in un film diverso da quello da cui è tratta l’immagine: «e sono sempre io a pagare!». L’esclamazione viene proferita più volte da Surdis per enfatizzare alcuni tratti del personaggio interpretato: un avaro impenitente. L’immagine è accostata all’abbattimento, determinato dall’amministrazione comunale del partito avverso «La gioiosa macchina da guerre stellari», di un enorme edificio a pochi metri dalla riva marina.

Il figlio dell’attore agisce contro il partito «Il pianeta della libertà».

Qual è il problema?

Qual è la soluzione del problema?

Argomentare la soluzione esplicitando la tipologia di argomenti addotti.

Caso 13-4

Il comune di Barior commissiona a un’impresa la realizzazione di una tensostruttura per lo svolgimento di una stagione teatrale. L’impresa non adempie al contratto.

Il comune agisce per violazione dei propri diritti all’immagine, reputazione e identità personale.

Qual è il problema?

Qual è la soluzione del problema?

Argomentare la soluzione esplicitando la tipologia di argomenti addotti.

Domande. Serie 13-1

Nel caso 13-3 quali sono gli elementi fattuali rilevanti? È rilevante che il manifesto pubblicitario abbia accostato una frase dell’attore pronunciata in un film e un’immagine dello stesso tratta da altra pellicola? Sono rilevanti le opinioni politiche dell’attore? Se l’attore ha avuto in vita un orientamento politico simile a quello del partito che ha usato il manifesto pubblicitario, quest’ultimo dovrebbe prevalere in giudizio? Rileva il fatto che l’attore sia defunto da tempo? Che tipo di risarcimento del danno può essere chiesto dal figlio dell’attore?

Nel caso 13-4 il Comune agisce anche per violazione del diritto all’immagine. A quale nozione di immagine intende fare riferimento il Comune? Qual è la differenza tra immagine e identità personale? Qual è la differenza tra reputazione e identità personale?