Parte Terza

24 Capitolo 24- Brevetti per invenzione, biotecnologie e diritti della persona

24.1 Brevetti per invenzione industriale: brevi cenni introduttivi

La giustificazione teorica dominante per l’esistenza dei brevetti per invenzione industriale è da rinvenirsi nella teoria degli incentivi.

Senza un intervento dello Stato il mercato concorrenziale nel campo dell’innovazione tecnologica non è in grado di funzionare da sé (c.d. fallimento del mercato). Non ci sarebbero incentivi sufficienti a innovare.

È infatti molto costoso produrre l’innovazione tecnologica, mentre è poco costoso copiarla e appropriarsi dello sforzo inventivo altrui.

Per questo motivo lo Stato ha essenzialmente due alternative.

a) Intervenire nella produzione di innovazione tecnologica, producendola direttamente o premiando i produttori.

b) Istituire piccoli monopoli legali (diritti di esclusiva) denominati appunto brevetti per invenzione industriale. Tali diritti di esclusiva incentivano l’inventore a produrre innovazione tecnologica, in quanto attraverso l’esclusiva è possibile proteggere l’investimento effettuato per la creazione dell’invenzione evitando l’appropriazione da parte di concorrenti.

Si tratta dunque di un’anomalia nell’idealizzazione del mercato concorrenziale. Si rimedia al fallimento del mercato, creando artificialmente il più classico dei fallimenti di mercato: il monopolio. L’anomalia è tollerata perché il monopolio legale (il diritto di esclusiva) è limitato in durata e ampiezza. In particolare, per quanto riguarda la durata, una volta scaduto il brevetto tutti possono liberamente sfruttare l’invenzione.

Come il diritto d’autore – già affrontato in questo corso: v. –> Capitoli 6, 11, 22 – anche il brevetto per invenzione industriale è un diritto giovane (nella macrostoria del fenomeno giuridico) e controverso. Peraltro, le correnti di pensiero ostili al brevetto sono ideologicamente trasversali: vanno dal pensiero di ispirazione socialista fino a quello ultraliberista.

L’ostilità ideologica al brevetto è oggi corroborata da studi empirici che mettono in dubbio la reale portata incentivante del brevetto. Di più, mettono in evidenza la distorsione del meccanismo giuridico per finalità estranee all’incentivazione dell’innovazione tecnologica (si pensi al fenomeno di c.d. patent troll, brevetti dormienti non corrispondenti a un’attuazione dell’invenzione, che hanno il solo scopo di estorcere denaro alle imprese esposte al rischio di incappare nella violazione dell’esclusiva durante il proprio processo di innovazione tecnologica).

Veniamo ora alla disciplina italiana (d.lgs. 10 febbraio 2005, n. 30, Codice della proprietà industriale (c.p.i.).

Come si è accennato, il brevetto è un titolo di esclusiva limitato temporalmente (dura massimo 20 anni; art. 60 c.p.i.) e in ampiezza (ad esempio, non copre le invenzioni banali; non copre scoperte, teorie, piani, principi, metodi, programmi e presentazioni di informazioni considerati in quanto tali; art. 45 c.p.i.), consistente nel diritto esclusivo di realizzare l’invenzione industriale, disporne e farne un uso commerciale, vietando tali attività ad altri soggetti non autorizzati (art. 66 c.p.i.).

Il brevetto è rilasciato dallo Stato, attraverso un suo ufficio (nel nostro paese denominato Ufficio Italiano Brevetti e Marchi), all’esito di una procedura amministrativa.

La domanda di brevetto deve contenere la descrizione del contenuto dell’invenzione, le rivendicazioni e i disegni necessari alla sua intelligenza (art. 51 c.p.i.).

Il brevetto costituisce un titolo di esclusiva territoriale. Vale solo per il territorio dello Stato dove è stato richiesto e ottenuto. Ma ci sono convenzioni internazionali che facilitano l’estensione territoriale. Tra queste particolare importanza riveste la Convenzione sul Brevetto Europeo, firmata a Monaco di Baviera il 5 ottobre 1973 e amministrata dall’European Patent Office (EPO) o Ufficio Brevetti Europeo. Tale convenzione consente a ogni cittadino o residente di uno Stato membro di far leva su un’unica procedura europea per il rilascio di brevetti.

Anche il diritto di brevetto per invenzione industriale conosce un aspetto personalistico: il diritto di paternità (art. 62 c.p.i.).

L’invenzione per essere brevettabile deve rispondere ai seguenti requisiti:

a) novità: non deve rientrare nello stato della tecnica (art. 46 c.p.i.);

b) attività inventiva: per una persona esperta del ramo non deve risultare in modo evidente dallo stato della tecnica (art. 48 c.p.i.);

c) industrialità: deve avere applicazioni industriali (art. 49 c.p.i.);

d) liceità: l’attuazione dell’invenzione non deve essere contraria all’ordine pubblico o al buon costume (art. 50 c.p.i.).

Il brevetto può essere contestato in giudizio:

– per mancanza dei uno dei requisiti elencati;

– per usurpazione (ovvero per violazione del diritto morale di paternità).

24.2 Brevetti biotecnologici e diritti della persona. Caso 24-1: richiesta di brevetto attinente a una cellula staminale ricavata da un embrione umano nello stadio di blastocisti

Le biotecnologie costituiscono un campo estremamente redditizio e complesso dell’innovazione. Matteo Ferrari e Umberto Izzo così pongono la questione delle invenzioni biotecnologiche, «cioè di quelle invenzioni che attengono a prodotti costituiti da (o contenenti) materiale biologico». [Ferrari, Izzo 2012, 206 note omesse].

Con quest’ultima espressione si intende «materiale contenente informazioni genetiche, autoriproducibile o capace di riprodursi in un sistema biologico». Il problema o, rectius, la peculiarità delle invenzioni biotecnologiche è data dal fatto che esse riguardano informazioni codificate in sequenze genetiche: queste informazioni possono essere privatizzate, creando così un monopolio circa il loro utilizzo? In caso positivo, con quali limiti? Le informazioni genetiche costituiscono quanto di più basilare si possa immaginare in termini di conoscenza: qualsiasi forma di vita è costituita da una serie di informazioni contenute in sequenze genetiche. Proprio perché si tratta di informazioni così fondamentali, la concessione di una protezione monopolistica ha da sempre incontrato forte ostilità da parte di coloro per i quali la conoscenza dovrebbe essere un bene pubblico e, come tale, non appropriabile. Per altro verso, l’individuazione e l’utilizzo delle informazioni genetiche comporta investimenti economici rilevanti: senza una adeguata protezione giuridica nessuna azienda sarebbe disposta a investire risorse.

La complessità delle invenzioni biotecnologiche deriva da questi elementi:

a) la difficoltà di tracciare confini netti tra natura e attività inventiva umana;

c) il rischio di un’estesa commodification (mercificazione) del vivente e del corpo umano (con implicazioni etiche di notevole portata);

d) il pericolo di una riduzione dell’accesso a una conoscenza fondamentale in diversi campi che vanno dalla tutela della salute all’alimentazione.

Il modello giuridico statunitense, a partire dagli anni ’80 del secolo scorso, ha spinto molto nella direzione della brevettabilità delle biotecnologie.

Vanno ricordate almeno tre tappe rilevanti della via intrapresa dagli USA.

1) La sentenza della Corte Suprema Diamond v. Chakrabarty, 447 U.S. 303 (1980) ha dato il via libera alle invenzioni biotecnologiche.

2) L’emanazione del Bayh-Dole Act che ha consentito alle università americane di brevettare invenzioni derivanti dalle attività di ricerca finanziata con fondi pubblici delle agenzie federali [Caso 2005].

3) La sentenza della Corte Suprema della California Moore v. Regents of the University of California (July 9, 1990) 51 Cal. 3d 120 con la quale si è statuito che le persone non hanno diritto di controllo esclusivo sulle parti staccate del proprio corpo [Resta 2014b].

[Nel caso Diamond v. Chakrabarty] un microbiologo aveva presentato una domanda di brevetto per un batterio che aveva creato attraverso un processo di ingegneria genetica. In seguito alla decisione negativa espressa dall’autorità competente, basata sul fatto che il batterio era un organismo vivente e quindi non brevettabile, il microbiologo aveva adito le vie giudiziarie per ottenere una decisione che affermasse il diritto a brevettare l’organismo. La Corte Suprema riconosce tale diritto, ritenendo che il batterio rientri nella nozione di composition of matter contenuta nella sezione 101 del titolo 35 dell’USC. In chiave più generale, i giudici pongono alcuni importanti principi interpretativi per quanto riguarda la brevettabilità del materiale biologico. In primo luogo, le disposizioni legislative in materia di brevetti devono essere interpretate in senso ampio e omnicomprensivo: questo tipo di interpretazione trova sostegno nei lavori preparatori del Patent Act [...]. In secondo luogo, la distinzione che i giudici devono considerare nel decidere la brevettabilità o meno del materiale biologico non è il fatto che questo sia un organismo vivente o meno, quanto il fatto che questo sia un prodotto della natura o il frutto dell’ingegno umano. Se il materiale biologico rientra in questa seconda categoria, allora sarà brevettabile [...]. [Ferrari, Izzo 2012, 211, note omesse].

Tuttavia, un freno alla brevettabilità in campo genetico è stato posto dalla sentenza della Corte Suprema USA Association for Molecular Pathology v. Myriad Genetics, Inc., 569 U.S. 576 (2013) [Resta 2013; Resta 2014b].

Nel 2009 una vasta coalizione di pazienti, medici e ricercatori universitari, patrocinati dalla celebre associazione per la tutela dei diritti civili, nota con l’acronimo ACLU (American Civil Liberties Union), aveva convenuto in giudizio di fronte alla Corte distrettuale per il Southern District di New York la società Myriad Genetics, l’Università dello Utah e l’Ufficio brevetti statunitense. L’azione era volta ad ottenere la declaratoria di nullità dei brevetti aventi ad oggetto le sequenze dei geni onco-soppressori BRCA1 e BRCA2 – geni dalle cui mutazioni deriva la predisposizione al carcinoma mammario e a quello ovarico – ed i relativi test diagnostici. Questi, brevemente, i presupposti di fatto della controversia. La società Myriad, fondata agli inizi degli anni ’90 del ricercatore Mark Skolnick, riuscì a precedere altri gruppi statunitensi ed internazionali nella corsa al sequenziamento dei geni BRCA1 e BRCA2, impiegando a tal scopo capitali privati e pubblici (il finanziamento concesso dal National Institute of Health e da altri enti, tra i 2 e i 5 milioni di dollari, rappresentava circa un terzo del costo complessivo del progetto). Ottenuti diversi brevetti sui geni e sui metodi diagnostici,
Myriad aveva iniziato a commercializzare i kit per l’esame genetico in regime di esclusiva e a proteggere i propri brevetti in maniera particolarmente aggressiva. [...]
La Corte Suprema degli Stati Uniti, con una storica decisione del 13 giugno 2013, ha ribaltato il giudizio d’appello, stabilendo con voto unanime che, a differenza del DNA sintetico, un segmento isolato di DNA non è suscettibile di brevettazione ai sensi del § 101 del Patent Act, in quanto mero ‘prodotto della natura’ [Resta 2014b, 63-65].

Insomma, i brevetti biotecnologici (e più in generale i brevetti su farmaci e dispositivi medici) incrociano, tra gli altri, il diritto alla salute e il diritto alla vita. Anche in questo si pone il problema della privatizzazione dei beni comuni della conoscenza.

Si tratta di un vero e proprio campo di battaglia, come rilevato da Stefano Rodotà [Rodotà 2012, 126-127].

Gli intrecci tra vita e beni comuni sono palesi. Li rivela il diritto alla salute, quando si concretizza nel diritto all’accesso ai farmaci, che sfida continuamente le logiche proprietarie affidate in primo luogo al diritto dei brevetti. Qui, come tutte le volte in cui si affronta il tema dei beni comuni, non siamo di fronte a processi lineari. Ogni passaggio è faticoso, problematico. È un gioco che si svolge su molti livelli, al quale partecipa una molteplicità di attori.
Persone e Stati, soggetti nazionali e internazionali, società farmaceutiche e organizzazioni di cittadini si confrontano continuamente, spesso in modo conflittuale. Ma la salute, malgrado il persistere di alcune radicate resistenze, si presenta come un diritto fondamentale riconosciuto in modo sempre più ampio e intenso, un punto di partenza ineludibile, un riferimento essenziale. Si manifesta in modo sempre più marcato una impostazione non proprietaria, soprattutto nei paesi dove il conflitto tra la tutela della vita e della salute e la logica del mercato è più evidente e drammatico.
In questo conflitto continuo ci troviamo di fronte a molte possibili impostazioni, talora diverse, spesso complementari. Utilizzazioni nuove di strumenti come le licenze obbligatorie o di pratiche come le importazioni parallele. Ricorso intenso al potere politico. Emersione informale di coalizioni di Stati, testimoniata dalle strade scelte da paesi come il Brasile, il Sudafrica, la Thailandia, e sostenuta da interventi incisivi delle loro corti supreme.
Il diritto fondamentale alla salute incontra così la conoscenza, e il diritto dei brevetti si trasforma in un campo di battaglia. Paesi come il Brasile, il Sudafrica, l’India invocano il diritto di produrre farmaci a basso costo (e di esportarli a certe condizioni), indispensabili per curare milioni di malati di Aids o di malaria, anche violando i diritti di cui sono titolari le grandi multinazionali farmaceutiche. L’accesso alla conoscenza, in questa prospettiva, diviene una condizione necessaria per impedire che la salute sia governata esclusivamente da chi la considera una merce da comprare sul mercato, e non un diritto fondamentale della persona.
La questione capitale è rappresentata, dunque, da una possibile metamorfosi di un sapere tutto risolto nella logica proprietaria, com’è per la produzione farmaceutica. Il risultato di questo processo, che peraltro investe la conoscenza nel suo complesso, è la sua trasformazione, parziale o totale, in un bene comune. Non siamo, allora, di fronte a una semplice associazione tra diritti fondamentali e beni comuni, bensì alla produzione di beni comuni attraverso i diritti fondamentali.

La materia dei brevetti biotecnologici è regolata nell’Unione Europea dalla direttiva 98/44/CE (in Italia dagli art. 81-bis ss. c.p.i.).

A margine della direttiva, Ferrari e Izzo rilevano quanto segue [Ferrari, Izzo 2012, 207].

Rispetto al problema fondamentale cui si accennava in precedenza, e cioè se le informazioni genetiche possano essere oggetto di brevetto, la risposta è positiva, ma con alcuni limiti. In primo luogo, ed è questo un limite che vale per qualsivoglia brevetto, si deve trattare di «invenzioni nuove che comportino un’attività inventiva e siano suscettibili di applicazione industriale, anche se hanno ad oggetto un prodotto consistente in materiale biologico o che lo contiene, o un procedimento attraverso il quale viene prodotto, lavorato o impiegato materiale biologico» (art. 3, par. 1). La regola generale favorevole alla brevettabilità, viene rafforzata dal secondo paragrafo dell’art. 3: il fatto che il materiale biologico preesista al suo isolamento dall’ambiente naturale in cui era inserito o ad un procedimento tramite cui è stato prodotto non osta alla sua brevettabilità. [...]
Secondo limite alla brevettabilità delle invenzioni biotecnologiche è dato dal divieto di brevettare invenzioni il cui sfruttamento commerciale è contrario all’ordine pubblico o al buon costume (art. 5, par. 1) [...].

I casi presentati in questo capitolo riguardano essenzialmente due disposizioni normative: l’art. 6 e l’art. 9 della dir. 98/44/CE.

L’art. 6 così recita.

1. Sono escluse dalla brevettabilità le invenzioni il cui sfruttamento commerciale è contrario all’ordine pubblico o al buon costume; lo sfruttamento di un’invenzione non può di per sé essere considerato contrario all’ordine pubblico o al buon costume per il solo fatto che è vietato da una disposizione legislativa o regolamentare.
2. Ai sensi del paragrafo 1, sono considerati non brevettabili in particolare:
a) i procedimenti di clonazione di esseri umani;
b) i procedimenti di modificazione dell’identità genetica germinale dell’essere umano;
c) le utilizzazioni di embrioni umani a fini industriali o commerciali;
d) i procedimenti di modificazione dell’identità genetica degli animali atti a provocare su di loro sofferenze senza utilità medica sostanziale per l’uomo o l’animale, nonché gli animali risultanti da tali procedimenti.

L’art. 9 così recita.

Fatto salvo l’articolo 5, paragrafo 1, la protezione attribuita da un brevetto ad un prodotto contenente o consistente in un’informazione genetica si estende a qualsiasi materiale nel quale il prodotto è incorporato e nel quale l’informazione genetica è contenuta e svolge la sua funzione.

Il Caso 24-1 riguarda una vicenda finita all’attenzione della Corte di Giustizia (CGUE 18 ottobre 2011, C- 34/10 Brüstle v. Greenpeace).

Il Caso 24-1 è così descritto nella sentenza della Corte di Giustizia.

Caso 24-1

Il sig. Brüstle è titolare di un brevetto tedesco, depositato il 19 dicembre 1997, relativo a cellule progenitrici neurali isolate e depurate, a procedimenti per la produzione delle stesse a partire da cellule staminali embrionali e alla loro utilizzazione per il trattamento di anomalie neurali.

Nel fascicolo del brevetto depositato dal sig. Brüstle è indicato che l’impianto di cellule cerebrali nel sistema nervoso costituisce un metodo promettente per il trattamento di numerose malattie neurologiche. Esistono già prime applicazioni cliniche, segnatamente su pazienti affetti dal morbo di Parkinson.

Al fine di poter rimediare ad anomalie neurali è, infatti, necessario impiantare cellule progenitrici, ancora in grado di evolvere. Orbene, questo tipo di cellule esiste sostanzialmente soltanto durante la fase di sviluppo del cervello. Il ricorso ai tessuti cerebrali di embrioni umani pone importanti problemi etici e non consente di far fronte al fabbisogno di cellule progenitrici necessarie per rendere accessibile al pubblico la cura mediante terapia cellulare.

Per contro, in base al fascicolo di cui trattasi, le cellule staminali embrionali aprono nuove prospettive di produzione di cellule destinate ai trapianti. Pluripotenti, esse possono differenziarsi in tutti i tipi di cellule e di tessuti ed essere conservate nel corso di numerosi passaggi in tale stato di pluripotenza e proliferare. Il brevetto di cui trattasi mira a porre rimedio, in tali circostanze, al problema tecnico di una produzione in quantità praticamente illimitata di cellule progenitrici isolate e depurate, aventi proprietà neuronali o gliali, ricavate da cellule staminali embrionali.

Su domanda di Greenpeace eV, il Bundespatentgericht (Tribunale federale dei brevetti) ha constatato, fondandosi sull’art. 22, n. 1, del PatG, la nullità del brevetto di cui trattasi, in quanto quest’ultimo riguarda le cellule progenitrici ottenute a partire da cellule staminali embrionali umane e su procedimenti per la produzione di tali cellule progenitrici.

La Corte di Giustizia era chiamata a risolvere i seguenti problemi.

    • Cosa costituisce embrione umano?
    • Costituisce embrione umano una cellula staminale ricavata da un embrione umano nello stadio di blastocisti?
    • L’esclusione dalla brevettabilità relativa all’utilizzazione di embrioni umani a fini industriali o commerciali enunciata all’art. 6, n. 2, lett. c), della direttiva 98/44 riguarda l’utilizzazione a fini di ricerca scientifica?
    • L’art. 6, n. 2, lett. c), della direttiva 98/44 esclude la brevettabilità di un’invenzione qualora l’insegnamento tecnico oggetto della domanda di brevetto richieda la previa distruzione di embrioni umani o la loro utilizzazione come materiale di partenza?

La risposta della corte è nei seguenti termini.

L’art. 6, n. 2, lett. c), della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 6 luglio 1998, 98/44/Ce, sulla protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche, deve essere interpretato nel senso che:
– costituisce un «embrione umano» qualunque ovulo umano fin dalla fecondazione, qualunque ovulo umano non fecondato in cui sia stato impiantato il nucleo di una cellula umana matura e qualunque ovulo umano non fecondato che, attraverso partenogenesi, sia stato indotto a dividersi e a svilupparsi;
– spetta al giudice nazionale stabilire, in considerazione degli sviluppi della scienza, se una cellula staminale ricavata da un embrione umano nello stadio di blastocisti costituisca un «embrione umano» ai sensi dell’art. 6, n. 2, lett. c), della direttiva 98/44.
L’esclusione dalla brevettabilità relativa all’utilizzazione di embrioni umani a fini industriali o commerciali enunciata all’art. 6, n. 2, lett. c), della direttiva 98/44 riguarda altresì l’utilizzazione a fini di ricerca scientifica, mentre solo l’utilizzazione per finalità terapeutiche o diagnostiche che si applichi all’embrione umano e sia utile a quest’ultimo può essere oggetto di un brevetto.
L’art. 6, n. 2, lett. c), della direttiva 98/44 esclude la brevettabilità di un’invenzione qualora l’insegnamento tecnico oggetto della domanda di brevetto richieda la previa distruzione di embrioni umani o la loro utilizzazione come materiale di partenza, indipendentemente dallo stadio in cui esse hanno luogo e anche qualora la descrizione dell’insegnamento tecnico oggetto di rivendicazione non menzioni l’utilizzazione di embrioni umani.

I punti della motivazione che chiamano in causa la dignità come limite della brevettabilità sono i 32 e 34 della motivazione.

A tale riguardo, dal preambolo della direttiva emerge che, se è vero che quest’ultima mira a incoraggiare gli investimenti nel settore della biotecnologia, lo sfruttamento del materiale biologico di origine umana deve avvenire nel rispetto dei diritti fondamentali e, in particolare, della dignità umana. Il sedicesimo «considerando» della direttiva, in particolare, sottolinea che «il diritto dei brevetti dev’essere esercitato nel rispetto dei principi fondamentali che garantiscono la dignità e l’integrità dell’uomo».
Il contesto e lo scopo della direttiva rivelano pertanto che il legislatore dell’Unione ha inteso escludere qualsiasi possibilità di ottenere un brevetto quando il rispetto dovuto alla dignità umana può esserne pregiudicato. Da ciò risulta che la nozione di «embrione umano» ai sensi dell’art. 6, n. 2, lett. c), della direttiva deve essere intesa in senso ampio.

A margine della sentenza Greenpeace Giorgio Resta rileva quanto segue [Resta 2013, note omesse].

La Corte, in particolare, ha escluso la brevettabilità delle invenzioni biotecnologiche, la cui attuazione presupponga il compimento di attività configgenti con il precetto di tutela della dignità umana (nella specie: l’utilizzazione di cellule staminali embrionali umane per ricerca). Indipendentemente dalle obiezioni mosse da più parti alla nozione di «embrione» accolta dal collegio, è assai rilevante che la Corte abbia recisamente smentito la tesi della diversità di piani tra giudizio di liceità dell’innovazione e giudizio di validità del brevetto, con ciò ponendo le premesse per una più stretta comunicazione tra diritti di proprietà intellettuale e principi costituzionali.
L’impiego dei diritti fondamentali in funzione conformativa dei diritti di proprietà intellettuale costituisce probabilmente il passaggio più rilevante della riflessione teorico-pratica dell’ultimo decennio e dischiude prospettive importanti proprio per la tematica dei beni comuni. Mentre la lettura tradizionale tendeva a risolvere il rapporto tra le due categorie secondo un ideale armonico di mutuo rafforzamento, soprattutto nel senso che la garanzia della proprietà intellettuale rappresenterebbe l’espressione di un diritto umano, l’esperienza applicativa sta oggi dimostrando che l’ipotesi più realistica è quella del contrasto. Quanto più i regimi d’esclusiva tendono ad espandersi a beni e servizi rilevanti per lo sviluppo umano, tanto più sui diritti fondamentali viene a gravare un indispensabile compito di bilanciamento e neutralizzazione degli effetti distorsivi dei dispositivi dominicali. L’attenzione delle corti e dell’opinione pubblica è venuta sin qui prevalentemente ad appuntarsi su una peculiare tipologia di conflitto: quella tra il regime di sfruttamento delle privative e il precetto di protezione dei diritti umani. Il caso emblematico è ovviamente quello dell’accesso ai farmaci antiretrovirali coperti da brevetto, ma vi sono molte altre fattispecie rilevanti, come quella del contrasto tra tutela del diritto d’autore in Internet e privacy o tra copyright e libertà d’informazione.
In tutti questi casi i diritti fondamentali sono stati invocati in funzione di limiti esterni dei diritti di proprietà intellettuale, al fine di ricondurre l’esercizio dell’esclusiva all’interno dei binari della legalità costituzionale (generalmente attraverso un’interpretazione flessibile degli strumenti interni allo stesso diritto industriale, come la licenza obbligatoria del diritto dei brevetti o le cause di libera utilizzazione del diritto d’autore).

24.3 Il conflitto tra proprietà intellettuale e accesso alla conoscenza nel campo delle biotecnologie agroalimentari. Caso 24-2: brevetto su enzima resistente al glifosato e sua estensione

Ecco il caso 24-2 tratto da Corte giustizia 6 luglio 2010, C-428/08.

Caso 24-2

La Monsanto è titolare del brevetto europeo EP 0 546 090 rilasciato il 19 giugno 1996, avente ad oggetto la 5-enolpyruvylshikimate-3-fosfato sintasi che conferisce tolleranza al glifosato (in prosieguo: il «brevetto europeo»). Tale brevetto europeo produce i suoi effetti, in particolare, nei Paesi Bassi.

Il brevetto europeo descrive una classe di enzimi EPSPS di classe II non sensibili al glifosato. Le piante che contengono siffatti enzimi sono resistenti al glifosato, mentre le erbe infestanti vengono distrutte. I geni che codificano gli enzimi di classe II sono stati isolati a partire da tre batteri. La Monsanto ha inserito tali geni nel DNA di una pianta di soia che ha chiamato soia RR («Roundup Ready»). In seguito a tale inserimento, la pianta di soia RR sintetizza un enzima EPSPS di classe II chiamato CP4-EPSPS, resistente al glifosato. Essa diviene quindi resistente all’erbicida Roundup.

La Cefetra e la Toepfer commerciano in farina di soia. Tre carichi di farina di soia provenienti dall’Argentina sono arrivati nel porto di Amsterdam, rispettivamente, il 16 giugno 2005, il 21 marzo e l’11 maggio 2006. La Vopak ha dichiarato in dogana uno di tali carichi.

Tre carichi sono stati trattenuti dalle autorità doganali sulla base del regolamento (CE) del Consiglio 22 luglio 2003, n. 1383, relativo all’intervento dell’autorità doganale nei confronti di merci sospettate di violare taluni diritti di proprietà intellettuale e alle misure da adottare nei confronti di merci che violano tali diritti (GU L 196, pag. 7). Essi sono stati svincolati dopo la consegna di campioni alla Monsanto. Quest’ultima ha fatto analizzare la merce al fine di stabilire se si trattasse di soia RR.

A seguito delle analisi, la Monsanto, deducendo la presenza nella farina dell’enzima CP4-EPSPS nonché della sequenza di DNA che codifica quest’ultimo, ha presentato contro la Cefetra, la Vopak e la Toepfler dinanzi al Rechtbank ‘s-Gravenhage (Tribunale di Gravenhage, Paesi Bassi) alcune domande volte ad ottenere provvedimenti inibitori sulla base dell’art.16 del regolamento n. 1383/2003, nonché provvedimenti inibitori delle violazioni del suo brevetto europeo per tutti i paesi in cui quest’ultimo è valido. Lo Stato argentino è intervenuto a sostegno delle conclusioni della Cefetra.

I problemi posti dal caso possono essere formulati nei seguenti termini.

L’art. 9 dir. 98/44/CE conferisce protezione al prodotto brevettato quando esso è contenuto nella farina di soia, nella quale esso non svolge la funzione per la quale è brevettato?

L’art. 9 dir. 98/44/CE conferisce protezione al prodotto brevettato quando esso, una volta estratto dalla farina e immesso nella cellula di un organismo vivente, potrebbe per ipotesi svolgere nuovamente tale funzione?

Le soluzioni della Corte di Giustizia sono le seguenti.

L’art. 9 della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 6 luglio 1998, 98/44/CE, sulla protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche, deve essere interpretato nel senso che esso non conferisce una protezione dei diritti di brevetto in circostanze quali quelle di cui alla causa principale, quando il prodotto brevettato è contenuto nella farina di soia, nella quale esso non svolge la funzione per la quale è brevettato, che è stata invece svolta precedentemente nella pianta di soia da cui deriva per trasformazione detta farina, o quando esso, una volta estratto dalla farina e immesso nella cellula di un organismo vivente, potrebbe per ipotesi svolgere nuovamente tale funzione.

L’art. 9 della direttiva 98/44 opera un’armonizzazione esaustiva della protezione che esso conferisce, di modo che esso osta a che una normativa nazionale riconosca protezione assoluta al prodotto brevettato in quanto tale, a prescindere dal fatto che esso svolga o meno la sua funzione nel materiale che lo contiene.