Apoliticismo

Confrontare le osservazioni sparse su quel carattere del popolo italiano che si può chiamare «apoliticismo». Questo carattere, naturalmente, è delle masse popolari, cioè delle classi subalterne. Negli strati superiori e dominanti vi corrisponde un modo di pensare che si può dire «corporativo», economico, di categoria, che del resto è stato registrato nella nomenclatura politica italiana col termine di «consorteria», una variazione italiana della «cricca» francese e della «camarilla» spagnuola, che indicano qualcosa di diverso, di particolaristico, sì, ma nel senso personale o di gruppo strettamente politico-settario (legato all’attività politica di gruppi militari o di cortigiani), mentre in Italia il termine indica qualcosa di piú legato a interessi economici (specialmente agrari e regionali). Una varietà di questo «apoliticismo» popolare è il «pressappoco» della fisionomia dei partiti tradizionali, il pressappoco dei programmi e delle ideologie. Perciò anche in Italia c’è un «settarismo» particolare, non di tipo giacobino alla francese o alla russa (cioè fanatica intransigenza per princípi generali e quindi il partito politico che diventa il centro di tutti gli interessi della vita individuale); il settarismo negli elementi popolari corrisponde allo spirito di consorteria nelle classi dominanti, non si basa su princípi, ma su passioni anche basse e ignobili e finisce con l’avvicinarsi al«punto d’onore» della malavita e all’omertà della mafia e della camorra.

Questo apoliticismo, unito alle forme rappresentative (specialmente dei corpi elettivi locali), spiega la deteriorità dei partiti politici, che nacquero tutti sul terreno elettorale (al congresso di Genova la quistione fondamentale fu quella elettorale); cioè i partiti non furono una frazione organica delle classi popolari (un’avanguardia, un’élite), ma un insieme di galoppini e maneggioni elettorali, un’accolta di piccoli intellettuali di provincia, che rappresentavano una selezione alla rovescia. Data la miseria generale del paese e la disoccupazione cronica di questi strati le possibilità economiche che i partiti offrivano erano tutt’altro che disprezzabili. Si è saputo che in qualche posto, circa un decimo degli iscritti ai partiti di sinistra racimolavano una parte dei mezzi per vivere dalle questure, che davano pochi soldi agli informatori data l’abbondanza di essi o li pagavano con permessi per attività marginali da mezzi vagabondi o con l’impunità per guadagni equivoci. In realtà, per essere di un partito bastavano poche idee vaghe, imprecise, indeterminate, sfumate: ogni selezione era impossibile, ogni meccanismo di selezione mancava e le masse dovevano seguire questi partiti perché altri non esistevano.

Tra gli altri elementi che mostrano manifestamente questo apoliticismo sono da ricordare i tenaci residui di campanilismo e altre tendenze che di solito sono catalogate come manifestazioni di un cosí detto «spirito rissoso e fazioso» (lotte locali per impedire che le ragazze facciano all’amore con giovanotti «forestieri», cioè anche di paesi vicini, ecc.). Quando si dice che questo primitivismo è stato superato dai progressi della civiltà, occorrerebbe precisare che ciò è avvenuto per il diffondersi di una certa vita politica di partito che allargava gli interessi intellettuali e morali del popolo. Venuta a mancare questa vita, i campanilismi sono rinati, per esempio attraverso lo sport e le gare sportive, in forme spesso selvagge e sanguinose. Accanto al «tipo» sportivo, c’è il «tipo» campanilistico «sportivo».

Da Passato e presente, pp. 28-30.