Discutiamo, se vi pare

L’Avanti! del 13 gennaio si prende a partito, con una violenza di linguaggio veramente encomiabile in questa parentesi di assenza completa di ogni stampa legale del partito comunista, un mio articolo sul sindacalismo fascista apparso nella Internationale Presse-Korrespondenz del 2 gennaio. È permesso rispondere sull‘Avanti! stesso? È permesso discutere obiettivamente le opinioni espresse nel mio articolo, per dare ai lettori dell’Avanti! la possibilità di giudicare questo «documento originalissimo del metodo (cioè del bluffismo e della malafede) col quale i comunisti imbottiscono i cervelli proletari dell’estero, riguardo alla situazione italiana? Il partito comunista, d’altronde, non ha, in questo momento, altra possibilità legale che l’Avanti! per rispondere alle quistioni che gli sono state poste: Per la lotta della Confederazione o per la lotta nell’interno dei sindacati fascisti?

Occorre, innanzi tutto, ristabilire il testo del «curiosissimo documento». Io non ho scritto: «Socialisti e massimalisti dimostrano cosí una volta di piú che essi non vogliono combattere realmente al fascismo. Certo essi correrebbero un grande pericolo, se pretendessero di affrontare il fascismo per contrastargli, nel seno delle sue organizzazioni, il controllo e la direzione delle masse», ma invece: «I socialisti riformisti e massimalisti dimostrano cosí, una volta di piú, di non voler combattere realmente il fascismo. Certo si corrono molti pericoli, se si vuoi affrontare il fascismo per contendergli nel seno delle sue stesse organizzazioni e nelle agitazioni che esso inscena qualche volta, il controllo e la direzione delle masse che entrano in movimento». La differenza è essenziale. Appena letto nell‘Avanti! il periodo incriminato in corsivo, ho riguardato il titolo: «Bluffismo e malafede». Va bene, mi sono detto, ma perché proprio «comunista» e non invece massimalista? E d’impulso mi è venuto di scrivere una risposta su questo tono. Ma il mio marxismo, che, ammetto, non appartiene alla intelligente scuola biellese, mi consiglia di iniziare sempre ogni lavoro ed ogni discussione dopo un attento esame delle fonti ed una minuziosa critica del materiale a disposizione, perciò ho voluto vedere, oltre all’edizione tedesca, anche l’edizione francese della Corrispondenza internazionale e ho trovato l’origine filologica dell’errore in cui l’Avanti! è caduto.

Perché l’Avanti! non ha fatto lo stesso mio lavoro, poiché si trattava di un documento tanto curioso ed originale?

Eppure l’Avanti! sa, come io so, che la Corrispondenza dopo la sua soppressione in Germania, ha ripreso le sue pubblicazioni in condizioni molto difficili e disagiate e che la sua edizione originale, data la difficoltà di ricostruire su due piedi un buon apparecchio per le traduzioni, è quella tedesca e non quella francese.

Quando si è marxisti ortodossi come quelli dell’Avanti! non si può dimenticare il canone piú elementare del metodo storico e quindi del marxismo: la critica delle fonti. Era ed è evidente che io, comunista, non potevo aver scritto che solo i socialisti riformisti e massimalisti corrono dei pericoli se affrontano il fascismo sindacale nel seno delle sue stesse organizzazioni e delle sue agitazioni: era ed è evidente che si faceva, nel mio articolo, non una quistione (meschina) di coraggio personale, ma di politica, di tattica sindacale del partito comunista a differenza del Partito socialista unitario e di quello massimalista.

Cosí non ho scritto: «Di qui si vede il successo completo della tattica adottata dal nostro partito per smascherare davanti alle masse i dirigenti federali, che non erano avari di gesti grandiloquenti contro gli industriali», ma invece: «È da notarsi come abbia avuto pieno successo la tattica applicata dal nostro partito per smascherare dinanzi alle masse i dirigenti sindacali fascisti che facevano la voce grossa contro gli industriali». Unisco copia della edizione tedesca della Corrispondenza (pubblicata il 2 gennaio, prima dell’edizione francese) perché il mio contraddittore, marxista intelligente, si persuada proprio che non si tratta di un nuovo episodio di malafede comunista e neppure di un abile ripiego, suggerito dal diabolico metodo moscovita, per ottenere che sempre gli opportunisti mordano iniquamente la polvere.

Hanno, sí o no, i comunisti partecipato all’azione nello svolgimento della vertenza metallurgica? Quale efficacia e quale influenza ha avuto l’intervento dei comunisti? L’Avanti! scrive: «tutta l’azione dei comunisti è consistita… in un appello al fronte unico sotto gli ordini (sic) del sindacalismo fascista».

Tutta l’azione è consistita solo in ciò? E gli operai comunisti che sono in legame con i centri del partito, attraverso la nostra organizzazione, non hanno fatto proprio nulla? Non hanno discusso fra di loro, non sono entrati in nessun rapporto con il restante della massa operaia, non hanno in tutti quei modi che la situazione consente alle grandi masse agglomerate nelle grandi officine torinesi, influito per determinare correnti di opinioni e un movimento reale? Andiamo, via!, l’Avanti! sostenendo ciò dimostrerebbe di essere molto lontano dalla realtà operaia, che pur dice di conoscere cosí bene e cosí da vicino. A Torino i comunisti avevano nettamente conquistato la maggioranza dei lavoratori d’officina; il movimento dei Consigli aveva creato uno strato di circa 10.000 operai che erano stati, almeno per sei mesi, commissari di reparto, che avevano acquistato un notevole grado di capacità organizzativa e di propaganda, come dimostrarono brillantemente durante l’occupazione di settembre, quando la produzione, nonostante l’allontanamento dal lavoro del contingente addetto alla difesa militare, fu aumentata di circa un quarto per rispetto alla gestione capitalistica. A Torino su 32 circoli operai rionali con 12.000 organizzati politicamente, che il partito socialista aveva nel 1920, i massimalisti, dopo la scissione di Livorno, non conservarono neppure un circolo (neppure uno, si badi). La diffusione dell’Avanti! a Torino dal 1920 al 1921 cadde da 30 mila copie a 1.300. E questa massa, dopo l’appello, «l’unico appello» del nostro partito, non avrebbe influito per nulla sulla situazione creata dalla demagogia fascista? Ma che marxismo «intelligente» è quello che fa prendere allo scrittore dell’Avanti! delle cantonate cosí «ortodosse»?

E ci sono i fatti manifesti, oltre che gli indizi degli avvenimenti non affiorati all’onore della cronaca: dopo l’appello comunista i comizi fascisti divennero subito affollati; i fascisti, che compresero, pur non essendo marxisti intelligenti, quale era la causa di questa inaspettata loro popolarità credettero opportuno polemizzare con il manifestino comunista per confutarlo, ribatterlo, mostrarne il «bluffismo e la malafede». E l’agitazione, che poteva straripare, fu subito fatta cessare per ordine di Roma.

«Il partito comunista è per la lotta nella Confederazione o per la lotta nell’interno dei sindacati fascisti?» Ma perché il dilemma? Non si può essere per ambedue queste tattiche? Quale contraddizione di principio esiste fra di esse?

Non siamo marxisti intelligenti come quelli della scuola biellese, ciò è pacifico: siamo dei dialettici e non dei dogmatici. Le formule dell’«intelligenza» marxista: «Col tempo e con la paglia maturano le nespole!; chi la dura la vince!; il tempo è galantuomo!; bandiera rossa trionferà!» non sono le nostre. Noi crediamo necessario partecipare a tutte le azioni delle masse operaie, qualunque sia l’etichetta del momento, qualunque sia l’involucro che il dispotismo armato costringa queste azioni di massa a prendere per rompere la stagnazione.

Il sindacalismo fascista è un fenomeno di coercizione, ma è solamente ciò o è rimasto ciò solamente? La grande massa degli operai e contadini è ridotta, dallo sfruttamento economico e dall’oppressione intellettuale, in condizioni di barbarie; essa è incapace come complesso, di emanciparsi, di progredire nella via della sua liberazione spirituale, per reazioni puramente meccaniche, determinate dallo sfruttamento e dall’oppressione. Il tempo, la realtà, di per sé, non liberano la massa, ma anzi la deprimono e la fanno ancor piú imbarbarire. Occorre che si formino, fuori della massa (pur operando nel suo interno, attivamente e instancabilmente) gruppi ed organizzazioni costituite dagli elementi individuali che non ostante la oppressione e lo sfruttamento capitalistico si sono liberati intellettualmente. Ecco perché il movimento operaio rivoluzionario al suo inizio è stato costituito, in grande maggioranza, di fuorusciti dalla classe dominante; ecco perché i piú grandi teorici del socialismo (da Marx a Lenin) non sono di origine proletaria. Lo spirito proletario rivoluzionario di queste minoranze, di queste organizzazioni iniziali, si manifestava col fatto che esse non si ponevano fuori della massa, come tutrici ufficiali e patentate di trasformarla nei suoi individui, per essa, ma operavano nel suo seno per trasformarla nei suoi individui, per educarla, per trarla fuori dall’indistinto e dall’amorfo, non davano tempo al tempo, non aspettavano che la manna cadesse dal cielo, ma lottavano, si piegavano anche per rialzarsi, facendo insieme rialzare strati interi di popolo lavoratore. Il partito comunista vuol seguire questa tradizione, iniziata dallo stesso Carlo Marx, quando, evidentemente, non era ancora nato il marxismo intelligente della scuola di Biella. Non vuol seguire invece la tradizione del riformismo sindacale, del mandarinismo confederale che ha portato anche in Italia alla formazione di una aristocrazia operaia, che vuol ritornare ai sindacati di mestiere, che vuol estraniarsi dalle lotte della parte piú misera e piú arretrata del popolo lavoratore.

Crede l’Avanti! che molti strati operai e contadini riescano a comprendere molto bene la differenza che passa tra il capolega fascista e l’antico capolega riformista, che era, non meno di questo, autoritario e dispotico, che, come questo, deliberava al di fuori e al di sopra degli organizzati, che «emancipava» la massa creandosi diarie, trasferte, indennità e trascorrendo il suo tempo nelle osterie e nei postriboli, tale e quale il «ras» fascista? E crede che questa «incomprensione» non abbia influito nel trasformare la coercizione in una passività ebete e dolorante? Perché dunque non intervenire nella vita di queste masse, anche se esse sono controllate dal fascismo? Perché non creare nel loro seno gruppi di simpatizzanti e correnti di opinioni che le scuotano, le pervadano e rendano impossibile il dominio della turpe demagogia fascista?

Ma bisogna nello stesso tempo lavorare nella Confederazione, risanarla dal semifascismo che l’ha conquistata. Una tattica sarebbe impossibile senza l’altra. Nessuno dei comunisti del partito ha mai pensato che sia possibile assumere la direzione e il controllo dei sindacati fascisti: c’è anche una sola frase nell’articolo della Corrispondenza internazionale che autorizzi a pubblicare affermazioni cosí inette? I sindacati fascisti, nei limiti delle possibilità oggi esistenti, non possono essere conquistati; si può nel loro seno svolgere soltanto una attività di riflesso, tendente, in linea generale, a disgregarli e questa attività in gran parte non può neppure essere pubblica e non può dar luogo alla formazione di frazioni che operino per modificare costituzionalmente la struttura delle corporazioni.

I comunisti continuano dunque a lavorare nella Confederazione generale del lavoro «per mantenere in vita il sindacalismo di classe, per dare ad essa una direttiva conforme alle necessità della lotta rivoluzionaria del proletariato, per richiamare negli antichi quadri i lavoratori che per apatia e per violenza avversaria se ne sono allontanati». Essi non hanno mai pensato ad abbandonare la Confederazione, nonostante che a Torino, per esempio, la burocrazia confederale abbia, forse piú del fascismo, contribuito a togliere al partito comunista la sua legalità di fatto. I comunisti si meravigliano anzi che, alla vigilia della campagna per il prossimo congresso confederale, l’Avanti! senta la necessità di fare questa strabiliante scoperta, che sarà naturalmente… sostenuta dai riformisti e sarà diffusa in certe zone proletarie, dove la nostra smentita non può giungere. Alla vigilia del congresso, ciò è molto sintomatico, per comprendere la reale volontà di lotta, anche nel seno della Confederazione, che anima lo scrittore dell’ Avanti!, mio contraddittore, e la burocrazia sindacale massimalista che si nasconde alle sue spalle. Gli è che le due tattiche — la lotta per contendere ai fascisti il loro dominio sulle masse nel seno delle corporazioni e nelle agitazioni che esse inscenano qualche volta contro gli industriali e i proprietari terrieri, e la lotta nella Confederazione generale del lavoro contro la burocrazia sindacale già mezzo convertita alla ideologia fascista — sono strettamente collegate; sono momenti di uno stesso processo: chi non vuole l’una non vuole neppure l’altra. La realtà, il tempo, ma anche e specialmente la nostra assidua opera di chiarificazione e di critica, aiuteranno le masse a comprendere ciò per liberarsi da tutte le demagogie e da tutti i padroni.

 

Da Stato operaio, 7 febbraio 1924, firmato G. Masci.