Colpo di Stato

Gli Stenterelli della Confederazione generale del lavoro sono permanentemente in vena di allegria. Intere regioni sono messe a ferro e a fuoco dalla guardia bianca, l’attività sindacale è completamente spezzata, non sussiste piú nessuna garanzia costituzionale per gli individui e per le associazioni, gli operai e i contadini vengono fucilati impunemente da bande armate mercenarie che si spostano liberamente da provincia a provincia e da regione a regione, ma gli Stenterelli della Confederazione non perdono perciò né l’appetito né il buon umore.

Esiste in Italia la possibilità di un colpo di Stato? Quale deve essere l’atteggiamento della Confederazione, dell’organismo massimo del proletariato italiano, nei riguardi di questa possibilità? Gli Stenterelli confederali ridono del fatto che solo si faccia l’ipotesi del colpo di Stato. Ma non viviamo oggi in Italia in piena atmosfera di colpo di Stato? Cosa significa, cosa rappresenta la situazione di intere province e di intere regioni in cui è il fascismo che governa e non piú l’autorità ufficiale? Non è stata forse restaurata la pena di morte, non è stato ripristinato l’uso del bastone, e queste forme di punizione non sono forse amministrate da organismi extralegali?

Questo è l’ambiente del colpo di Stato, non è ancora il colpo di Stato nella sua piena efficienza. Esiste ancora il Parlamento, il governo è ancora scelto e controllato dal Parlamento; nessuna legge eccezionale ha ancora abolito formalmente le garanzie statutarie. Ma è possibile immaginare che l’attuale condizione di cose possa durare ancora per molto tempo? Esistono oggi in Italia due apparecchi repressivi e punitivi: il fascismo e lo Stato borghese. Un semplice calcolo di utilità induce a prevedere che la classe dominante vorrà ad un certo punto amalgamare anche ufficialmente questi due apparecchi e che spezzerà le resistenze opposte dalla tradizione del funzionamento statale con un colpo di forza diretto contro gli organismi centrali di governo. Avremo allora il «colpo di Stato», secondo lo schema che le ideologie democratiche sullo Stato parlamentare hanno costruito: si verificheranno delle resistenze da parte del popolo, dei tentativi di insurrezione locale, delle resistenze da parte della burocrazia, che a ragione temerà di essere sacrificata per soddisfare le esigenze economiche di una turba di disoccupati in cerca di impiego e di stipendi. La parte piú reazionaria e spregiudicata della classe dirigente imporrà la sua dittatura sanguinosa, scioglierà le organizzazioni operaie, consegnerà tutti i poteri nelle mani della casta militare. Esiste o non esiste questo pericolo? E come deve comportarsi la Confederazione nei suoi riguardi?

Abbiamo, in una manchette, ricordato che la Confederazione generale del lavoro di Germania dedicò tre mesi di lavoro organizzativo per essere in grado di spezzare il colpo di Stato Kapp-Luttwitz. Gli Stenterelli della Confederazione italiana prendono la palla al balzo per concludere che dunque bisogna collaborare con «quelle forze non rigidamente rivoluzionarie e classiste che sono contrarie al colpo di Stato». In Germania le masse proletarie spezzarono, con lo sciopero generale insurrezionale, il tentativo di Kapp-Luttwitz; oggi si ricomincia, oggi il pericolo del colpo di Stato è accresciuto. I «collaboratori» non rigidamente rivoluzionari che per nulla avevano contribuito alla resistenza, si opposero alla continuazione del movimento insurrezionale, si opposero al proseguimento della lotta per l’instaurazione della Repubblica dei soviet tedeschi. Cosí le forze reazionarie non furono represse, poterono ritirarsi in buon ordine, sparpagliarsi secondo un piano prestabilito e riprendere il lavoro di armamento, di reclutamento, di organizzazione che oggi dà a Kapp e Luttwitz una maggiore probabilità di buona riuscita.

L’esperienza tedesca dovrebbe insegnare qualcosa alle organizzazioni operaie degli altri paesi: essa non insegna nulla agli Stenterelli italiani. Questi beceri della politica si illudono ancora di potere, con delle contrattazioni vergognose, evitare le bastonate e le pallottole alle loro persone. Neppure l’esempio ungherese è stato sufficiente per indurli a stabilire una linea d’azione che sia aderente alla realtà degli avvenimenti. Ciò che oggi succede in Italia non li scuote minimamente: continuano a cullarsi nella piú beata e beota indifferenza.

Incendi, assassini, bastonature, fucilazioni in massa, scioglimenti di organizzazioni, occupazione delle sedi operaie, impossibilità di riunione, formazione di una massa, che ogni giorno diviene piú numerosa, di profughi, di esiliati, di affamati; creazione di stati d’animo che dalla disperazione minacciano di passare alla pazzia e al furore collettivo: tutto ciò non li preoccupa, non li scuote, non li induce ad acquistare un maggior senso della responsabilità. Essi scherzano, essi ridono, essi si divertono a far dello spirito sul partito comunista, che non ha la forza necessaria per proclamare la… rivoluzione.

L’esperienza ungherese ha lasciato un insegnamento: i reazionari, per battere i comunisti, accarezzano in un primo tempo i socialisti, scendono a patti con loro, fanno degli accordi di pacificazione; una volta battuti i comunisti, gli accordi e i patti vengono stracciati e anche i socialisti assaporano la corda e la pallottola. L’allegria, che permanentemente caratterizza gli Stenterelli confederali, appare, secondo la logica degli avvenimenti, l’anticipazione della smorfia granguignolesca di questa povera élite dirigente del proletariato italiano, che per le sue indecisioni, per la sua inettitudine, per la sua incapacità a comprendere le situazioni politiche minaccia d’essere travolta in un caos di barbarie senza precedenti nella storia del nostro paese.

L’Ordine Nuovo, 21 luglio 1921. Non firmato.