Ugo Ojetti e i gesuiti

La Lettera al rev. padre Enrico Rosa di U. Ojetti è stata pubblicata nel Pegaso del marzo 1929 e riportata nella Civiltà cattolica del 6 aprile successivo, con la lunga postilla del padre Rosa stesso.

La lettera dell’Ojetti è raffinatamente gesuitica. Comincia cosí: «Reverendo padre, tanta è dall’ll febbraio la calca dei convertiti a un cattolicesimo di convenienza e di moda che Ella permetterà ad un romano, di famiglia, come si diceva una volta, papalina, battezzato in Santa Maria in Via ed educato alla religione proprio in Sant’Ignazio di Roma e dai loro gesuiti, d’intrattenersi mezz’ora con Lei, di riposarsi cioè dal gran bailamme considerando un uomo come Lei, integro e giudizioso, che era ieri quel ch’è oggi e quello che sarà domani». Piú oltre, ricordando i suoi primi maestri gesuiti: «Ed eran tempi difficili, che fuori a dir gesuita era come dire subdola potenza o fosca nequizia, mentre là dentro, all’ultimo piano del Collegio romano sotto i tetti [dove era posta la scuola di religione gesuita dove l’Ojetti fu educato], tutto era ordine, fiducia, ilare benevolenza e, anche in politica, tolleranza e mai una parola contro l’Italia, e mai, come purtroppo accadeva nelle scuole di Stato, il basso ossequio alla supremazia vera o immaginata di questa o di quella cultura straniera sulla nostra cultura». Ancora: ricorda di essere «vecchio abbonato» della Civiltà cattolica e «fedele lettore degli articoli ch’Ella vi pubblica» e perciò «io scrittore mi dirigo a lei scrittore, e le dichiaro il mio caso di coscienza».

C’è tutto: la famiglia papalina, il battesimo nella chiesa gesuitica, l’educazione gesuitica, l’idillio culturale di queste scuole, i gesuiti soli o quasi soli rappresentanti della cultura nazionale, la lettura della Civiltà cattolica, il padre Rosa come vecchia guida spirituale dell’Ojetti, il ricorso dell’Ojetti, oggi, alla guida di lui per un caso di coscienza. L’Ojetti dunque non è un cattolico di oggi, non un cattolico dell’ 11 febbraio, per convenienza o per moda; egli è un gesuita tradizionale, la sua vita è un «esempio» da portare nelle prediche, ecc. L’Ojetti non è mai stato made in Paris, non è mai stato un dilettante dello scetticismo e dell’agnosticismo, non è mai stato volterriano, non ha mai considerato il cattolicismo tutto al piú come un puro contenuto sentimentale delle arti figurative. Perciò l’11 febbraio l’ha trovato preparato ad accogliere la Conciliazione con «ilare benevolenza»; egli non pensa neppure (Dio liberi!) che si possa trattare di un instrumentum regni, perché egli stesso ha sentito «che forza sia nell’animo degli adolescenti il fervore religioso, e come, una volta acceso, esso porti il suo calore in tutti gli altri sentimenti, dall’amore per la patria e per la famiglia fino alla dedizione verso i capi, dando alla formazione morale del carattere addirittura un premio e una sanzione divina». Non è questa in compendio, la biografia, anzi l’autobiografia dell’Ojetti?

Però, però: «E la poesia? E l’arte? E il giudizio critico? E il giudizio morale? Tornerete tutti a obbedire ai gesuiti?», domanda uno spiritello all’Ojetti, nella persona di «un poeta francese, che è davvero un poeta». L’Ojetti non per nulla è stato alla scuola dei gesuiti; a queste domande ha trovato una soluzione squisitamente gesuitica, salvo che in un aspetto; nell’averla divulgata e resa aperta. L’Ojetti dovrebbe ancora migliorare la sua «formazione morale del carattere» con sanzione e premio divino: queste sono cose che si fanno e non si dicono. Ecco infatti la soluzione dell’Ojetti: «… la Chiesa, fermi i suoi dogmi, sa indulgere ai tempi e ben l’ha mostrato nel Rinascimento [ma dopo il Rinascimento c’è stata la Controriforma, di cui i gesuiti sono appunto campioni e rappresentanti], e Pio undecimo, umanista, sa di quant’aria abbisogni la poesia per respirare, e che ormai, da molti anni, senza aspettare la Conciliazione, anche in Italia la cultura laica e quella religiosa collaborano cordialmente nella scienza e nella storia». «Conciliazione non è confusione. Il papato condannerà, com’è suo diritto; il governo d’Italia permetterà, com’è suo dovere. E Lei, se lo crederà opportuno, spiegherà sulla Civiltà cattolica i motivi della condanna e difenderà le ragioni della fede, e noi qui, senza ira, difenderemo le ragioni dell’arte, se proprio ne saremo convinti, perché potrà darsi, come spesso è avvenuto da Dante al Manzoni, da Raffaello al Canova, che anche a noi fede e bellezza sembrino due lati dello stesso volto, due raggi della stessa luce. E talvolta ci sarà caro educatamente discutere. Baudelaire, ad esempio, è o non è un poeta cattolico?» «Il fatto è che oggi il conflitto pratico e storico è risolto. Ma nell’altro [«tra assoluto e relativo, tra spirito e corpo», «eterno contrasto che è nella coscienza di ciascuno di noi», dice Ojetti, cosa per cui B. Croce e G. Gentile, non cattolici, «furono contro il modernismo (?), soddisfatti (?) di vederlo sconfitto perché (?) sarebbe stato la cattiva (?) Conciliazione, il subdolo equivoco fatto sacra dottrina»] che è intimo ed eterno [e se è eterno come può essere conciliato?] non lo è, non può esserlo; e l’aiuto che a ciascuno può dare e dà quotidianamente la religione per risolverlo, a noi cattolici [come si può essere cattolici col «contrasto eterno»? Si può essere tutt’al piú gesuiti! ] la religione lo dava anche prima. Pochezza nostra se non siamo riusciti ancora con quell’aiuto a risolverlo una volta per sempre (!?); ma Ella sa che proprio dal continuo risorgere, rinnovarsi e rinfocarsi di quell’eterno conflitto sprizzano e sfavillano poesia ed arte».

Documento stupefacente davvero di gesuitismo e di bassezza morale. L’Ojetti può creare una nuova setta supergesuita: un modernismo estetizzante gesuitico!

La risposta del padre Rosa è meno interessante perché gesuiticamente piú anodina. Il Rosa si guarda bene dal guardare per il sottile nel cattolicismo di Ojetti e in quello dei neoconvertiti. Troppo presto: è bene che Ojetti e C. si dicano cattolici e si strofinino ai gesuiti, forse anzi da loro non si domanderà di piú. Dice bene il Rosa: «Convenienza e moda tuttavia, diciamolo tra noi in confidenza e di passaggio, che è forse un minor male e quindi un certo bene, rispetto a quella convenienza e moda antecedente, di futile anticlericalismo e di gretto materialismo, per cui molti o interessati o timidi si tenevano lontani dalla professione della fede che pure serbavano ancora in fondo all’anima naturalmente cristiana».

Da Letteratura e vita nazionale, Roma, 1971, pp. 191-194.