Le elezioni in Italia

Tutti i partiti si dichiarano soddisfatti dei risultati delle elezioni, perché tutti fino alla vigilia delle stesse mancavano di un metro di giudizio e si chiedevano fino a qual punto si sarebbe spinto il terrorismo fascista. Questa costatazione rivela di colpo quale è il nodo della situazione italiana: la disorganizzazione delle masse, l’impossibilità di tenere delle riunioni, la scarsa diffusione dei giornali apertamente ostili al fascismo.

La debolezza reale del fascismo tuttavia è stata rivelata dal successo dell’opposizione, accolto con tale rabbia dai fascisti da provocare in alcuni casi rappresaglie immediate contro le organizzazioni operaie e contadine.

In tutta l’Italia del nord il voto degli operai ha dimostrato l’inconsistenza delle corporazioni nazionali fasciste. I fascisti se ne sono immediatamente resi conto e hanno già proceduto, in molte località, allo scioglimento dei loro sindacati.

L’atteggiamento del fascio nei confronti della democrazia potrebbe essere descritto con l’espressione biblica: Nec tecum nec sine te vivere possum: non posso vivere né con te né senza di te. Praticamente la contraddizione si risolve in una enorme buffonata: i liberi elettori sono andati alle urne a manifestare il loro diritto sovrano scortati da veri e propri plotoni di esecuzione. Si tenga conto dei morti, degli emigrati, dei carcerati che hanno anch’essi votato! E Mussolini ha ottenuto il 6 aprile 4.600.000 suffragi su 7.600.000 e 400 mandati su circa 536.

Queste elezioni hanno però avuto una grande importanza: i loro risultati permettono di rendersi conto dell’orientamento generale della vita politica italiana.

Prima del 6 aprile tra gli operai era largamente diffusa l’opinione che la borghesia progressiva radicale avrebbe fatto la sua «rivoluzione antifascista». Si diceva che la classe operaia avrebbe dovuto, per qualche tempo, cedere il posto sulla scena politica all’opposizione costituzionale, necessaria in questo momento storico. La tattica dell’astensione proposta dai riformisti (Turati) e il ripudio da parte dei riformisti e dei massimalisti della proposta comunista di un blocco operaio e contadino erano suggeriti da questa convinzione. Cosí si spiega anche la tattica del partito comunista che dovette, a suo rischio e pericolo, rompere con lo stato d’animo «liquidazionista» delle grandi masse. Le elezioni hanno dimostrato che l’opposizione costituzionale (Bonomi-Amendola) non ha nessuna forza nel paese: in tutta l’Italia settentrionale e centrale essa non ha ottenuto che i suffragi di un’infima minoranza antifascista; essa ha avuto solo un successo relativo nell’Italia meridionale, fra i contadini della Campania e della Sicilia, il che si spiega col fatto che il partito popolare (cattolico) in queste regioni è debole e infeudato ai grandi proprietari. Le elezioni hanno pressoché annientato le prospettive del blocco borghese-socialista (Turati) e rafforzato le posizioni del partito comunista, al quale si apre la possibilità di un’intensa campagna per un governo operaio e contadino.

La resistenza e la combattività della classe operaia si sono rivelate superiori alle previsioni. I tre partiti proletari hanno raccolto insieme 1.120.000 suffragi (riformisti 470.000; massimalisti 340.000; comunisti 310.000). A Milano i voti operai sono stati piú numerosi di quelli del Partito socialista unificato alle elezioni del 1919, cioè all’epoca del piú alto sviluppo rivoluzionario. Dai 56.000 voti del 1919 si è passati ai 66.000 voti nel 1924. In tutte le città grandi e piccole (eccettuata Milano) la lista fascista si è trovata persino in minoranza in confronto a tutte le opposizioni riunite, fra le quali i partiti operai occupano il primo posto. Il proletariato ha brillantemente ripreso la sua funzione storica di avversario principale della reazione: da queste elezioni risulta che nessuna opposizione efficace è possibile contro il fascismo al di fuori dell’opposizione rivoluzionaria. Ciò è confermato dal brillante successo del partito comunista, che aveva 13 mandati nel precedente Parlamento e che ne avrà 18 nella nuova legislatura, mentre i riformisti cadono da 83 a 25 e i massimalisti da 46 a 22. Nella maggior parte delle città industriali il partito comunista ha ottenuto piú voti dei massimalisti; nel Sud i comunisti hanno avuto piú voti dei massimalisti e riformisti messi insieme. A Milano, dove i massimalisti erano particolarmente forti, grazie all’azione dell’Avanti!, i comunisti hanno cionondimeno conquistato due seggi.

La massa contadina sembra essere stata completamente disgregata. Essa ha disertato il partito popolare, caduto da 106 a 36 mandati, ed ha formato, per sottrarsi al terrorismo, tutta una serie di raggruppamenti politici locali che si sono presentati alle urne come filofascisti. Nella sua grande maggioranza la massa rurale ha votato per la lista fascista: nei villaggi dove il voto di ciascun elettore è facilmente controllabile, i fascisti hanno ottenuto il 100 per cento dei suffragi e persino di piú, giacché hanno «votato» anche i morti e gli emigrati.

Cosí il fascismo ha vinto, e il governo Mussolini è uscito dalle urne rafforzato all’interno e all’estero. (Il cambio italiano è oggi piú favorevole). Le conseguenze saranno molteplici. La nuova Camera cercherà di assumere il carattere di costituente fascista, di creare una legalità fascista, di abrogare lo Statuto e le libertà democratiche; già si annunciano provvedimenti rigorosi contro la stampa di opposizione. Non e improbabile — come ha lasciato capire Amendola in un discorso programmatico — che l’opposizione costituzionale sollevi la questione pregiudiziale di nuove elezioni per una Costituente, e in questo caso la sua parola d’ordine sarà quella del blocco borghese-socialdemocratico.

Il partito comunista esce rafforzato dalle elezioni per assumere in un prossimo futuro dei compiti di primo piano. Nei centri urbani le sue organizzazioni si sono attestate su solide posizioni. Le direttive date dalla direzione del partito sono state seguite con perfetta disciplina. Meno forte è l’organizzazione comunista tra i salariati agricoli, particolarmente numerosi nel nostro paese. Nelle zone puramente agricole (Italia meridionale) tuttavia non abbiamo subito una perdita di seggi: ne abbiamo conquistato tre in Sicilia, Puglia e Campania. In Sicilia e in Puglia i voti sono esclusivamente contadini, il che conferisce loro un significato particolare; essi sono stati superiori alle nostre speranze. La condizione economica delle popolazioni in queste regioni è spaventosa: l’emigrazione è resa impossibile dalla recente legge americana, e ciò provoca una congestione demografica nel momento in cui i grandi proprietari riducono la superficie coltivata. Solo il terrorismo fascista impedisce che si scateni un’ondata di rivolte analoga a quella del 1860-70 e 1890-1900.

All’indomani delle elezioni, il nostro partito ha piú larghe possibilità di agitazione. I suoi compiti sono essenzialmente i seguenti: 1) obbligare il partito massimalista ad uscire dall’equivoco ed a decidersi per il blocco con i comunisti o per la fusione con i riformisti; 2) elaborare un programma di governo operaio e contadino suscettibile di soddisfare le masse contadine che sono le piú provate dal terrore fascista.

La campagna sistematica per l’attuazione di queste parole d’ordine deve soprattutto affrettare la soluzione della crisi nel partito popolare, il quale, sotto la pressione delle masse contadine e nonostante gli sforzi dei suoi dirigenti, sta staccandosi dalla politica del Vaticano, mentre Turati si sforza di asservire alla destra borghese una parte degli operai. Dare scacco a tutti questi piani e stringere solidi vincoli con i contadini del Sud e delle Isole: questo è il dovere del nostro partito. Il modo in cui il nostro partito saprà assolvere ai suoi compiti determinerà il carattere di tutto un periodo della storia del nostro paese.

La correspondance Internationale, 17 aprile 1924. Firmato G. Masci.