Liberalismo e blocchi

La piú strana delle tesi che avviene di sentir sostenere nella presente lotta elettorale è questa: che in essa è rinato il liberalismo. La piú strana delle proposizioni che avviene di sentir sostenere è questa, che la formazione dei blocchi è una prova di questa rinascita, che il programma dei blocchi è un programma liberale, che liberale è l’azione loro.

Non neghiamo che queste affermazioni possano avere un valore energetico. Esse possono servire a risvegliare nell’animo di qualche borghese, se pure esistono ancora borghesi che serbino nozione della storia della loro classe, il ricordo dell’età dell’oro della borghesia. L’età del liberalismo è l’età dell’eroismo individuale borghese e dell’eroismo di partito. Liberali erano i borghesi che da soli, senza chiedere sostegno se non al sentimento della loro responsabilità, senza chiedere altra difesa che la libertà, creavano un nuovo mondo economico e morale, spezzando i limiti di ogni precedente schiavitù. Liberali erano i partiti che facevano della libertà la premessa di ogni programma e quasi esaurivano in questa affermazione ideale ogni loro virtù. Chiamare liberali i borghesi di oggi, che del valore morale della libertà hanno perduto la coscienza è perciò assai peggio che stranezza, cosí com’è mancanza assoluta di comprensione politica credere liberali i partiti borghesi odierni, o peggio ancora, il blocco nel quale essi sono scomparsi.

Bisognerebbe però anzitutto, cercare se oggi esistano partiti borghesi, e riconoscere che da quando la nazionalizzazione dell’economia ha sostituito alla concorrenza politica fra città e campagna il loro accordo in un sistema statale di protezione reciproca, da allora i partiti della borghesia, i partiti nel senso classico della parola, sono venuti meno. Dove il contrasto fra città e campagna non ha mai assunto una forma organica e storicamente continua, come in Italia nell’epoca moderna, partiti non ne sono esistiti mai, o sono scomparsi appena è scomparso il fervore che aveva permesso la loro formazione sulla base non di interessi reali, ma di affermazioni ideali pure. In Italia i partiti sono morti con la Destra, e la parola liberalismo da allora, mutando significato, è diventata sinonimo di arte di governo. Era prima una premessa, la premessa all’esistenza di ogni partito; divenne poi qualche cosa come una conseguenza, una risultante, la risultante dell’azione dei singoli gruppi piú o meno armonicamente composta dall’abilità del governante. Non fu piú teoria di libertà e affermazione di responsabilità, ma teoria e pratica di equilibrio e di accomodamento e quindi negazione del valore delle affermazioni ideali e scomparsa del senso della responsabilità. Chi simbolizza questo processo di trasformazione è Giovanni Giolitti, e non per niente la costituzione dei blocchi, che è l’ultimo atto di essa, si è compiuta dietro sua ispirazione e per sua volontà.

Nel blocco è morto il partito politico, e la pratica dell’accomodamento si estende dal Parlamento agli stessi gruppi politici del paese. Nel blocco la tattica liberale muore e confessa di essere morta.

Ma la fine del liberalismo è ancora piú esplicitamente confessata nel programma. Programma dei blocchi è la difesa contro l’assalto che si muove alle posizioni della borghesia. Ma una classe che si difende e fa della difesa l’unico principio suo di governo cessa, per questo solo fatto, di essere una classe liberale, cessa di avere la capacità di mantenere nel proprio seno l’aspirazione allo sviluppo di ogni energia senza altro limite che non sia la stessa libertà. L’essere la borghesia arrivata a questo punto, è il segno piú certo del suo scadimento.

Sono morti nel suo seno i partiti, rimane solo la classe, e nemmeno un governo di partito, cioè costituito in nome di un principio ideale, la borghesia non può piú avere, ma solo un governo di classe a scopo di conservazione. Questo e non altro noi vogliamo esprimere quando affermiamo che è giunta per essa l’età della dittatura.

Della dittatura borghese i blocchi sono una forma, la forma piú elevata, la forma piú bassa, quella nella quale la dignità della storia scende al livello della farsa e dell’oscenità. Ma nel simbolo dei blocchi le insegne fasciste ricordano che la dittatura borghese è pure una cosa seria e tragica; quando dalla scena elettorale si passa alle lotte combattute in campo aperto, esse ricordano agli operai che la borghesia non cede senza aver provato l’uso di ogni mezzo di difesa e di distruzione.

Con tutto ciò il liberalismo non ha niente a che fare, come nulla ha a che fare il coraggio con la violenza dei fascisti operanti all’ombra dello Stato. Lo spirito del liberalismo vive in coloro che lottano, soli, non avendo altro sostegno che la loro forza, il senso della loro responsabilità, non avendo altro scopo che la realizzazione delle loro idee, per una sempre piú profonda liberazione del mondo.

L’Ordine Nuovo, 14 maggio 1921. Non firmato.