La mano dello straniero

Quale pressione hanno esercitato gli interessi e gli agenti stranieri nella determinazione e nello svolgimento della crisi parlamentare italiana, oggi solo provvisoriamente e malamente conclusa? A questo proposito, come è facile comprendere, è dato a noi disporre solo di indizi molto vaghi e generici: la molteplicità degli indizi rappresenta però, di per se stessa, un documento di alto valore storico e di carattere probativo.

Dopo la caduta del primo ministero Nitti, i sostenitori dell’uomo di Stato basilisco affermarono che nella nuova orientazione della politica italiana non erano estranei gli influssi della Francia. Il Resto del Carlino, allora nittiano e antigiolittiano, pubblicò un documento impressionante: la prova ufficiale che il signor Clemenceau si era rivolto all’on. Nitti per domandargli che fosse ad ogni costo represso il movimento operaio italiano, e la «dignitosa» risposta dell’on. Nitti al Clemenceau. Il Resto del Carlino dimenticò però di rilevare che, immediatamente dopo l’ingiunzione francese, fu dall’on. Nitti istituita, con decreto-legge, la regia guardia, unicamente destinata a reprimere il movimento operaio: dimenticò cioè di rilevare che l’on. Nitti, se rispose «dignitosamente» all’ingiunzione straniera, in realtà ubbidì all’ingiunzione stessa, passando sopra alla Costituzione del regno, che vieta la creazione di milizie mercenarie, e alle «buone norme parlamentari», che avrebbero domandato almeno una regolare discussione dinanzi alla Camera dei deputati.

Se si può fare una distinzione tra Nitti e Giolitti a questo proposito, essa è di carattere formale, non sostanziale: Giolitti piú apertamente accetta la soggezione agli stranieri, Nitti invece cerca di «salvar la faccia» e fa di necessità virtù. Giolitti è la «tradizione» della soggezione italiana; il suo atteggiamento del maggio 1915 non può essere spiegato in altro modo che con gli impegni tassativi da lui personalmente assunti con lo stato maggiore prussiano. Il suicidio del generale Pollio, che si era recato a Berlino per firmare la convenzione militare che nel 1912 mutava radicalmente il vecchio trattato della Triplice alleanza, è stato l’indizio piú evidente di questa rottura di contratto: che l’on. Giolitti conservasse un profondo rancore verso la Corona per aver ceduto alle nuove pressioni fu poi dimostrato dall’aver egli posto, come caposaldo del suo programma di governo dopo l’armistizio, l’abolizione dell’articolo 5 dello Statuto, che appunto dà alla Corona la prerogativa del dichiarare le guerre.

Caduta la dinastia Hohenzollern, e svanita ogni possibilità di un suo ritorno, l’orientamento politico dell’on. Giolitti mutò, i suoi rancori sbollirono. Prima della guerra, secondo l’espressione di Paolo Bourget, tre baluardi esistevano in Europa della «civiltà classica»: il Vaticano, lo stato maggiore tedesco, la Camera dei lords britannica. Dopo la guerra due di queste istituzioni sono cadute. Il Vaticano ha mutato radicalmente la sua struttura: la sua base tradizionale, che era la vecchia aristocrazia terriera, le è venuta a mancare per la stessa ragione per cui sono venuti a mancare il militarismo prussiano e la Camera dei lords, ed è stata sostituita dalla classe dei contadini piccoli e medi. In Europa la maggior forza di conservazione è rappresentata dal Parlamento francese, in cui ancora l’aristocrazia terriera domina. Come prima della guerra il punto di vista dell’on. Giolitti era, in definitiva, quello dello Junker prussiano, cosí come è oggi quello dell’hobereau vandeano. Spregiudicato e cinico, l’on. Giolitti apertamente lascia che i francesi, molto meno riguardosi dei tedeschi, spadroneggino nel nostro paese. È naturale che i suoi bassi agenti, i vari Pippo Naldi del giornalismo, siano ancora piú cinici e spregiudicati del principale e giungano fino al piú sfacciato servilismo verso i funzionari dello Stato francese in Italia.

A parte gli episodi di corruzione individuale, la quistione degli influssi stranieri in Italia è la quistione fondamentale della nostra vita politica. Nei suoi termini essenziali essa può essere cosí definita: la classe piú conservatrice, quella dei grandi proprietari terrieri, approfitta della crisi industriale per riprendere il sopravvento in tutti gli Stati europei. La reazione, in tutta Europa, ha un carattere spiccatamente agrario. La Francia, dove i latifondisti conservano una maggiore potenza politica, diventa il centro reazionario mondiale. I conservatori di tutti i paesi si orientano verso la Francia e ne ricevono gli ordini. In Italia questa soggezione, per la maggior depressione generale del paese e per la maggior vigliaccheria delle classi di governo, si manifesta in forme piú brutali. Si è vista La Stampa, con tutta la schiera degli altri giornali giolittiani, partecipare alla manovra dei conservatori francesi per la caduta di Briand durante la conferenza di Washington (pubblicazione del telegramma di Pertinax sull’incidente Briand-Schanzer). Si è vista la democrazia giolittiana rovesciare il ministro Bonomi per rimandare la conferenza di Genova, secondo gli intendimenti del signor Poincaré. Ma i nittiani procederebbero diversamente? Il creatore della regia guardia per decreto-legge riuscirebbe certo a salvare le forme piú che non faccia l’onorevole Giolitti, ma la sua politica non sarebbe fondamentalmente diversa da quella del vecchio di Dronero.

L’Ordine Nuovo, 4 marzo 1922. Non firmato.