I becchini della borghesia italiana

Dove vuol giungere l’on. Giolitti? Chiunque abbia un briciolo di senno politico, a qualsiasi partito appartenga, non può non farsi questa domanda, dinanzi allo spettacolo offerto dall’Italia in questo momento.

I giornalisti borghesi, gli stessi che piú si accaniscono, con la loro bassa e triviale letteratura contro i comunisti, non riescono a nascondere il loro profondo turbamento interiore. Gli stessi scrittori della Stampa che nel 1918 e ’19 affermavano: «preferiamo, per amore del popolo italiano, il bolscevismo al fascismo», gli stessi scrittori della Stampa che oggi devono, per obbligo d’ufficio, sostenere l’on. Giolitti in ogni sua azione, dimostrano di essere esterrefatti e disorientati. Dove vuol giungere l’on. Giolitti? Questi polemisti della borghesia, nonostante il loro partito preso e la loro unilateralità, sentono, per quel poco di rozza intuizione psicologica e politica di cui sono forniti, che nella situazione creata dalla guerra e dai tre anni dopo l’armistizio, non basta piú riempire le colonne dei giornali di parole grosse e di minacce, sentono che non basterebbe piú neanche l’arresto di tutti i militanti comunisti e lo scioglimento del partito. Che i giornali, nei milioni e milioni di copie quotidiane, urlino: «La colpa di tutto risale al bolscevismo!», non basta piú a trasformare lo spirito popolare. Tre anni di esperienza reale valgono piú di ogni propaganda ideologica (?). Il popolo italiano ha visto che l’istituto della giustizia non ha piú funzionato dallo scoppio della guerra ad oggi; il popolo italiano ha perduto ogni fiducia nella giustizia. Enormità inutili sono state commesse durante la guerra, inutili completamente, anche dal punto di vista delle necessità militari; esse sono diventate leggenda popolare, si sono incorporate nel costume, nessuna forza dialettica può distruggere i sentimenti che hanno suscitato. Enormità inutili, da ogni punto di vista, anche dal punto di vista della piú rigida e angusta ragion di Stato, sono state lasciate commettere dopo l’armistizio. L’istituto della giustizia non è stato neppure capace di interpretare gli interessi piú reali e permanenti della borghesia: sarebbe forse bastato, per lo spirito popolare, un solo atto, forse anche la sola apparenza di un solo atto. Invece nulla, assolutamente nulla. Dall’incendio dell’Avanti! di Milano, nel 1919, fino a oggi, nessuno è stato condannato, nessuno è stato neppure molestato per le violenze contro i beni e contro le persone della classe operaia. O che si ritiene il popolo italiano composto di soli idioti, composto solo di ciechi, sordi, muti, composto solo di abbrutiti e demoralizzati? O che si ritiene che il popolo italiano sia assolutamente incapace di ricordare? Per quanto la classe borghese italiana, durante la guerra, abbia logorato una gran parte della sua intelligenza e della sua capacità a dirigere e governare le masse, tuttavia neppure il piú pessimista dei suoi avversari può pensarla ridotta a tal grado di abbrutimento e demoralizzazione. I polemisti della borghesia sentono che non si offende impunemente il sentimento piú profondo delle masse popolari: il sentimento della giustizia. Essi hanno l’impressione viva dell’abisso in cui la società italiana è stata spinta. Non c’è convinzione nei loro discorsi anticomunisti. Posti dinanzi all’orrore degli avvenimenti, questi uomini hanno perduto la tranquillità: essi non riescono piú a compilare i loro componimenti a freddo. Nella stessa rabbiosa secchezza e inumanità dei piú forsennati si riesce a cogliere una intima disperazione, un folle terrore che non sono dovuti a persone corporali, a nemici corporali, ma a un ignoto e incontrollabile fantasma che essi comprendono e sentono suscitato, che essi comprendono essere stato scatenato nel paese. E l’ansia di tutta questa gente si domanda: «Dove vuol giungere l’on, Giolitti?».

Mai come in questo momento l’onorevole Giolitti è riuscito a concentrare nella sua persona l’attenzione e le ansie delle classi borghesi italiane. Non lo comprendono e perciò! sono maggiormente spinti verso di lui; forse ne hanno paura, ma appunto perciò si aggrappano disperatamente a lui. Non lo comprendono: sanno, sono sicuri che, se Giolitti avesse voluto, con l’energia dimostrata verso D’Annunzio avrebbe potuto far cessare di colpo le imprese fasciste e organizzare le forze fasciste per una forma di reazione piú cauta e meno disastrosa. La capacità politica di cui dispongono è sufficiente per far loro comprendere che la distruzione delle Camere del lavoro e dei giornali peggiora le condizioni economiche e politiche della classe operaia e inasprisce permanentemente la guerra civile. Comprendono che la lotta, in condizioni tali, non finirà mai e che nel dilemma: o potere borghese o potere operaio sta per inserirsi un termine medio: distruzione degli uni o degli altri. Conoscono il popolo italiano: sanno che finora non ha avuto capi, e che la soppressione degli individui rappresentativi non muterà per nulla i rapporti di forza: in Italia i capi sfungano da ogni angolo e soppresso un partito nasce «una vendita di carbone» o addirittura una camorra. Perciò i polemisti della borghesia non comprendono l’on. Giolitti, non comprendono dove voglia giungere e non sono tranquilli e scrivono senza convinzione.

Ci convinciamo di avere avuto ragione quando, all’avvento dell’on. Giolitti al potere, abbiamo scritto: l’on. Giolitti non ha nessun programma e non si basa su nessuna consistente e reale classe della società italiana. Egli è l’esponente delle classi medie interrorite e disperate per il fatto che non comprendono piú il meccanismo di sviluppo della storia. L’on. Giolitti è un vecchio che durante la guerra ha avuto paura; egli, dopo decine e decine di anni di potere incontrastato, ha sofferto nel maggio 1915 le peggiori offese e le maggiori umiliazioni che un vecchio abituato al potere possa soffrire. È un vecchio senza avvenire, senza previsioni per il futuro; è stato oltraggiato sanguinosamente, ha avuto paura di finire sul patibolo (se nel 1917 Cadorna avesse attuato la sua dittatura, l’on. Giolitti avrebbe ricevuto i peggiori colpi della reazione militarista e bonapartista), ha un solo desiderio, vendicarsi crudelmente, essere il becchino di una classe che deve intimamente disprezzare. L’on. Giolitti, dopo l’armistizio, era il vero rappresentante delle classi medie, che anch’esse avevano avuto paura, che anch’esse perché non ancorate a modi di esistenza ferreamente stabiliti dal salario degli operai o dal profitto dei capitalisti non hanno un indirizzo, non possono far previsioni nel futuro, che anch’esse vogliono sfogare una inesausta sete di vendetta. Cosí l’on. Giolitti è giunto al potere, logicamente, e ha realizzato il suo piano. Egli si è vendicato e continua a vendicarsi. Egli si è vendicato di D’Annunzio e di Mussolini. Si è vendicato di D’Annunzio organizzando contro Fiume l’opinione pubblica borghese come si era fatto contro di lui nel maggio 1915; ha isolato D’Annunzio come egli stesso era stato isolato. Si è vendicato di Mussolini perché gli ha fatto mancare la parola data, perché lo ha dimostrato in tutta la sua impotenza, perché è riuscito a non fargli ripetere neppure una delle cose atroci del bel tempo andato. Si è vendicato dell’interventismo, perché, nella forma odierna di fascismo, riesce a manovrarlo, a indirizzarlo ai suoi fini politici immediati. Si vendica dei socialisti, che non hanno voluto apertamente appoggiarlo nel maggio 1915 e non si decidono ad appoggiarlo apertamente oggi. E lascia perciò che si scatenino tutte le forze incomposte, che bollano tutti i fermenti impuri, che si distrugga e si crei l’irreparabile. Questo periodo di storia offre un grandissimo numero di tali fenomeni di terrore, di disperazione, di freddo e cieco spirito di vendetta. Ogni periodo di trapasso è anzi caratterizzato da tali fenomeni di pazza disperazione delle classi medie: la classe media è oggi al governo in Italia, ed è rappresentata da un uomo che ne sintetizza tutta la psicologia e il disorientamento. Scettico, senza aspirazioni, senza previsioni per il futuro, non legato piú da nessun legame alla popolazione che disprezza perché ne ha sempre conosciuto la parte peggiore e piú inetta, l’on. Giolitti, che ha vissuto tutte le soddisfazioni e tutti i tormenti che un uomo possa vivere, vuole essere il becchino della borghesia. Non si preoccupa neppure se, lasciandole aizzare contro, fino all’estremo limite dell’umanità, il popolo, non determinerà tale ondata di esasperazione disumana, che si oltrepassi ogni limite e tutto venga sommerso di quanto sopravvive ancora di civiltà.

Noi siamo tranquilli, perché abbiamo una bussola, perché abbiamo una fede. Anche se immersi nella realtà piú cupa e atroce, noi crediamo nello sviluppo delle forze buone del popolo lavoratore, noi siamo sicuri che esse trionferanno di qualsiasi demoralizzazione, di qualsiasi piú oscura barbarie. La nostra concezione del mondo si sintetizza nella profonda persuasione che il male non riuscirà mai a prevalere.

 

L’Ordine Nuovo, 7 marzo 1921. Non firmato.