La caduta del fascismo

Primo: vi è un problema politico contingente, e cioè come si rovescia il ministero presieduto da Benito Mussolini. Le opposizioni borghesi, le quali hanno posto questo problema nel modo piú ristretto possibile, credendo cosí di aver un compito piú facile da assolvere, si stanno dibattendo dal mese di giugno in un vicolo cieco. Pensare infatti di ridurre la crisi del ministero Mussolini a una qualsiasi crisi ministeriale è cosa assurda. Anzitutto vi è la milizia che obbedisce solo a Mussolini e lo pone assolutamente al di fuori del terreno di una manovra politica normale. Per superare l’ostacolo della milizia si è lottato per parecchi mesi, ma sopra un terreno inadeguato. Si è lavorato l’esercito, si è scoperto il re. Ma alla fine ci si è trovati al punto di prima. Mussolini non se ne va. Anche, dato che con la milizia si possano fare i conti a buon mercato, non appena la questione della eliminazione di Mussolini dal governo viene posta in modo concreto, un problema non solo piú grave ma di carattere ancora piú decisivo si presenta: chi farà il processo Matteotti? Un governo Mussolini non può lasciar fare il processo Matteotti. I motivi sono noti. Ma Mussolini non se ne può nemmeno andare e non se ne andrà fino a che non è sicuro che il processo non verrà fatto, né da lui né da nessuno. Anche qui i motivi tutti li sanno. Non fare il processo (e non fare il processo vuoi dire liberare, presto o tardi e forse piú presto che tardi, gli attuali arrestati) vuol però dire andare incontro a una insurrezione dell’opinione pubblica, vuol dire porre il governo alla mercé di qualsiasi ricattatore e spacciatore di documenti riservati e mantenersi ritti sul filo di una spada. Non fare il processo vuol dire lasciare una piaga sempre aperta, con la possibilità di una «opposizione morale» ben piú importante ed efficace, in determinate occasioni, di qualsiasi opposizione politica. Ora, che la borghesia, in «ogni» sua frazione, sia disposta a non parlar piú né del delitto né del processo, pur di ridare saldezza al suo regime, è cosa da non mettere in dubbio. Si dice che il tema sia anzi già stato sviluppato, in riunioni delle opposizioni. Ma altrettanto vero è che la campagna sul delitto e per il processo non può essere lasciata in retaggio a gruppi antiborghesi, ad esempio, a un partito proletario. Metter le cose in tacere, non significherebbe infatti ottenere che 39 milioni di italiani se ne dimentichino. Nessuna novità, dunque, per vie normali. La politica del fascismo e della borghesia reazionaria si è inceppata — il giorno in cui l’opinione pubblica è unanimemente insorta per il delitto Matteotti, e Mussolini è stato travolto da questa insurrezione fino a compiere alcune mosse che dovevano avere ed avranno conseguenze incalcolabili — in un ostacolo irremovibile. Per qualcosa di simile e di molto meno grave, ai tempi del processo Dreyfus, la società e lo Stato francese furono portati fino sul limite di una rivoluzione. Era però in gioco, si dice, qualcosa di piú profondo di una questione morale, era in gioco un problema di rotazione di classi e categorie sociali al governo. Ma anche in Italia, e con le dovute aggravanti, è cosí.

E veniamo quindi al secondo aspetto del problema, al problema sostanziale, non del ministero Mussolini, o della milizia, o del processo, e simili, ma del regime di cui la borghesia ha dovuto servirsi per spezzare le forze del movimento proletario. Questo secondo aspetto è, per noi e per tutti, l’essenziale, ma è collegato col primo inscindibilmente. Anzi, tutti i dilemmi e le incertezze e difficoltà che rendono impossibile la previsione di una soluzione di carattere limitato, come hanno in mente le opposizioni e tutti i borghesi, sono un sintomo di contrasti sostanziali profondissimi. Alla base di tutto vi è il problema stesso del fascismo, movimento che la borghesia riteneva dovesse essere semplice «strumento» di reazione nelle sue mani ed invece, una volta evocato e scatenato, è peggio del diavolo, e non si lascia piú dominare, ma va avanti per conto suo. L’uccisione di Matteotti, dal punto di vista della difesa del regime, fu un profondissimo errore. L’«affare» del processo, che nessuno riesce a liquidare in modo pulito, è tale una ferita nel fianco del regime quale nessun movimento rivoluzionario, nel giugno 1924, era in grado di aprire. Esso è del resto non altro che la espressione e la conseguenza diretta della tendenza del fascismo a non porsi piú come semplice «strumento» della borghesia, ma a procedere nella serie delle sopraffazioni, delle violenze, dei delitti, secondo una sua ragione interna, che degli interessi della conservazione del regime attuale finisce per non tenere piú conto.

Ed è quest’ultimo punto quello che noi dobbiamo esaminare e giudicare piú attentamente, per avere un filo direttivo nella risoluzione del problema che stiamo discutendo. La tendenza del fascismo che abbiamo cercato di caratterizzare spezza l’alternativa normale di periodi di reazione e periodi di «democrazia» in modo che a tutta prima può sembrare favorevole alla conservazione di una linea reazionaria e ad una piú rigida difesa del regime capitalistico, ma in realtà può risolversi nel contrario. Vi sono infatti elementi i quali influiscono sulla situazione in modo recisamente contrario ad ogni piano di conservazione del regime borghese e dell’ordine capitalistico. Vi è la crisi economica, vi è il disagio delle grandi masse, vi è la esasperazione provocata dalla compressione fascista e poliziesca. Vi è una situazione tale per cui, mentre i centri politici della borghesia non riescono a concludere le loro manovre di salvataggio, si rende sempre piú possibile l’intervento in campo delle forze della classe lavoratrice, e il dilemma fascismo-democrazia tende a convertirsi, nell’altro: fascismo-insurrezione proletaria.

La cosa può essere tradotta anche in termini molto concreti. Nel giugno, immediatamente dopo il delitto Matteotti, il colpo subito dal regime fu cosí forte che un intervento immediato di una forza rivoluzionaria ne avrebbe posto in pericolo le sorti. L’intervento non fu possibile perché nella maggioranza le masse erano o incapaci di muoversi oppure orientate verso le soluzioni intermedie, sotto la influenza dei democratici e dei socialdemocratici. Sei mesi di incertezza e di crisi senza vie di uscita hanno accelerato inesorabilmente il processo di distacco delle masse dai gruppi borghesi e di adesione al partito e alle tesi rivoluzionarie. La liquidazione completa della posizione delle opposizioni, la quale appare ogni giorno piú certa, darà a questo processo una spinta definitiva. Allora, anche di fronte alle masse, il problema della caduta del fascismo si presenterà nei suoi termini veri.

L’Ordine Nuovo, 15 novembre 1924. Non firmato.