Legalità

Fin dove la legalità afferma i suoi limiti? Quando questi non sono piú rispettati? È certo difficile fissare qualunque limite, dato il carattere assai elastico che assume il concetto della legalità. Per ogni governo tutto ciò che si manifesta nel campo dell’azione contro di esso sorpassa i limiti della legalità. Epperò si può dire che la legalità è determinata dagli interessi della classe che detiene in ogni società il potere. Nella società capitalistica la legalità è rappresentata dagli interessi della classe borghese. Quando un’azione tende a colpire in qualunque modo la proprietà privata ed i profitti che ne derivano, quell’azione diventa subito illegale. Questo avviene nella sostanza. Nella forma la legalità si presenta alquanto diversa. Avendo la borghesia, conquistando il potere, concesso eguale diritto di voto al padrone ed al suo salariato, apparentemente la legalità è venuta assumendo l’aspetto di un insieme di norme liberamente riconosciute da tutte le parti di un aggregato sociale. Ci è stato ora chi ha scambiato la sostanza con la forma e dato quindi vita alla ideologia liberale-democratica. Lo Stato borghese è lo Stato liberale per eccellenza. Ognuno può in esso esprimere liberamente il suo pensiero attraverso il voto. Ecco alla lunga a che si riduce la legalità formale nello Stato borghese: all’esercizio del voto. La conquista del suffragio alle masse popolari è apparsa agli occhi degl’ingenui ideologi della democrazia liberale la conquista decisiva per il progresso sociale dell’umanità. Non s’era mai tenuto conto che la legalità aveva due facce: l’una interna, la sostanziale; l’altra esterna, la formale.

Scambiando queste due facce, gli ideologi della democrazia liberale hanno ingannato per un certo periodo di anni le grandi masse popolari, facendo credere ad esse che il suffragio le avrebbe portate alla liberazione da tutte le catene che le legavano. In questa illusione disgraziatamente non sono caduti soltanto i miopi assertori della democrazia liberale. Molta gente che si reputava e si reputa marxista ha creduto che l’emancipazione della classe proletaria si dovesse compiere attraverso l’esercizio sovrano della conquista del suffragio. Qualche imprudente si è persino servito del nome di Engels per giustificare questa sua credenza. Ma la realtà ha distrutto tutte queste illusioni. La realtà ha mostrato nel modo piú evidente che la legalità è una sola ed esiste fin dove essa si concilia con gl’interessi della classe dominante, vale a dire, nella società capitalistica, con gl’interessi della classe padronale. In realtà, specialmente la esperienza che di ciò si è fatta in questi ultimi tempi contiene molti ed importanti insegnamenti.

La classe operaia giovandosi del suo diritto di voto aveva conquistato per sé un grande numero di comuni e province. Le sue organizzazioni avevano raggiunto un potente sviluppo numerico ed erano riuscite ad imporre patti vantaggiosi per gli operai. Ma il giorno in cui il suffragio ed il diritto di organizzazione sono divenuti mezzi di offesa contro la classe padronale, questa ha rinunziato ad ogni legalità formale ed obbedito solo alla sua vera legge, alla legge del suo interesse e della sua conservazione. I comuni sono stati strappati ad uno ad uno con la violenza alla classe operaia; le organizzazioni sono state sciolte con l’uso della forza armata; la classe operaia e contadina è stata scacciata dalle sue posizioni, dalle quali minacciava troppo l’esistenza della proprietà privata. È sorto cosí il fascismo, il quale si è affermato ed imposto, facendo della illegalità la sola cosa legale. Niente organizzazione, se non quella fascista; niente diritto di voto, se non per darlo ai rappresentanti agrari ed industriali. Questa la legalità che la borghesia riconosce, quando essa è costretta a ripudiare l’altra formale. L’esperienza di questi ultimi tempi non è dunque priva di insegnamenti per coloro che hanno prima onestamente creduto nella efficacia delle garanzie legali concesse dallo Statuto liberale borghese.

Esiste un punto nella storia, in cui la borghesia è costretta a ripudiare ciò che essa stessa ha creato. Questo punto si è verificato in Italia. Non tener conto dell’esperienza che ne deriva o è ingenuità somma, meritevole delle piú severe sanzioni, o è malafede, la quale va spietatamente punita. Tale ci sembra in effetto il caso di quegli organizzatori socialisti che mostrano oggi di meravigliarsi, perché, ad esempio, il ministro on. Beneduce non riesce a far rispettare i contratti di lavoro. Per gente la quale tiene a dirsi ancora sul terreno della lotta di classe tutto ciò è enorme. È forse lecito ad un organizzatore, il quale pretenda di non aver rinnegati i princìpi di lotta di classe, chiedere ad un ministro di quali facoltà può disporre per impedire le violazioni da parte dei padroni dei concordati di lavoro? Simili domande non possono che ingenerare dubbi ed incertezze nella classe operaia. È naturale che il ministro del lavoro non abbia alcuna facoltà all’infuori di essere lo strumento in mano ad agrari ed industriali. Fino a quando gli organizzatori socialisti non sapranno fare di meglio che rivolgersi al ministro del lavoro, perché richiami i padroni al rispetto dei concordati, la classe operaia continuerà a subire tutte le violazioni, senza nemmeno potere organizzare una propria difesa.

Gli industriali si dimettono dalle commissioni arbitrali. È anche questa una conseguenza logica della situazione. Gli industriali vogliono oggi riprendere tutto quanto il loro potere. Gli industriali non vogliono piú riconoscere limitazioni di sorta alla propria volontà. Essi hanno accettato i comitati arbitrali quando lo slancio rivoluzionario delle masse minacciava la loro esistenza. Ora che la situazione sembra favorevole ad ogni calcolo reazionario, i padroni non possono nemmeno badare a conservare qualche scrupolo. Apertamente, essi si sono messi per la via della ripresa integrale e dispotica del potere sulle masse operaie. Gli organizzatori socialisti che cosa sanno escogitare di fronte a queste tendenze della classe padronale? Tutto quello che gli organizzatori socialisti sanno fare è denunciare all’opinione pubblica l’inadempienza padronale e l’impotenza del ministro del lavoro. Ma intanto la classe operaia risente tutte le conseguenze dell’atteggiamento padronale e dell’incertezza dei suoi dirigenti. Mentre essi rivolgono domande al ministero del lavoro, cresce la fame; la miseria si moltiplica; la reazione si rafforza. Quegli organizzatori socialisti che durante la guerra andavano a stringere le mani insanguinate dei generali nei comitati di mobilitazione, sono gli stessi che oggi chiedono l’aiuto e l’intervento dei ministri del lavoro. Ieri essi si rendevano complici degli assassini che avevano scatenato la guerra infrenando lo slancio rivoluzionario delle masse con le decisioni dei comitati arbitrali; oggi lasciano la classe operaia indifesa, mentre dappertutto i padroni non rispettano piú i concordati e li violano a loro piacere.

Solo la proposta del Comitato sindacale comunista è in grado di organizzare una difesa operaia contro l’assalto capitalistico; solo unendo tutte le forze operaie in un esercito compatto si può pensare ad una seria opposizione ai capitalisti, che, obbedendo ad una parola d’ordine, tendono a ridurre in schiavitù tutta la classe operaia. Ma per i signori organizzatori socialisti, persino domandare il rispetto dei concordati è oggi troppo rivoluzionario.

L’Ordine Nuovo, 28 agosto 1921. Non firmato.